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TERZA SERIE

AVVERTENZA

Il presente volume inizia la Serie III (1896-1907) dei documenti diplomatici italiani. In particolare, esso comprende il periodo che va dalla costituzione del Ministero presieduto dal Di Rudinì (lO marzo 1896) fino al 30 aprile 1897.

I documenti qui raccolti ordinati e pubblicati provengono da:

l. Archivio del Ministero degli Esteri, Roma:

Fondi: a) Telegrammi in partenza (Registri: 219, 221, 223, 225); b) Telegrammi in arrivo (Registri: 218, 220, 222, 224, 226); c) Divisione Politica; d) Archivio riservato del Segretario generale e del Gabinetto; e) Archivio della Legazione di Vienna (fascicoli riservatissimi F G I N); f) Carte Eredità Nigra.

2.

Archivio Centrale dello Stato, Roma: Carte. E. Visconti Venosta.

Si riferiscono al periodo compreso nel presente volume i Libri Verdi seguenti:

N. 93. 27 aprile 1896: Avvenimenti d'Africa (XXIII ter);

N. 95. 24 maggio 1897: Trattato di pace tra l'Italia e l'Etiopia (X);

N. 96. l dicembre 1897: Creta. Conflitto turco-ellenico (XIX). Quindi solo per la questione Etiopia-Eritrea e per quella di Creta esistono documenti già apparsi nei Libri Verdi; nulla per le altre questioni. I documenti editi nei Libri Verdi, per quanto è stato possibile, sono stati collazionati con gli originali esistenti, oltre che nell'Archivio degli Esteri, in quello dell'Africa Italiana o presso l'Ufficio Storico del Ministero della Difesa. Infine, un documento della presente raccolta è già pubblicato nel volume Somalia, a cura dell'Ufficio Storico del Ministero della Guerra, Roma, 1938. Sono state eseguite ricerche, per gentile concessione dell'attuale capo della famiglia, nell'Archivio del duca di Sermoneta, Onorato Caetani, ministro degli Esteri nel Gabinetto Rudinì dal marzo al luglio 1896. E parimenti fruttuosissime

ricerche, per cortese autorizzazione della famiglia, sono state compiute nell'Archivio di Emilio Visconti Venosta.

Abbreviazioni usate: A C S R -Archivio Centrale dello Stato, Roma.

L. V. -Libri Verdi.

Somalia -Somalia, Ufficio Storico Ministero della Guerra, Roma, 1938. A C -Carte del Duca di Sermoneta, nell'Archivio Caetani in Roma. A V V -Archivio Visconti Venosta.

Le norme seguite nella pubblicazione dei documenti sono le stesse indicate nella prefazione generale al primo volume della raccolta.

I documenti, cioè, vengono pubblicati integralmente, senza tagli di alcun genere. Sono solo abolite le formole di saluto, all'inizio e alla fine; e mentre la data è posta dall'editore e perciò è sempre in italiano, per tutto il resto

si è seguito rigorosamente il testo. Anche nella grafia, nell'interpunzione, nell'uso

IX

delle maiuscole e delle minuscole si è sempre rispettato rigorosamente il testo originale. Le parole o frasi pubblicate in corsivo, s'intendono sottolineate nell'originale.

Si è fatto ricorso solo alle seguenti abbreviazioni, anche quando nell'originale In parola sia seritta per disteso :

V.E. Vostra Eccellenza.

S.E. = Sua Eccellenza.

Di ogni documento viene indicata la natura mediante le abbreviazioni seguenti:

T. Telegramma.

D. Dispaccio (del Ministro degli Affari Esteri ai rappresentanti all'estero).

R. Rapporto.

L. P. Lettera personale o lettera particolare.

Le altre indicazioni eventuali, come riservato, confidenziale, segreto, sono riportate per disteso, cosi come vengono riportate per disteso le indicazioni relative a documenti che non siano telegrammi, dispacci o rapporti.

Di ogni documento, viene dato il numero d'ordine che esso ha o nel registro

(telegrammi), o nella serie dei rapporti di un determinato amb:tsciatore.

Quando il numero manchi, si usa l'abbreviazione s. n.

Per i telegrammi, si riportano, qualora sia possibile, anche l'ora di partenza

e di arrivo (questa seconda fra parentesi e preceduta da per. = pervenuto).

t CARLO MORANDI

II volume è stato rivisto dal prof. Giacomo Perhcone con la collaborazione del prof. Ruggero Moscati e dei dottori Giampiero Carocci e Liliana Save-Viscafè.


DOCUMENTI
1
1

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, XVIII)

T. Roma, 10 marzo 1896. Assumo oggi l'ufficio di presidente del Consiglio dei Ministri. S. E. il generale Ricotti è il ministro della guerra; l'on. Gaetani di Sermoneta è il ministro degli affari esteri. In nome del Governo, particolarmente in nome del ministro della guerra e nel mio, le esprimo piena fiducia, la quale risponde al sentimento generale e

alle speranze della nazione. Tenga sua corrispondenza telegrafica unicamente col ministro della guerra.

2

IL REGGENTE L'AGENZIA AL CAIRO, SALVAGO-RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (A C)

L. CONFIDENZIALE Cairo, 11 marzo 1896. Un telegramma della Reuter annuncia stasera che ella ha accettato di far parte del ministero Rudinì e Ricotti, già annunciato stamane. Nella speranza che tal notizia sia vera non mi posso trattenere dell'esprimerle fino di stasera quanto sollievo io provi di vedere finalmente la gente per bene alla direzione degli affari del nostro povero paese.

Si ricordi che io, sempre un poco illuso, dicevo che forse la disgrazia attuale farebbe aprire gli occhi agli italiani e che, se ciò fosse, sarebbe da dire à

quelque chose malheur est bon?

Speriamo che non sia troppo tardi e loro possano fermare l'Italia a metà del precipizio! Per ora intanto non si ha più vergogna del nostro paese che, un pò tardi se vuole, si è ripulito. Spero che ella non crederà che le scriva ciò perchè forse in questo momento è ministro degli esteri.

So perfettamente non può importarle molto dell'opinione di uno fra i più piccoli (non certo fisicamente) suoi dipendenti ma non mi posso trattenere dallo scriverle per quel bisogno di sfogarsi sulle cose nostre che si sente quando si sta all'estero e che Ella ha provato qui. In questi pochi giorni da lei passati in Egitto si è prestato con tanta gentilezza a sentirsi ripetere quanta amarezza vi fosse nella posizione superiore al mio grado, da me occupata per caso, che non ho potuto trattenermi dal continuare ancora una volta per lettera.

l

1 - Doc!l!ilcn:i diplomtJtici ~ Serie III -Vol. I

Mi scusi se ho dimenticato per un momento che ora il suo tempo è troppo prezioso per farglielo perdere colle mie chiacchiere.

Mio padre e mia moglie mi incaricano di salutarla. Quest'ultima dice che spera ora diverranno pubbliche tutte le canagliate di chi ci ha ridotti ln questo stato non fosse altro per renderli impossibili per sempre.

3

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, XXIV)

T. URGENTE Massaua, 12 marzo 1896, ore 5,20 (per. ore 17,35). Salsa, di ritorno ad Adiqualà, invia punti principali sui quali dovrebbero posare trattative pace. Sono i seguenti: l) Il confine fra Eritrea-Etiopia è segnato dal Mareb-Belesa-Muna; 2) Trattato d'alleanza e amicizia, esclusa qualunque forma di protettorato, di durata da stabilirsi, e rinnovabile o modificabile secondo esperienza avrà dimostrato conveniente; 3) Nomina nelle provincie dipendenti da Ras Mangascià di un capo gradimento dell'Italia; 4) Abbandonare al più presto Adigrat e gli altri punti che ancora fossero in nostra mano a sud del Mareb-Belesa.

Ritengo impossibile ottenere di più. Chiedo poter trattare su tali basi. Negus chiedemi risvosta con sollecitudine massima.

4

IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, XXV)

T. Roma, 12 marzo 1896, ore 20. D'accordo con presidente del Consiglio autorizzo trattare, conchiudere pace sulle basi da lei proposteci. Qualora sia possibile farlo, Governo desidera che ella procuri ottenere dichia

razione che Negus non accetterà mai protettorato altra potenza. Questo desiderio non dovrebbe, pare, mettere ostacolo al sollecito conchiudere della pace.

5

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, XXVIII)

T. Asmara, 12 (Massaua, 13) marzo 1896, ore 11 (per. ore 14 del 13). Comunico telegramma Salsa.

« Adiqualà 11 marzo, ore 9 1/2. Giunto ora da Entisciò (campo Maconnen), donde partii ierimattina; porto lettere Menelik e Maconnen per V. E., che faccio proseguire per corriere speciale, e ne telegrafo sunto. Menelik ricorda suo costante desiderio pace. Dice: poichè Re Umberto ama la pace, combiniamo presto, perciò sia rimandato maggiore Salsa cui ho tutto detto. Maconen, che scrive d'ordine Menelik, dice: finchè sia conclusa pace, tenete voi i paesi a nord Mareb-Belesa; abbandonate presto Adigrat; non fate altri forti oltre quelli esistenti; i vostri uomini non passino Mareb-Belesa; se nostra gente viene a voi, riconsegnatela; non sollevate quistioni, pensiamo solo alla pace. Questi patti mandatemeli presto col sigillo del Governo e firma del Re Umberto. Dico questo a nome dell'Imperatore. Lasciate ai conventi i resti e gulti dati prima dal Negus; facciamo più presto che si può.

« La lettera di Menelik ha forma assolutamente vaga; quella di Maconen non accenna a tutti i punti trattati e stabiliti.

« I punti principali sui quali dovrebbero posare trattative di pace, lungamente discusse e contrasta-te, sono quelli già trasmessi al Ministero. Queste sono le basi che io rimisi per iscritto a ras Maconen dopo chiusa ogni discussione, e che da qui furono accettate. Mi pare che più di questo sia impossibile pel momento ottenere.

« Ras Maconen ha pure accennato che, se rinunziassimo al territorio a sud del confine di Uccialli, egli sarebbe contento di essere il capo del Tigrè al posto di ras Mangascià, e che allora concorrerebbe in un'azione contro i dervisci, mentre ora l'Imperatore non ha voluto impegnarsi in una promessa d'azione guerresca comune contro i dervisci, pur lasciando capire che ci avrebbe aiutati come amici. A Maconen risposi che non avevo facoltà in proposito, e che ne avrei riferito a V. E.

« Maconen mi chiese pure quale sarebbe il capo da noi gradito a posto di ras Mangascià. Risposi non avere incarico indicarne alcuno e che anzi contava sopra di lui per la scelta. Infine fu pure espressa pretesa che nel territorio abissino dipendente dall'Italia non fossero fatti altri forti oltre quelli esistenti. Risposi che dei particolari si sarebbe trattato in seguito. A me non fu fatta parola dei resti e gulti cui accenna nella lettera ras Maconen; sentii ras Mangascià Atichim che ne parlava con Maconen, ma questi non credette porre la questione. Credo che per noi sia di secondaria importanza.

« L'esercito dell'Imperatore sempre imponente; ho assistito quasi interamente alla sfilata delle truppe giungenti su 5 o 6 colonne; è durata almeno sette ore. Quasi tutti quelli che l'altra volta vidi armati di lancia sono ora armati di fucile; gli avancarica non credo raggiungeranno il migliaio; metà dei fucili è Gras, ed in proporzioni quasi eguali Remington e Vetterly.

« Il numero degli armati di fucile certo non inferiore 80.000, ma non è possibile fare un calcolo esatto. Quadrupedi innumerevoli; più di 50.000 certamente. Viveri abbondanti per ora, cartucce molte. Trovai il morale molto più elevato dell'altra volta; tuttavia ho notato un grande e generale desiderio di pace e di tornare ai propri paesi, è dovuto alla eccezionale durata della cam

pagna e molto anche alle perdite subite specialmente di capi numerosi e impor·· tanti. Mi è parso avessero intenzione di avanzare nell'Oculè-Cusai per Mai·· Gabetà e Debra-Damo. Oggi l'Imperatore trasferisce il campo a Faras-Mai, due ore a sud dell'attuale. Distaccamenti grossi non ve ne ha alcuno. Anchè

ras S.ebath e Degiac Agos iermattina erano al campo. Fin dal 28 febbraio trovai il signor Clochette e si attende Leontieff.

«I nostri ufficiali prigionieri sono: generale Albertone, colonnello Nava, tenente Balbi Pietro 13° battaglione, sottotenente Piccinini Oreste 16", tenente Iusch 1° indigeni, maggiore Gamerra, dottore Santoro, tenente Quaglia Federico 7° battaglione, tenente Coccanari Angelo 15°, tenente Ferrari Antonio 15°, tenente Marchiori alpini, capitano Villa Pietro 16°, capitano Loffredo artiglieria, tenente Golfetto 15°, tenente D'Agostino Giovanni 7°, capitano Fiori Enrico bersaglieri, sottotenente Galvagno 3° indigeni, capitano Brancato bersaglieri, capitano Ferrari, tenente Borsi, medico D'Albenzio, tenenti Madia, Mauri Luigi, Canegallo Lorenzo, Nardini Giulio, Cattafava Ernesto, sottotenente Zarich Alfredo, D'Amato, alcuni altri di cui darò il nome domani, e circa ottocento soldati. Salsa».

Mi occorrono d'urgenza credenziali con firma del Re.

Ho risposto a Salsa: « Condizioni contenute nei quattro capitoli ritengo saranno accettate dal Governo. Non converrà al contrario impegnarsi per futura campagna contro dervisci.

« In quanto scelta d'un capo pel Tigrè, converrà sconsigliare cada su Mangascià o Sebath, senza raccomandare alcuno, ma facendo voti perchè Negus destini Maconen. Pretesa toglierei facoltà erigere fortificazioni nei territori a noi soggetti inammissibile. Ella può assicurare ciò non è nelle nostre intenzioni. Siamo disposti immediato ritorno materiale presidio Adigrat con garanzia Maconen ».

Comunicazioni con Cassala sempre attive.

6

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 920/240. Parigi, 12 marzo 1896.

Nello entrare in ufficiali relazioni con V. E., mi preme esporle alcune generali considerazioni che potrebbero avere peso nelle determinazioni relative alle linee direttive della politica estera del nostro paese. La Francia d'oggi, malgrado le sue ragioni di debolezza interna, non potrebbe essere giudicata con i criteri che prevalevano fino agli ultimi anni. La sua ricostituzione dal punto di vista della posizione nel concerto europeo, è un fatto che si è compiuto il giorno in cui, senza timore di smentita, i Ministri suoi poterono in Parlamento annunciare l'esistenza della alleanza franco-russa. Non gioverebbe sottilizzare sovra il carattere, o la forma degli atti dai quali risulta la stabilita intimità fra i Gabinetti di Parigi e di Pietroburgo. Di concludente e d'importante sta il fatto della esistenza di essa. All'appello della Russia, nella fase risolutiva della guerra cino-giapponese, il Governo della Repubblica rispose telegraficamente: « La France met au premier rang de ses préoccupations la considération de ses

alliances: nous sommes donc disposés à appuyer, avec toute l'efficacité possible, les vues du Gouvernement impérial concernant les conditions de la paix entre la Chine et le Japon ». Si fece merito al signor Hanotaux e giustamente dal punto di vista francese, di avere in quella occasione « fatto sortire la Francia dallo isolamento, di averle dato il punto di appoggio che da molto tempo le mancava». Ed il Presidente del Consiglio Ribot potè affermare che «in quella alleanza egli avea trovato la sicurezza che i suoi predecessori non ebbero la quale è e deve restare la guarentigia della pace del mondo».

Richiamo all'attenzione del R. Governo queste circostanze perchè ritengo che dai fatti posteriori non ebbero smentita le considerazioni che l'esistenza di una patteggiata intimità franco-russa necessariamente impone agli altri Paesi. L'azione del Gabinetto di Parigi andò infatti acquistando, negli ultimi sei mesi del 1895 e dippoi, un carattere che essa avea perduto da venticinque anni a causa di una politica internazionale di corta vista la quale preponendo ad ogni altro il suo intento speciale, impediva che la Francia tenesse il posto che la sua potenza le assegna nel concerto degli interessi generali dell'Europa. Sarebbe errore il credere che i Francesi abbiano rinunciato all'idea di rivendicazione territoriale. Ma l'obbiettivo diretto, immediato dell'azione diplomatica della Francia è mutato.

Quale è questo obbiettivo?

Pare a me che esso sia l'isolamento dell'Impero tedesco.

La Germania ha singolarmente contribuito ad accelerare le conseguenze che dal nuovo stato di cose dovevano derivare. L'alleanza franco-russa dovea determinare e determinò infatti una diminuzione sensibile nella tensione dei rapporti con la Germania. Questo primo effetto era già preparato dalla persuasione che è definitivamente passato il tempo in cui l'intimidazione della preponderanza militare avrebbe potuto fermare od impedire la ricostituzione della potenza francese. Benchè la cosa possa sembrare quasi paradossale, tuttavia fra le conseguenze della alleanza franco-russa bisogna annoverare la maggiore fiducia nella pace che il Governo di Berlino ha acquistato e che contribuì non poco a determinare gli atteggiamenti rispetto all'Inghilterra in Africa ed in Asia. Essi rivelarono lo stato latente di animosità esistente fra le due Nazioni. La spinta che ne ebbero le rivalità commerciali delle medesime ha messo in evidenza una ostilità che non è oggi fra i Governi, ma che esiste ed opera nel sentimento nazionale britannico. Questo, e non le personali tendenze dei componenti un gabinetto, determinerà la posizione della Gran Bretagna nelle situazioni dello avvenire. Così si pensa qui da coloro che attentamente seguono i rivolgimenti della politica internazionale degli altri paesi.

Non ispetta a me la ricerca dei motivi che hanno potuto suggerire le mosse di altri Gabinetti. Ma è nel mio compito il segnalare al Governo di S. M. gli effetti che ne derivarono nella orientazione della polHica estera della Francia. Fra questi il ravvicinamento notevole operatosi nei rapporti di quest'ultima con l'Inghilterra. Tali rapporti erano pervenuti or sono circa due anni ad un grado di tensione che non escludeva la previsione di una rottura. A distanza di tempo relativamente brevissima, la situazione è profondamente cambiata. Di oltre una dozzina di questioni aperte, alcune di vera importanza, altre di valore relativo, poche più sussistono fra la Francia e l'Inghilterra. Le animosità che appassionarono l'opinione nei due paesi sono calmate. Degli affari di Terranuova più non si parla ancorchè i dissidii non siano composti; e l'annunzio che la diplomazia dei due paesi stia ventilando un componimento per la questione egiziana, trova ogni dì maggiore credenza e pacata aspettativa. Il recente accordo che abbracciò in un solo atto la questione siamese e le concessioni di massima relative alla regione del Niger ed al trattato di commercio con la Tunisia, per la stessa sua anormalità ebbe un significato speciale.

Il lavorio della diplomazia francese in !spagna sembra aver trovato un terreno aperto che altre volte era occupato. Si segnala con insistenza da Londra la probabilità di un accordo franco-spagnuolo. Forse vi si potrebbe connettere il disegno della spedizione al Tuat che si afferma prepararsi presentemente in Algeria.

Di questa condizione generale di cose il contracolpo si è sentito nei rapporti

nostri con la Francia. Esso fin qui si rivela nella inclinazione che credo sincera, perchè calcolata, di questi Governanti ad un ravvicinamento con l'Italia. Questo concetto però che esisteva nel Gabinetto precedente del sig. Ribot e che esiste anche nel Gabinetto attuale del sig. Bourgeois, non è ancora penetrato nel sentimento pubblico francese nel quale la lunga, quotidiana, indefessa preparazione, principalmente col mezzo di una gran parte della stampa periodica, ha impresso profondamente l'irragionata convinzione della necessaria ostilità dell'Italia contro la Francia.

Durante l'ultimo anno l'Italia e la Francia si accinsero più volte ad esaminare insieme le tre principali questioni che sono aperte fra i due paesi. Ma nelle preliminari conversazioni fu ognora contemplata la necessità che lo stato della opinione pubblica permettesse di fare un'opera solida abbastanza per non

temere che da un voto parlamentare potesse venire rovesciata. Ne avrebbero ricevuto peggioramento le relazioni che si volevano migliorare. Pur troppo ogni volta che un miglioramento si produceva nel sentimento pubblico e lasciava prevedere la possibilità di un'utile trattativa, sorgevano tosto incidenti estranei che ingrossati, direbbesi, ad arte, toglievano mezzo di proseguire. Tre erano e sono le maggiori questioni aperte fra l'Italia e la Francia: quella che sorge dai contatti nella regione dell'Affrica orientale; quella che la denuncia del Trattato italo-tunisino ha fatto rinascere; quella che comprende le relazioni dirette del commercio e della navigazione fra i due paesi. Non potrei, senza

ripetere tutto ciò che sovra la posizione delle tre questioni fu scritto nel mio carteggio ufficiale di un anno, esporre qui quale tale posizione apparisce essere anche al presente. È mestieri dunque che io riassuma in brevi affermazioni i punti principali.

La questione dei contatti affricani si riduceva da principio alla ricognizione delle ragioni acquistate dall'Italia sull'Etiopia con il trattato di Ucciali (sic) ed alla conseguente delimitazione delle rispettive zone d'influenza francese ed italiana verso l'Harrar e verso il paese dei Danachili. Le basi di un accordo col Ministero di cui faceva parte il signor Hanotaux avrebbero dovuto comprendere un'allargamento dello hinterland francese di Obock, ma si sarebbero trovate nella determinazione di una linea che avrebbe fissato il limite oltre il quale ciascuno dei due paesi interdiceva a se stesso l'esercizio della propria influenza. Non si

sarebbe parlato di riconoscimento del trattato di Uccialli ma in linea di fatto se ne riconoscevano gli effetti.

Con il Ministero presieduto dal signor Bourgeois la delimitazione si sarebbe ottenuta immediatamente dopo il fatto doloroso di Amba Alagi ma condizionatamente alla accettazione nostra di trattare direttamente con la Francia la rinnovazione del trattato di commercio con la Tunisia. Questa nostra accettazione sembrava ai Ministri francesi corrispettivo sufficiente per fare accettare dalla pubblica opinione in Francia l'atto grazioso, l'affrettata delimitazione che avrebbe avuto per effetto di dichiarare la rinuncia esplicita di questo paese ad estendere la sua influenza sovra l'Harrar ed il resto dell'Etiopia. Noi abbiamo voluto assicurarci, prima di entrare in formale trattativa, dei patti che avremmo potuto ottenere nella rinnovazione del trattato tunisino, perdemmo un tempo prezioso e le altre potenze, Inghilterra ed Austria-Ungheria avendo accettato di negoziare direttamente con Parigi per le loro convenzioni tunisine, alla concessione che ci era stata domandata veniva tolto quasi ogni valore. Nel frattempo furono lanciate nei giornali nostri le notizie relative ai soccorsi materiali che gli Abissini ricevevano dalla Francia, si accendeva nella stampa italiana la violenta polemica che rendeva inopportuna la prosecuzione di ogni negoziato con il Gabinetto francese. Il nostro Governo escogitò nel corso di questi preliminari scambi di idee un progetto di scambio di territori affricani che le circostanze mi permisero d'introdurre quì. Esso non ebbe da principio accoglienza che lasciasse supporre

che vi fosse disposizione ad accettarlo. Dippoi alcuni Ministri sembrarono interessarvici. Lasciai aperte tutte queste trattative le quali potrebbero, se le circostanze lo consentissero, essere ripigliate e fors'anche condotte a buon fine.

Le mie corrispondenze col R. Ministero mettono in evidenza ciò che seguì fra questa R. Ambasciata e il Governo della Repubblica in ordine al traffico ed al transito dei materiali da guerra diretti all'Etiopia. Ne risulta che da parte nostra, per ragioni sovra le quali la Francia non emise pretesa o desiderio di discussione, non si volle reclamare l'applicazione per parte di quest'ultima delle leggi della neutralità internazionale. Ci fu ripetutamente dichiarata la disposizione a decretarla sulla nostra dichiarazione della esist~nza dello stato di guerra. Ho la convinzione, malgrado l'esistenza dei fatti speciali che vi contradicono, che nè il Governo del signor Ribot, nè quello del signor Bourgeois hanno direttamente prestato aiuti materiali all'Abissinia. Vi fu un periodo, probabilmente sul finire del 1894 essendo ministro il signor Delcassé e presidente della Repubblica il signor Casimir Perrier in cui furono facilitati gli acquisti ed i transiti dei materiali da guerra. Evinti allo Scioa noi lasciammo allora che vi penetrassero altre influenze, che vi si stabilissero ingordi speculatori e la preparazione militare della Etiopia data da quel tempo. Con ciò non voglio dire che da quando da parte nostra si incominciò, troppo tardivamente, a chiedere che i transiti fossero interdetti per le armi indirizzate a Menelik, tutte le porte si siano immediatamente chiuse e sovratutto che esse siano state da allora in poi ben guardate. Ma il complesso delle cose mi porta ad affermare che in linea di fatto furono date dal Governo di Parigi le disposizioni che ogni governo curante della correttezza della sua condotta internazionale suole prendere per mantenersi neutrale fra due paesi in lotta fra di loro.

Ma ormai è questa storia retrospettiva ed interessa certamente al Governo

di S. M. il sapere in quale modo quì al momento attuale si considerano le

relazioni della Francia con l'Italia.

Da dopo che fu annunciata la formazione del nuovo Gabinetto italiano il

signor Berthelot mi disse che egli aveva fiducia in un miglioramento dei rap

porti nostri che permetterebbe la ripresa dello scambio di idee per regolare

le questioni aperte. Questo signor Ministro, nel corso di un colloquio, mi espresse

il dispiacere che, in lotte con popoli semi barbari, mancassero agli amici degli

Stati civili in esse impegnate, i modi ordinari di azione per premere nel senso

di far sentire a quei popoli la necessità della pace. Più esplicitamente il signor

Hanotaux che conserva tutta la sua autorità ed esercita larga influenza al

Ministero degli Affari Esteri, mi disse che certamente il suo successore dovea

pensare a trovare il modo di far sentire a Menelik che l'Abissinia dovea affret

tarsi a ristabilire relazioni pacifiche con l'Italia.

L'insuccesso delle nostre armi è considerato dagli uomini competenti di qui come un danno comune e come una sorgente di pericoli futuri per tutti i paesi lanciati nelle imprese coloniali. Nessun sintomo mi è dato scorgere che indichi in coloro che hanno o potrebbero avere voce direttiva nel governo di questo paese il calcolo che l'indebolimento dell'Italia in conseguenza di una grossa guerra in Affrica possa essere favorevole agli scopi della politica francese. Questa si propone, come dissi, visibilmente l'intento di allontanarci dalla Germania, ma nullameno tende per ora a toglierei la posizione che ci spetta in Europa. Qui si sente tutto il valore che avrebbe per la Francia la amicizia dell'Italia. Non si pensa che da noi si possa né si voglia passare da un gruppo di alleanze ad un altro. Ma nell'unione dell'Italia con l'Inghilterra o per dir meglio nella adozione per parte dei due paesi di una identica linea di condotta di fronte alle complicazioni della politica europea, si vede dai più chiaroveggenti la migliore guarentigia dell'avvenire.

Ancorchè in alcune cancellerie si creda o si cerchi di far credere che la questione egiziana basti a mantenere vivo l'antagonismo degli interessi fra la Francia e la Gran Bretagna e si creda o si voglia far credere che nessun componimento della questione stessa si stia trattando tra Parigi e Londra, la cura degli interessi maggiori nostri ci deve far rivolgere la massima attenzione sulle conseguenze che, nei rapporti fra i due paesi, produrrebbe l'appianamento di difficoltà non insuperabili quando nei due Governi penetrasse il concetto che la spartizione della regione superiore niliaca fra gli Stati europei che già vi hanno, o stanno per avervi accesso, toglie alla questione del basso Egitto molta parte dell'importanza che in passato essa avrebbe potuto avere. Questo concetto tende a farsi strada in Francia e mi pare certo che gli avvenimenti degli

ultimi anni debbano aver fatto abbandonare dall'Inghilterra il pensiero di una continuità territoriale che dalla Colonia del Capo arrivi alle sponde del Mediterraneo. Nello sviluppo pratico che un siffatto concetto potrebbe avere, acquista valore per noi la posizione di Cassala alla quale soltanto una imprescindibile necessità ci dovrebbe far rinunciare. Allorchè l'Italia sbarcò a Massaua e anche dopo, quando essa incominciò a negoziare con l'Inghilterra l'occupazione di quella località per se stessa, nel presente, priva di ogni valore, le posizioni che tengono oggi gli Stati europei nelle alte regioni niliache non erano ancora prese. La rinuncia che l'Italia facesse alla sua sarebbe interpretata come abbandono della parte che le spetta nella risoluzione della maggiore delle questioni del Mediterraneo.

Voglia, signor Ministro, accogliere questa mia esposizione di fatti e di conseguenti considerazioni come l'adempimento del primo fra i doveri di chi ha l'onore di rappresentare il proprio paese all'estero, di quello cioè di riferire senza reticenze la verità delle cose e le impressioni che esse producono.

7

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, XXIX)

T. Massaua, 13 marzo 1896, ore 10,30 (per. ore 10,50).

Domani sera nostra carovana 400 camelli raggiungerà Cassala. Debbo ritirare presidio subito od attendere, per farlo? Forza Dervisci a Gulusit, 5 a 7 mila fucili. Non è accertato arrivo Osman Digma, nè pare vi siano altri rinforzi.

8

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA

(Ed. in L. V., 93, XXX)

T. Roma, 13 marzo 1896.

Per Cassala ci riserviamo darle istruzioni fra le 48 ore, !asciandole piena libertà di ritirare subito il presidio se così volessero le convenienze militari.

Confermiamo nostra accettazione delle basi di pace comunicateci ieri.

Quanto ai forti respinga il proposto divieto, intendendo noi di esercitare piena ed intiera la sovranità nostra sul territorio al nord del limite MarebBelesa.

Per i conventi ce ne rimettiano al suo giudizio.

Quanto alla proposta di riconsegnare la gente che viene a noi, ce ne rimettiamo pure a lei purchè non sia impedita la ricostituzione dell'esercito coloniale con truppe indigene. Quanto al capo del Tigrè approviamo il suo divisamento di escludere Mangascià e Sebath.

Impossibile farle giungere credenziali del Re prima di quindici giorni. Proponga dunque, se crede, una convenzione militare da mutarsi in pace definitiva quando giungeranno credenziali che saranno presto spedite.

Trattato da lei firmato in forza delle credenziali sarebbe poscia ratificato da S. M. il Re.

Voglia corrispondere con telegrammi cifrati per evitare che notizie siano rese pubbliche inopportunamente.

9

IL MINISTRO DEGLI ESTERI. CAETANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (l)

T. 307. Roma, 13 marzo 1896, ore 11.

R. Ambasciatore Londra telegrafa quanto segue: «Salisbury, sentito Consiglio dei ministri, in data di ieri ha telegrafato a lord Cromer di fare eseguire una dimostrazione militare verso Dongola onde fare diversione in nostro favore ».

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IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, XXXII)

T. Massaua, 13 marzo 1896 ore 12 (per. ore 15). Stanotte Salsa, in un terzo telegramma intorno trattative avute, scrive testualmente: « N e i colloqui con ras Maconnen relativamente confine, lasciai comprendere che Governo, sicuro mantenimento patti, dopo un tempo che io non potevo indicare, nemmeno approssimativamente, avrebbe potuto, di sua spontanea volontà, rinunciare alla Abissinia i territori che ora otteneva; credo che ciò abbia influito non poco sulle decisioni del Negus circa il confine». L'avermi taciuto una concessione di tantà importanza, e fatta di sua iniziativa, mi impressionò. Ora Salsa spiega che la questione della retrocessione all'Etiopia dei territori da essa avuti col trattato di Uccialli era stata sollevata da ras Maconnen solamente privatamente. Evidentemente Menelik desidera oggi pace; ma cerca stabilire addentellato per romperla, quando lo crederà opportuno. Nelle lettere del Negus e di Maconnen, pervenutemi ora, nulla d'importante, di diverso da quanto risulta da precedenti telegrammi e da quanto fu accordato

con Salsa, tranne la restituzione dei gulti alle chiese: questione che cercherò di eliminare nel trattare in seguito.

11

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, XXXIII)

T. Roma, 13 marzo 1896, ore 19,10.

Governo non può ammettere che si lasci sperare al Negus la eventuale retrocessione di territori abissini che sarebbero riconosciuti appartenere al no

lO

stro dominio. Dobbiamo dunque disapprovare linguaggio tenuto dal maggiore Salsa. Governo desidera vivamente ritornare allo statu quo ante esistente nel 1893, vale a dire il confine Mareb-Belesa.

A questa condizione, che riassume i patti dall'E. V. proposti, si vuole la pace, ma pace onorevole e duratura. Piuttosto che lasciare l'addentellato a una nuova guerra, o recare offesa al sentimento nazionale, preferiamo continuare le presenti ostilità.

La sua fermezza e la sua prudenza ci danno fiducia che l'E. V. riuscirà nel difficile negoziato.

(l) Trasmesso in pari data dal Ricotti al Ba!dissera. Cfr. L. V., 93, XXVII.

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IL MINISTRO A BUENOS AIRES, ANTONELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI CA C)

L. P. Buenos Ayres, 13 ma1·zo 1896.

Alla lettera ufficiale mi permetta che aggiunga le mie particolari felicitazioni per l'atto suo nobilissimo di accettare la responsabilità di governare, in un momento tanto burrascoso, un paese così strano ed irrequieto, com'è la nostra cara patria.

Sono sicuro che la forte sua tempra trionferà dalle grandi difficoltà che dovrà superare.

La questione dell'Africa è stata sempre compresa dal partito militare di Massaua che credeva di conoscere un paese, mentre gli era completamente sconosciuto.

Crispi questa volta si è fatto trascinare dai militari ed ha dovuto subire tutte le conseguenze.

Sebbene sia dolorosa pure la sola via che ci resta è una pace onorevole.

Ho sempre sostenuto un programma politico pacifico coll'Etiopia.

Nella Consulta troverà i documenti riservati pubblicati in 20 copie, troverà decisione di andarmene dal ministero tanto fu male accolta. In quella memoria vedrà che nel 1894 potevamo ridurre le spese per l'Eritrea a soli 5.000.000. Vorrei pure che lei si facesse dare un verbale di una seduta tenuta alla Consulta fra Blanc, Barattieri, il sottoscritto e Silvestrelli. Quel verbale lo feci stampare insieme ad altri importanti documenti che potevano un giorno essere utili.

Non so cosa ne abbiano fatto, ma Contarini, che era il mio segretario particolare, può darle qualche spiegazione nel caso fosse necessario fare delle ricerche.

Da tutto l'assieme Ella vedrà che io fui sempre per gli accordi pacifici, non solo, ma che indicavo anche i mezzi per mantenere la colonia con poca spesa, relativamente, e con tutta pace e tranquillità.

Si assicuri che l'Eritrea la sappiamo fare, possiamo mantenerla con pochissima spesa e farne un buon centro di commercio e di agricoltura, prima indigena, e poi, se sarà possibile, italiana.

La nostra preponderanza l'acquisteremo più colla diplomazia che colle armi. Non mancheranno a Menelik dei ribelli che potranno vendicare Abba Carima.

In questa guerra Menelik non ha avuti ribelli ed è la prima volta che questo fatto accadde in Etiopia, e questo fatto prova la inettezza dei conquistatori dell'Etiopia che neppure seppero accattivarsi la simpatia di un capo Abissino importante.

Gli inglesi prima, gli egiziani poi, e noi stessi dall'85 al 91 avemmo alleati contro il Re dei Re: solo in questa guerra tutti ci abbandonarono. Se il ministero attuale vuole organizzare l'Eritrea metta un governatore civile il più presto possibile. Baldissera comincerà coi suoi atti selvaggi e continuerà il sistema di rendere tranquilli i paesi col distruggerli completamente da diventare inabitabili. Perdoni questa lunga chiaccherata e gradisca i miei auguri e i miei saluti.

13

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI'

L. P. RISERVATISSIMA Parigi, 13 marzo 1896.

Mi permisi scriverle di non indugiare a darci un governo perchè io vedeva di qui i pericoli dell'indugio. Ella m'invitò a scriverle appena costituito il ministero ed io mi accingo a farlo con la persuasione che se il pensiero mio non fosse in tutto accettabile, l'espressione schietta e sincera del medesimo non potrà dispiacerle. Scrivo a lungo benchè un pò frettolosamente al Duca di Sermoneta circa la presente situazione della Francia tanto diversa di quella che essa ebbe prima di circa un anno fa. Bisogna rendersene conto. Il non farlo noi, non impedirebbe che altri lo facciano e si regolino in conseguenza. Nello stesso rapporto ho per sommi capi indicato le ultime fasi delle nostre relazioni con il Governo francese e le disposizioni presenti del medesimo a nostro riguardo. Ho pure chiamato l'attenzione sovra la connessione che ha la presente nostra posizione a Cassala con la eventuale risoluzione della questione egiziana, la maggiore questione mediterranea, e sovra l'importanza che l'Italia non faccia atto che sembri o sia abbandono della parte che essa deve avere nello scioglimento di quel gravissimo problema affricano.

Ma alle cose scritte ufficialmente non Le spiaccia che altre aggiunga alle quali la forma della corrispondenza particolare meglio si addice. Non mi fermerò a dare la dimostrazione delle singole cose; non ne dirò tuttavia le quali non potessero eventualmente essere da me dimostrate.

Non esiste dunque anzi tutto nelle classi direttive in Francia odio od astio contro il nostro paese. Le masse popolari furono invece da un lavoro continuo, insistente, diabolicamente architettato, condotte a considerare nell'Italia la naturale nemica, l'ingrata, l'iniziatrice presso le sue alleate di ogni azione diretta contro gli interessi francesi. Ne risulta una situazione che neutralizza in proporzioni grandissime le migliori disposizioni dei governanti e che lascia in mano a chi voglia avversare il miglioramento delle relazioni franco-italiane un'arma di cui largamente è stato fatto uso anche negli ultimi tempi. La Francia è ricostituita militarmente. Dal punto di vista diplomatico la sua alleanza con la Russia le ha ridato la situazione che non avea più dal 1870 in poi in Europa. Il suo obbiettivo oggi è di avere degli amici numerosi e di isolare possibilmente l'avversario suo naturale. Favorita dalle circostanze, dagli errori della Germania, dalle rivalità fra quest'ultima e l'Inghilterra, la Francia, in poco più di un anno, ha composte molte sue questioni con la Gran Bretagna, ha attutito i dissidi acuti delle altre vertenze tutt'ora aperte fra i due paesi. Ne risulta che la posizione che noi abbiamo lungamente sperato di vedere prendere per necessità di cose dalla Inghilterra a fianco della Triplice alleanza non sarà per lungo tempo più possibile e che l'opera nostra di servire di tratto di congiunzione fra Londra e Berlino rischia di esaurirsi nella ricerca dell'impossibile.

Si specula sovra questa situazione da chi governa le relazioni estere della Francia e ne deriva la aspettazione che essa debba influire sovra le risoluzioni dell'Italia. Questa aspettazione spiega la marcata tendenza di entrare coll'Italia in una via di permanente miglioramento di relazioni. Base di questo dovrebbe necessariamente essere la accettazione reciproca di tutto ciò che ormai ha valore di fatto compiuto.

Da parte nostra non vi è alcun motivo di temere una repubblica che s'inspiri alle idee del 1849 od anche soltanto a quelle di Thiers o di Mac-Mahon. La questione papale non ha più in mano del governo francese altro valore che quello di un mezzo di darci eventuali noje. Nessuno in Francia reclama dal Governo di servirsene per disfare l'Italia.

Per contro a Tunisi la posizione nostra nelle alleanze non ha impedito la Francia di condurre ormai a compimento ogni suo proposito. Abbandonati così dall'Inghilterra come dall'Austria Ungheria nell'ultima questione che ancora restava a risolvere, in quella cioè della rinnovazione dei trattati di commercio con la Reggenza, sarebbe, a parer mio, un errore grave da parte nostra il pigliare in questo affare un contegno che ad altro non servirebbe che a rendere palese il nostro isolamento.

È concepibile che qui si abbia l'idea che l'Italia non più minacciata nella questione papale, forzatamente rassegnata ad accettare il fatto compiuto a Tunisi, non possa stare in un'alleanza diretta contro la Francia pel solo scopo di difesa degli interessi propri e che conseguentemente qui si aspetti di vedere il nostro paese prendere una orientazione politica diversa di quella che esso ebbe negli ultimi anni precedenti

Non so se qui si sapesse o si supponesse (anzi non so neppure se il fatto sia vero) che in quest'anno i nostri patti con gli Imperi del centro sono rivedibili. Oggi una gazzetta tedesca se ne fa telegrafare da Roma l'annunzio. Mi pare che se qui si saprà che i patti furono lasciati rinnovare tal quale essi sono per tacita riconduzione, l'effetto diretto, immediato sarà di mutare le disposizioni favorevoli che ora potremmo qui incontrare per le cose di nostro interesse, in disposizioni ostili le quali potrebbero quandochcssia prendere un canttere grave per la tranquillità interna del nostro paese senza forse darci mezzo che valga a determinare in favore nostro il casus foederis. Sono cose queste che possiamo dire e considerare fra di noi in questo momento perchè nessun fatto ci impone di prendere l'una piuttosto che l'altra risoluzione e perchè se una evoluzione ci fosse imposta dalla posizione che prendono e l'Inghilterra e la Spagna sarà cosa più degna del decoro nostro l'averla eseguita nella misura che gli interessi nostri consigliano e senza avere subito alcuna estranea pressione.

Ella si ricorderà forse, signor Marchese, di ciò che in proposito Le scrissi da Londra nel 1891. Fin d'allora mi pareva indispensabile per la sicurezza nostra l'accessione dell'Inghilterra alla alleanza di cui facciamo parte.

Molte cose sono avvenute dippoi e tutte ci indicano che il pericolo di essere lasciati esposti soli o per lo meno in condizioni di grandissima inferiorità nel Mediterraneo è aumentato nelle proporzioni le più inquietanti. L'ingrandimento della potenza marittima dell'Inghilterra richiede ancora come allora il nostro concorso per riuscire a preponderare. L'Inghilterra avrà quante navi vuole e le migliori navi del mondo. Ma non ha personale proporzionato ad esse e manca di porti e di punti di appoggio validamente difesi nel Mediterraneo. Le forze riunite dell'Italia e dell'Inghilterra assicurando ad esse la preponderanza sul mare imporrebbero la pace o ristabilirebbero l'equilibrio se la pace venisse malauguratamente a rompersi.

Qui si aspetta evidentemente per prendere in riguardo nostro un atteggiamento definitivo che la posizione nostra sia chiarita. Non proporrei mai di mercanteggiare con l'avversario naturale della principale nostra alleata l'abbandono da parte nostra della alleanza. Ma la continuazione dell'alleanza senza veruna assicurazione positiva della assistenza dell'Inghilterra pare a me si esponga a pericoli gravi e forse a danni sicuri. Non potrebbesi stipulare la con· tinuazione di un anno per dare tempo non a noi ma. alla Germania di assicurar·~ l'accessione dell'Inghilterra? I dissidi delle due Nazioni non ci danno forse ad esuberanza ragione di vedere chiaro nell'avvenire?

Comprendo che presentemente la questione d'Affrica ci prema assai più che le considerazioni della orientazione generale della nostra politica estera. Ma non si collega forse anche l'interesse affricano con l'orientazione stessa? Mi pare che fra le cose più premurose vi siano per noi gli accordi da prendersi per tagliare possibilmente all'Etiopia tutte le vie al mare. Bloccato nelle sue montagne quel paese non potrà mantenersi nel pericoloso assetto di guerra di cui purtroppo abbiamo risentito gli impreveduti effetti. Senza il concorso di Francia ed Inghilterra è questa cosa possibile? E con quale interesse suo l'una e l'altra si coadjuverebbero nel ridurre ad impotenza offensiva il Negus se fra qualche settimana si annunciasse la tacita riconduzione dell'alleanza per un periodo relativamente lungo di anni?

Prenda di queste cose che Le scrivo ciò che il giudizio suo e la cognizione perfetta che Ella ha della situazione nostra Le suggeriranno. A me basta lo averle dette perchè non può e non deve il Governo ignorare che viste dl quì le cose che espongo ci impongono una risoluzione che può significare scelta fra una Francia amica ed una Repubblica intenta a cospirare ai danni nostri.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 470. Berlino, 14 marzo 1896, ore 3,15 (1) (per. ore 18).

Conte Goluchowsky ripartito iersera per Vienna quantunque sua venuta non avesse come ho riferito scopo speciale, egli mi assicurò colloqui avuti coll'Imperatore e suoi consiglieri averlo pienamente. tranquillizzato circa qualche apprensione che egli nutriva per soverchia tendenza Germania verso Russia. Mi assicurò inoltre avere acquistato persuasione Imperatore saprà poco a poco attutire attrito fra Germania e Inghilterra, e appoggerà sempre politica Italia e Austria-Ungheria verso Inghilterra, sebbene persuaso che ad accordi scritti concreti nessun Gabinetto inglese si deciderà mai. Tuttociò concorda coi miei ultimi rapporti a codesto Ministero, e dichiarazioni fattemi da Cancelliere e da

S. M. stessa. Anche la sera pranzo Ambasciata di S. M., ove, ripetendo cose già dettemi, aggiunse soltanto che adopera influenza che ritiene avere sopra Czar per indurre lo stesso a portare peso politica russa verso estremo oriente distogliendolo da questioni europee che più preoccupano Austria Ungheria e Inghilterra e noi. Contegno Conte Goluchowsky con me improntato a massima cordialità. Imperatore dissemi averlo trovato molto più ragionevole di quanto credeva, solo esageratamente impressionato contro Russia, la cui amicizia Germania ritiene utile a Triplice Alleanza, e arrischiata a Francia.

Necessità saldezza triplice alleanza e sincera amicizia verso l'Italia sono sentimenti che emanano in questi giorni da ogni parola Imperatore e suoi consiglieri, e che mi sembrano anche divisi da Conte Goluchowsky se non altro per interessi del paese che rappresenta. S. M. e Governo Imperiale sono larghi· di plauso al nostro Re per scelta suoi nuovi consiglieri.

15

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. RISERVATISSIMO 465. Pietroburgo, 14 marzo 1896, ore 12,55

(per. ore 6 del 15).

Ambasciatore di Germania, con preghiera di non far uso del suo nome, mi ha detto essergli stato riferito da buona fonte che Menelik avrebbe telegrafato allo Czar d'interporre i suoi buoni uffici per la conclusione di una pace onorevole coll'Italia, offrendo a quest'ultima i confini anteriori alla guerra, a patto che venisse riconosciuta la di lui indipendenza.

Principe Lobanoff afferma, però, di non saperne nulla, e sostiene l'inverosimiglianza dell'asserzione, non avendo la Russia relazioni col Negus. Radolin ha cionondimeno telegrafato a Berlino quella voce.

(l) Si avverte una volta per tutte che, per l'ora di partenza e di arrivo dei telegrammi, ci si è attenuti rigorosamente al testo conservato in copia nella serie dei registri. Non è tuttavia improbabile che spesso le ore siano errate, in quanto dai registri non risulta sempre se si tratti di ora antimeridiana o pomeridiana.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI' E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA

(Ed. in L. V., 93, XXXVII)

T. Roma, 14 marzo 1896, ore 17,30.

Stimiamo .ora opportuno dare nostre istruzioni relative a Cassala. Se l'E. V. stima lontana la pace con l'Abissinia, ci sembra prudente dal punto di vista politico ritirare il presidio da Cassala, onde non trovarci esposti a sostenere contemporaneamente la guerra sul fronte sud e sul fronte ovest. Se la pace con l'Abissinia le sembrasse vicina, allora, per riguardo ,al sentimento nazionale, ci sembrerebbe opportuno mantenere transitoriamente la posizione di Cassala.

Ma il Governo pensa che il criterio militare debba prevalere sopra ogni altra considerazione, e quindi lascia all'E. V. piena libertà di mantenere o ritirare il presidio di Cassala.

Avvertiamo che gli egiziani fanno dimostrazione militare sopra Dongola.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO (Ed. in L. V., 93, XXXVIII)

T. s. n. Roma, 14 marzo 1896, ore 17.

Il governo desidera per ora mantenere l'occupazione di Cassala, salvo che

necessità militari non impongano al generale Baldissera la decisione di sgombrare.

Il governo gradisce quindi la dimostrazione sopra Dongola, quantunque di scarsa

efficacia militare per noi.

Voglia ringraziare vivamente lord Salisbury a nome mio e del marchese di

Rudinì.

18

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI CA C)

L. P. Londra, 15 marzo 1896.

Mi permetta anzitutto di rinnovarle le mie felicitazioni per la nomina a Ministro degli Esteri. Quando La incontrai all'Hotel de la Ville a Milano e che parlammo lungamente delle nostre cose politiche non credevo così vicino il momento di averla a mio ministro. Ma se il cambiamento di ministero fosse avvenuto più presto si sarebbero risparmiati 200 milioni, qualche migliaio di uomini, e più di tutto, il prestigio militare. Però quando si pensa alle feste

carnevalesche fatte l'estate scorsa al «Generale» Barattieri bisogna credere che il paese era cieco e che amava quella politica che lo condusse all'orlo del precipizio. Ci voleva Adua per aprire gli occhi al Paese. Ma ciò che ha più impressionato, e sfavorevolmente l'opinione degli uomini seri è stato il contraccolpo prodotto in Italia da quella sconfitta. Si sono presentati fenomeni i quali dimostrano che il nostro paese è sopratutto ammalato e che va trattato come tale. Amo sorvolare sulla prova mediocre fatta dal nostro sistema militare a base di truppe improvvisate. Ma spero che in ciò qualche salutare passo indietro sarà fatto.

L'impressione fatta in Inghilterra dagli ultimi avvenimenti è stata penosa. La simpatia tradizionale, ma più ancora il comune interesse, vennero posti maggiormente in evidenza. Questo governo è molto sospettoso e guardingo come del resto deve essere. Perciò non bisogna giudicarlo male se non cede sempre e subito ai nostri desiderii. Nel periodo, fortunatamente breve, della nostra recente crisi ministeriale, Lord Salisbury si è mostrato molto espansivo con me. Non posso esprimere per lettera tutte le mie impressioni. In un anno che sono qui ho passato per molte oscillazioni, ma il fondo dei miei giudizi è rimasto costante. Io mi permetto di esprimerle il desiderio di conferire con V. E. verso la fine di questo mese, cioè quando qui ed in Italia vi sarà una settimana di riposo politico.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, XLI)

T. Roma, 16 marzo 1896, ore 16,20.

Dai precedenti telegrammi l'E. V. avrà notato che governo desidera siano

continuati i negoziati di pace, già iniziati, coll'Abissinia; però pace onorevole e

decorosa per l'esercito e popolo italiano; deciso continuare guerra, qualora non

si possa raggiungere tale condizione.

Ora il governo desidererebbe conoscere il di Lei avviso, pienamente libero,

sull'andamento dato alla questione africana, in particolare indicasse il piano di

guerra generale, che V. E. vorrebbe seguire qualora non si facesse la pace

col Negus.

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IL SOTTOSEGRETARIO DEGLI ESTERI, BONIN, ALL'AMBASCIATORE BRITANNICO A ROMA, CLARE FORD

L. 9755/12. Roma, 17 marzo 1896.

Con una nota in data di ieri (1), V. E., per istruzione avutane da lord Salisbury, mi espone le ragioni per le quali il governo della Regina, dopo maturo

2 -Documenti diplomatici • Serie III · Vol. I

esame, è venuto alla conclusione che giovi agli interessi presenti e permanenti dell'Egitto una azione militare contro i dervisci da spiegarsi rimontando la valle del Nilo e rioccupando Dongola. V. E. aggiunge che, non bastando i fondi di cui il Governo egiziano liberamente dispone per far fronte alle spese il governo della Regina confida che i commissari presso la Cassa del debito pubblico autorizzeranno per tale oggetto un prelevamento di 500 mila lire sterline dal fondo generale di riserva di due milioni e mezzo accumulatasi per servire a spese straordinarie. Lord Salisbury spera che il governo del Re voglia consentire alla proposta e far pervenire istruzione in tal senso al R. agente al Cairo.

Desideroso di agevolare al governo egiziano una impresa che il governo della Regina stima vantaggiosa per il vicereame, il governo del Re non esita a dichiararsi consenziente al proposto prelevamento; e di questo nostro assenso senza indugio informo il R. agente al Cairo acciocchè questo possa, a sua volta, mettere il commissario italiano presso la Cassa del debito pubblico in grado di tenere conto, nel pronunciarsi a tempo opportuno, della opinione del R. governo (1).

V. E. può di quanto precede porgere notizia a lord Salisbury.

(l) Allude alla nota di Francis Clare Ford al Caetani, datata da Roma, 16 marzo 1896, che non si ritiene necessario pubblicare, in quanto il contenuto di essa è già sostanzialmente riferito nel testo. Il Bonin risponde per il ministro Caetani.

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IL BARONE BLANC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

CA C)

L. CONFIDENZIALE Roma, 17 marzo 1896.

Mi perdoni di importunarla ancora per cose secondarie per le quali ogni ex-ministro è in debito di schiarimento tanto più verso un successore eminente ed amico; non ho altro modo di compiere quel dovere, il sottosegretario di stato ed il Segretario Generale avendo omesso, contrariamente agli usi, di porsi, anche con semplice biglietto da visita in relazione con me.

Debbo dunque chiarirle che mi dispiace la pubblicazione, della quale il Governo potrà, se ciò l'interessa, investigare l'origine, della mia circolare del 3 marzo sulle cose di Africa; e quando quel documento venisse presentato alla Camera, chiederei di correggerlo, per semplice esattezza di forma, sostituendo conferiti ad «affidati~. difesa militare a «difesa coloniale~. e Parlamento a

«Camera.

A suo comodo, poi, caro Duca, le sarei grato di darmi modo di conservare la mia lettera privata al Gen.le Lanza.

Accompagno coi più fervidi voti l'operato suo in questi difficili momenti.

(l) Si veda il telegramma n. 340, che non si ritiene necessario pubblicare, inviato dal Caetani il 17 marzo all'Agenzia italiana al Cairo, e per conoscenza alle Ambasciate a Londra, Parigi, Vienna, Berlino e Pietroburgo.

22

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 499. Parigi, 18 marzo 1896, ore 8,05 (per. ore 22,40). Ministro degli affari esteri mi parlò spontaneamente del progetto inglese di spedizione Sudan. Risposta ufficiale della Francia alla domanda destinarvi eccedenti cassa del debito Egitto, finora non data; sarà negativa; quei fondi essendo assegnati ad altri scopi che a quello di una spedizione di cui necessità non è dimostrata. Spiegando suo pensiero, Ministro disse condizione di distanza e sopratutto di tempo, toglie alla progettata spedizione carattere di un soccorso prestato all'Italia, al quale, per amicizia a riguardo nostro, Francia avrebbe potuto essere favorevole. Spedizione inglese non sarà effettuabile prima di settembre prossimo: questa circostanza basta dimostrare motivo addotto per essa dal gabinetto di Londra essere pretesto per persistere nella occupazione Egitto. Si pongono così due questioni, disse il Ministro, una d'interesse immediato per i portatori titoli egiziani, l'altra d'interesse europeo, perchè tale è la questione relativa all'avvenire Egitto. Risposta che sarà data all'Inghilterra prenderà forma d'uso negli scambi di comunicazioni :fuoa governi amici, ed il Ministro mi fece intendere che sconfessava i termini nei quali l'agenzia Havas aveva riferito la prima sua conversazione con lord Dufferin. Ho saputo infatti che, in conversazione che non aveva carattere ufficiale, Ministro degli affari esteri aveva manifestato dispiacere insieme sorpresa cagionatagli da una risoluzione che rovesciava tutte le speranze concepite di un prossimo accordo relativamente all'Egitto, ma che in quest'occasione nessuna menzione era stata fatta di possibili conseguenze della risoluzione presa dall'Inghilterra. Parrebbe che la nota mandata all'agenzia Havas non sia stata preparata dal Ministro, ma da chi avrebbe avuto in vista di produrre un'utile diversione nelle disposizioni del Parlamento chiamato a votare domani sulla questione tributaria, mercè l'emozione che la nota comunicata all'agenzia Havas doveva cagionare all'interno ed all'esterno. Il mio collega inglese doveva oggi domandare al Ministro degli affari esteri di quali conseguenze intese parlare l'autore del comunicato, di cui ritengo sarà sconfessata la paternità ufficiale. Da tutto ciò risulta una situazione molto incerta; nè io ho espresso con questo Ministro degli affari esteri cosa alcuna che gli potesse indicare le dispo

sizioni del R. governo. Il Ministro parlò in termini amichevoli delle migliori notizie che si ricevono dall'Italia.

23

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO (Ed. in L. V., 93, XLV)

T. 350. Roma, 18 marzo 1896, ore 10,35.

Desidero V. E. manifesti lord Salisbury nostro vivo compiacimento per dichiarazioni cordialmente amichevoli enunciate da Curzon nella Camera dei comuni.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 171/108. Pietroburgo, 18 marzo 1896.

Da qualche tempo io mi vado ponendo il quesito se sia possibile un riavvicinamento fra l'Italia e la Russia.

Senza affermarlo in via categorica ed assoluta, è però un fatto positivo che incominciano a manifestarsi sintomi alquanto più favorevoli del passato, e che, volendo profittarne, un miglioramento delle nostre relazioni con quest'impero, non mi pare cosa eccessivamente difficile a raggiungersi.

Naturalmente bisognerà procedere grado a grado; tutto in una volta quel risultato non potrà essere ottenuto. Ciò che io sono già stato al caso di fare in tal senso, in pochi mesi di residenza, lo ha scritto l'ambasciatore di Germania al suo governo, e m'è grato di aver l'occasione di rendere a quel mio collega il tributo di riconoscenza che gli spetta, per l'amichevole, intelligente e continuo appoggio prestatomi.

Sarebbe una illusione il supporre che la Russia possa d'un colpo collocarci nel novero dei suoi più fidi. Ma, da ciò a trattarci quasi come nemici, la differenza è grande. Ciò che, dunque, non sembrami irragionevole d'aver in contemplazione, è di far cessare quella freddezza, quella specie di tensione che indubitatamente ha esistito, dal giorno in cui una missione abissina venne a Pietroburgo, e vi fu con onoranze straordinarie festeggiata, mentre già ferveva la guerra nel Tigrè.

Nella mia corrispondenza, ho spiegato il modo in cui ho rotto il ghiaccio col principe Lobanoff, mettendomi secolui sopra un piede franco e leale, che mi facilitò il mezzo di parlare con calma della questione etiopica, per noi così scabrosa a esser sollevata nelle sfere ufficiali russe.

Fu questo il primo passo, non agevole davvero. Chiunque conosca il principe Lobanoff, ne potrebbe dare la più ampia certezza all'E. V. In siffatta guisa soltanto, diventò possibile discorrere, senza velo alcuno delle conversazioni che avevamo entrambi avute con il famigerato Leontieff, delle quali ho descritto i particolari nei miei telegrammi delli 12, 15, 17 e 21 febbraio, e nei rapporti delli 14 e 22 stesso mese.

Mi cade in acconcio ripetere a V. E. che il ministro imperiale degli affari esteri non poteva essere più esplicito quando ha dichiarato il Leontieff briccone matricolato, cui il governo imperiale non affidò e non affiderebbe mai incarico alcuno, perchè la Russia non possedeva interesse di sorta, nè con Menelich, nè con l'Abissinia. Quest'ultima asserzione è, anzi, assai notevole per l'insistenza colla quale il principe Lobanoff ama farne sfoggio con me non solo, ma coll'ambasciatore d'Alemagna eziandio, come narrerò in appresso. E quando il barone Blanc mi autorizzò a partecipare qui che il Leontieff aveva impetrato dal R. governo la facoltà di sbarcare a Massaua, per portare soccorsi ai feriti scioani, il principe mi disse testualmente: «pincez-le, prendez-le, faits-en tout ce que vous voulez ».

Fu in quella occasione che il ministro imperiale degli affari esteri fecemi spontaneamente, ed in maniera amichevole, delle allusioni intorno all'ambasciata

abissina, arrivata sotto la guida del Leontieff a Pietroburgo la primavera scorsa, assicurandomi ch'era stata una sorpresa, e che non se ne sapeva assolutamente nulla, sino all'annuncio telegrafico mandatone dall'agente russo al Cairo, al momento in cui i messi del Negus erano in viaggio.

Del resto, il gabinetto Crispi aveva subito cercato di valersi delle soddisfacenti dichiarazioni del principe Lobanoff, e sottoponeva al giudizio mio se convenisse chiedere a lui stesso l'autorizzazione di servircene presso il governo francese. lo sconsigliai quella domanda, trovandola inopportuna, ma mi affrettai ad aggiungere che, siccome il principe non avevami imposta restrizione veruna, non scorgeva ostacolo che delle parole sue venisse fatto uso, ben inteso con prudenza e discernimento. Ho motivo di credere che quel mio parere sia stato messo in pratica.

Debbo passare ora alla parte più delicata di ciò che devo riferire. Quanto ho detto a V. E., dipinge la situazione qual era, alla vigilia della fatale giornata del l o marzo. Appena avvenuto quel disastro ricevetti la visita dell'ambasciatore di Germania, il quale oltre ad esternarmi la sua profonda simpatia, desiderava avere uno scambio d'idee con me. Quel mio collega era molto impressionato. Davanti al colpo di testa del generale Baratieri, le cui conseguenze, sebbene terribili, non intaccano il valore dell'esercito italiano, rimanemmo ambedue nel convincimento che, se una soluzione dignitosa per l'augusta casa di Savoia potesse escogitarsi, più presto si tradurrebbe in atto, meglio sarebbe. Il principe Radolin opinava che nell'attuale congiuntura, il personaggio maggiormente indicato per una eventuale interposizione, fosse l'imperatore Guglielmo, il quale, per l'elevato posto che occupa in Europa, altrettanto che per la cordialità dei sentimenti suoi, avrebbe potuto intervenire efficacemente presso S. M. il Re Umberto, mentre la Russia, dal canto suo, sarebbe la potenza più adatta, ad esercitare un'influenza pacifica sopra gli abissini.

Con queste idee il principe Radolin, tenendo conto anche delle migliori disposizioni verso l'Italia meco palesate dal principe Lobanoff, ne volle scandagliare l'animo, colla massima circospezione. Ma il ministro imperiale degli affari esteri, dopo d'avere espresso vivamente il suo dispiacere per la mala ventura, piombataci addosso, si mostrò estremamente guardingo relativamente al resto. Il rappresentante tedesco esordì con un'interrogazione sulla probabilità o meno, che dalla questione abissina potessero nascere complicazioni europee. Il principe Lobanoff rispose negativamente, emettendo, però, l'avviso che reputava poco attuabile qualunque disegno di mediazione, non essendo guarì presumibile che l'Italia fosse per piegarvisi, esigendo il suo onore di proseguire la lotta, pel prestigio delle proprie armi. Di più, non voler la Russia ingerirsi nell'Etiopia.

Quantunque all'ambasciatore di Germania non abbia piaciuto quella osservazione, che rivelerebbe come la speme che il nostro paese si estenui nel suo conflitto coloniale, tuttavia, dal complesso dell'abboccamento egli non riportò il concetto che il governo russo sia sistematicamente avverso ad una legittima azione italiana in Africa, e diede tosto minuto ragguaglio di tutto al principe Hoenlohe, nella forma più strettamente confidenziale, ma pregandolo di non celarne nulla all'imperatore.

Tale è, in breve la sostanza delle entrature qui fatte dal principe Radolin. Avrei materia ad ulteriormente diffondermi sull'argomento. Me lo vieta l'immediata partenza per Berlino d'un corriere di gabinetto, al quale ho stabilito di consegnare questo rapporto. Ho d'altronde sufficientemente additati i punti che l'ambasciatore d'Alemagna volle chiarire nei suoi colloqui col principe Lobanoff.

Il soggetto è grave. Ho avantieri, col mio foglio riservato n. 166/104 (1), fornito a V. E. una traccia sicura di ciò che al gabinetto di Pietroburgo tornerebbe assai accetto, da parte della nuova amministrazione salita al potere in Italia.

Che siavi qui una posizione da conquistare, non v'ha ombra di dubbio. Io invoco, dunque, rispettosamente da V. E. una guida, per norma del mio contegno.

Voglia signor ministro esser sì cortese da impartirmi istruzioni. Mi significhi quanto il governo di S. M. da me aspetta, ed io porrò tutto il mio impegno a esserne il fedele esecutore.

25

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

CA C)

L. CONFIDENZIALE Londra, 18 marzo 1896.

Facendo seguito alla mia lettera dell'altro giorno le faccio noto che Lord Sal,isbury partirà il 26 per la Riviera, dove rimarrà tre o quattro settimane. Quasi tutti gli Ambasciatori si assenteranno da Londra, in tale occasione.

Il Parlamento sarà chiuso per tre settimane. Sarà quella l'epoca propizia per recarmi a Roma, non essendovi nulla da fare qui.

Vener'dì prossimo, posdomani, riprenderà nella camera dei comuni la discussione sulle operazioni militari in Egitto: Governo e paese sono d'accordo, malgrado qualche voce stridula dei radicali.

Oggi ho visto il Marchese di Salisbury ed il sig. Courzon, ai quali ho fatto i ringraziamenti del caso. Ha fatto ottima impressione in loro ed in tutti i membri del Gabinetto il discorso Rudinì all'apertura della Camera e l'accoglienza fattagli da questa. Un senso di calma e di fiducia traspare in tutti.

26

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI

(Ed. in L. V., 93, XLVIII)

T. 105. Asmara, 19 marzo 1896, ore 4,21 (per. ore 8).

Salsa è ritornato ed ha recato, oltre due lettere accompagnamento di Menelik, un documento, col timbro pure del Negus, che trascrivo:

« Il nuovo accomodamento che si fa tra l'Etiopia e l'Italia è il seguente:

l) Il trattato di Uccialli fra l'Italia e l'Etiopia è completamente abrogato. Il nuovo trattato si farà con queste basi: il trattato si farà come è costume fra le potenze di Europa; gli articoli del trattato saranno definiti di pieno accordo fra i due plenipotenziari nominati da S. M. il Re d'Italia e da S. M. l'Imperatore d'Etiopia.

2) La frontiera fra Etiopia e colonia Eritrea è segnata dal Mareb-Belesa e Muna, confine fra Agamè e Okulè-Kusai.

3) Appena firmato quest'atto si farà lo sgombro del forte di Adigrat; e dopo, i soldati italiani, meno quelli necessari per la difesa della colonia, torneranno in patria, e quelli dell'Imperatore, ad eccezione di quelli del capo che sarà nominato in Tigrè, torneranno ai loro paesi.

4) I soldati di S. M. l'Imperatore d'Etiopia e quelli di S. M. il Re d'Italia non possono, sotto alcun pretesto, entrare nel territorio dell'altro Stato senza autorizzazione del capo da cui il territorio dipende. I negozianti hanno libero passaggio.

5) Quest'atto deve restare segreto nelle mani delle LL. MM. l'Imperatore d'Etiopia e il Re d'Italia e non può essere comunicato alle altre potenze finchè non sia terminato il trattato definitivo».

In quanto conclusione trattato amicizia alleanza, Menelik domanda venga differita sino suo ritorno Entotto; pare voglia riguardo consultarsi con Europei, almeno circa forma. Pare intenda lasciare capo Tigrè Mangascià, previa riconciliazione con l'Italia. Credo possasi consentire salvando forma.

Quanto ai prigionieri, millecinquecento, Negus ammette restituzione, ma pare intenda parzialmente differirla a trattato concluso: questa sarà questione difficile, ma non impossibile risolversi.

Salsa ha promesso trovarsi presso Menelik non dopo 24 corrente. Menelik dichiara essere intanto sufficiente, per conclusione pace, un telegramma firmato da S. M.

Salsa ritiene che proposte Menelik siano sincere, anche perchè il suo esercito desidera vivamente pace.

Comunicazioni con Cassala interrotte, essendosi fra Cassa,la e Sabderat intromesso nucleo circa 1800 Dervisch. Nostri abbandonarono Sabderat temendo aggiramento. Inviai ieri un battaglione indigeni ad Agordat: stasera ne partirà un .altro.

(l) Non pubblicato. Un funzionario del Ministero degli Esteri russo avrebbe detto testualmente ad una persona di fiducia del Maffei: • On ne demande pas du tout quel'Italie ne fasse plus partie de la Triple Alliance. Ce qu'on désire, c'est de voir le Gouvernement italien suivre une politique moins agressive •, aggiungendo che in Bulgaria, ad esempio, il rappresentante italiano s'era sempre mostrato ostile • au mouvement russophile •.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, L)

T. Roma, 20 marzo 1896, ore 13,10.

Rispondo telegrammi di ieri 103 e 105 (1). Non è praticamente possibile mantenere il segreto delle convenzioni che saranno stipulate, dovendone render conto

al Parlamento. Non possiamo neppure proporre a S. M. di mandare un telegramma per autorizzare la conclusione della pace. Governo, però, autorizza l'E. V. a stipulare una convenzione militare contenente i preliminari della pace alle seguenti condizioni:

l) Il confine fra l'Etiopia e l'Eritrea è segnato dal Mareb-Belesa-Muna. 2) Restituzione in breve tempo dei prigionieri e richiamo da Adigrat delle truppe italiane con il loro materiale da guerra. 3) Le parti belligeranti s'impegnano a non oltrepassare i confini stabiliti dall'art. l.

4) I negozianti avranno libero passaggio.

5) Si conviene l'abrogazione del trattato d'Uccialli, purchè l'Imperatore s'impegni a non accettare il protettorato di qualsiasi altra potenza. 6) Il capo del Tigrè sarà designato dall'Imperatore ed accettato dall'Italia.

Si avverte che, oltre ai pieni poteri già spediti a favore dell'E. V., altri ne saranno inviati al generale Valles, designato da V. E. come plenipotenziario per negoziare il trattato definitivo.

Queste sono le nostre condizioni, che V. E. può in qualche parte modificare

ovvero ampliare, purchè rimangano inalterate nella sostanza.

Se non fossero accettate, siamo determinati a continuare le ostilità.

Quanto al rimpatrio di una parte del corpo d'operazione, non possiamo accettarlo come condizione, tanto più che rimaniamo sempre in guerra coi Dervisch. Richiameremo in patria quelle truppe che fossero superflue, se e quando l'E. V. lo stimerà opportuno. Telegrafi ricevuta.

(l) Il primo non pubblicato, il secondo pubblicato al n. 26.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 510. Berlino, 20 marzo 1896, ore 16 (per. ore 16,35).

S. M. l'Imperatore venne stamane nuovamente farmi lunga visita per prendere, come disse scherzando, congedo prima di partire per Italia. S. M. ebbe parole di lode per saggie dichiarazioni fatte da Governo del Re alle Camere che lesse iersera in extensum. Egli trova molto ragionevole rinunzia alla grande espansione; prevede che faceva soltanto giuoco Francia; espresse fiducia che superate difficoltà attuali riesca a V. E. stabilire con la vicina Repubblica migliori rapporti commerciali. S. M. rallegrasi molto poter stringere mano al Re. Sarà lieto vedere V. E. e presidente del Consiglio.

29

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (A C)

L. CONFIDENZIALE Pietroburgo, 14-20 marzo 1896. Hai ragione; è un gran pezzo che non ci vediamo, e la tua lettera mi ha

procurato un vivo piacere, evocando ricordi di un tempo ormai molto lontano ma che era assai più bello d'adesso.

Se ho tardato alcuni giorni a risponderti non fu tanto per la difficoltà d'ottenere le notizie da te chiestemi quanto per lo stato di prostrazione in cui mi gettarono i tremendi avvenimenti d'Africa. Abituato da dolorose esperienze a veder sempre le cose in nero, confesso però che un disastro come quello che ci è toccato io non l'avrei immaginato mai...

La tua lettera fu davvero profetica. Ma tu stesso nel predire la caduta del Gabinetto Crispi non t'aspettavi, ne sono certo, a veder i tuoi vaticini realizzati in circostanze talmente tragiche.

Che avverrà adesso? Assisteremo al seppellimento della politica Africana?

Puoi figurarti in quale stato d'ansietà io viva in questo ambiente per tante ragioni divenuto ostile all'Italia; e quale lavoro immane io abbia sulle braccia per procurar di migliorare la situazione.

Speriamo che dall'eccesso del male ne nasca il bene.

È quanto di cuore auguro all'ottimo Marchese di Rudinì, cui ti prego rammentarmi, dicendogli che sarei ben lieto di ricevere qualche sua indicazione sulle grandi linee della politica internazionale che intende seguire il nuovo Gabinetto, il cui avvento fu in Russia salutato con gioia. Volendolo non v'ha dubbio che qui c'era ora possibilità di preparare il terreno ad un ravvicinamento.

Ma è ora che ti parli della faccenda che ti condusse a scrivermi.

Non è purtroppo affatto vero che il Nikita Wsevoloyskj, cugino, non fratello del direttore dei teatri imperiali, tuttora in carica, abbia accomodati i suoi affari. Egli, secondo mi assicura chi è in grado di saperlo, non ottenne l<~t tutelle, non ha pagato i suoi debiti, è ripudiato dalla famiglia; in una parola è un vero declassé il quale lungi dall'essere stato riammesso allo Yacht Club, è scomparso da ogni sfera sociale e vive non si sa come. Me ne venne promesso l'indirizzo, ma poi non mi fu mandato. Però, se ti da vaghezza di scrivergli mandami pure liberamente una lettera per lui, e m'incarico di fargliela pervenire. Sono dolente di non poterti dare più soddisfacenti notizie.

Pietroburgo è assai cambiato dall'epoca in cui vi eri. Se lo rivedessi te

ne convinceresti ben presto che non è più quell'ideale in fatto di società che

hai conosciuto.

20 marzo.

Perdonami caro amico, il ritardo che ha subito questa lettera. Mi si è rovesciato addosso un mare di affari. Il nuovo Ministero italiano è veduto qui con ognor crescente favore. Il linguaggio del Journal de St. Petesbourg, di cui tu ben conosci le attinenze ufficiali, è divenuto d'un tratto amichevole per noi.

Che guazzabuglio però! Tutta la questione del Sudan e dell'Egitto che

ritorna a galla!

Sono davvero lieto che tu ti sia risovvenuto di me. Ora che abbiamo

rotto il silenzio, scrivimi qualche volta, e dimmi se posso fare assegnamento

su di te, come tu di certo e in qualsiasi occasione lo potrai fare sopra il tuo

sempre affezionatissimo.

30

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI

(Ed. in L. V., 93, LI!)

T. 151. Asmara, 21 marzo 1896, ore 11 (per. ore 13,50).

Condizione che Etiopia si impegni a non accettare protettorato di qualsiasi

altra potenza difficilmente Menelik ammetterà, considerandola lui e tutti i suoi

consiglieri, indigeni ed europei, come diminuzione esercizio sua sovranità. Salsa

ebbe già occasione parlare in proposito, e Menelik dichiarò che, malgrado insi

stenze francesi e russe, egli rifiutò e rifiuterà sempre ogni specie di protettorato.

Insistendo noi su questo punto, è probabile rottura trattative; perciò avremo con

tinuazione ostilità, e, tosto o tardi, ritiro esercito scioano, lasciando situazione

insoluta. Del resto per qualunque condizione accettata Menelik, mancano garanzie

osservanza.

Prego rispondermi per poter far partire Salsa.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO E PIETROBURGO, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, E AL REGGENTE L'AGENZIA AL CAIRO, SALVAGO-RAGGI.

T. 384. Roma, 21 marzo 1896, ore 17,45.

L'Ambasciatore di Francia mi ha comunicato la risposta del suo Governo alla recente proposta inglese per Dongola. Il testo coincide con le dichiarazioni fatte a tal riguardo dal Ministro Berthelot nella seduta del 19 corrente della Camera dei Deputati. Avendo chiesto all'Ambasciatore a che volesse alludere il signor Berthelot parlando di pericoli che la spedizione potrebbe attrarre anche sui possedimenti delle altre potenze in Africa, il signor Billot che (sic) in quanto concerne la Francia l'allusione, a suo avviso, riferivasi all'Algeria,

32

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA

T. 385. Roma, 21 marzo 1896, ore 19. Mi riferisco scambio telegrammi codesto Governo circa lettere Mangascià. Dopo avuta da R. Governo dichiarazione acquiescenza Regina Inghilterra e Sirdar rispondono Mangascià sostanzialmente seguenti termini.

Regina esprime grande rincrescimento ostilità tra Abissinia e Italia amica alleata Inghilterra, spera ardentemente pronta conclusione pace condizioni soddi

sfacenti, conchiude Mangascià non poter dare migliore prova sua amicizia per

Regina che cercando contribuire tale accomodamento.

Sirdar informa Mangascià che Govemo Regina in concorso governo egiziano ha stabilito avanzare sopra Dongola, e esorta il ras muovere contro Dervisci direzione Ghedaref.

Un messaggero indigeno che si presenterà Lamberti ha incarico di portare

lettera a Mangascià passando Massaua.

Prego V. E. !asciarlo passare liberamente.

Lord Cromer pensa che, per dare maggior valore queste lettere sarebbe opportuno fingere ignorare scopo missione messaggero.

Voglia assecondare anche questo desiderio.

33

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LVII)

T. 142. Roma, 22 marzo 1896.

L'impegno di non accettare il protettorato di qualsivoglia potenza era stato proposto, nel tempo della missione Antonelli, dalla stessa imperatrice Taitù. Se, dopo i recenti avvenimenti, il maggiore Salsa incontrasse difficoltà insormontabili per includere tale impegno nei preliminari, ci sembra che non dovrebbe essere malagevole conseguire il nostro intento, di rinunciare bensì al nostro protettorato, ma d'impedire il protettorato di ogni altra nazione, dando all'articolo relativo all'abrogazione del trattato di Uccialli la seguente formula od altra somigliante che esprima i due concetti: « L'Imperatore di Etiopia essendo fermo nel proposito di non accettare il protettorato di qualsivoglia potenza, si conviene tra le parti contraenti di abrogare il trattato di Uccialli e di stipulare un nuovo trattato di pace e di amicizia sulle basi risultanti dai presenti preliminari e fondato sul principio del trattamento della nazione più favorita per ogni vantaggio commerciale o di altra natura qualsiasi».

Nei preliminari converrà pure stabilire che le due parti regoleranno nel nuovo trattato anche i rapporti tra l'Abissinia ed i possedimenti italiani nel Benadir e nella valle del Giuba.

34

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 544. Londra, 23 marzo 1896, ore 17,31 (per. ore 19,50).

Mi permetto segnalare a V. E. la pubblicazione fatta dal «Popolo Romano» di una dichiarazione segreta annessa al protocollo anglo-italiano del 5 maggio

1895. Questa pubblicazione dovuta certamente a qualche indiscrezione di funzionario del Ministero, fece pessima impressione nel Foreign Offi.ce. La poca segretezza della nostra burocrazia ha nociuto sempre ai rapporti internazionali e fu oggetto di mie lettere particolari al precedente Ministro (1).

35

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, LX)

T. 169. Asmara, 23 marzo 1896, ore 22.

Salsa parte stanotte per campo Negus. Agli articoli già convenuti venne aggiunto uno concernente Benadir. Inoltre, fu modificato quello relativo trattato Uccialli nel senso voluto dal Governo. Dubito che Negus sempre sospettoso voglia accettare modificazione senza grande difficoltà; perciò domando se, all'evenienza, quale ultima concessione, si potrebbe tornare all'articolo 5 convenuto cioè: «Il trattato di Uccialli tra Italia Etiopia sarà completamente abrogato; il nuovo trattato amicizia commercio farassi come in uso fra governi Europa; gli articoli di questo nuovo trattato. amicizia commercio saranno definiti di pieno accordo fra plenipotenziari ».

Scioani desiderano la pace, ma vi è gran pericolo Negus si ritiri lasciando tutto insoluto. Parto domani ispezionare Okulé-Kusai.

36

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LXII)

T. Roma, 24 marzo 1896.

È assolutamente necessario che in qualunque modo risulti che Negus non intende mettersi sotto il protettorato di altra potenza.

37

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 553. Berlino, 24 marzo 1896, ore 17,45 (per. ore 18,35).

Informazioni di cui è questione il telegramma di V. E. in data di iersera (2) concordano con quelle ricevute qui. Risposta Russia è decisamente negativa, ma

inosservata ».

nel comunicarla Principe Lobanoff disse comprendere contegno Germania per riguardo suoi alleati. Tra Francia e Inghilterra continua scambio d'idee circa allusione Berthelot a pericoli che la spedizione Dongola potrebbe attirare su possedimenti altre potenze in Africa e di cui è cenno nel telegramma di V. E. del 21 (1). Barone Marschall crede trattasi di allusione generica, ma se mai riguarderebbe non certo Algeria o Tripolitania, come opina codesto Ambasciatore di Francia; e ciò tanto più che Russia sostiene integrità Impero turco.

(l) Si veda il telegramma di risposta n. 411, non pubblicato, nel quale il Caetani escludeva la responsabilità degli impiegati al Ministero, nonchè quello riservato n. 461 del 30 maggio 1896 col quale il Caetani richiedeva all'Ambasciatore a Londra se il Governo inglese avesse desiderato in proposito una inchiesta ed un processo. Il 1° aprile 1896 con telegramma n. 615 il Ferrero chiari il punto di vista inglese: c la cosa essendo passata senza osservazioni e commenti dalla stampa estera e senza osservazioni nei Parlamenti sarà forse preferibile di non chiamare, mediante un processo, pubblica attenzione su cosa rimasta

(2) Non pubblicato.

38

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 562. Berlino, 25 marzo 1896, ore ... (per. ore 16).

Risposta negativa Russa all'Inghilterra circa noto prelevamento contiene incidentalmente, quale fu comunicato qui, passo più o meno seguente: « Governo russo considera possibilità distogliere gran parte truppe dall'Egitto per spedizione oltre confini come prova completa tranquillità interna e minore necessità occupazione inglese. Parrebbe, dunque, giunto momento in cui potenze dovrebbero prendere in esame questione evacuazione». Questo accenno ad eventuale riunione Conferenza o scambio d'idee potenze, e per questione Egitto, è considerata qui come sfogo malumore Russia e, come dicevami oggi Marschall, come «une mauvaise plaisanterie » destinata a non avere seguito. Nel comunicare al Governo Imperiale risposta russa, questo ambasciatore d'Inghilterra espresse a nome Salisbury ringraziamenti Inghilterra per attitudine Germanica in questa questione.

39

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A PARIGI, POLACCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 565. Parigi, 25 marzo 1896, ore 19 (per. ore 21,50).

Ministro degli Affari Esteri mi disse che recente sua allusione alle conseguenze spedizione Dongola si riferisce ai pericoli che eccitamento fanatismo musulmano arrecherebbe possessi europei in Africa dall'Atlantico al mar Rosso. Dal punto di vista degli interessi francesi osservò che esperienza aveva costantemente dimostrato come azione Dervisci esercitandosi sulle vie di terra esistenti nel Sud della Tripolitania avesse sempre un contraccolpo in Tunisi e nell'Algeria. Aggiunse che possedimenti altre potenze incorrerebbero stessi pericoli. Gli risulta che alto Congo belga è già in guerra coi Dervisci e che i belgi dopo aver subito forti perdite avrebbero ora il sopravvento, ma per le difficoltà comunicazioni tali notizie rimontano ad alcuni mesi. S. E. si stese con visibile compiacenza su tali

schiarimenti mentre si mostra assai reticente circa riunione commissari cassa debito pubblico egiziano indetta domani. Credo che trattative per eventuale intesa in proposito proseguano Londra.

(l) Pubblicato al n. 31.

40

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A VIENNA E A BERLINO, NIGRA E LANZA

D. RISERVATISSIMO S. n. Roma, 26 marzo 1896.

Come le è noto, l'art. XIV del Trattato di alleanza stipulato, il 6 maggio 1891, tra l'Italia, l'Austria-Ungheria e la Germania reca che il Trattato stesso debba rimanere in vigore per sei anni a decorrere dallo scambio delle ratifiche (avvenuto il 17 maggio 1891), ma che, se non venga denunciato dall'una o l'altra delle Parti contraenti un anno avanti la scadenza, abbia a rimanere in vigore per un altro successivo periodo di sei anni.

Il Governo del Re intende di non addivenire alla denuncia contemplata dal predetto articolo; di guisa che, se tale è pure l'intendimento delle altre due Parti contraenti, il Trattato rimarrà in vigore per altri sei anni a decorrere daJ 17 maggio 1897. Nella previsione di tale eventualità, prego V. E. di voler presentare sin d'ora a codesto Signor Ministro degli affari esteri una Nota verbale di cui qui accludo il testo. Essa ha per iscopo di chiarire che deve stimarsi in vigore per tutta la durata del vigente Trattato la dichiarazione che, rispetto all'Inghilterra, era stata scambiata in occasione del primo trattato di alleanza stipulato a Vienna nel 20 maggio 1882. Nè dubitiamo che entrambi i Governi a noi alleati vorranno, con analoga Nota verbale, significarci il loro consentimento.

A suo tempo, e con occasione sicura, l'E. V. vorrà annettermi, con piego indirizzato a me personalmente, copia della Nota verbale da Lei rimessa e di quella che da codesto Governo le verrà, in risposta, consegnata.

ALLEGATO.

NOTA VERBALE

Dans l'éventualité de la prorogation tacite du Traité d'alliance conclu, le 6 mai 1891, entre l'Italie, l'Allemagne et l'Autriche-Hongrie, le Gouvernement Royal d'Italie croit devoir rappeler aux deux Hautes Parties Contractantes qu'il reste entendu que les déclarations Ministérielles échangées en Mai 1882 concernant l'Angleterre, dont copie est ci-jointe, demeurent en vigueur pour la meme durée du Traité susmentionné.

Le Gouvernement du Roi attacherait du prix à recevoir du Gouvernement Impérial et Royal (Impérial) une assurance analogue.

Annexe. Déclaration Ministérielle

Le Gouvernement Royal déclare que les stipulations du Traité secret conclu, le 20 Mai 1882, entre l'Italie, l'Allemagne et l'Autriche-Hongrie ne pourront -comme il a été préalablement convenu -en aucun cas etre envisagées comme étant dirigées contre l'Angleterre.

En foi de quoi, la présente déclaration ministérielle, qui devra également rester secrète, a été dressée pour etre échangée contre des déclarations identiques du Gouvernement Impérial d'Allemagne et du Gouvernement Impérial et Royale d'Autriche-Hongrie.

41

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 207/97. Londra, 28 marzo 1896.

Il carattere personale di Lord Salisbury, uomo alieno dall'entusiasmo, pru

dente e ponderato fino alla diffidenza, seriamente penetrato della responsabilità

che incombe al primo ministro del maggiore Impero civile del mondo, basta a

spiegare la lentezza con la quale quest'uomo di Stato si arrende alle richieste ed

alle suggestioni altrui.

È appunto questa lentezza di decisione che tempo addietro ha suscitato, a Roma come a Berlino, una viva impazienza, non estranea alle ragioni che provocarono l'ormai celebre telegramma dell'Imperatore Guglielmo; il quale avrebbe nociuto seriamente agli interessi d'Italia e della Triplice Alleanza, se la Francia avesse saputo approfittare dell'eccitamento dell'opinione pubblica inglese e non avesse osteggiato questo Governo, specialmente nella questione egiziana, tanto da fargli comprendere il bisogno di riavvicinarsi maggiormente all'Italia ed indirettamente al gruppo delle potenze centrali.

Non è men vero però che nelle sfere militari di questo paese ha sempre prevalso il pensiero di intraprendere qualche azione militare nell'alto Egitto e di approfittare della nostra posizione in Africa; ma non prevedendo nè la imminenza nè la gravità degli avvenimenti sorti nell'Eritrea, l'elemento militare non indusse questo Governo a secondarci abbastanza in tempo per migliorare molto sensibilmente la nostra posizione. Ma, si può fare una colpa a questo Stato Maggiore di non aver previsto avvenimenti dai quali siamo stati sorpresi noi medesimi e che divennero gravi soltanto per i nostri errori?

Quello che ad ogni modo è certo si è che il Maresciallo Wolseley ha molto contribuito a spingere il Governo britannico ad assumere la sua attitudine presente, dalla quale potremo trarre maggior vantaggio di quanto si può credere, sia in Africa sia in Europa.

Si avvicina forse il momento di riprendere con questo Governo i tentativi fatti anteriormente onde render più pratica ed efficace la convenzione del 1887 tra Austria, Inghilterra ed Italia per il mantenimento dello statu quo nell'Impero Turco. Ciò sarà difficile ad ottenere sotto forma di una modificazione scritta della convenzione stessa, ma potrà giovare uno scambio di idee sulle varie ipotesi, come ad esempio quella di tentativi francesi sulla Tripolitania.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A VIENNA, BERLINO E LONDRA, NIGRA, LANZA E FERRERO

T. 465. Roma, 31 marzo 1896, ore 13,15.

La crisi ministeriale in Francia, l'atteggiamento del Ministro Bourgeois, un complesso di circostanze e di sintomi ci fanno temere non infondata la supposizione che, come contraccolpo di ciò che accade in Egitto, dalla Francia si mediti una azione in Tripolitania. V. E. ricorda, a questo proposito, le parole di colore oscuro dettemi dall'ambasciatore Billot che Le riferii col telegramma del 22 corrente (1).

(Per Vienna) Desidero che V. E. manifesti francamente questa nostra preoccupazione al Ministro degli affari esteri. Tratterebbesi eventualmente di contingenza che, se pur tocca noi più da vicino, non può neppure essere indifferente per la politica di codesto Governo. Per la sua particolare posizione verso la Francia il Gabinetto di Vienna è meglio d'ogni altro Jn grado di avere in proposito a Parigi una amichevole, ma precisa spiegazione.

(Per Berlino) Prego V. E. di parlarne apertamente col Segretario di Stato per gli affari esteri. S. E. non ignora a quali conseguenze estreme una simile contingenza potrebbe portare. Importa, quindi, anche a codesto Governo che o la cosa sia chiarita in modo da eliminare ogni preoccupazione, o che in tempo si provveda ad una conveniente azione diplomatica atta a impedire l'attuazione di siffatti disegni.

(Per Londra) V. E. deve tosto chiarire la cosa col Foreign Office, qualora

codesto Governo non fosse in grado da eliminare perentoriamente ogni preoccu

pazione, V. E. vorrà richiamare seriamente la sua attenzione sulle possibili con

seguenze.

Attendo precisa risposta.

43

IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LXIX)

T. Roma, 31 marzo 1896.

Per notizia comunico che, secondo affermazioni ingegnere Ilg, risulterebbe diversi ras marciare con grossi contingenti dall'Barrar e dall'Amhara verso campo Menelik, ansiosi prendere parte operazioni contro noi. Menelik non sarebbe in grado impedire a meno si conchiuda pace prima del loro arrivo.

44

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. s. n. Berlino, 31 marzo 1896.

In adempimento dell'ordine contenuto nel dispaccio di V. E. del 26 corr. (2), ho l'onore d'informarla che ho rimesso jeri sera a questo Segretario di Stato al Dipartimento degli affari esteri la Nota di cui qui acclusa trasmetto la copia.

ALLEGATO.

LANZA A MARSCHALL

Berlin, 30 mars 1896.

J'ai l'honneur, d'ordre de mon Gouvernement, d'adresser à V. E. la Comunication suivante:

Dans l'éventualité de la prorogation tacite du Traité d'alliance conclu, le 6 Mai 1891, entre l' ltalie, l'Allemagne et l'Austriche-Hongrie, le Gouvernement Royal d'ltalie croit devoir rappeler aux deux Hautes Parties Contractantes qu'il reste entendu que les déclarations Ministérielles échangées en Mai 1882 concernant l'Angleterre, dont copie est ci-jointe, demeurent en vigueur pour la meme durée du Traité susmentionné.

Le Gouvernement du Roi attacherait du prix à recevoir du Gouvernement Impérial une assurance analogue.

Annexe. Copie de la déclaration Ministérielle

Le Gouvernement Royal déclare que les stipulations du Traité Secret conclu

le 20 Mai 1882 entre l' ItaHe, l'Allemagne et l'Autriche-Hongrie ne pourront -comme il a été préalablement convenu -en aucun cas etre envisagées comme étant dirigées contre l'Angleterre.

En foi de quoi la présente déclaration Ministérielle, qui devra également rester secrète, a été dressée pour étre changée contre des déclarations identiques du Gouvernement Impérial d'Allemagne et du Gouvernement Impérial et Royal d'Autriche-Hongrie.

(l) -Non pubblicato. (2) -Pubblicato al n. 40.
45

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 616. Londra, 1 aprile 1896, ore 13,46 (per. ore 17,20).

Opinione di sir Thomas Sanderson, interpellato da me per Tripoli in assenza di Salisbury, è che la cosa non sia probabile, ma ne scriverà al titolare. Simili cose non potendo trattarsi che verbalmente con Salisbury, conviene aspettare il suo ritorno. Certamente la cosa non urge.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. RISERVATO 614. Vienna, 1 aprile 1896, ore 15,50 (pe1·. ore 17).

Conte Goluchowski non crede che il governo francese mediti un'azione nella Tripolitania, contraddicendo così al programma insistentemente ed ostentativamente esposto dal gabinetto di Pietroburgo sul rispetto del territorio ottomano. Tuttavia, in seguito a preghiera da me fattagli, a nome di V. E. conte Goluchowski darà istruzioni a Wolkenstein di indagare, con diligenza, le intenzioni del governo e del nuovo ministro degli affari esteri di Francia, e provocare da lui, se occorre, una precisa spiegazione.

3 -Documenti diplomatici -Serie III -Vol. I

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, BERLINO E VIENNA, FERRERO, LANZA E NIGRA

T. CONFIDENZIALE 471 bis. Roma, l aprile 1896, ore 22,20. In conversazioni amichevoli che ieri ed oggi, il 'Presidente del Consiglio ed io avemmo con l'ambasciatore d'Inghilterra relativamente alle voci che corrono di una possibile azione della Francia su Tripoli, Sir Clare Ford escluse recisamente l'ipotesi di un accordo od anche solo di una acquiescenza dell'Inghilterra rispetto a simili disegni. In ogni modo l'ambasciatore ha spedito a Lord Salisbury un telegramma col quale accennando a quelle voci e alle nostre conseguenti

preoccupazioni domanda informazioni ed istruzioni per eventuali comunicazioni da farsi al nostro Governo.

48

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (A C)

L. P. Roma, l aprile 1896. Il sig. Giacometti (terzo ambasciatore, come dicesi, della Repubblica Francese), è venuto da me stamane. Egli ha tenuto con me una conversM:ione molto interessante che Le riferirò. Mi sono intanto convinto che la Francia conosce il Trattato segreto con la Germania e l'Austria-Ungheria molto meglio di noi. Ed è questo un punto di capitale importanza. Il Giacometti verrà da lei. Sarà bene che Ella lo riceva. Sono però d'avviso che tenendoci sulle generali conviene manifestare il desiderio di accentuare (ferma la triplice) le nostre tendenze pacifiche e amichevoli verso la Francia.

A voce Le comunicherò un'ambasciata che mi fece fare Bourgeois in una forma e in tono assai strano, ma molto esplicito.

49

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, LXXV)

T. 637. Massaua, 2 aprile 1896, ore 10 (per. ore 19). Giorno 28, Salsa ricevette in Adigrat lettere del Negus e Maconnen, che sollecitavanlo raggiungerli presto al campo di Agulà. Salsa anzichè andarvi, limitassi inviare Negus copia della convenzione modifi

ficata nel senso voluto dal Governo con una mia lettera accompagnamento ed altra sua spiegativa, pregando Negus mandargli Maconnen incontro mezza via.

Salsa giudica molto difficile ottenere Negus, intorno protettorato, dichia

razione esplicita chiestagli.

Rispondendo Salsa, fecigli presente pericolo di vedere allontanarsi Negus

senza aver nulla concluso, rimanendo così insoluta anche questione nostri pri

gionieri, consigliandolo non si lasciasse sfuggire occasione di continuare trat

tative.

Senonchè lettera mette' tre o quattro giorni per arrivare ad Adigrat.

Desiderio Negus fare pace è evidente; tuttavia ritengo continuerà ritirarsi.

50

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 623. Berlino, 2 aprile 1896, ore 14,51 (per. ore 15,25).

Barone Marschall esclude assolutamente possibilità accordo Francia Inghilterra circa Tripoli. Quest'ambasciatore d'Inghilterra è dello stesso avviso. Prima della partenza di Salisbury da Londra il Barone Marschall è sicuro che non vi fu ombra di trattative in proposito, nè vede come avrebbero potuto iniziarsi dopo e mentre condizioni Ministero francese sono diventate ognora più instabili. Egli ritiene inoltre che la Russia, la quale proclamò per ora principio integrità Impero ottomano, non tollererebbe accordo Inghilterra e Francia a danno quest'integrità. Ad ogni modo Governo Imperiale vigila.

51

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. s. n. Berlino, 2 aprile 1896, ore 16 (per. ore 20).

Governo Imperiale ritiene superflua, anzi non priva di inconvenienti, la

dichiarazione da noi richiestagli. Biilow, con dispaccio che ho letto stamane, è incaricato di spiegare i motivi. Maggiori dettagli di viva voce, al mio arrivo a Roma.

52

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENZIALE 484. Roma, 3 aprile 1896, ore 16,45.

Nè a me, nè al Presidente del Consiglio, il signor Billot fece, in questi giorni, dichiarazione alcuna circa la Tripolitania.

53

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

T. s. n. Roma, 3 aprile 1896, ore 21.

Ho veduto il signor di Biilow il quale mi ha comunicato il dispaccio accennato nel telegramma Lanza di jeri sera (1). Sostanzialmente il governo tedesco trova superflua la proposta dichiarazione perchè essa contempla un caso estraneo ad ogni ragionevole pensiero, e la trova non priva di inconvenienti sopratutto perchè essa accentuerebbe il carattere esclusivamente ostile alla Russia e alla Francia che è proprio della Triplice alleanza. Ho fatto osservare all'Ambasciatore che, pur considerando come esclusa un'alleanza dell'Inghilterra e della Francia contro la Triplice, credevo mio dovere di dire che l'Italia, quale che sia il Ministero al potere, si troverà sempre, a causa della sua situazione geografica, nella impossibilità di lottare contro le due più grandi potenze marittime. Nessun Ministero potrebbe trascinare l'Italia in una guerra simile. Con l'attirare l'attenzione dell'Ambasciatore su questo punto, obbedivo ad un sentimento di lealtà, preferendo mostrare le cose come sono, anzichè accettare degli obblighi con l'intenzione tacita di non mantenerli in dati casi. Ho riaffermato, in questa circostanza, il nostro proposito di continuare a fedelmente mantenere la Triplice Alleanza come essa presentemente è. Ed ho concluso, infine, che queste mie dichiarazioni bastavano a chiudere la discussione. Naturalmente di questo nostro scambio di comunicazioni nulla si dirà all'Inghilterra. Sermoneta è a Fogliano per due o tre giorni.

54

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 643. Parigi, 4 aprile 1896, ore 6,50 (per. ore 20,15).

In una lunga visita fattami oggi dal Presidente del Consiglio furono ventilate in una interessante e molto amichevole conversazione le varie questioni aperte fra l'Italia e la Francia. L'ho trovato favorevolmente disposto a collegare le trattative per le cose tunisine con quelle di un accordo pei nostri commerci diretti colla Francia. Un solo punto della conversazione ebbe per volere espresso del mio interlocutore carattere ufficiale e fu per smentire nella maniera la più recisa e la più formale che il Governo francese pensi ad intraprendere cosa alcuna nella Tripolitania. Circa la questione egiziana egli insistette sulla importanza che qui si annetterebbe al riconoscimento del carattere europeo della medesima anche per parte dell'Italia, ma riconobbe che gl'interessi impegnati nella lotta contro i Mahadisti creano attualmente fra l'Italia e l'Inghilterra una comunanza di scopi immediati; a titolo strettamente confidenziale, mi disse che il Ministro degli affari esteri di Germania ha detto a Herbette che la posizione presa da lui nell'affare della disposizione dei fondi del Debito Pubblico egiziano non lega gli interessi della Germania a quelli particolari dell'Inghilterra nella sostanza della questione egiziana.

(l) Pubblicato al n. 51.

55

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI'

T. RISERVATO S. n. Vienna, 4 aprile 1896, ore 13,30. Ringrazio V. E. del Suo telegramma (1). Allo stato delle cose sembra a me che basti, per lo scopo nostro, che il Governo italiano constati, in un dispaccio da comunicarsi confidenzialmente ai due Gabinetti, le dichiarazioni fatte da V. E. al signor di Biilow. Prima, però,

di far qualsiasi altro passo, aspetterò le sue ulteriori istruzioni dopo la visita imperiale a Venezia.

56

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 1236/315. Parigi, 4 aprile 1896. I due primi giorni del mio ritorno a Parigi trovai il sig. Bourgeois impegnato nelle discussioni parlamentari della Camera e del Senato delle quali, attesa la speciale importanza, ho fatto soggetto di due separati miei rapporti. Il terzo giorno egli mi prevenne recandosi a visitarmi ed ebbi con lui una conversazione di cui la durata eccezionalmente lunga deve essere da me segnalata poichè, trattandosi di visita in casa mia, essa dipese unicamente dalla volontà del mio visitatore. Premevagli, mi disse il nuovo Ministro degli affari esteri, cogliere il primo momento di libertà che gli concedevano le occupazioni parlamentari, per venirsi ad accertare che io dividessi con lui l'impressione di un sensibile miglioramento nelle disposizioni reciproche della Francia e dell'Italia. Le relazioni fra i due paesi erano assai meno tese che in passato. Se ne poteva trarre favorevole previsione per l'avvenire. L'avvenimento del nuovo Ministero era stato in generale accolto con simpatia nella stampa francese. Dal canto mio, con parole che escludevano anche lontanamente la supposizione ch'io inclinassi ad ammettere che qualche fondamento potessero avere le prevenzioni più volte dimostrate dai giornali parigini contro alcune personalità politiche del nostro paese, lasciai intendere che le ben note tendenze dei principali uomini che compongono la presente nostra amministrazione doveano essere per tutti i Gabinetti una guarentigia sicura che l'Italia porterebbe nei suoi rapporti internazionali il più largo spirito di conciliaziçme e la fiducia la più assoluta di prevenire le difficoltà e le complicazioni dalle quali l'allontanavano in ogni ipotesi la cognizione e la cura dei propri interessi. Era cosa dispiacevole, soggiunsi tosto, il dover osservare, appunto in questi giorni, che mentre i diarii italiani contenevano particolareggiati racconti delle nefandità di ogni sorta delle quali erano vittime i

nostri soldati caduti sul campo dell'onore, la massima parte della stampa periodica francese si affannava, forse per corteggiare un'altra Nazione, a far ere

dere alla esistenza di una civiltà fra i nostri nemici i più crudeli ed i più barbari. Troppo naturale e giustificato era il sentimento di sorpresa e di sdegno che un siffatto contegno inspirava perchè non fosse facile il comprendere tutto il male che ne derivava nei rapporti fra i due popoli. Conveniva meco il signor Bourgeois sovra la sostanza di queste mie osservazioni. Erano purtroppo note le usanze barbare e le condizioni selvaggie delle genti abissine. Il linguaggio di alcune gazzette non riusciva a far credere il contrario. Dal canto suo egli, il Ministro, non tralascierebbe di fare ciò che fosse in poter suo per raddrizzare i giudizi della pubblica opinione francese. In questa occasione, come in varie altre precedenti occorreva prevenire i malintesi od interrompere il più presto possibile gli effetti poichè era troppo evidente che la continua ripetizione di essi serviva ad interessi che non erano quelli del ripristinamento dei rapporti amichevoli fra i due paesi. La divergenza degli interessi non era grande fra i medesimi e si restringeva ad un numero esiguo di questioni.

Portata che fu cosi la conversazione sovra questo terreno mi affrettai a riconoscere che infatti i punti di questione da risolvere presentemente fra l'Italia e la Francia non avrebbero dovuto sembrare di difficile composizione se noi avessimo potuto concepire la fondata speranza che in questo paese esistano disposizioni altrettanto favorevoli ad un buon accordo quanto lo erano le nostre. Era opportuna l'occasione per ricordare che appena costituitosi il gabinetto di cui il signor Bourgeois conserva tutt'ora la presidenza, io avea riassunto in una conversazione con il sig. Berthelot, allora Ministro per gli affari esteri, le principali questioni che importava al nostro Governo di regolare con la Francia. Esse riguardavano tre gruppi di interessi: quelli cioè derivanti dai contatti territoriali in Affrica; quelli connessi con il ripristinamento delle amichevoli relazioni commerciali in Europa e finalmente quelli che erano nati dalla denuncia del trattato di commercio italo-tunisino. Sovra parecchi punti di questione erano intervenuti fra il Ministro francese degli affari esteri e me degli scambi di idee i quali pur non avendo alcun carattere ufficiale, aveano lasciato in me il convincimento della possibilità di pervenire ad un'intesa collegando in una sola trattativa le materie che potevano offrire termini di compensazione. Il signor Berthelot non mi avea nascosto di aver conferito in proposito con il Capo dello Stato e con il Presidente del Consiglio. Se quelle preliminari ed officiose trattative non aveano preso forma concreta-ne era stata causa il complesso di imprevedute circostanze e più di tutto un risveglio di acri polemiche giornalistiche che erano malauguratamente venute a turbare una volta dippiù il pacifico e quieto ambiente che è necessaria condizione del buon esito di un siffatto negoziato. Mi premeva accertarmi delle disposizioni del nuovo Gabinetto italiano prima di muovere altri passi nell'interrotto cammino. Aveva avuto occasione di ciò fare durante il breve mio soggiorno recente in Roma; sicchè io non poteva avere oggi alcuna esitazione ad affermare che il Ministero del quale V. E. fa parte nutriva circa un accomodamento dei principali interessi franco-italiani destinato a condurre uno stabile ravvicinamento fra le due Nazioni, le più liberali intenzioni.

Il sig. Bourgeois, protestando di essere egli pure animato delle più amichevoli disposizioni, ammise in massima la convenienza di esaminare simultaneamente parecchie questioni le quali offrissero mediante giusti equivalenti di reci

proche concessioni, il modo di conseguire nei due paesi il favore della pubblica opinione. La prevedibile resistenza che per motivi di ordine politico si potrebbe produrre nel Parlamento francese avea per certo contribuito a mantenere da parecchi anni i rapporti commerciali fra la Francia e l'Italia in una condizione che non riusciva favorevole agli interessi economici dei due paesi. Non nello scopo di recriminazioni che erano estranee affatto al soggetto ed allo intento del nostro colloquio, dicevami il signor Bourgeois, ma per parlare con la franchezza che occorre fra persone alle quali preme ugualmente di intendersi, bisogna tener conto che occorre disarmare nel Parlamento francese la parte della opposizione che non vorrebbe alcun accordo con l'Italia finchè questa si tiene nello allineamento della Triplice Alleanza; ma egli comprendeva ed ammetteva che il regolamento finale fra i due Governi delle quistioni connesse con il rinnovamento del trattato di commercio italo-tunisino sarebbe un fatto di singolare importanza ed efficacia. Non perdetti un istante di vista l'opportunità di non lasciar nascere nell'animo del Ministro francese degli affari esteri la più lontana lusinga che il mio Governo si lascierebbe indurre a trattare in precedenza di questo interesse. Nel concetto di un negoziato a regolare non soltanto interessi certamente importanti per il commercio, ma anche a produrre un serio e durevole miglioramento di relazioni di altro ordine, non avremmo da parte nostra potuto rinunciare alla condizione di condurre simultaneamente a buon termine l'intesa per le cose di Tunisi e per i rapporti commerciali diretti fra l'Italia e la Francia. Occorreva anche al Ministero nostro di premunirsi in Parlamento contro l'accusa di aver fatto gettito di un complesso di ragioni e di privilegi tutt'ora esistenti parte soltanto in diritto e parte in diritto come in fatto a Tunisi senza avere in mano equivalenti vantaggi. Non era nei propositi del mio Governo di chiedere cose notoriamente difficili a conseguire. Il sistema delle tariffe autonome non era il nostro; ma praticamente anche nel nostro sistema convenzionale esisteva un trattamento uniforme corrispondente a quello della tariffa minima francese. Non mancava pertanto una base di trattative che escludeva i lunghi e pericolosi dibattimenti relativi alla fissazione dei dazi doganali concordati convezionalmente. Le questioni relative alla navigazione, soggiunsi, furono discusse e risolute in un progetto di convenzione di cui l'applicazione rimase sospesa per interessi estranei a quelli da essa regolati. Una rapida revisione di quei patti potrebbe bastare per rendere possibile il completo accordo. Relativamente alle cose di Tunisi nei miei abboccamenti preliminari con il sig. Berthelot si erano presi in considerazione soltanto alcuni punti concernenti il trattamento commerciale, quello della pesca e della navigazione e pochi altri. Ma era facile lo scorgere che poteva essere di reale importanza il regolare in una maniera definitiva anche tutti quegli altri interessi che nascono dalla presenza

in Tunisia di una numerosa ed attiva colonia di lavoratori italiani fecondatori di quell'ubertoso suolo. Nessun altro paese europeo aveva per questo riguardo una somma di interessi paragonabili ai nostri nella reggenza. Mi premeva inserìvermi il primo nel far conoscere le disposizioni del mio Governo acciocchè non avvenisse che altri Gabinetti, precedendoci nella via delle concessioni, conseguissero vantaggi a prezzo di più apparenti che reali compensi.

Promise il mio interlocutore di prendere nel più attento e serio esame lo stato di cose sovra il quale egli mi ringraziava di avere chiamato la sua atten

zione. II desiderio suo personale sarebbe per certo di annodare subito le trattative e ben comprendeva che, trattandosi di accordi per i quali l'approvazione parlamentare poteva essere necessaria, occorreva non indugiarsi a tale riguardo più dello stretto necessario giacchè in giugno i lavori delle Camere, in Italia come in Francia, sogliono essere interrotti dalle vacanze estive. La materia abbondante e complessa richiedeva un periodo di studio preparatorio a lui necessario per essere in grado di inoltrarsi con sicurezza nella via di efficaci accordi. A ciò attenderebbe con sollecitudine e cura proporzionate al vivo desiderio di riuscire. Nessuna conclusione era possibile ricavare dal nostro primo colloquio in senso d'impegnare il Governo francese poichè egli era venuto a visitarmi senza essersi preventivamente preparato ad una conversazione così interessante. Egli desiderava perciò che dello scambio di idee, seguito oggi fra noi, facessi, in ogni ipotesi, notare il carattere. Poi, ritornando sovra le considerazioni di politica generale che già eransi affacciate nella nostra conversazione, il signor Bourgeois faceva passare il discorso sovra la situazione improvvisamente creata dalle risoluzioni del Gabinetto di Londra in ordine alle cose di Egitto.

Di ciò che a questo riguardo fu detto nel colloquio di cui fin quì ho reso conto, tratta un altro mio rapporto di questa stessa data (1).

(l) Pubblicato al n. 53.

57

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 1240/318. Parigi, 4 aprile 1896.

Il carattere di fiduciosa intimità che piacque al signor Bourgeois di dare alla lunga conversazione che volle avere oggi con me, mi persuase a non esitare nel corrispondervi dal canto mio, chiamando io per il primo la sua attenzione sovra le notizie che erano corse nei giornali di questi giorni, e secondo le quali la Francia mediterebbe un'azione militare in Tripolitania. Sarebbe questa condotta parallelamente a quella degli inglesi in Egitto, e creerebbe così uno stato di fatto per la Francia da non cessare prima che finisca quello da anni esistente per la Gran Bretagna. Non soltanto il sentimento pubblico in Italia si commuoveva all'annunzio di simili eventualità, ma il governo stesso non poteva esservi indifferente, poichè esse avrebbero potuto inchiudere il germe delle più gravi complicazioni. Mi studiai di osservare l'impressione di queste mie parole sul mio interlocutore; ma questi, senza dimostrare di avvedersi della marcata indicazione mia, si affrettò ad opporre il più formale ed assoluto diniego che in Francia vi fosse il più lontano pensiero di intraprendere alcuna cosa verso la Tripolitania. Egli opponeva la più categorica smentita a quelle notizie che gli parevano da ascriversi alla categoria delle invenzioni e falsità con le quali si

cercava sempre di mantenere vivi i reciproci sospetti fra l'Italia e la Francia. Ancorchè il nostro colloquio si fosse aggirato sovra parecchi soggetti che non potevano avere fornito argomento a reciproci impegni, in questa parte egli mi pregava di considerare che la dichiarazione che mi faceva aveva carattere formale ed ufficiale. Era desiderio suo che questa fosse da me segnalata a V. E. poichè gli premeva che non nascessero altri malintesi fra i nostri due paesi.

(l) Allude al rapporto n. 1239/317 da Parigi, 4 aprile 1896, non pubblicato, con le dichiarazioni di Bourgeois a Tornielli sulla spedizione di Dongola.

58

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, LXXXV)

T. Asmara, 4 ap1"ile 1896 (per. giorno 8).

Dopo vittoria giorno 2 Stevani rientrò Cassala; essendosi dervisci rifugiati nelle boscaglie e trinceramenti di Tucruf, nelle prime ore del 3, dopo aver fatto partire carovana, Stevani segui ricognizione verso Tucruf, informato inesattamente dalla propria cavalleria circa forze posizioni nemico, egli attaccò con vigore limite boscaglie e trinceramenti, impossessandosene in parte, ma non riuscì sloggiarne tutto nemico, essendosi ascari ala sinistra disordinati per fare bottino. Nostri ebbero a subire perdite gravi; rientrarono perfetto ordine Cassala.

Stevani mi riferisce essere sua intenzione rinnovare attacco mattino 4 sentendosi forte abbastanza. Senonchè, stante situazione generale, io glie lo vietai, ordinàndogli invece di sgombrare Cassala con tutti i suoi e ripiegare su Agordat. Tale ordine è ora in via di esecuzione.

A Cassala sonvi quattro quinti nostri indigeni, avanzi stanchi, confusi, di molti combattimenti e di quattro mesi di fatiche non interrotte. D'altra parte dervisci sono in forze; è loro intenzione manifesta assediare Cassala fissandosi di quà dal fiume, come fecero anno 1883 e seguenti.

Deriverebbe vera necessità di fare una spedizione per rifornire o liberare quel presidio; spedizione pressochè impossibile, attesa stagione ed esaurimento ascari, non potendo portare Cassala soldati bianchi.

Trovo Cassala poco atta sostenere assedio. In cinque giorni accerchiamento intero forte ebbesi 32 morti e feriti. Cassala è troppo esposta, dista da Massaua 16 tappe, da Asmara 11; il suo rifornimento è difficile e costoso.

Nostre perdite durante ricognizione del 3 :

Morti: tenente Partini, che quantunque non guarito ferita Adua, aveva insistito raggiungere suo reparto, Benetti, Stella, Di Salvio. Feriti: BellottiBon, Bernardis, Cantù, Pagella, de Rossi, Ferrari, che, destinati, come comandanti indigeni, dopo partenza colonna Stevani, marciarono tanto celeremente da poter trovarsi combattimento.

Indigeni circa 300, in totale, morti feriti.

59

IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LXXXI)

T. Roma, 5 aprile 1896.

Ricevuta notizia del combattimento di Cassala. Voglia, a nome di S. M. il Re, esprimere vivo encomio al colonnello Stevani e sue truppe per il successo ottenuto di sì importante operazione.

60

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI'

T. s. n. Vienna, 6 aprile 1896, ore 11,15.

Il 29 marzo ho comunicato a Goulokowsky la nota Dichiarazione. Egli mi disse che si sarebbe messo in comunicazione con Biilow e mi avrebbe quindi dato risposta officiale. Per parte sua non sollevò alcuna obiezione al contenuto della Nota. Jeri, poi, mi disse che era stato informato della obiezione del Gabinetto di Berlino, la quale naturalmente fa cadere l'idea dello scambio di Dichiarazioni. Ho però detto a Goluchowsky, senza impegnare l'opinione del Governo del Re, che forse quest'ultimo si sarebbe limitato a constatare in un dispaccio la dichiarazione fatta da V. E. a Biilow; e anche su ciò Goluchowsky non fece obiezione.

61

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', E I MINISTRI DELLA GUERRA E DEGLI ESTERI, RICOTTI E CAETANI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LXXXIV)

T. Roma, 7 aprile 1896.

Attendiamo sentire risultato missione Salsa. Intanto avvertiamo che negoziato non potrebbe continuarsi mentre nostri prigionieri subiscono maltrattamenti

o mutilazioni.

Primo scopo negoziato è per noi ottenere salvezza prigionieri; se questi fossero mutilati o uccisi durante negoziato, cesserebbe ragione precipua che ispira condotta governo.

62

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 898/20. Londra, 7 aprile 1896.

Facendo seguito al mio rapporto in data 28 marzo, n. 207/97 (1), ed in relazione al telegramma di V. E. in data 31 dello stesso mese (2), mi onoro di riferirle quanto segue.

In assenza di lord Salisbury, ho conferito con sir T. Sanderson sull'oggetto del citato telegramma, cioè sul pericolo di una occupazione della Tripolitania da parte dei francesi. Egli mi rispose di credere molto improbabile che i francesi si avventurassero, in questo momento, in una impresa tanto più pericolosa ed inopportuna in quanto che la Tripolitania, a differenza della Tunisia, fa parte integrante dell'impero ottomano.

Del medesimo parere si mostrarono, con sir T. Sanderson e con me stesso, i miei colleghi di Germania e d'Austria-Ungheria. Infine, la risposta telegrafica di lord Salisbury, che mi fu comunicata oggi è dello stesso tenore.

Unisco copia della lettera di sir T. Sanderson sull'argomento di cui si tratta (3).

63

IL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA (Ed. in L. V., 93, LXXXVI)

T. Roma, 8 aprile 1896.

Prego dire se Cassala fu totalmente sgombrata, o se rimane tuttora antico presidio.

64

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 673. Parigi, 8 aprile 1896, ore 6,50 (per. ore 20,45).

Ministro degli affari esteri assicura che notizie pervenute da Tunisi all'agenzia Havas circa agitazione musulmana al sud della Tripolitania, non hanno origine ufficiale, e che nulla in proposito è pervenuto al Governo Francese. Egli

mi disse oggi ripetutamente che se alcuna cosa in proposito gli pervenisse ne parlerebbe tosto con me. Si ha l'impressione di un generale stato di fermento di fanatismo islamismo (sic) in Africa, e questo tocca agli interessi di tutti i governi che sono in contatto con popolazioni musulmane od esercitano sopra di esse dominazione. È uno stato di cose sul quale sarebbe meglio che tutti i governi si scambiassero le idee e procurassero di intendersi prevenendo cosi le situazioni delicate che, dai malintesi, possono nascere. Queste cose furono dette con molta semplicità.

(l) -Pubblicato al n. 41. (2) -Pubblicato al n. 42. (3) -Annesso non pubblicato, in quanto non fa che ripetere ciò che è detto nel testo.
65

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (Ed. in L. V .• 93, LXXXVII)

T. 672. Londra, 8 aprile 1896, ore 18,55 (per. ore 20,45).

Telegramma Massaua, che dice aver generale Baldissera ordinato colonnello Stevani ritirarsi da Cassala è stato interpretato come abbandono tale fortezza, mentre è presumibile siav:i rimasto ordinario presidio. Crederei utile venisse chiarito equivoco. Prego telegrafarmi se debbo parlare in tal senso Foreign Office.

66

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, VIENNA, LONDRA E PARIGI, LANZA, NIGRA, FERRERO E TORNIELLI

T. 519. Roma, 9 aprile 1896, ore 13,15.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi ha detto che il suo governo non ha ricevuto informazione alcuna circa progetto della Francia su Tripoli. Esso pensa altamente improbabile che tali progetti siano seriamente divisati, e fonda la sua opinione sopra considerazioni finanziarie, politiche e militari, che renderebbero assai inverosimile un simile progetto da parte della Francia.

67

IL REGGENTE L'AGENZIA AL CAIRO, SALVAGO-RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (Ed. in L. V., 93, LXXXIX)

T. RISERVATO 681. Cairo, 9 aprile 1896, ore 15.

Agenzia Havas-Reuter riferita notizia evacuazione Cassala, che ha destato vivissima dolorosa impressione. Sirdar telegrafa chiedendomi smentita notizia, che egli non può credere vera; essa farebbe grande impressione nel Sudan, ove aumenterebbe il prestigio Califfo e le forze attualmente contro Cassala minaccierebbero seriamente Suakin da dove ritirarono truppe per la spedizione Don

gola. Lord Cromer impressionato malcontento Egitto, vedere liberi dervisci unire forze contro Suakin Dongola, conseguenza ritiro Italia dopo iniziata spedizione Dongola.

68

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO (Ed. in L. V .• 93, LXXXVIII)

T. 523. Roma, 9 aprile 1896, ore 17,45. Telegramma Baldissera relativo ordine dato Colonnello Stevani non è chiaro.

Gli furono tosto chieste spiegazioni che purtroppo tarderanno causa rottura del cavo.

69

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

L. CONFIDENZIALE Vienna, 9 aprile 1896. Le rendo conto delle comunicazioni da me fatte a questo Ministro I. R. degli affari esteri rispetto alla dichiarazione combinata ultimamente in Roma. Arrivato in Vienna il 28 marzo ultimo a sera, mi recai l'indomani 29 dal Conte Goluchowsky e gli rimisi la nota verbale colla dichiarazione annessa. Il Conte Goluchowsky mi disse che per parte sua non aveva difficoltà allo scambio proposto, ma che doveva, dopo aver preso gli ordini dell'Imperatore, consultare in proposito il Gabinetto di Berlino. Ora, il 3 aprile corrente, io riceveva il suo telegramma che inchiudeva un altro telegramma del R. Ambasciatore a Berlino, così concepito: «Il Governo Germanico ritiene superflua, anzi non priva di inconvenienti la dichiarazione da noi richiestagli. Biilow è incaricato di spiegare i motivi». Il giorno seguente, 4 corrente, il M.se di Rudinì, mi telegrafava a sua volta (1), in di lei assenza, per rendermi conto della conversazione da lui avuta coll'Ambasciatore di Germania, e della dichiarazione da lui fattagli verbalmente in questa occasione. Il presidente del Consiglio m'informava, aver esso dichiarato al sig. de Biilow, in risposta alle osservazioni fatte dal suo Governo per escludere lo scambio di note da noi proposto, che «pur considerando come esclusa l'eventualità di un'alleanza dell'Inghilterra e della Francia contro la Triplice, credeva suo dovere di affermare lealmente che l'Italia, sotto quasiasi Ministero, si troverebbe sempre, a cagione della sua situazione geografica, nell'impossibilità di lottare contro le due più grandi potenze marittime». Il Presidente del Consiglio, facendo questa dichiarazione, obbediva a un sentimento di lealtà, che lo obbligava a dire le cose come sono e a non lasciar supporre che l'Italia potesse

accettare obblighi coll'intenzione di non mantenerli in date eventualità. Esso conchiudeva col riaffermare il proposito di continuare a mantenere fedelmente

la triplice alleanza come è presentemente costituita, e col dire che queste sue dichiarazioni potevano bastare a chiudere la discussione. Naturalmente questo scambio di dichiarazioni verbali doveva rimanere secreto, e non era il caso di comunicarlo a Londra.

Ho dato notizia del contenuto di questo telegramma al Conte Goluchowsky. Il Ministro I. R. degli affari esteri ammise perfettamente la dichiarazione, in esso contenuta, del M.se di Rudinì. Avendogli io detto che sarebbe possibile che il Governo del Re credesse utile di constatare la medesima dichiarazione in un dispaccio da comunicarsi confidenzialmente ai Gabinetti di Vienna e di Berlino, il Conte Goluchowsky non sollevò alcuna difficoltà. ·

Ella esaminerà, insieme col Presidente del Consiglio, se convenga dar seguito a questa idea di constatare la fatta dichiarazione in un dispaccio. SiccomE> il dispaccio non esigerebbe risposta, mi pare che il Gabinetto di Berlino non dovrebbe nemmeno esso sollevare difficoltà in proposito.

(l) Cfr. il documento n. 53.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI (A C)

L. CONFIDENZIALE Vienna, 9 aprile 1896. Aggiungo ancora un rigo alla lettera d'oggi per dirle che il conte Goluchowski non crede affatto alla storiella dei progetti francesi sulla Tripolitania, ed io sono dello stessissimo avviso. Lo stato presente della posizione rispettiva delle potenze in Europa non comporta progetti di tal natura. Il Governo Francese è strettamente legato al carro della politica russa. Ora, come è possibile immaginare che la Russia, la quale ha appunto ora dichiarato al mondo che il perno della sua politica in oriente è il mantenimento dell'integrità dell'Impero Ottomano, e si è opposta recisamente a che si eserciti qualsiasi pressione sul Sultano e che si oppone alla cessione di qualsiasi parte del territorio turco, come è possibile, dico, che ad un tratto permetta alla Francia di piombare sulla Tripolitania e di suscitare un incendio universale in Europa ? E ciò alla vigilia dell'incoronamento ? Il pericolo a mio avviso, non è là. Il vero pericolo per noi, sta nell'eventualità d'un accordo tra la Francia e l'Inghilterra circa l'Egitto o a proposito dell'Egitto; e in secondo luogo in un con

flitto che possa nascere per questioni coloniali o altro, fra la Germania e l'Inghilterra.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO (Ed. in L. V., 93, XCIV)

T. 534. Roma, 10 aprile 1896, ore 13,15.

L'Ambasciatore d'Inghilterra mi ha fatto oggi la seguente comunicazione verbale: «Nell'evento che Cassala sia sgombrata dalla guarnigione italiana ciò avrebbe un serio ed immediato effetto col dare incoraggiamento ai Dervisci. Ciò renderebbe anche libere le loro forze che potrebbero essere rivolte ad attaccare le posizioni egiziane. Nel caso che la evacuazione diventasse necessaria, il Governo della Regina dovrebbe averne previa notizia il più sollecitamente possibile». Ho risposto prendendo nota di questo desiderio che eventualmente sarà possibilmente soddisfatto. Quanto al resto mi sono riferito alle istruzioni impartite a Baldissera consistenti nel desiderio nostro che si conservi Cassala a P1.eno che imperiose ragioni di ordine militare ne rendano necessario lo sgombro.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 714. Pietroburgo, 12 aprile 1896 (per. a Venezia).

Facendo seguito al mio telegramma anteriore (1), sono in grado di confermare che se il numero di soldati recantisi in Abissinia non giunge alla cifra di duecento che mi era stata segnalata, sarà sempre superiore a quella ufficialmente dichiarata. Circa distaccamento Croce Rossa è difficile precisare proporzioni del reparto che prenderà la via di Obock, ma che andrà è fuori di ogni dubbio e nulla lo arresterà. Oramai le bugie di Lobanoff non si contano più. Dal complesso della mia recente corrispondenza trapela la tendenza di un vero protettorato russo in Abissinia, e ne ho fatto sopratutto chiara menzione in due distinti rapporti degli ultimi di marzo. Oggi poi ne ho acquistato il convincimento e nulla l'arresterà. Il R. Governo deve bene persuadersi ed esaminare se, non potendolo impedire, non gli convenga profittarne per stringere colla Russia quei vincoli di cui la Germania stessa ci dà l'esempio.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 746. Parigi, 15 aprile 1896, ore 19,55 (per. ore 22,10).

La risposta inglese contiene l'affermazione che la spedizione di Dongola non introduce mutamenti nella situazione politica, ed è determinata da considerazioni militari, le quali sono esposte in un memorandum a parte, e conclude colle parole di dichiarazione che, non avendo scopo politico, la spedizione non poteva dare causa a trattative colle altre Potenze. Bourgeois, impegnato da sua dichiarazione alla Càmera dei Deputati, è dispiacente assai di questa risposta che sembrerebbe escludere continuazione di trattative. A me disse soltanto che in assenza di Salisbury non si poteva trattare, ma che verso il 21 di questo

mese sarà a Londra, e che allora Courcelles vi ritornerà per riprendere le conversazioni. Le notizie relative alla risposta inglese mi vengono da Miinster che credo le abbia avute da Dufferin con il quale è personalmente molto legato. Miinster dice che la Francia, nell'affare Egiziano, è spinta vivamente dalla Russia.

(l) T. 712 in pari data non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AL CONSOLE GENERALE DESTINATO A ZANZIBAR, CECCHI

L. 134401113. Roma, 15 aprile 1896. Il 15 luglio di quest'anno scade il triennio di esercizio provvisorio della convenzione del 12 agosto 1892 col Sultano di Zanzibar per la concessione dei porti di Benadir. Il Governo intende che detta convenzione entri definitivamente in vigore a partire dal 15 luglio p. v. per la durata di 25 anni, salvo poi a rinnovarla eventualmente per altri 25; ma non intende confermare il contratto di subconcessione con la compagnia Filonardi. Ella conosce oramai quali siano a tale riguardo i propositi e gli intendimenti del Governo. Questo si è adoperato per la costituzione di una società anonima commerciale pel Benadir, e col comunicato promotore di essa ha già stipulato una convenzione, la cui entrata in vigore dovrà essere fissata con speciale accordo. Dallo spirare della convenzione Filonardi all'epoca in cui la nuova compagnia sarà immessa nella gestione dei porti e dei territori concessi dal Sultano, l'amministrazione della colonia dovrà essere assunta provvisoriamente dal Governo. A tal uopo, la S. V. ha istruzione di recarsi, senza indugio, nel Benadir con tre persone di fiducia del comitato promotore della compagnia e di questo Ministero, i signori dott. E. Dulio, R. Faraone e Mamini, i quali avranno così tempo di assumere al 15 luglio p. v. l'amministrazione delle stazioni e iniziarne il definitivo assetto. La S. V. prenderà imbarco a Brindisi il 19 corr. per Aden dove troverà la R. nave Volturno, che avrà già avuto istruzioni di prendere al suo bordo vetterli e cartuccie (richiesti dal capitano Filonardi con rapporto 25 aprile 1895), destinati alle stazioni del Benadir, e di ritirare 3600 talleri, coi quali Ella pagherà le due annualità del 1896 ai Sultani dei Migertini e di Obbia, in ragione di talleri 1800 ciascuno, da conteggiarsi, come d'intesa, col Governo di Massaua. Dopo breve sosta ad Alula e Obbia, Ella proseguirà direttamente per Mogadiscio e vorrà subito consegnare l'unita lettera (l) al cav. Filonardi, informandolo con la dovuta delicatezza delle determinazioni del Governo, che egli, del resto, già conosce nelle linee generali, e presentandogli i nuovi residenti e raccoman

dandoli a lui, specialmente per quanto si riferisce alle future loro relazioni coi capi indigeni.

Lascio alla sua ben nota perspicacia e al suo tatto di trovare il miglior modo di far intendere al cav. Filonardi come il Govemo faccia pieno assegnamento sul suo patriottismo e sulla sua influenza perchè il periodo preparatorio all'insediamento della nuova compagnia, alla quale vorremmo assicurata la di lui valida cooperazione, trascorra placidamente non solo ma anche utilmente, e perchè i residenti trovino in lui direzioni e consigli.

Affinchè tutto proceda regolarmente, è necessario che il cav. Filonardi (lasciando che l'interprete Abu Baker continui nelle funzioni che ora disimpegna) non abbandoni la costa appena spirato il termine della concessione col R. Governo, ma vi si trattenga fino a che i porti non siano di nuovo aperti alla navigazione (settembre p. v.).

Presi gli opportuni accordi col capitano Filonardi e date le disposizioni per i tre residenti, Ella proseguirà per Zanzibar.

La S. V. è autorizzata a trattare col Governo del Sultano per una diminuzione del canone di 160.000 rupie stabilito dalla convenzione del 12 agosto 1892; ma non si varrà di tale autorizzazione se non quando avrà acquistata la certezza che la nostra domanda, se presentata ufficialmente, sarà accolta favorevolmente.

Entrata definitivamente in vigore la detta convenzione, con o senza modificazione della clausola relativa al canone, Ella dovrà versare al Govemo del Sultano ai termini dell'art. 1711 (art. III dell'accordo supplementare 15 maggio 1893) il premio convenuto di rupie 40.000, facendosi rilasciare ricevuta da cui risulti la natura e il titolo del pagamento.

Con separato dispaccio Le si impartiscono istruzioni di ordine amministrativo.

(l) Non pubblicata.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 751. Vienna, 16 aprile 1896, ore 16,35 (per. ore 17,40).

Goluchowsky mi disse che Imperatore di Germania gli aveva lasciato la migliore impressione avendolo trovato bene deciso a continuare nell'attitudine amichevole verso l'Inghilterra. Imperatore di Germania disse all'Imperatore di Austria Ungheria che era molto soddisfatto delle sue conversazioni con Rudinì e con Lei e che si era seriamente congratulato col Re di aver trovato tali uomini per confidare loro la direzione del Governo.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 753. Parigi, 16 aprile 1896, ore 16,40 (per. ore 18,35).

Ieri prima di ricevere telegramma di V. E. seppi da questo Ministro degli affari esteri che, in seguito alle cose da me dettegli precedentemente, era stato

o

4 -Documenti diplomatici o Serie III Vol. I

da lui telegrafato a Tunisi per sapere che cosa avesse potuto dar origine al sospetto di un progetto di espansione nella Tripolitania; e la risposta fu che, ultimamente, vi era stata una rissa fra abitanti della frontiera per contestazione di proprietà; un drappello di cavalleria indigena tunisina era intervenuto per fare rispettare le ragioni dei tunisini. Sono incidenti frequenti, senza seria importanza politica, dovuti alla mobilità degli abitanti ed alla incertezza delle demarcazioni di confini. In occasione d!i questo colloquio, Ministro ha ripetuto la precedente dichiarazione assoluta escludente qualunque progetto francese di espansione nella Tripolitania.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATISSIMO 1398/355. Parigi, 16 ap1·ile 1896.

Da qualche giorno la stampa di vari paesi, occupandosi della visita dell'Imperatore tedesco al nostro Re a Venezia, si è fatta eco di voci più o meno es~tte relativamente ai termini di scadenza dei patti della Triplice Alleanza. Era cosa aspettata che su questo soggetto le gazzette francesi porterebbero la massima attenzione ed era del pari cosa preveduta che l'impressione in Francia non riuscirebbe delle migliori per predisporre l'ambiente favorevole agli accordi che circostanze speciali renderebbero non solamente desiderabili ma urgenti. Però fin qui il clamore dei giornali francesi non prese le proporzioni che esso ebbe talvolta per cose di minor conto e non mi pare da escludere la previsione che esso non abbia a crescere a meno che qualche altra inesplicabile e deplorevole indiscrezione non venga ad aumentare le difficoltà fra il nostro e questo paese.

È facile il comprendere che in presenza di tante affermazioni e rivelazioni circa la durata dell'alleanza possa sembrare singolare la persistenza nostra ad occultare alla Francia la durata stessa. Se ne spiegò chiaramente con me ieri il signor Bourgeois ritornando a più riprese sovra l'importanza grande che avrebbe per la Francia il sapere quando gli accordi anzidetti finiscono onde avviare le relazioni sue con l'Italia in quella via che permetterebbe una stabile e sicura buona intelligenza fra i due paesi. Profittai di questa iniziativa presa dal Ministro degli Affari esteri per ripetere a lui ciò che già era stato più volte detto ai suoi predecessori, che cioè il migliore preparativo per raggiungere quello scopo era di affrettarci a stabilire le relazioni sovra un sistema che valesse a dimostrare a tutti la inesistenza di interessi sostanziali divergenti o per lo meno la cessazione completa, durevole, di quella tensione di rapporti che avea avuto origine da fatti sovra i quali non occorre oggi discutere poichè sovra le conseguenze dei medesimi, pregiudicevoli ai rapporti stessi, non vi era dubbio possibile. Bisognava ricondurre le relazioni in una condizione fondamentalmente soddisfacente. Ne sarebbe nata una reciproca sicurezza. L'opinione pubblica nei due paesi ne avrebbe sentito ed apprezzato il beneficio. Non era per me il caso di assecondare il desiderio del signor Bourgeois rivelandogli anche soltanto il patto della duraLa delle nostre alleanze. Io non vi era autorizzato; non avrei stimato cosa corretta che se ne parlasse fra di noi in epoca ancor lontana di qualche anno dal termine di esse. M'importava però escludere che in questo riserbo, imposto tanto dall'indole degli accordi, quanto dall'interesse ben chiaro di non pregiudicare situazioni future non tutte prevedibili e che altre persone potrebbero essere chiamate a considerare e risolvere, vi fosse alcunchè di cui la Francia avesse ragione dì sospettare. I patti internazionali, soggiunsi in forma di conclusione, sono come gli istrumenti musicali. Il loro effetto dipende dai suonatori. Non erano da temersi da parte nostra nè fantasie, nè movimenti vivaci e briosi. L'attuale no· stra orchestra preferiva l'andante moderato. Ad una insistente osservazione del mio interlocutore, relativa alla voce corrente che però, in questo presente periodo di tempo, o si era rinnovato o si dovea rinnovare il patto di alleanza, mi parve convenisse rispondere e risposi che ad un distinto giurista quale era egli, non occorrevano molte parole per ispiegare come fossero considerevoli le differenze che correvano fra lo scioglimento delle obbligazioni per estinzione del tempo per il quale esse sono contratte e la rescissione delle medesime la quale suppone cause speciali, o motivi particolari e gravi della risoluzione da prendere. Era facile a ciascuno il comprendere che nessuna causa e motivo potevano avere i tre Stati alleati, nell'interesse del mantenimento della pace, di mutare la loro linea di condotta generale e si dovea considerare come perfida l'insimiazione di qualche articolo di giornale che vorrebbe lasciare supporre che l'indole pacifica e difensiva della Triplice alleanza avesse subito o stesse per subire mutamento.

Il signor Bourgeois nella esposizione delle dubbiezze che lasciava nell'animo suo e dei governanti francesi l'ignoranza completa in cui eglino si trovano relativamente ai nostri patti con la Germania e l'Austria Ungheria, si servi del linguaggio il più amichevole ed insinuante. Delle mie argomentazioni si dimostrava soddisfatto quel tanto che gli giovava di sembrarlo. Ma in sostanza egli nè poteva, nè voleva nascondermi che il rumore fattosi intorno alla visita imperiale a Venezia raffreddava assai la disposizione sua favorevole ad accordi solleciti, intesi a risolvere simultaneamente la questione del rinnovamento del trattato italo-tunisino e quella dei rapporti commerciali e di navigazione fra l'Italia e la Francia.

Mi adoperai come meglio seppi per conciliare la opportunità di non lasciare crescere sospetti e diffidenze, delle quali saremmo soli a patire i danni, con il dovere imprescindibile di non dire cosa alcuna che sembrasse diretta a trarre altrui in inganno. Ho ripetutamente manifestato, durante il colloquio, la convinzione che sia indispensabile il preparare una situazione diversa della presente prima che spiri il periodo delle alleanze e che siffatto mutamento potrà soltanto conseguirsi con la permanente cessazione della tensione dei rapporti fra i due paesi. Una politica che di tale necessità non tenga conto, riuscirà sempre sterile. Di ciò conveniva il Ministro degli affari esteri e con me era inclinato a sperare che il risveglio di malumore, prodottosi qui in questi ultimi giorni, non durerà un pezzo se non sarà alimentato da circostanze indipendenti dalla nostra buona volontà. A tale proposito il sig. Bourgeois mi ha assicurato che egli si adopererà dal canto suo per evitare che dalla propagazione di notizie false, o tendenziose, l'inquietudine del pubblico francese venga prolungata. Ed, a modo di conclusione, egli ripetevami ancora una volta che, esaminando la sostanza delle cose, non si riusciva a scorgere divergenze d'interessi gravi fra l'Italia e la Francia e si dovea riconoscere invece che, se una serie di malintesi non fosse venuta a creare la situazione attuale, i due paesi avrebbero molti interessi comuni da tutelare insieme. Dal canto mio assicurai il signor Bourgeois di tutta la mia cooperazione volonterosa per togliere di mezzo le difficoltà, mettere in chiaro lealmente le situazioni, impedire che per mancanza di franche domande ed esplicite risposte i rapporti fra i due paesi abbiano ad avere un carattere contrario all'indole dei veri loro reciproci interessi. Perciò io non esitava, soggiunsi, a riprendere il discorso sovra le notizie ed i rumori che circolavano rispetto alle cose della Tripolitania. E la conversazione nostra essendosi portata sovra questo soggetto con un certo sviluppo, stimo doverne riferire il seguito in altro mio speciale rapporto.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 233/110. Londra, 16 aprile 1896.

Ho l'onore di riferirmi al dispaccio dell'E. V. sotto il n. 11067/141 (1).

Come Ella conosce, ebbi già occasione per il passato di richiamare l'attenzione di questo Governo sovra l'azione che sarebbe stata, a più riprese, illegalmente esercitata dalle autorità inglesi di Zanzibar in territori appartenenti alla sfera d'influenza italiana nella valle del Giuba; ed ho l'onore di trasmettere qui unita a V. E. una lettera direttami testè dal Foreian Office (2) nella quale non solo si ripetono le assicurazione colle quali si è sempre risposto ai miei reclami, che, cioè, il Governo della Regina ha dato istruzioni categoriche ai suoi dipendenti in quelle regioni di non ingerirsi in modo alcuno nella sfera d'azione italiana, ma si contesta che siano avvenute infrazioni a tali ordini. Ed essendo io ultimamente, in relazione al contenuto del citato dispaccio, ritornato sull'argomento con sir Thomas Sanderson, questi mi ripetè le stesse cose.

Non vi è dubbio che ci dobbiamo aspettare da parte degli inglesi nella valle del Giuba un aumento di attività per impedire che il loro commercio venga a soffrire della nostra concorrenza, ma fino a che essi si serviranno per questo di mezzi onesti e legali non ce ne possiamo stupire nè potremo impedirlo, se non col raddoppiare di attività noi stessi. Le affermazioni del Foreign Ojfice sulla correttezza delle autorità inglesi in questo argomento sono troppo categoriche perchè io possa far altro che ripetere, ogni qualvolta il R. Governo me ne segnala l'opportunità, le mie osservazioni, ma ove queste non riescano corredate da qualche dato di fatto preciso e concludente, è presumibile che otterremo sempre il medesimo risultato.

. (2) Lettera del sottosegretario al Foreign Office, H .. Percy Anderson, dell'll aprile, non pubblicata perchè riassunta nel testo.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO E COSTANTINOPOLI, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA E PANSA.

T. 589. Roma, 17 aprile 1896, ore 13,15.

L'ambasciatore di Francia mi porge precise assicurazioni circa Tripoli, aggiungendo potermi garantire che gli avamposti francesi sono ad oltre cento chilometri dalla frontiera.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

D. RISERVATO 13899/358. Roma, 17 aprile 1896.

Ho letto con particolare attenzione l'interessante rapporto che l'E. V. mi ha indirizzato il 4 corrente (l) per darmi conto di un colloquio da Lei avuto col signor Bourgeois circa l'attuale stato delle relazioni fra l'Italia e la Francia.

Approvo il linguaggio che V. E. ha tenuto, non che il riserbo in cui si è tenuta allorchè il signor Bourgeois ha toccato, nel suo discorso, la parte più delicata del tema. Le dichiarazioni dell'E. V. varranno a confermare viemmeglio il Governo francese nel convincimento delle nostre disposizioni amichevoli e concilianti rispetto alle questioni di reciproco interesse, e segnatamente circa le due più rilevanti che aspettano di essere definite: la ripresa delle trattative per la stipulazione di un trattato di commercio italo-francese e la rinnovazione del trattato di commercio italo-tunisino.

Giova ora attendere le eventuali proposte che fosse per farci pervenire il Governo francese.

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IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, CIX)

T. Asmara, 18 aprile 1896. Notizie contradditorie intorno al maggiore Salsa; prevale l'opinione sia te

nuto prigione da ras Mangascià nell'intento di arrestare la nostra marcia in avanti.

Menelich aveva proposto di chiedere ai belligeranti che durante le tratta

tive, non dovessero oltrepassare la linea Mareb-Belesa. Finora tale condizione

fu da noi osservata, non dai tigrini, i quali non solo scorazzavano a nord di

detta linea, ma hanno pure occupato a tradimento Ambra-Debra in Scimenzana.

I prigionieri italiani si lamentano del cattivo trattamento; feci fare rimo

stranze.

Parlasi che Menelich voglia obbligare gli italiani di costruirgli una città

europea.

I ras tigrini sono tutti in Agamè; dispongono circa 10.000 fucili. Dicesi

che attendano rinforzi dal mezzodì.

I dervisci hanno chiesto a Menelich cartucce; questi limiterassi probabil

mente inviare doni e aizzarli contro di noi.

Il capitano Nobis, il giorno 12 ....... (l) in seguito alle ferite.

Il messo inglese, con lettera della Regina, il 14 non era stato ricevuto.

(3) Pubblicato al n. 56.

82

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', ED I MINISTRI DEGLI ESTERI E DELLA GUERRA, CAETANI E RICOTTI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA. (Ed. in L. V., 93, CXIII)

T. Roma, 20 aprile 1896. Procuri di mantenere occupazione Cassala sino autunno; si vedrà allora il

da farsi. Se, però, pericolo grave d'ordine militare lo imponesse, è sempre lasciata a V. E. facoltà dello sgombro.

83

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DELLA GUERRA, RICOTTI (Ed. in L. V., 93, CXVI)

T. Massaua, 21 aprile 1896, ore 14 (per. ore 14,55). Oggi due contadini mi recarono una lettera di Menelik ed una di Mangascià. Il Negus scrive che, non essendo stati accettati preliminari convenuti tra lui e Salsa, egli chiede restituzione delle relative sue lettere, trattenendo per intanto Salsa quale ostaggio, promettendo rilasciare Maggiore tosto ricevute lettere. Da parte mia, non avendo alcun interesse conservare tali documenti, glieli mandai senz'altro. Mangascià, nella sua lettera, assicura che l'Imperatore gli dice di fare amicizia col generale Baldissera; aggiunge di proprio che egli ama e cerca la pace.

A questa mi limitai rispondere che io pure amo la pace. In conclusione, il Negus rompe trattative.

(l) La lacuna è nel testo.

84

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 1401/358. Parigi, 22 aprile 1896.

Recò qualche sorpresa e fu in molti modi diversi commentata, la improvvisa risoluzione presa dal Presidente della Repubblica di fare, lui non militare, una ispezione delle linee di prima difesa verso il confine germanico. La lettera, pubblicata nel giornale ufficiale, diretta al Ministro della Guerra dall'Alto Magistrato, non permette, a parer mio, di dubitare del significato che questi ha voluto dare al suo viaggio verso la frontiera. Unisco qui il testo di quel documento (l) acciocché V. E. possa vedere sopra quale fondamento appoggia l'opinione che mi pare potere esprimere in proposito.

Non sarebbe tuttavia ugualmente facile il determinare quali ragioni abbiano potuto suggerire la manifestazione per la quale l'ispezione presidenziale fu ideata. Tali ragioni sarei inclinato a riscontrare in un complesso di circostanze che era venuto poco a poco a creare nel pubblico francese un sentimento al quale forse non conveniva al Governo del signor Bourgeois di lasciar prendere troppo targa radice. Si era con soverchia insistenza insinuato, principalmente nella stampa estera, che per effetto della alleanza con la Russia la Francia avea dovuto desistere da ogni suo progetto di rivendicare le provincie toltele dalla Germania. Si erano con affettata esagerazione messi in evidenza i casi nei quali gli interessi del Gabinetto di Berlino aveano messo quest'ultimo nello stesso allineamento di quello di Parigi per questioni di grave importanza per la Russia. Un incidente recente cagionato dal fatto che mentre l'Imperatore di Germania visitava il Re d'Italia, il Cancelliere tedesco si trovava in Parigi e negli stessi giorni il sig. Cavaignac, Ministro della guerra, si asteneva di assistere alla commemorazione giubilare dell'assedio di Belfort, parve mettesse il colmo alla misura e che da varie parti si udissero dei sussurri contro ciò che si qualificava politica di rinuncia alle rivendicazioni nazionali. Ne sarebbero potute essere singolarmente vantaggiate le opposizioni che il Gabinetto Bourgeois deve affrontare non soltanto nel Parlamento ma forse davanti al paese. Considerazioni di politica interna sono venute per tal guisa a confondersi insieme a quelle della politica esteriore togliendo fors'anche alla dimostrazione fatta dal Capo dello Stato una parte del colore che altrimenti essa avrebbe potuto avere. Il certo è che tale dimostrazione è stata fatta subito dopo il viaggio dell'Imperatore Guglielmo a Venezia ed a Vienna e che questa circostanza contribuisce essa pure ad attribuire alla medesima una importanza speciale.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATISSIMO 263/83. Madrid, 24 aprile 1896.

Col mio telegramma del 22 corrente a sera (l) ho creduto necessario dar notizia alla E. V. di quanto era venuto a mia conoscenza sui passi fatti da questo

Ambasciatore d'Austria, nel fine di spingere il Governo spagnuolo a sottoscrivere un nuovo trattato politico con l'ItaLia.

Oggi, dopo aver ricevuto il telegramma dell'E. V., nel quale mi conferma le istruzioni del 1° aprile, mi corre l'obbligo di dare informazioni particolareggiate su quanto è avvenuto, vedendo che forse le pratiche iniziate dal conte Goluchowski hanno avuto origine da un qualche malinteso.

Io posso affermare all'E. V. che il conte Dubsky ha ricevuto tre o quattro giorni or sono un telegramma dal suo governo, concepito presso a poco così:

« Il Governo italiano ci ha fatto conoscere il suo desiderio di stringere di nuovo gli accordi con Spagna sovra le basi del Trattato scaduto, rinunziando alle condizioni messe innanzi ora è l'anno dal barone Blanc. Ella che non ignora quali sono le vedute del governo I. e R. su tale questione, appoggi fortemente questa idea per profittare delle buone disposizioni dell'attuale gabinetto italiano :ì).

Il conte Dubsky, che fu sempre favorevole all'unione intima tra le due Potenze latine del Mediterraneo, si è recato infatti dal Duca di Tetuan esponendogli le ragioni che a parer del suo governo, consigliavano la Spagna a riprendere gli antichi accordi con noi. Il Ministro di Stato pur mostrandosi inclinato a stringere legami con l'Italia, gli ha risposto non parergli questo il momento opportuno per ciò fare. Gli interessi spagnuoli del Mediterraneo oggi spariscono innanzi alla sola questione che interessa il paese: la pacificazione di Cuba con la resistenza alle avverse pretese degli Stati Uniti d'America del Nord. Esser parere degli uomini di governo spagnuoli far qualunque sagrifizio per raggiungere tqle scopo, e non volersi vincolare, che con quella Potenza che sposasse ora la causa di Spagna. L'Ambasciatore d'Austria ha insistito e i suoi argomenti hanno a quanto pare fatto grande impressione sul Duca di Tetuan. La Spagna, ha egli riplicato, non può trovare potenza d'Europa, nelle presenti contingenze, che per concessione che si voglia, tragga la spada in favore di essa. L'Italia vincolata da un Trattato, potrebbe solo dare il suo appoggio diplomatico, cui terrebbe dietro assai facilmente quello delle Potenze della Triplice. Meglio dunque tale ajuto che nulla.

Il signor Drummond Wolff ha avuto notizia di tale colloquio e pare l'abbia approvato. Egli, come il conte Dubsky nei suoi discorsi ha sempre sostenuto questa tesi che se il nostro accordo con Spagna a nulla à servito, avrà sempre forza d'impedire alla Spagna di gettarsi nelle braccia della vicina Repubblica. La regina reggente, sebbene assai aliena da un accordo col Governo francese, non potrebbe opporsi. L'appoggio della Spagna in una questione del Mediterraneo, o in un conflitto della «Triplice » se ha poco valore diretto per gli alleati, può essere di grande utilità a Francia cui moltiplica la forza assicurandone le spalle.

Il conte Dubsky dal quale ho saputo in parte le notizie su riferite, si è mostrato assai sorpreso del mio riserbo e non ha potuto spiegarsi la mia attitudine dopo le istruzioni avute dal suo Governo. Se c'è stato malinteso, l'E. V. ha modo di saperlo. Può essere sicuro intanto che il mio contegno sarà quale è stato di aspettazione vigilante. Sono lieto di aver seguito fino allo scrupolo tali indicazioni dell'E. V.

(l) Non pubblicato.

86

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI'

L. RISERVATA Roma, 24 aprile 1896.

L'ambasciatore di Spagna mi ha detto, ieri, che il suo governo ha appreso con soddisfazione le intenzioni del Governo italiano per la eventualità di un Conclave. Queste intenzioni, in quanto mirano a far cadere la scelta sopra un candidato italiano, si accordano perfettamente coi desiderii del Governo spagnuolo. Questo è disposto, occorrendo, ad avere con noi uno scambio di idee per giungere, come a Madrid si spera (così diceva l'Ambasciatore), ad una più precisa intelligenza circa questo importante soggetto.

Stimo utile recare quanto precede a notizia di V. E., anche per quelle comunicazioni che, a tempo debito, stimasse doversi far pervenire al Gabinetto di Madrid.

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A VIENNA E A BERLINO, NIGRA E LANZA

T. s. n. Roma, 26 a.prile 1896, ore 17.

Per chiudere in forma concreta il nostro carteggio con le due potenze alleate circa nostra situazione verso Inghilterra, avrei divisato, d'accordo col Presidente del Consiglio, di incaricare Lei e il suo Collega di dar lettura ai rispettivi Ministri degli affari esteri d'un mio dispaccio, identico per entrambi, che riassuma il nostro concetto. Non si chiederebbe risposta. Però prima di dare corso a quel mio dispaccio desidero essere sicuro che dai due Gabinetti non si faranno rHievi sul loro contenuto. Prego quindi V. E. di voler, in forma preliminare e confidenziale, comunicare a codesto Ministro degli affari esteri, per tale scopo, il seguente schema di mio dispaccio:

Roma, aprile 1896.

L'échange confidentiel de vues qui vient d'avoir lieu au sujet des déclarations ministérielles de mai 1882 concernant l'Angleterre nous a mis en mesure de nous convaincre que l'affirmation contenue dans ces déclarations répond, aujourd'hui encore, à la pensée commune des trois Puissances alliées. Maintenant encore, les trois Cabinets s'accordent à considérer l'Angleterre comme n'étant pas visée dans les combinaisons en vue desquelles la Triple Alliance s'est formée et renouvelée.

En ce qui nous concerne, cette constatation peut seule concilier les obligations découlant pour nous de la lettre du Traité avec les exigences de notre situation particulière. L'Italie se trouverait en effet, le cas échéant, dans l'impossibilité absolue, à cause de sa position géographique, de prendre part, avec ses alliées à une lutte contre les deux puissances maritimes les plus considérables du monde. Aucun Ministère, en Italie, ne saurait prendre la responsabilité d'entrainer le pays dans une pareille guerre.

En attirant sur ce point l'attention de nos Alliés, nous obéissons à un sentiment de loyauté qu'ils apprécieront sans doute. Nous préférons mettre, dès aujourd'hui, sous leurs yeux la réalité des choses plutòt que chercher à atténuer tacitement, nous meme, par une restriction mentale, la portée eventuelle de nos propres engageme~ts. Notre franchise doit, pour les deux Cabinets, etre la preuve et le gage de notre scrupuleuse fidélité envers la Triple Alliance, telle qu'elle existe et que nous désirons la voir maintenue.

Voulez, Monsieur l'Ambassadeur, donner lecture de cette dépèche à M. le Ministre des Affaires Etrangères.

88

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. s. n. Vienna, 27 aprile 1896. Informerò in via preliminare il conte Goluchowski del contenuto del telegramma di V. E. lo avrei preferito che il dispaccio si limitasse a riprodurre puramente il testo della Nota verbale convenuta, aggiungendo soltanto le parole «In quanto riguarda l'Italia», e non chiedendo risposta. Il dispaccio proposto contiene frasi che forse spiaceranno a Berlino. Le telegraferò l'impressione di Goluchowsky.

Prego V. E. di voler scrivere per corrispondenza su ciò che riguarda questo affare atteso che i telegrammi in cifra possono contenere errori.

89

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

D. 15448/160. Roma, 29 aprile 1896.

Ho ricevuto il rapporto del 6 corr., n. 106 (1), col quale l'E. V., confermando il precedente suo telegramma del 14 (1), mi trasmette la lettera direttale da sir

E. Sanderson per informarla che lord Salisbury, in seguito alla risposta costì pervenuta da lord Cromer, esprimeva la speranza che, da parte nostra, non si insistesse sulla domanda di inviare un ufficiale italiano presso il quartiere angloegiziano della spedizione su Dongola.

Debbo, a tale riguardo, farle conoscere che, non acquetatomi alla risposta da Lei trasmessaci, ho stimato di esporre personalmente e con quella cordialità che si addice agli intimi rapporti esistenti tra i due paesi, a questo signor ambasciatore d'Inghilterra le ragioni che mi sembravano ampiamente giustificare la nostra domanda. Parevami infatti decisiva circostanza che, in Africa, italiani e anglo-egiziani combattono, in questo momento, contro lo stesso nemico;

la quale circostanza, che niuna altra potenza sarebbe in grado d'invocare, bastava anche ad eliminare il pericolo che l'assenso da noi ottenuto avesse a costituire un precedente di fronte ad eventuali altre domande consimili. Queste mie pratiche ebbero per effetto di far riprendere in esame, da lord Salisbury e da lord Cromer, il delicato argomento, e la conclusione fu interamente favorevole al nostro desiderio. Per consiglio dello stesso lord Cromer, il reggente la R. Agenzia di Cairo rivolgevasi direttamente a S. A. il Kedivé, e l'annuenza dell'A. S. essendo stata ottenuta, fin dal 22 di questo mese ho telegrafato alla

R. Agenzia di far partire, immediatamente, per la frontiera il tenente colonnello Trombi, addetto militare a Costantinopoli, che già trovasi in Egitto.

(l) Non pubblicato.

90

L'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATISSIMO 280/90. Madrid, 29 aprile 1896.

Faccio seguito al mio rapporto del 23 corr. n. 263/83 (1), e con lo stesso mezzo amichevole e sicuro, trasmetto questo foglio all'Ambasciata di Parigi, perchè giunga più sollecitamente nelle mani dell'E. V.

Dopo ricevuto il telegramma del 22 (2), ho avuto occasione di vedere il duca di Tetuan, col quale ho potuto conferire a lungo. Mi è stato confermato dalla sua bocca quanto avevo saputo dal mio collega Conte Dubsky, su le pratiche fatte dal Governo austro-ungarico per appoggiare fortemente un nuovo accordo tra l'Italia e la Spagna. Il Duca mi ha parlato con grande schietteza, qualità, che, del resto, gli è abituale.

Egli mi ha detto averlo il conte Benomar informato di un colloquio avuto con S. E. il marchese di Rudinì, nel quale si era parlato delle relazioni tra i due paesi. Il conte Benomar aver informato il marchese di Rudinl di quanto era avvenuto durante il ministero Crispi; del buon volere della Spagna di rinnovare puramente e semplicemente lo antico accordo: e delle fasi diverse venute in seguito, che io non starò a ripetere alla E. V. In quella prima occasione il Benomar avere avuto l'impressione che il rinnovamento dei patti antichi fosse nei desideri del Governo italiano; ma le cose esser rimaste allo stato embrionale.

Dopo avermi raccontato le vicende delle pratiche fatte dal conte Dubsky per ordine del suo Governo, e da me riprodotte nel mio rapporto precedente, il Duca di Tetuan ha soggiunto:

« Il risultato delle cose oggi è questo: Ho dato ordine al conte Benomar di rispondere al marchese di Rudinì e al Ministro degli Affari Esteri qualora se ne presenti l'occasione, che pur mantenendo la leale amicizia che ci unisce all'Italia e ci attira verso la Triplice Alleanza, noi non ci troviamo più nel caso d'ora è l'anno. Abbiamo delle questioni gravi ed imminenti alle Antille,

le quali rendono meno urgenti tutte le altre che possono riferirsi al Mediterraneo. Il Governo non avrebbe scusa se d'altro avesse cura. Se concessioni deve fare e impegni prendere in un accordo con qualche Potenza, il suo scopo deve essere quello di farlo in vista della situazione di Cuba e dei conflitti cui l'insurrezione può condurre. Un accordo coll'Italia, ciò che vuoi dire con la Triplice Alleanza, fatto soltanto per le questioni del Mediterraneo, ci legherebbe le mani senza utilità immediata.

« Finora non possiamo muovere lagnanza contro il Governo americano. La sua condotta è stata finora sempre corretta verso di noi, se bene scorrettissima sia stata quella del Parlamento. Noi abbiamo rivolto alle Potenze di Europa una nota, per chiarire la situazione e dimostrare il nostro buon diritto. Le Potenze d'Europa ci hanno risposto con unanime dimostrazione di simpatia. Fin dove possa giungere la loro amicizia non possiamo ancora giudicare; ma il giorno della prova, se mai essa debba venire, noi vorremmo che quell'amicizia non fosse soltanto platonica e fatta di «appoggi morali». Se la squadra spagnuola dovesse recarsi a difendere le nostre ragioni contro gli Stati Uniti, noi dovremo esser sicuri che le navi degli alleati verranno in nostra compagnia. Se dovremo legarci le mani nel Mediterraneo, l'accordo deve estendersi alle Antille.

« Dichiaro a Lei, quel che ho dichiarato al conte Dubsky: Fino a questo punto non abbiamo impegni di sorta con chicchessia. Ma non vogliamo trovarci soli nel giorno del pericolo. Ci rivolgeremo prima agli amici: all'Inghilterra, alla Italia che hanno nella comunione di interessi europei, tante ragioni di veder la Spagna forte e non smembrata. Se essi non vorranno o non potranno venire in nostro ajuto, faremo ad altri tutte le concessioni che ci parranno necessarie, pur di averne l'appoggio materiale. Il naufrago afferra la tavola di salvezza senza guardare la mano che gliela offre ».

Queste sono le parole del Ministro, Duca di Tetuan, impresse nella mia memoria con grande precisione e da me trascritte nel lasciare il Ministero di Stato. Sono le stesse a un dipresso di quelle a me riferite dal mio Collega conte Dubsky, ma assai più chiare e recise. Mi sembra solo fallace l'impressione avuta dall'Ambasciatore austro-ungarico nel suo primo colloquio col Duca di Tetuan e da me telegrafate all'E. V. Il conte Dubsky credette che il Ministro degli Affari Esteri di Spagna si fosse convinto delle ragioni da lui soggiunte e che potrebbe sottoscrivere un nuovo Trattato senza insistere sulle garanzie della possessione di Cuba. Ciò non parmi. Egli anzi ha molto sottolineate con intonazione, le parole: Se i nostri amici non vorranno o non potranno venire in nostro ajuto faremo ad altri le concessioni che ci parranno necessarie. Per meglio spiegare i compensi che la Spagna potrebbe dare, ha detto in altra parte del suo discorso: «Noi abbiamo molti porti nel Mediterraneo, che possono essere utili a chi trovasi in guerra; altri possiede i bastimenti che a noi mancano per resistere alle prepotenze americane: l'una cosa potrebbe valer l'altra».

Il colloquio col Duca di Tetuan si è molto prolungato, e sebbene l'ora fosse tarda ed io parecchie volte avessi accennato a congedarmi, egli ha insistito nel suo dire. Forse in tanta schiettezza, ha mostrato troppo il suo scopo di voler fare impressione sul mio animo, minacciando copertamente di trovar facile l'accordo con Francia e Russia. Ma il fatto non è perciò meno possibile.

L'opinione delle Potenze amiche ho già fatto conoscere all'E. V.

Il mio Collega d'Inghilterra stringe da vicino il Duca di Tetuan per sorvegliarne i movimenti. Egli promette molta benevolenza; ma ad essa finora non ha dato nessuna forma pratica. Vorrebbe purtuttavia impedire ad ogni costo un avvicinamento tra Spagna e Francia. L'Austria spinge con ardore alla conclusione di un accordo con noi. La Germania per mezzo del suo Ambasciatore, mostra non preoccuparsi di quanto può avvenire. Si tiene in disparte mostrando la più completa sfiducia del Governo spagnuolo.

P. S. -Il conte Goluchowski in un suo nuovo dispaccio ha di molto attenuata la affermazione del nostro desiderio di addivenire a un Trattato con la Spagna. L'equivoco sulle intenzioni del Governo italiano si è in parte dissipato.

(l) -Recte: 24. Pubblicato al n. 85. (2) -Non pubblicato.
91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

T. s. n. Roma, 1 maggio 1896.

L'Ambasciatore di Spagna è venuto a parlarmi degli accordi segreti del1887, non più rinnovati, come Le è noto, in occasione della loro seconda scadenza. nel maggio 1895.

Il Duca di Tetuan sarebbe disposto a riprendere il negoziato per un rinnovamento di quegli accordi, alla condizione però che le tre potenze alleate consentano all'aggiunta di una clausola mercè la quale, nell'interesse del principio monarchico, venga garantito alla Spagna il possesso di Cuba; ed a questo patto speciale, così desiderasi a Madrid, dovrebbe in qualche modo aderire l'Inghilterra.

Senza pronunciarmi sopra una simile domanda, ho stimato utile di ben chiarirne la portata, chiedendo all'Ambasciatore se tale garanzia dovesse essere d'indole platonica ovvero effettiva, e lasciando intendere, come mia opinione personale, che, mentre nella seconda ipotesi la cosa sarebbe di ben difficile attuazione, essa avrebbe nella prima ipotesi, una importanza pratica assai limitata. Al che rispose S. E. nulla potermi dire di preciso: il desiderio del Governo spagnuolo era sostanzialmente che le Potenze, in un modo o nell'altro, gli garantiscano il possesso di Cuba.

Il conte di Benomar mi domandò anche se, a mio avviso, fosse conveniente che da Madrid, col mezzo dell'Ambasciatore di Inghilterra, si esplorasse quali potrebbero eventualmente essere, in proposito, le idee del Governo della Regina. Ed io osservai parermi più cauto consiglio sentire anzitutto, circa la proposta spagnuola, il pensiero dei Gabinetti di Berlino e di Vienna; di che non avevo difficoltà ad incaricarmi, l'Italia essendo sempre stata rispetto agli accordi di cui trattasi, la intermediaria tra la Spagna e la Triplice Alleanza.

Prego, adunque, V. E. (analoga preghiera rivolgo al suo Collega di Berlino) di voler recare quanto precede a notizia di codesto signor Ministro degli affari esteri, e di comunicarmi a suo tempo la risposta che Le verrà fatta.

92

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. s. n. Berlino, l maggio 1896.

Dopo lunga minuta consultazione, Marshall mi disse oggi Governo imperiale non potrebbe assolutamente lasciare senza rilievi e risposta la comunicazione, che gli venisse fatta ufficialmente, della nota del cui schema gli avevo, in via confidenziale e preliminare, dato visione in seguito all'ordine telegrafico di

V. E. del 26 aprile (1). Della risposta mi fu pure comunicato lo schema seguente: « Il Governo Imperiale dà atto della comunicazione fatta dall'Ambasciatore d'Italia, da cui risulta che il Governo italiano non stimerebbe essere in grado di agire contro coalizione anglo-francese, se tale coalizione si realizzasse. Siffatta riserva, fatta dal Governo italiano, non tocca gli interessi della Germania, perchè questa si troverebbe, verificandosi il caso, salvaguardata dal nuovo raggruppamento delle potenze europee, che sarebbe conseguenza immediata della coalizione suddetta. Il Governo germanico non saprebbe, però riconoscere a quella riserva la qualità di « interpretazione », nè del testo dei trattati esistenti fra Italia, Germania e Austria-Ungheria, nè del linguaggio tenuto dalla diplomazia tedesca, giacchè la punta di ostilità diretta e predominante contro la Russia, che tale interpretazione darebbe alla Triplice Alleanza, modificherebbe interamente il carattere essenzialmente impersonale di questo patto difensivo che mira aggressioni eventuali, anzichè avversarii individuali»·

È mia opinione che, se il Governo Imperiale non temesse indiscrezioni possibili e l'effetto che produrrebbero, non farebbe in fondo obiezione al nostro desiderio.

Stando così le cose, visto che oramai il nostro punto di vista è abbastanza chiarito e capito, penserei doversi lasciar le cose come sono e non rltornarvi sopra.

93

L'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATISSIMO 293/93. Madrid, 2 maggio 1896.

Ho risposto or ora telegraficamente al telegramma di questa notte (2) nel quale la E. V. mi comunica le proposte del Conte di Benomar, dando all' E. V. ulteriori notizie sul soggetto medesimo.

Coi miei rapporti del 23 e 29 aprile p.p. (3) ho fatto conoscere quali sono !e idee del Governo spagnuolo. Esso, mentre da un lato vede l'Austria spingere

alla rinnovazione dei nostri accordi, riceve dall'altro nuove offerte francesi, forse appoggiate da Russia. V. E. ha risposto al Conte di Benomar di voler sentire il pensiero degli alleati. Ho creduto necessario informare subito V. E. che l'Ambasciatore d'Inghilterra, il quale segue con cura lo affaccendarsi della Francia, ha avuto una udienza dalla Regina prima di partire per Londra, ove si è recato per consultare Salisbury.

Da quanto il mio Collega ha detto in un breve colloquio avuto al momento della partenza, egli ha dichiarato alla Regina impossibilità trovare Potenza europea capace di garantire il possedimento di Cuba, e la Regina pareva contentarsi anche di appoggio diplomatico. Certamente l'Inghilterra non vuole andare più lontano.

Intanto mi è sembrato doveroso consigliare V. E. di non dare recisa risposta negativa al Conte di Benomar, e trarre in lungo le trattative.

Nè alla Triplice Alleanza nè all'Inghilterra certamente converrà garantire alla Spagna il possedimento di una colonia a metà perduta, con rischio di un conflitto con gli Stati Uniti d'America del Nord.

A prescindere da altre ragioni, è mia opinione che se la Spagna avesse tale garanzia, farebbe certamente un colpo di testa uscendo dalla prudenza finora mantenuta. Credo pure che nelle proposte francesi non vi sia, per ora, tale garanzia.

Se nel pensiero di V. E. vi è il desiderio di trattative colla Spagna, ciò potrebbe farsi sulla base di un appoggio morale verso gli Stati Uniti, cui si può ben dire in qualche maniera essere la conservazione della integrità del territorio Spagnuolo un fattore dell'equilibrio europeo, e le quattro potenze (Triplice Alleanza e Inghilterra) non esservi disinteressate.

Qui si sente la minaccia latente degli Stati Uniti, se bene la nota diplomatica, di cui ho già parlato in altro rapporto, sia stata inviata per un accordo verbale tra il Ministro di Spagna a Washington ed il Ministro degli Affari Esteri. Se la Triplice Alleanza e l'Inghilterra si disinteressano completamente della situazione presente delle cose e daranno una recisa risposta negativa, sarà tutto a beneficio francese.

(l) -Pubblicato al n. 87. (2) -Non pubblicato. (3) -Pubblicati ai nn. 85 e 90.
94

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 1555/398 (1). Parigi, 4 maggio 1896.

La successione del Ministero presieduto dal signor Méline a quello che il signor Leone Bourgeois presiedeva da circa cinque mesi, non si è operata in condizioni che possano considerarsi come normali. I nuovi Ministri dispongono di una maggioranza numericamente debole, mancante di omogeneità, appunto quale era quella sovra la quale si era malamente sorretto il precedente Ga

binetto. Quelli debbono avere, per vivere, l'appoggio delle varie frazioni della destra anche delle non repubblicane, come questo strascinava vita stentata nella assidua cura di ritardare il momento in cui le frazioni ultra-radicali e socialiste della Camera lo avrebbero abbandonato.

Al signor Bourgeois e ad alcuni colleghi suoi della Camera mancò certamente il coraggio di spingere le cose fino alle ultime sue conseguenze. Egli sembrò aver voluto fare pressione sul Senato con la intimidazione risultante dalla minaccia di un irreparabile conflitto con la Camera dei Deputati. Ma alla minaccia non seguì il fatto, poichè il voto che avrebbe determinato tale conflitto e resa necessaria la revisione costituzionale, non fu da lui nè ricercato, nè favorito. Ne derivò l'abbandono in cui lo lasciarono, all'ultim'ora, gli infidi amici degli estremi settori di sinistra, abbandono del quale lo statista deve essersi facilmente consolato nella persuasione sua della sterilità di una politica di agitazioni alle quali il paese non si dimostrava predisposto. Reca però sorpresa la mossa cl.el signor Bourgeois e dei più intimi amici suoi fatta appena dimesso il potere per mantenere nelle loro mani la direzione del partito radicale costituzionale. Il manifesto da essi sottoscritto insieme ai campioni delle idee le più avanzate, non era un atto che le circostanze richiedessero e costituisce per i sottoscrittori di esso una pericolosa compromissione per il futuro. Ne deriva, come conseguenza necessaria, vantaggio indiretto al nuovo Ministero, poichè gli errori degli avversari giovano in questo caso a dimostrare ai meno timidi ed agli inerti che era gran tempo che l'esperimento di un Governo radicale pigliasse fine. Ed il signor Méline, uomo che seppe ognora conservarsi il credito di non ·essere ambizioso di Governo, arriva alla presidenza del Consiglio con il favore che circonda coloro che subordinano l'interesse e le aspirazioni proprie all'adempimento di. un dovere verso il paese. Quale potrà essere la durata e quali potranno essere le condizioni di vita del nuovo Gabinetto non mi pare cosa sovra la quale si possano stabilire esatti calcoli di probabilità. Per certo, in questi primi giorni, il Ministero non sarebbe in grado di affrontare le difficoltà di una politica la quale richiedesse da parte sua vigorose iniziative. Ma le circostanze singolarmente favorevoli nelle quali trascorse in tutta la Francia la data del l" maggio, vengono a dimostrare che le masse popolari non si erano commosse per i problemi costituzionali che agitarono il Parlamento e che, per quanto grossa sia la questione nascente dal conflitto fra il Senato e la Camera, essa non è di quelle che oggi passionano le moltitudini e le conducono alla manifestazione violenta della loro volontà.

Il signor Méline, qualunque possano essere le posizioni avute anteriorment~ nei partiti da alcuni suoi colleghi del Gabinetto attuale, si trova dalle circostanze presenti messo a capo di un Governo riparatore nel senso conservativo. L'opera sua offrirà difficoltà e la riuscita della medesima non può dipendere che dalla misura in cui essa si svolgerà. Di questo primo Ministro sentii dire da chi meglio assai di me lo conosce, che egli sia «un doux entèté ». La impressione che si ha conversando con lui non contrasta con tale definizione. Lo si vedrà alla prova. Ho stabilito con lui da parecchio tempo una relazione personale di cui non posso che felicitarmi. Le conversazioni che si hanno nella forma delle private relazioni permettono di meglio apprezzare e giudicare le disposizioni delle persone con le quali si ebbero, quando queste vengono assunte al Governo. Il fatto che il signor Méline abbia assegnato a se stesso il portafoglio dell'Agricoltura, qui separato da quello dell'Industria e del Commercio, è per se stesso un programma. Ma più ancora esso denota che l'attuale Presidente del Consiglio ben conosce da dove gli vengono le forze che fecero di lui nna incontestabile potenza nella Camera dei Deputati di Francia. Sarebbe pt>rtanto una singolare illusione quella di credere che egli voglia fare cosa che possa alienargli gli appoggi che gli derivano dalle simpatie dei produttori agricoli. Osservando gli effetti probabili del mutamento di Ministero in Francia da questo punto di vista, è facile lo scorgere che, nella corrente delle idee liberiste del signor Bourgeois e di parecchi amici suoi, noi avremmo potuto forse trovare certe facilità di eventuali trattative che attualmente sembrano per lo meno diminuite. Ma non converrebbe, anche sotto questo riguardo, esagerare o precipitare i giudizi.

Insieme al signor Méline sono entrati a far parte del Gabinetto altri due ben noti protezionisti, Adolfo Turrel al quale fu affidato il portafogli dei Lavori Pubblici ed il signor Boucher grande industriale dei V osgi chiamato ad assumere il Ministero del Commercio. Eglino formano una poderosa triade che, nella Camera francese, avrebbe probabilmente fatto sentire l'influenza sua a qualunq\.le Ministro avesse consentito ad entrare in trattative commerciali non soltanto con l'Italia ma anche con qualsiasi altro paese. Rimane fuori dal Governo il signor Viger, altro capo fila del protezionismo, che appartenne all'ultimo Gabinetto del signor Bourgeois. La sua opposizione però non sarebbe sorretta dagli antichi suoi colleghi, o per lo meno da quelli che, in riguardo nostro, si dimostravano favorevolmente disposti a stabilire normali rapporti di commercio.

Il signor Méline mi disse egli stesso che non avrebbe accettato di formare il Ministero se il signor Hanotaux non avesse consentito a farne parte.

I termini nei quali egli mi parlò del suo collega per gli affari esteri esprimevano l'alta considerazione in cui egli tiene il giudizio del medesimo in ogni cosa relativa alle relazioni internazionali della Francia e l'importanza che egli annette alla politica estera del suo paese. Se riuscirà al signor Hanotaux di far persuaso il signor Méline della utilità di dare ai rapporti della Francia con l'Italia una base amichevole, mediante il regolamento contemporaneo delle questioni che tennero ognora le relazioni dei due paesi in uno stato di tensione pregiudicevole ad entrambi, noi potremmo forse calcolare che la presenza dei capi protezionisti della Camera nel presente Ministero, invece di esserci di danno, potrà facilitare il conseguimento de' nostri intenti. Della convinzione ripetutamente espressami dall'attuale Ministro degli affari esteri circa la convenienza reciproca di ravvicinare la Francia all'Italia, non potrei dubitare se le parole del signor Hanotaux hanno il significato che a chiunque sarebbe lecito di attribuire loro.

In sostanza con il Ministero del signor Bourgeois noi avremmo forse potutn più speditamente intenderei, ma avremmo quasi sicuramente incontrato, al momento della conclusione, degli ostacoli parlamentari insormontabili. Con l'Amministrazione Méline è incerta la possibilità di aprire la trattativa; se si aprisse, sarà penosa la ricerca dei termini dell'accordo, ma questo non incontrerebbe probabilmente più nel Parlamento le difficoltà che prima doveansi prevedere.

-Documenti diplomatici • Serie III -Vol. I

(l) Sic. si noti che il rapporto riservato datato il 6 maggio e qui al n. 95 porta un numero di protocollo generale (1538), e particolare (388) precedente: l'uno e l'altro rapporto arrivarono a Roma il 10 maggio.

95

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 1538/388. Parigi, 6 maggio 1896.

Oggi il signor Hanotaux ha ricevuto per la prima volta i Capi di missione dopo il suo rinsediamento al Ministero degli affari esteri.

Ebbi da lui la più cordiale accoglienza. Le nostre relazioni personali non aveano sofferto interruzione. Anzi, durante il tempo in cui egli non rivestiva più funzioni politiche, ma rimaneva tuttavia consulente desiderato ed ascoltato nel Gabinetto del Quai d'Orsay, quelle relazioni si erano fatte più intime in ragione della maggiore spigliatezza che poterono prendere le nostre private conversazioni. Con gentile pensiero, il nuovo Ministro per gli affari esteri mi accolse oggi esprimendo in termini di vivace simpatia i rallegramenti suoi per l'esito felice della marcia del generale Baldissera sovra Adigrat. Non solamente egli ne era lieto per il miglioramento che ne derivava nella nostra situazione in Affrica, ma altresì vedeva in questo miglioramento una circostanza che dovea agire in modo favorevole sovra lo spirito pubblico italiano assicurando al Gabinetto di cui V. E. fa parte, la solidità che in Francia gli è universalmente desiderata. Con parole misuratissime le quali escludevano la più lontana supposizione che egli si volesse arrogare un giudizio che non gli appartiene sovra le cose nostre interne, il signor Hanotaux mi lasciava intendere che egli ravvisava nella presenza del marchese di Rudinì alla presidenza del Consiglio in Italia un fatto che avea prodotto nell'opinione pubblica francese una diminuzione di quella tensione che creava il maggiore ostacolo al ripristinamento di normali amichevoli relazioni con l'Italia. Da questi riflessi io presi occasione per riassumere in poche parole ciò che era seguìto nei rapporti miei con il signor Berthelot e con il signor Bourgeois, negli ultimi mesi, rispetto alle maggiori quistioni che si possono considerare come aperte fra i due paesi. Ne pigliò nota il nuovo Ministro con molto interesse, ancorchè io mi avvedessi assai bene che già di ogni cosa egli era stato accuratamente tenuto a giorno. Riferendosi allo atteggiamento del signor Berthelot nei giorni del nostro maggior dolore per le cose d'Affrica, egli dolevasi di non essersi trovato al posto di quel Ministro, poichè quello sarebbe stato il momento di provare all'Italia che gli antichi e veri amici si ritrovano sempre nei giorni della sventura. Alla considerazione, da me svolta, che la stagione avanzata avrebbe richiesto che, se qualche cosa era da farsi, presto si facesse, il signor Hanotaux dimostravasi personalmente assenziente. Gli era mestieri però tener conto della necessità per lui di intendersi bene preliminarmente con il signor Méline Presidente del Consiglio e con qualcun altro dei suoi colleghi. La posizione parlamentare del nuovo Gabinetto era tale da doverlo rendere più che mai attento a non suscitare contro di sè le opposizioni che dalla lesione di interessi, anche non di prima importanza, avessero potuto nascere. In quest'ordine di considerazioni, delle quali chiunque conosca la condizione presente del Governo interno di questo paese, non può non tenere conto, il signor Hanotaux fondava la domanda che io gli dessi il tempo di orientarsi e di accertarsi del limite delle cose praticamente possibili prima di

informare V. E. delle disposizioni sovra le quali a me sembrasse di poter fare assegnamento. In complesso il linguaggio del Ministro fu quello di un uomo cauto, favorevolmente disposto per trovare l'occasione di un miglioramento di rapporti fra la Francia e l'Italia, ma che non vuole arrischiarsi a muovere passi se l'occasione non gli apparisce sicura. Mi lusingo che, entro poche settimane, la situazione si sarà più chiaramente delineata e che così ci sarà possibile il prevedere con maggior certezza se delle disposizioni delle quali il signor Hanotaux apparisce animato, vi sarà da ricavare qualche durevole effetto.

96

IL MINISTRO A TOKIO, ORFINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 216/106. Tokio, 5-7 maggio 1896.

Le condizioni politiche di Seoul e della Corea sono fino ad oggi invariate,

Il Re continua ad essere ricoverato presso quella legazione di Russia, nè pare si attenti ad uscirne, per organizzare un Governo capace di rimettere almeno l'apparenza dell'ordine nel paese.

Intanto le provincie sono sempre più infestate da bande di insorti, le quali, sebbene avessero preso le armi apparentemente contro il cessato ministero, non solo non hanno volu~ deporle alla caduta di quello, ma sono diventate, in questi ultimi tempi, più numerose ed intraprendenti.

Fino a qual punto un tale stato di cose dipenda dallo sfacimento dell'organismo sociale o politico del paese, e sino a qual punto sia prodotto e fomentato da influenze straniere è difficile precisare.

È certo però che una situazione simile fa, in modo che non si potrebbe migliore, il giuoco della Russia, alla quale il Re di Corea, cercando rifugio nella legazione russa di Seoul, apparisce innanzi a tutto il mondo aver fatto appello per aiuto e protezione.

Questa condizione di sfacelo di uno Stato, a cui sono collegati, per ragioni geografiche e politiche, tanti interessi e tante ambizioni, non può infatti prolungarsi indefinitivamente, e richiede un sollecito provvedimento.

La Russia non sembra tuttavia disposta a violentare una soluzione. Essa comprende perfettamente che il giorno in cui assumesse, senz'altro la tutela della Corea, tale tutela equivarrebbe ad una specie di possesso, ed un guanto di sfida sarebbe gettato non solo al Giappone, che, rinunciando ultimamente alla sua azione direttiva in Corea, dichiarò che non intendeva di esservi sostituito da altri, ma ben anche alle potenze d'Europa, che già seguono con trepidazione i vantaggi ed i progressi che, dal punto di vista della influenza in Cina e nello estremo oriente, ha saputo trarre il gabinetto di Pietroburgo dai risultati della guerra cino-giapponese.

In questo momento e per alcuni anni, ossia fino a che non avrà rinnovati e completati i suoi armamenti navali, il Giappone non è in grado di porre un effettivo ostacolo materiale ai disegni russi, ma diverrebbe fra qualche anno un

formidabile e pericoloso nemico, specialmente se la Russia venisse a trovarsi impegnata contemporaneamente in qualche altro punto dei suoi vasti confini.

Da ciò la convenienza, saviamente intesa a Pietroburgo, di non umiliare e

disgustare troppo il Giappone, le cui tradizioni, a riguardo della Corea, sono

secolari.

Come conseguenza di queste avvedute considerazioni si stanno negoziando, in questo momento, qui ed a Seoul, fra i rappresentanti russi ed il Governo giapponese, degli accordi intesi, a quanto affermasi, a regolare una cooperazione comune e contemporanea della Russia e del Giappone, per la pacificazione e pel riordinamento della Corea.

Quale sia la portata di queste trattative, che vengono condotte con il più grande riserbo, è difficile precisare, sebbene non manchi chi affermi che esse avrebbero per effetto, fra le altre cose, di affidare alla Russia pieno controllo sul tanto ambito Port Lazareff.

Ad ogni modo esse sembrano abbastanza avanzate da doversene veder fra non molto, i primi risultati.

7 maggio.

P. S. -Questo signor Ministro degli Affari Esteri, da me interrogato, mi ha testè dichiarato che le trattative in corso col Governo russo non hanno la portata che si attribuisce loro dalle voci correnti, e mi ha accennato che esse si limiterebbero a preparare e rendere possibile la sortita del Re di Corea dalla legazione di Russia ed il suo ritorno al palazzo, nonchè a regolare la protezione delle linee telegrafiche, e la sicurezza dei sudditi giapponesi in Corea.

Malgrado lo studio che traspare da una simile risposta di presentare i negoziati sotto l'aspetto il più ridotto possibile, parmi che la sola questione della sortita del Re dalla legazione di Russia si colleghi necessariamente a molte altre, nello stato presente delle cose, e sia perciò abbastanza elastica da poterne dedurre che le trattative in corso hanno una positiva importanza, il che mi viene, d'altronde, confermato da altra fonte di solito bene informata.

97

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. CONFIDENZIALE S. n. Vienna, 13 maggio 1896.

Ho detto a Goluchowski che gli avrei comunicato contenuto dei rapporti annunziatimi del R. Ambasciatore a Madrid (1). Egli mi disse che ne prenderebbe notizia con interesse, ma soggiunse che quei rapporti non potrebbero in niun caso rendere possibile ciò che è impossibile, cioè una guarentigia anche puramente platonica del possesso di Cuba.

(l) I rapporti in parola, qui non pubblicati, vennero inviati in copia dal Caetani al Nigra con nota s. n. del 16 maggio 1896.

98

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 829. Roma, 19 maggio 1896, ore 19. Nel prossimo settembre scade il nostro trattato con Tunisi. Prevedo che

anche nella migliore ipotesi mancherà il tempo di concludere e di rendere esecutivo prima delle vacanze parlamentari l'eventuale nuovo accordo. Prego

V. E. di dirmi se Ella crede possibile ottenere una proroga d'un anno, od almeno di sei mesi.

99

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. CONFIDENZIALE 1040. Parigi, 21 magflio 1896, ore 16,10 (per. ore 17,55). Il ritorno al Governo dei moderati ha fatto riprendere qui vigore alle manifestazioni russofile alle quali dànno occasione le feste di Mosca. Vi è chi crede notare nel contegno del Governo francese, indizi di una maggiore fierezza, ma all'infuori della scelta dell'ultima stazione francese della frontiera dell'Est, per la visita del Presidente della Repubblica alla Czarina vedova, non scorgo sintomi che indichino intenzioni aggressive in Europa. La fase d'inazione che si può osservare presentemente nella politi<:a francese per l'Egitto, permette la supposizione che qui si aspetti che le preoceupazioni siano finite per la ripresa di questa questione. Circa alle nostre questioni relative agli accordi italo-tunisini ed a quello di commercio e navigazione fra l'Italia e la Francia, traversiamo un periodo di sosta durante il quale stimo dannoso che si facessero a Roma delle mosse alle quali probabilmente cercheranno di indurre Billot al suo prossimo arrivo.

Prego V. E. ed il Presidente del Consiglio di aspettare i miei rapporti che partiranno coll'imminente passaggio del corriere ausiliario che trovasi a Londra.

100

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. CONFIDENZIALE 1292/393. Vienna, 21 maggio 1896. Ho ricevuto jeri per mezzo del cav. Marcone il dispaccio riservato di V. E. del 16 corrente mese (l) insieme coi tre rapporti che vi erano annessi del R. Ambasciatore a Madrid. Anzitutto io debbo rilevare il cenno fatto in quei rapporti secondo il quale

le pratiche iniziate dal conte Goluchowski presso il Governo spagnuolo per il rinnovamento dei cessati accordi tra la Spagna, l'Italia e l'Austria-Ungheria

avrebbero avuto origine da qualche malinteso. Per porre le cose in chiaro sarà utile il riassumere brevemente lo stato della questione. Quando io mi recai nello scorso mese a Roma, dissi per incarico del conte Goluchowski all'E. V. e al Presidente del Consiglio, che il Governo austro-ungarico aveva veduto con rammarico che il Governo italiano nello scorso anno avesse lasciato sfuggire l'occasione di rinnovare a tempo debito gli accordi colla Spagna, il che avrebbe ottenuto semprechè si fosse chiesto il rinnovamento puro e semplice; che il Governo austro-ungarico credeva utile che si tentasse di fare ora quello che non fu fatto un anno fa; che egli, conte Goluchowski era pronto a intavolare le pratiche necessarie presso il Gabinetto di Madrid, semprechè il Governo italiano concordasse in queste viste.

Esposi verbalmente in Roma all'E. V. e al Presidente del Consiglio questa commissione, e attenutane l'approvazione, la comunicai al mio ritorno in Vienna al conte Goluchowski.

Io mi era incaricato ben volentieri di questo messaggio e avevo approvato questa iniziativa dell'Austria-Ungheria per due principali ragioni, cioè: in primo luogo essendo naufragate le negoziazioni dell'anno scorso per il rifiuto opposto dal Governo italiano al rinnovamento puro e semplice degli accordi, pareva più conveniente che il Governo austro-ungarico, non compromesso in quell'insuccesso, prendesse il negoziato in mano, almeno nella prima fal':e del medesimo; in secondo luogo essendo a prevedersi che nelle circostanze presenti la Spagna avrebbe sollevato pretese forse inaccettabili, mi sembrava più utile per l'Italia che la responsabilità di un possibile insuccesso fosse presa in parte dal Governo austro-ungarico.

Le prime pratiche furono quindi iniziate a Madrid per mezzo dell'Ambasciatore austro-ungarico in quella residenza, il quale si adoperò con ardore alla riuscita. Ma il Governo spagnuolo, fondandosi sul fatto che chi doveva conchiudere con esso era in primo luogo il Governo italiano volle, secondo che pare, trattare principalmente con esso, e trasportò nel fatto il negoziato a Roma, incaricando il Conte di Benomar di fare all'E. V. la comunicazione della quale Ella m'informò col suo dispaccio del lo corrente (1), e a cui ora, non più l'Austria-Ungheria, ma l'Italia dovrà rispondere.

Mi sembra che in tutto ciò non vi sia alcun malinteso, salvo forse il non essere stato ben compreso che i negoziati, almeno in principio, dovevano esser condotti dal Governo austro-ungarico a Madrid.

Venendo ora all'argomento del dispaccio a cui rispondo, mi pregio d'informare l'E. V. che ho portato verbalmente a notizia del conte Goluchowski il contenuto dei tre rapporti del barone De Renzis, che erano connessi al medesimo. Chiesi nel tempo stesso al Ministro I. e R. degli Affari Esteri di far conoscere a suo tempo al Governo del Re quale fosse l'intenzione del Governo austro-ungarico circa la risposta da darsi alla domanda del Governo spagnuolo.

Il conte Goluchowski si riservò naturalmente d'interpellare in proposito il Governo di Berlino. Non mi celò, anzi mi disse molto apertamente che se si tratti d'una guarentigia reale da darsi alla Spagna per Cuba, l'Austria

Ungheria si troverebbe nell'impossibilità materiale di darla. Se si tratta di un semplice appoggio diplomatico, il Governo austro-ungarico desidera conoscere anzitutto le intenzioni dell'Italia e dell'Inghilterra, di lei più interessate nella questione, e anche del Gabinetto di Berlino.

Intanto egli mi fece notare che secondo le sue notizie esiste una divergenza circa la domanda del Governo spagnuolo, poichè dai rapporti del barone De Renzis come dalla comunicazione fatta all'E. V. dal Conte di Benomar, risulterebbe che la Spagna chiede una guarentigia effettiva del possesso di Cuba, mentre dalla corrispondenza del conte Dubsky apparirebbe che il Gabinetto di Madrid si terrebbe pago di ottenere soltanto un appoggio diplomatico e morale.

Per ciò il conte Goluchowski vorrebbe anzitutto sapere positivamente la verità circa questo punto importante. Benchè la comunicazione ufficiale del Conte di Benomar all'E. V., e i rapporti del barone De Renzis non lascino alcun dubbio, a mio avviso, circa la natura della domanda della Spagna, tuttavia dissi al conte Goluchowski che avrei sottoposto il dubbio all'E. V. e intanto impegnai il Ministro I. e R. a chiedere dal suo canto all'Ambasciatore austro-ungarico a Madrid spiegazioni precise in proposito.

(l) Non pubblicato. Cfr. la nota alla pag. precedente.

(l) Pubblicato al n. 91.

101

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATISSIMO 17691449. Parigi, 22 maggio 1896. Il 13 di questo mese, appena introdotto nel Gabinetto del signor Hanotaux, chiesi direttamente a questo Ministro degli affari esteri se la venuta del signor Billot a Parigi si connettesse con il progetto di trasferirlo da Roma ad altra Ambasciata. Le notizie che correvano in quei giorni lo designavano come successore del signor Herbette a Berlino. Negò il Ministro che vi fosse stato il progetto di siffatto trasferimento di sede e soggiunse che erano cessate d'altronde, dopo l'avvenimento di un nuovo Ministero in Italia, le ragioni di tale cambiamento. Mi parve non giovasse che il mio silenzio fosse interpretato come assoluta acquiescenza a ciò che il signor Hanotaux avea detto e replicai osservando che quando, dopo un certo numero di anni, un diplomatico non riesce a circondarsi di simpatie nel paese dove risiede, si deve considerare, qualunque di ciò possa essere la causa, che l'opera sua è destituita di quella piena efficacia che è pur sempre desiderabile. Con rapida transizione di discorso si fece allora il signor Hanotaux a dirmi che il carattere del signor Billot era stato mal giudicato in Italia. «Avrei voluto, egli mi disse, che voi aveste assistito al colloquio che io ebbi con lui recentissimamente sovra le cose vostre; vi sareste persuaso quanto egli è amico del vostro paese; come egli giudichi essere nell'interesse reciproco della Francia e dell'Italia di vivere nei termini di una buona e schietta amicizia. Il signor Billot, continuò il Ministro, è la rettitudine fatta persona. Intorno a lui non vi è pericolo si annodino intrighi di mestatori. Noi abbiamo collaborato insieme abbastanza

perchè io sia sicuro di tale mio giudizio e d'altronde non tollererei in Italia più che in Spagna l'azione di Agenti francesi i quali lasciassero nascere l'idea che la Repubblica in Francia può essere cagione di inquietudine per le Monarchie all'estero. Sovra questo punto dovete essere pienamente tranquillo perchè l'interesse nostro, non meno che altre considerazioni relative al carattere delle persone che stanno al Governo, non ci permette altro contegno od altra politica».

Di questa «excusatio non petita » non mi meravigliai punto poichè il signor Hanotaux che ha spesso il pensiero pronto come la parola rapida, avrà saputo da qualche parte che il contegno del signor Billot, od almeno quello che gli si attribuiva da taluni, era la ragione principale per la quale le simpatie personali gli mancavano in Italia e la occasione di scagionare il Rappresentante francese degli attribuitigli rapporti con coloro che si professano antimonarchici nel nostro paese, gli parve forse buona per rassicurare me circa le tendenze propagandiste della Repubblica francese, delle quali io non gli avea fatto cenno, ma che da qualche tempo sono espresse negli articoli veementi di una parte della stampa parigina. Però più che la associazione di idee che portò il signor Hanotaux a farmi la non domandatagli dichiarazione, mi pare da notarsi la sostanza della dichiarazione stessa della quale non si può negare il valore.

Infatti, stando al Governo della Francia gli uomini che oggi vi sono, la corrente delle idee radicali sarà contenuta entro limiti che non lasciano prevedere il pericolo della loro diffusione nei paesi vicini. Sotto questo punto di vista, ancorché il Gabinetto del signor Méline di cui fa parte il signor Hanotaux possa essere animato da minore desiderio di procacciare un ravvicinamento fra l'Italia e la Francia, ci offre maggiore sicurezza di quello che lo ha preceduto.

102

IL CONSOLE A CANEA, MEDANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 1060. Canea, 24 maggio 1896, ore 6,50 (per. ore 20,40). Per ragioni tuttora sconosciute rissa scoppiata città fra musulmani cristiani. Miei colleghi io potuto recarci città con gran difficoltà. Città in armi, atterrita: si sta battendosi nelle strade: critica stuazione. Valì mancante mezzi repressione; truppa insufficiente. Pericolo grande: finora dieci vittime conosciute, comprese Cavas russi(?) greci. Presenza impotenza autorità, non posso rispondere sicurezza nazionali. Ritengo necessario invio nave da guerra Canea. Critica situazione pure Rettimo, ove musulmani armati forzano case cristiani: Colleghi tele

grafato identicamente. Agente italiano Rettimo chiede autorizzazione prendere Cavas provvisori custodia uffizio. Prego V. E. auto11izzare.

103

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 914. Roma, 29 maggio 1896, ore 22,30.

Jeri soltanto vidi il signor Billot che portò subito il discorso sul tema del trattato tunisino. Nel giorno precedente io avevo ricevuto l'importantissimo suo

rapporto del 21 relativo allo stesso tema, e mi ero affrettato a porgerne notizia al Presidente del Consiglio non solo, ma anche a S. M. il Re. Le cose reciprocamente dette tra il signor Billot e me ebbero, per espressa concorde dichiarazione, il carattere di semplice conversazione. Il linguaggio dell'Ambasciatore fu quello che il rapporto di Lei mi lasciava presentire. Il Governo francese vorrebbe trattare esclusivamente per Tunisi e per la navigazione. L'eliminazione d'ogni negoziato per il trattato di commercio mi è anzi sembrata addirittura assoluta. Dal canto mio, mi sono limitato a poche osservazioni, desiderando anzitutto concertarmi sul da farsi col Presidente del Consiglio.

Le telegraferò tosto che avremo preso una decisione.

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A VIENNA E BERLINO, NIGRA E LANZA

T. s. n. Roma, 30 maggio 1896. Mi riferisco al carteggio che ebbi recentemente con V. E. in occasione della tacita rinnovazione della Triplice Alleanza rispetto ai rapporti tra il gruppo alleato e l'Inghilterra. Duplice era il nostro scopo: assodare che a tale riguardo il nostro pensiero è, oggi ancora, quello espresso nella Dichiarazione ministeriale del maggio 1882; dare ragione ai due Governi alleati di codesto nostro pensiero. Mercè le comuni

cazioni e spiegazioni intervenute il nostro scopo è stato raggiunto; nè occorre, quindi, ulteriore insistenza da parte nostra.

105

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 932. Roma, l giugno 1896, ore 12,45. Qui riassumo, rispetto all'affare tunisino, il pensiero in cui i Colleghi ed io ci troviamo concordi. In primo luogo è evidente che la conclusione con la Francia di un nuovo trattato di commercio italo-tunisino costituisce politicamente ed economicamente una notevole concessione da parte nostra; il che è stato, del resto, riconosciuto dalla Francia stessa quando pochi mesi or sono ne faceva una condizione per concessioni sue in nostro favore nell'Africa Orientale. È nostra notevole concessione politica il trattare con la Francia per Tunisi, dove giuridicamente salvo la sospensione della giurisdizione Consolare, per noi vige tuttora lo statu quo anteriore al 1881. È concessione economica perchè noi accetteremmo un regime doganale diverso, con esclusione del regime francese dalla clausola della nazione più favorita, in luogo del regime certamente più mite con pareggiamento ad ogni altra Potenza, la Francia compresa, che, indipendentemente dal trattato del 1868, ci è assicurato dalle capitolazioni le quali, come risulta espressamente dallo stesso protocollo 25 gennaio 1884, sono tuttora in

pieno vigore. Nondimeno per desiderio di conciliazione e per scongiurare la contingenza di nuovi conflitti mentre ci studiamo di eliminare i precedenti, noi saremmo disposti alla duplice concessione. E muovendo dallo stesso criterio saremmo pur disposti a regolare sulla base della nazione più favorita, con vantaggio della Francia assai più che con vantaggio nostro, il regime della navigazione.

però evidente che tutto ciò non è possibile se manca per noi qualunque corrispettivo del duplice sacrifizio. Il corrispettivo non può consistere che nel simultaneo regolamento della questione commerciale. Anche qui la concessione del nostro trattamento di favore in compenso della tariffa minima francese farebbe certo pendere la bilancia del tornaconto materiale dalla parte della Francia, ma agli occhi nostri il beneficio sarebbe eminentemente politico, riassumentesi in questa formola: c: I rapporti economici tra l'Italia e la Francia sono ridivenuti normali ». La fede nostra in un simile programma di pace è tale che potremmo anche contentarci, in attesa della stipulazione di un trattato formale, di un modus vivendi identico a quello che la Francia ha concordato con la Spagna. Più oltre noi non possiamo andare; sarebbe opera improvvida e sarebbe anche opera vana se le mancasse, come dovrebbesi temere, il suffragio parlamentare. Come, poi, il tempo stringe, e qualora non sembrasse possibile una pronta conclusione sulle basi anzidette, parrebbe naturale e ovvio partito che lo statu quo ci fosse continuato a Tunisi, anche dopo la scadenza del trattato del 1868, almeno fino al momento in cui sia compiuta, con l'Austria Ungheria e l'Inghilterra, la pattuita revisione. Non potendosi fino a quel momento nulla innovare a Tunisi in materia daziaria la concessione da parte della Francia sarebbe puramente nominale, mentre in Italia avrebbe moralmente e politicamente effetto benefico, preparando l'opinione alla transazione dall'attuale al nuovo regime.

Prego V. E. di esprimere nettamente questi concetti al signor Hanotaux. Se sono in massima ammessi potrà aprirsi un vero e prossimo negoziato. Sarà allora il momento di decidere se questo debba svolgersi a Parigi o a Roma.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. RISERVATO ALLA PERSONA 934. Roma, l giugno 1896, ore 13,30. Nel comunicare a codesto Ministro degli Affari Esteri il contenuto del mio telegramma d'oggi (l) circa Tunisi V. E. saprà certo dare al suo linguaggio una intonazione essenzialmente cordiale e amichevole. È soprattutto desiderabile evitare una rottura immediata del negoziato e nella ipotesi peggiore guadagnare tempo per esaurire tutti i tentativi possibili. Lo stesso atteggiamento terrò qui con Billot, al quale officiosamente porgo notizia delle istruzioni a Lei impartite. L'influenza di Billot su Hanotaux, che fu suo subalterno, è indubbiamente notevole e ci conviene usufruirla; tanto più che esso Billot manifesta a nostro riguardo ottime disposizioni, che concordando col suo naturale

desiderio di aver parte in un successo diplomatico, mi paiono sincere. Osservo a tale riguardo che le parole da Lei adoprate circa la situazione del signor Billot

e riferitemi nel rapporto del 22 maggio (1), hanno potuto essere interpretate dal signor Hanotaux in senso eccedente la realtà delle cose e le intenzioni di Lei. Mi parrebbe opportuno che V. E. cogliesse una prossima occasione per correggere siffatta impressione che nello animo del signor Hanotaux ha potuto prodursi.

(l) Pubblicato al numero precedente.

107

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. CONFIDENZIALE 694/245. Therapia, 12 giugno 1896.

Nel mio precedente rapporto in data d'oggi (2) ho trattato della condotta che segue la Sublime Porta nell'attuale fase degli affari di Creta. Non è forse inutile il considerare fin d'ora l'eventualità che, aggravandosi colà la situazione, o pel protrarsi dell'insurrezione o per qualche eccesso tale da forzar& un intervento ellenico, le potenze si trovassero condotte a occuparsi più direttamente di quella questione.

Al primo scoppiare dei disordini, si vide qui manifestarsi, da parte degli agenti russi e francesi, il solito sospetto, più o meno sincero, che essi fossero dovuti a istigazione dell'Inghilterra, nell'intento di crearsi una diversione e fors'anca un pretesto a qualche occupazione. Debbo dire che tali insinuazioni, fatte da qualche dragomanno alla Sublime Porta, non vi trovarono molto credito. L'intenzione che le ha dettate risulta però dalle istruzioni mandate a questo incarico d'affari francese (riferite nel mio telegramma del 29 maggio) (2), quando si trattava di un intervento dei consoli, -divenuto poi inutile --per la liberazione del presidio turco bloccato a Vamos. Quelle istruzioni dicevano doversi evitare di esigere, per i patti da stabilirsi, qualunque guarentigia la cui eventuale violazione potesse poi offrire motivo all'intervenzione armata di alcuna potenza, con lesione dei diritti sovrani del Sultano che la Francia intendeva fossero in ogni caso rispettati. L'essere tale comunicazione stata fatta dal rappresentante francese, non solo ai colleghi, ma, per ordine del proprio Governo, anche alla Sublime Porta, sembra provare abbastanza l'idea del Governo stesso, di gettare diffidenza sulle intenzioni altrui, e di farsi, ad un tempo, un merito agli occhi del Sultano.

Checchè sia di ciò, debbo notare che, al ritorno qui del signor Cambon dal suo breve congedo, questi non mostrò dividere personalmente, simili diffidenze. Nei suoi privati colloqui, con me e con altri colleghi, egli anzi si mostrò convinto del loro nessun fondamento, rilevando da per sè il fatto che le istruzioni dell'incaricato d'affari britannico, a noi comunicate, gli ingiungevano di non muovere passo se non col pieno accordo di tutti. Oggi ancora, difatti, avendo il signor Hebert ricevuto un telegramma da Canea, nel quale si riferiva la voce, -messa in giro non si sa bene da chi -che l'Epitropi si proponeva di invocare la protezione dell'Inghilterra, egli venne a darmene lettura e mi disse che avrebbe fatto altrettanto con tutti gli ambasciatori, allo scopo

appunto di dissipare ogni dubbio che alcuno potesse ancora nutrire circa gli intendimenti del gabinetto di Londra. Credo che il signor Cambon sia, per quanto lo concerne, sincero, nelle sue dichiarazioni di fiducia. Egli insiste affinchè si mantenga l'attuale contatto fra i rappresentanti delle potenze, unico modo, egli dice, di prevenire reciproci sospetti, e di far sì che, quando l'occasione se ne presenti, essi tutti si trovino già preparati a intendersi, nonchè a facilitare l'intesa dei rispettivi Governi.

Come l'ho riferito nel mio telegramma del 9 corrente (1), lo scambio d'idee avvenuto in una riunione di colleghi tenutasi in quel giorno, ci condusse alla conclusione che, date le circostanze attuali ancora troppo incerte, sarebbe prematura una nostra azione comune, ma che, quando fosse giunto il momento di addivenirvi, essa dovrebbe essere preceduta da un accordo positivo tra i gabinetti europei circa i mezzi da adoperarsi per far accettare le loro decisioni; senza di ciò le pratiche nostre riuscirebbero vane, come lo furono nel caso dell'Armenia. Frattanto ognuno di noi potrebbe, beninteso, dare per proprio conto alla Sublime Porta consigli di conciliazione, senza impegnarsi oltre misura.

Le pratiche più attive in questo senso furono fatte sinora dallo stesso Ambasciatore di Francia. Trovandosi il signor Nelidoff in licenza, l'azione dell'Ambasciata russa è meno apparente. Ma diversi indizi -e quello stesso dell'attività francese -fanno ritenere che il gabinetto di Pietroburgo non vi sia sfavorevole. Oltre all'attuale tendenza generica della Russia a far le parti uguali fra i diversi aspiranti della penisola balcanica, vi ha forse contribuito un passo personale mosso recentemente, mi vien detto, dalla regina Olga, la quale, indirizzandosi ai suoi parenti della famiglia imperiale, si sarebbe con essi !agnata dell'indifferenza mostrata negli ultimi tempi a Pietroburgo per gli interessi della Grecia. Ottenuto, se non altro, il placet dell'alleato, ciò basta a spiegare la presente vivacità del contegno filellenico di questo rappresentante della repubblica. Il signor Cambon, il quale non ha mai cessato di deplorare, per conto suo, l'inazione dovuta serbare nel periodo acuto dei massacri armeni e la diminuzione sofferta dal prestigio della Francia in Oriente per l'abbandono, allora impostole, della sua politica tradizionale, approfitta, evidentemente, delle tendenze ora prevalenti per prendere nella questione di Creta, una posizione dirigente.

Fino a qual punto sarà per esplicarsi codesta azione ? Taluno dei miei colleghi suppone che la Francia e la Russia non sarebbero aliene, ove le circostanze lo permettessero, dall'appoggiare l'annessione di Creta alla Grecia. È una congettura basata sul riflesso che, data l'importanza strategica dei porti cretesi, le due potenze forse preferirebbero vederli passare in mano al regno ellenico da esse ritenuto come acquisito alla propria influenza, anziché !asciarli esposti alle mire che attribuiscono all'Inghilterra come accadrebbe qualora l'isola fosse lasciata in una situazione di semi-indipendenza sotto la debole e contrastata sovranità ottomana. Questa supposizione non sembra però confermata da quanto conosco, almeno, del linguaggio dell'Ambasciatore francese. All'infuori dell'annessione alla Grecia, due altre soluzioni si presentano come possibili: quella di una pacificazione provvisoria, mediante il semplice ristabilì

mento di certe guarentigie a favore dell'elemento cristiano, sulla base, per esempio della nota convenzione di Halepa; e l'altra, più radicale, che consisterebbe nel dichiarare l'autonomia amministrativa dell'isola, come a Samos. Un simile espediente era stato contemplato anche per Candia, nelle trattative che seguirono la guerra d'indipendenza, al tempo del presidente Capodistria, ma il progetto fu allora abbandonato, dietro altri compensi ottenuti in terra ferma al nuovo regno ellenico. Ora mi risulta che il signor Cambon, anzichè appoggiare l'idea di un'annessione, che egli stesso riconosce non desiderata nè desiderabile per la maggioranza dei cretesi, si esprime in favore dell'una o dell'altra fra le due soluzioni ora menzionate, con preferenza, anzi, per la seconda.

Come l'ho già avvertito, codesti calcoli sono, pel momento, prematuri, rimanendo subordinati ad eventi che non è dato prevedere. Per poter mettere sul tappeto la proposta di un regime autonomo in Creta, occorrerebbe che la situazione divenisse tale da indurre le potenze a esercitare una forte pressione sulla Sublime Porta, ed a costringere questa a sottoporvisi, il che per ora non è. Ho stimato, tuttavia, opportuno il fornire all'E. V. codesto ragguaglio dei diversi aspetti che presenta, in questo momento, la questione di Creta.

(l) -Pubblicato al n. 101. (2) -Non pubblicato.

(l) Non pubbli~ato.

108

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI. TORNIELLI

T. 1041. Roma, 14 giugno 1896, ore 19,55. Ricevuto suo rapporto 5 giugno (l) abbiamo attentamente riesaminato intera quistione e ci siamo vieppiù convinti assoluta impossibilità stipulare con Francia, per Tunisi, un trattato necessariamente peggiorante statu quo che stimiamo dovutoci malgrado scadenza trattato 1868, se simultaneamente non si stipula conveniente accordo commerciale colla Francia. Tenuto conto però delle difficoltà accennate dal signor Hanotaux e, per desiderio di conciliazione, noi potremmo, quantunque non lieve sia il sacrificio per una importante nostra industria, consentire a che sia per ora lasciata libera dall'una e dall'altra parte la categoria della seta. Se questo concetto è costi ammesso come base di possibile accomodamento, si potrebbe intanto senza indugio stipulare un accordo preliminare comprendente i seguenti quattro punti: l) negoziare colla Francia un nuovo trattato italo-tunisino nel quale dal trattamento della nazione più favorita sarebbe escluso il trattamento riservato alle merci francesi; 2) negoziare tra la Francia e l'Italia una convenzione di navigazione sulla base del trattamento della nazione più favorita; 3) negoziare tra la Francia e l'Italia un accordo commerciale sulla tassa della tariffa minima francese e del trattamento italiano di favore con reciproca riserva di libertà per la categoria delle sete la quale continuerebbe a soggiacere, rispettivamente, alla tariffa massima francese e alla tariffa generale italiana; 4) prorogare il trattato italo-tunisino del 1868

fino a che sia compiuta la pattuita revisione dei trattati tunisini coll'AustriaUngheria e coll'Inghilterra, ed in ogni caso per non meno di un anno a decor

rere dalla scadenza. V. E. saprà senza dubbio fare apprezzare lo spirito moderato e conciliante delle nostre proposte con le quali miriamo sopratutto a risparmiarci una nuova cagione di reciproco dissidio e ad avviare verso un regime normale il complesso dei rapporti economici tra i due paesi.

(l) Non pubblicato.

109

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 1246. Parigi, 15 giugno 1896, ore 12,35 (per. ore 14,35). Prima di abboccarmi con Hanotaux circa proposta contenuta nel telegramma di V. E. in data di ieri (1), debbo fare osservare relativamente a clausola di riservata libertà della categoria sete che nel sistema francese delle tariffe autonome tale libertà sussiste sempre potendosi in ogni tempo elevare od abbassare i diritti doganali tanto della tariffa generale quanto della tariffa minima. In secondo luogo debbo far osservare che il Ministro francese non può senza approvazione parlamentare impegnarsi preliminariamente a stipulare con noi sovra basi determinate. Tale suo impegno non avrebbe valore mentre nostra annuenza a trattare con Francia per trattato Tunisino ci impegnerebbe invece in modo definitivo; per tale nostra annuenza solo è affatto inutile aspettarci alcun compenso dopo che gli altri Stati l'hanno data e se questi, come è da prevedersi ci precederanno anche nelle concessioni relative alle capitalazioni, mentre noi ci sforzeremo di salvare la finzione dell'esistenza delle medesime, l'effetto sarà che anche di ciò non ricaveremo alcun nostro profitto nemmeno politico. Non posso nascondere a V. E. che le proposte espresse nel suo tele

gramma in data di ieri non hanno alcuna probabilità di essere qui favorevolmente accolte.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1057. Roma, 16 giugno 1896, ore 16,30. La ringrazio delle sue osservazioni alle quali tosto rispondo: l) Non so se la Francia possa aumentare liberamente la sua tariffa miaima verso i paesi convenzionati. In ogni modo per le sete noi accettiamo, contro reciprocità, precisamente quello che Méline desidera, cioè che esse continuino a soggiacere alla tariffa massima francese; 2) Dubito che costi occorra, per un semplice impegno di negoziare, l'approvazione parlamentare. In ogni caso, concordandosi la proroga del trattato tunisino, non mancherà il tempo di adempire, rispetto a quell'impegno, ogni occorrente formalità costituzionale;

3) L'impegno nostro di negoziare con la Francia per Tunisi costituisce certo, per sé solo, e fin dal primo momento, una importante concessione politica.

Questa, però, in caso d'insuccesso dell'intero negoziato complessivo diverrebbe meramente platonica, mentre in caso di successo troverebbe nel successo mede·simo un ampio compenso;

4) La Francia non ci ha mai chiesto, nè direttamente nè indirettamente, e neppure ha chiesto alle altre potenze una rinuncia a quanto ancora rimase di effettivamente vigente, a Tunisi, delle vecchie capitolazioni. Non vedrei modo, nè opportunità, di farne spontanea offerta, mentre per quanto trattasi di cosa oramai quasi nominale, l'impressione qui sarebbe tutt'altro che favorevole;

5) Certo sarebbe alquanto ottimista la previsione immediata del successo; però neppure essa può dirsi irragionevole. Delle quattro nostre proposizioni quella che si riferisce al trattato tunisino concorda addirittura con la proposta francese; quella che si riferisce alla convenzione di navigazione non sollevò obiezione alcuna da parte del signor Hanotaux, essendo, del resto, pienamente favorevole alla Francia; quella che si riferisce alla proroga del trattato tunisino è da Lei stesso considerata ammissibile in massima, salvo precisa durata; quella, infine, che si riferisce all'accordo commerciale accoglie integralmente una delle due eccezioni francesi, l'eccezione concernente le sete, mentre l'altra eccezione riflettente i vini è da noi dimostrata assolutamente infondata.

Ciò stante, io penso che V. E. possa senza esitazione intraprendere, sulle basi da me tracciate, l'arduo negoziato. Ho tanta fiducia nel tatto e nella abilità Sua che non dispero punto del successo.

(l) Pubblicato al numero precedente.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. RISERVATISSIMO PER LEI SOLO 1277. Parigi, 17 giugno 1896, ore 19,15 (per. ore 20,50).

Ho esposto ad Hanotaux quattro punti del telegramma di V. E. 14 corr. (l); ne prese nota astenendosi da speciali obiezioni circa i tre primi; per il quarto, relativo alla proroga del trattato tunisino 1868, egli vorrebbe che da parte nostra c'impegnassimo, nell'atto di proroga, a rinunziare, anche durante il periodo di essa, al trattamento speciale che la Francia, come Stato protettore, stabilisse per sè stessa in Tunisia. Non volle accettare per iscritto i punti suddetti, ne prese nota per sua memoria. Appariva non essere preparato a rispondere senza avere consultato principali suoi colleghi.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

T. 1082. Roma, 18 giugno 1896, ore 14,12.

Anche per mia norma, in occasione prossima discussione bilancio esteri, desidererei conoscere a qual punto sia il negoziato tra l'Austria-Ungheria e la Francia per la revisione del trattato di commercio Austro-tunisino.

(l) Pubblicato al n. 108.

113

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 1333. Parigi, 24 giugno 1896, ore 19,30 (per. ore 21,50). Risulta da mio colloquio d'oggi con Hanotaux che sebbene non esista più opposizione assoluta a trattare con l'Italia per la convenzione commerciale, non si è neppure ancora formulata nel Gabinetto l'opinione favorevole all'immediata trattativa. Un accordo complessivo, che comprendesse tutte le questioni contemplate, non avrebbe probabilità di riuscita. Un semplice impegno di negoziare formulato in un accordo non avrebbe, agli occhi di Hanotaux, valore maggiore della espressione del suo serio intendimento di raggiungere gradatamente lo scopo di regolare normalmente gli interessi commerciali dei due paesi. Questo Ministro insiste perciò perchè si negozi subito la Convenzione di navigazione e si stipuli, prima di settembre, quella per Tunisi. Da questo accordo, egli dice, sarà predisposta l'opinione pubblica a riassumere l'accordo commerciale. Trat

tengo fino domani sera corriere di Gabinetto per mandare rapporto particolareggiato.

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UMBERTO I ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

(Carte Eredità Nigra)

T. RISERVATO Monza, 25 giugno 1896, ore 17,25. Prince Naples à Moscou a trouvé très sympathique princesse Hélène de Montenegro et il désirerait l'épouser. Reine et moi approuvons ce projet de mariage. Prince Régnant de Montenegro se trouvant à Vienne il faudrait savoir si ce mariage correspond aux idées de la Princesse Hélène d'abord puis aux siennes. Il nous parait nécessaire que la conversion de la Princesse à la réligion catholique précède le mariage; s'il en était autrement cela pourrait nous causer des embarras que vous comprendrez parfaitement; il faudrait donc tàter aussi sur ce point important le Prince avant son départ, sans en faire cependant une question sine qua non. Il ne s'agit bien entendu que de préliminaires dont le secret doit ètre absolument gardé de part et d'autre. Si la solution sera favorable le Prince se réserve d'aller lui-mème à Cettigne traiter directement du mariage. Vous possédez mon cher ami, toute notre confiance et je vous prie par conséquent de vous charger personnellement de cette mission très délicate

dont vous vous acquitterez, je suis certain, avec l'habilité et le dévouement que vous avez toujours témoigné à notre égard.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, A UMBERTO I

(Carte Eredità Nigra)

T. RISERVATO Vienna, 26 giugno 1896.

J'ai sondé le Prince de Montenegro. Je l'ai trouvé bien disposé à donner son consentement et très flatté de l'honneur. Son langage montre que la Prin

cesse Hélène consentirait également. Le Prince désirerait qu'on célébràt la mariage mixte et que la conversion eut lieu plus tard. Mais je lui ai dit que la Princesse ne pourrait entrer à Rome sans etre catholique. Le Prince comprend cette nécessité, et il m'a laissé entendre qu'il se preterait à tous les accomodements possibles. Il désire que le Prince de Naples aille à Cettigne, et il lui conviendrait qu'il arrivàt à Antivari le 9 Juillet notre style. Il fut entendu que je lui écrirai à Cettigne pour l'informer si ce voyage est possible. Je prie en conséquence V. M. de me télégraphier à ce sujet. En cas affirmatif il sera bon que le Prince soit accompagné par q':lelqu'un qui puisse traiter avec fermeté et compétence la question de réligion (1).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 1349. Parigi, 26 giugno 1896, ore 15,30 (per. ore 17,40).

Miei rapporti relativi accordi commerciali ~ono partiti ieri sera per corriere. In essi ho esposto il punto di vista francese, quale risulta dal linguaggio di Hanotaux, e la convinzione che ogni altro tentativo per farlo cambiare riuscirebbe vano.

Prego il Ministero di voler aver presente, quando delibererà definitivamente, che l'intento nostro è di mettere sopra un piede normale i rapporti fra i due paesi; che l'alterazione di questi rapporti ebbe origine dall'impressione prodotta in Francia dalla posizione politica presa contro essa dall'Italia e che non possiamo fondatamente sperare di distruggere gli effetti di tale stato d'animo senza qualche sacrificio nostro ne' primi accordi destinati a squarciare il velo e che tenne sin qui assolutamente divisi i due paesi. Oggi queste cose non sono più dette dai Ministri francesi al Rappresentante italiano a Parigi, ma non possiamo non pensarle noi stessi,' giacchè se vogliamo uscire dalle difficoltà di una situazione divenuta cronica, dobbiamo anzitutto renderei conto delle cose quali sono e non vederle quali esse dovrebbero essere. Per me non vi ha dubbio che se prima di settembre avremmo fatto nulla per Tunisi, i rapporti nostri colla Francia rientreranno in una fase di tensione acuta, che abbraccieranno il complesso degli interessi.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. RISERVATO 1170. Roma, 29 giugno 1896, ore 18,30.

Ricevuto rapporti 24 e 25 giugno (1). Assolutamente inaccettabile è la proposta del signor Hanotaux di !imitarci a stipulare la convenzione di navigazione e l'accordo definitivo per Tunisi sulle note basi.

trattative dal Nigra, si conservano nel fascicolo vari altri documenti, telegrammi di re Umberto (29 giugno, 4, 6, 23 luglio, ed 11 agosto 1896), del Visconti Venosta al Nigra (17 agosto 1B96) e minute di telegrammi del Nigra al Re, (1, 4, 9, 24 luglio, 12 agosto 1896), che non si è ritenuto necessario pubblicare.

6 -Documenti diplomatici -Serie III -VoL I

Del pari è inaccettabile la combinazione da Lei accennata e consistente nello stipulare la con~enzione di navigazione non che una proroga del presente trattato tunisino con immediata riserva del trattamento francese e con impegno da parte nostra di negoziare con la Francia il nuovo trattato definitivo, essendo manifesto che con tali condizioni la proroga avrebbe tutti gli effetti politici ed economici del trattato definitivo. Consci della gravità della situazione che fatalmente si produrrebbe tra i due paesi se allo spirare dell'attuale trattato italotunisino niun altro accordo avrà potuto essere stipulato, noi dobbiamo insistere sulle proposte nostre che, dopo lo scambio d'idee intervenuto, ed anche dopo le dichiarazioni dello stesso signor Hanotaux, sempre più ci sembrano eque, ragionevoli e conciliabili con le particolari esigenze d'entrambe le parti. Scrivo a

V. E. un dispaccio, riassumente il nostro pensiero, che Le giungerà posdomani mattina.

(l) Sulla questione del fidanzamento del principe di Napoli e sulla parte avuta nelle

(2) Non pubblicati.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. RISERVATO 1375. Parigi, 30 giugno 1896, ore 13,20 (per. ore 15,25).

Domani, giorno d'udienza, vedrò probabilmente Hanotaux ed insisterò, secondo le istruzioni telegrafiche di V. E., nel miglior modo possibile, ma non debbo lasciare al Governo di S. M. la speranza che la mia insistenza possa riuscire ad altro che all'accertamento dell'insuccesso dello scambio d'idee amichevoli ufficiose, intese a ricercare, in buona fede, da ambe le parti, se le condizioni presenti avrebbero permesso, con speranza di esito favorevole, la apertura delle trattative formali. Questo accertamento, quand'anche dovesse essere accompagnato da frasi cortesi e dalla mantenutaci profferta francese di trattare per Tunisi, segnerà l'interruzione di ogni preliminare trattativa, ed importa che io sappia se la accettazione di tale interruzione sia nelle precise intenzioni del

R. Governo. Mi è doloroso che la previsione da me formata, quando si costituì Gabinetto Méline, ed espressi nel rapporto 7 maggio n. 398 (1), stia per verificarsi.

Temo di non essere riuscito a far comprendere al R. Governo che dal Ministero francese attuale, che trae la sua forza dal protezionismo, non ci potevamo aspettare l'arrendevolezza che ci dimostrava Gabinetto radicale precedente. Ho la coscienza di non aver lasciato possibile credere l'accettazione quattro nostre proposizioni; debbo anzi aggiungere che il rumore suscitato dall'incidente dei coatti arrestati a Tunisi non permette più la speranza di riuscire, mediante la proroga del trattato del '68, ad allontanare il momento della discus· sione e risoluzione della questione delle Capitolazioni.

(l) Recte: 4 maggio. Pubblicato al n. 94.

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IL CONSOLE A TRIPOLI, MOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. 473/206. Tripoli, l luglio 1896.

Era facilmente prevedibile, ed io l'aveva preveduto nel mio rapporto delli 27 giugno (l) testè decorso, che i francesi avrebbero voluto trarre profitto della triste fine della spedizione Morès per mettere in atto i loro piani lungamente meditati per togliere -se non di diritto almeno di fatto -Ghadames alla Tripolitania.

Segnalo ora a V. E. due articoli della « Dépeche Tunisienne ~ del 22 e 24 giugno, in cui le mire francesi sono chiaramente delineate.

Sull'ultima carta francese della Tunisia, compilata dallo Stato Maggiore nel 1896, la frontiera si arresta a Bir Geneien ed io osservava la scorsa settimana che l'ammissione di quel tracciato era volontaria e punto dovuta a dimenticanza.

l

Ora infatti, valendosi di questa voluta ammissione, essi sostengono che la località del massacro (El Uatia) e la vicina Sinaun sono territorio dei Tuareg, cioè res nullius a disposizione del primo occupante ed anzi, colla comoda teoria che gli Hinterlands seguono generalmente i paralleli ed i meridiani, fanno rientrare non soltanto Sinaun, ma anche Ghat e Ghadames nell'Hinterlands tunisino. Ma la teoria non regge di fronte al vero stato delle cose.

La teoria secondo cui gli Hinterlands .seguono i paralleli ed i meridiani è vera soltanto per quelle regioni di cui soltanto la costa è stabilmente occupata da potenze europee mentre la parte interna, sconosciuta o poco esplorata, non ha occupazione stabile nè Autorità costituite.

Si finge di ignorare che il caso è ben diverso per la Tripolitania perchè la Turchia, oltre ad aver occupata fortemente la linea della montagna da Misurata a Garian, Iffren e Nulut, ha anche una stabile guarnigione ed autorità militari, civili e giudiziarie in Fezzan, in Ghadames ed in Ghat, a qualche centinaio di miglia nell'interno. Se dunque è vero che il meridiano che passa per Zarzis (Tunisia) comprenderebbe Ghat e Ghadames nell'Hinterland tunisino, l'occupazione stabile di quelle località da truppe turche e da Autorità regolari Amminitrative esclude che si possa ad esse estendere la teoria degli Hinterland percorrenti i meridiani.

La contraddizione è evidente, anzi è evidente l'ipocrisia. Si dice ipocritamente di non voler contestare alla Turchia il possesso di Ghadames e Ghat, ma poscia si vuol togliere ad essa Sinaun che è il nodo delle strade che da Tripoli conducono appunto a Ghadames e Ghat. Sarebbe come riconoscere ad un privato la proprietà di un terreno, negandogli poscia ogni strada di accesso alla sua proprietà.

Del resto non è cosa nuova; già il Comandante Rebillet aveva chiaramente espressa quell'idea ed i motivi storici e geografici furono da me combattuti con i miei rapporti delli 22 e 28 gennaio 1896, nn. 39 e 52, e 10 febbraio

n. -89, diretti alla R. Ambasciata di Costantinopoli, ma per copia trasmessi al R. Ministero Esteri. E mi sembra ora inutile il ripetere quanto ebbi allora l'onore di riferire.

I giornali della Tunisia giunti oggi stesso hanno portato la notizia di trattative in corso fra la Francia e Turchia per l'occupazione stabile di Ghadames da parte dei francesi. Ritengo la notizia come tendenziosa, nè vi posso prestar fede. Sarebbe un disastro per il commercio tripolino e per l'autorità morale della Turchia. Questa Autorità morale, già scossa per le frequenti invasioni sempre impunite da parte dei Uargamma e degli Spahis tunisini, diventerebbe nulla affatto qualora Ghadames venisse ceduta e le tribù di frontiera, già stanche e sfiduciate come ho riferito a V. E., oramai abbandonerebbero gli ultimi scrupoli ed alla prima occasione si darebbero alla Francia.

(l) -Non pubblicato.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. 1389. Parigi, 2 luglio 1896, ore 1,35 (per. ore 6).

Esposi argomenti nostri riassunti nel dispaccio di V. E. pervenutomi questa mattina (1), ed ho offerto ad Hanotaux di !asciargli, a titolo privato, fra le mani il rapporto stesso, acciocchè egli degli argomenti potesse aver sotto gli occhi più completa ordinata esposizione. Questo Ministro ricusò di prendere il dispaccio, dicendomi che io poteva dare al mio Governo l'assicurazione che tutti gli argomenti erano stati da lui studiati perfettamente. Al pari di noi, egli non desidera affatto arrivare alla scadenza di settembre senza aver provveduto per la Tunisia; ma egli si dichiara impotente a persuadere il Consiglio dei Ministri a fare un accordo commerciale prima che n· terreno sia appianato da accordi che considera di minor importanza; i quali, creando un movimento di interessi favorevole, presentemente inattivo, renderà possibile affrontDre l'opposizione che ora attraverserebbe certamente la via. Cedendo alla mia resistenza Hanotaux consentì a portare la cosa di nuovo in Consiglio dei Ministri per vedere se sarebbe possibile una intesa che lo autorizzi a fare un accordo di proroga per Tunisi colla conosciuta riserva, la convenzione di navigazione ed una nota a me diretta che impegnerebbe il Governo attuale a trattare per accordo commerciale, appena sarebbe possibile. Egli aveva preparato una memoria dimostrativa degli interessi reciproci per la convenzione di navigazione, ma avendo egli ricusato di prendere visione del dispaccio contenente l'argomentazione nostra, io non ho voluto ricevere quella memoria.

Trovai Hanotaux eccessivamente impressionato dei discorsi tenuti dai deputati nella discussione del bilancio degli affari esteri, gli sembra che il processo dei fatti passati e delle intenzioni supposte della Francia, nello scopo di segnalare in piena pace al paese nostro la Francia come un nemico dell'Italia, avrebbe

dovuto produrre nell'Assemblea stessa e da parte di chi dirige i dibattimenti un movimento di reazione e che l'avere quegli oratori potuto tenere la tribuna per due intere sedute, eccitando approvazioni, indica di quali sentimenti è dominata l'opinione pubblica in Italia. Egli crede che il sentimento francese si risentirà di simili dimostrazioni, e ciò deve rendere ancora più cauto il Gabinetto francese nel prendere impegni che l'opinione impreparata non sanzionerebbe. Nel corso del colloquio egli giunse fino a dire il concetto che la persistenza nostra a voler presentare tutti gli accordi insieme che, riuniti, naufragherebbero e presentati invece gradatamente avrebbero favorevole esito, fa nascere la supposizione che più che altro da noi si cerchi di mettere, comunque sia, in sodo che l'Italia ha voluto trattare e che la Francia vi si è ricusata. Ho naturalmente respinto vigorosamente la supposizione, sulla quale il Ministro non ha insistito, concludendo per ultimo, ma assai a stento, che porterebbe nuovamente la cosa in Consiglio dei Ministri. Egli mise in evidenza che dell'impegno scritto di trattare per l'accordo commerciale noi non potremmo valerci in Parlamento senza suscitare qui le opposizioni che il Ministero non crede potere affrontare presentemente e che il Ministero non può con un impegno suo vincolare gli eventuali suoi successori.

(l) Non pubblicato,

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

T. s. n. Berlino, 2 luglio 1896, ore 20,15. Il resoconto del discorso di ieri del Presidente del Consiglio (l) contiene la seguente frase: « Il R. Governo ha intenzione di modificare il trattato di Triplice Alleanza. La possibilità di far ciò fu espressamente stipulata». Il Cancelliere dell'Impero mi chiese poc'anzi se sapevo spiegargli il senso di quella frase ed a quale :intenzione del R. Governo essa alludesse. Gli risposi che non conoscevo ancora il testo preciso delle parole pronunciate dal Presidente del Consiglio, ma ritenevo abbia soltanto voluto, senza speciale intenzione, dichiarare che esiste, come realmente esiste, nel trattato la possibilità di modificazioni di cui sia dimostrata l'utilità dalle circostanze.

Credo che Biilow sarà invitato a conferire in proposito con V. E. Pregherei, ad ogni modo, di favorirmi istruzioni per norma di linguaggio.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

R. RISERVATO 2276/565. Parigi, 2 lugLio 1896.

Quando ieri, giorno di consueto ricevimento, il signor Hanotaux ricevette la mia visita, egli teneva innanzi a sè il resoconto della discussione del bilancio

degli affari esteri nel Parlamento nostro ed un foglio contenente, secondo che

egli stesso mi disse, un telegramma dell'Ambasciatore della Repubblica a Roma

sullo argomento medesimo. Il reso conto era quello che ne ha dato l'Agenzia tele

grafica Havas il quale comprendeva i discorsi degli on.: Nasi, di San Giuliano,

Damiani, Lucifero e quello di V. E. Del telegramma del signor Billot vidi soltanto

che la traduzione occupava circa due facciate di grande formato.

Il Ministro si mostrava impressionato, in modo assai dispiacevole, dal fatto che in piena pace, senza che nessun nuovo incidente vi abbia dato causa, mentre anzi i Governi cercano la possibilità di un ravvicinamento cordiale e duraturo, nel Parlamento italiano si siano occupate due intiere sedute a rinvangare tutto ciò che poteva in passato aver cagionato fra i due paesi nostri dissidii e sospetti e si fosse prosseguito un vero processo di intenzioni per additare all'opinione pubblica italiana la Francia come il naturale, perpetuo nemico. Nessuno, soggiungeva il Ministro, ha stimato poter interrompere una discussione siffatta, destinata a risuscitare polemiche astiose. Non era intendimento suo di muoverne lagnanza nel colloquio che avevamo in quel momento insieme. Egli avea cercato inutilmente una parola del Presidente della Camera che avesse richiamato gli oratori troppo ardenti ed immaginosi a stare nel limite della verità e a non attribuire gratuitamente ad uno Stato amico le intenzioni che questi per certo non manifestava. Il linguaggio di V. E. era sembrato al signor Hanotaux corretto nella forma e nella sostanza. Vi avea trovate affermazioni di amicizia di cui non era per certo da contestarsi il valore. Ma il linguaggio stesso gli era sembrato assai rimissivo verso oratori che avevano parlato della Francia come di una potenza aggressiva e nemica. Questa circostanza nonchè gli applausi e le approvazioni che nel resoconto sottolineavano gli attacchi degli oratori stessi, lo impensierivano grandemente. Non era nell'animo 'suo di parlarne a me per recriminare. Ma che cosa direbbe, -così si esprimeva egli, -la stampa italiana se nella Camera francese, per due giorni consecutivi, si facesse nella stessa guisa e con la stessa veemenza, il processo della politica passata dell'Italia, s'incriminassero le sue intenzioni, si suscitasse contro di essa la passione popolare? Il signor Hanotaux ricercava inutilmente nella sua memoria un esempio precedente di un fatto parlamentare in Europa paragonabile a quello che si era prodotto in questi giorni a Montecitorio.

Tutte queste cose come erano dette con quelle cautele di linguaggio che escludono in modo assoluto il pensiero di un sindacato indebito sovra ciò che si produce in un parlamento straniero e può essere soltanto la manifestazione di opinioni politiche, destinata ad influire sulle condizioni interne di un paese estero. Sotto questo punto di vista le parole del signor Hanotaux non avrebbero potuto dare presa ad osservazione di sorta. E le conclusioni sue, tendenti a deplorare anticipatamente le polemiche dei giornali francesi e l'effetto che ne risulterebbe nella opinione pubblica contrario a quella nacificazione d'animi che sarebbe nell'interesse ben inteso dei due Paesi, erano la espressione di un sentimento amichevole a riguardo nostro. Ammetteva il mio interlocutore che nelle mosse dei partiti interni di un paese non bisogna mai ricercare la indicazione delle tendenze della politica di una Nazione in riguardo alle altre. Nè egli si esagerava la durata di impressioni le quali non aveano fortunatamente base in fatti nuovi, nè nella realtà delle cose. Ma se nella mente degli oratori che più violentemente si erano manifestati avversi alla buona intesa colla Francia, vi fosse stato il pensiero di ritardare per lo meno il momento in cui di essa si sarebbero veduti gli effetti, per certo tale scopo era conseguito. Comparve cionondimeno nel giornale il Temps che porta la data del 2 luglio un articolo di fondo sotto il titolo «Delenda Carthago » che a me pare di dover segnalare a V. E. poiché, contraddicendo alle previsioni del signor Hanotaux, invece di esprimersi astiosamente contro l'Italia, manifesta il desiderio che il pubblico francese non s'abbia a lasciare impressionare sfavorevolmente da manifestazioni che sono attribuibili allo spirito di opposizione di una fraz:ione della Camera italiana contro il presente nostro Gabinetto.

Nel segnalare il linguaggio che oggi tiene l'importante giornale amico della politica del signor Hanotaux, mi resta soltanto ad augurare che tale linguaggio non abbia a subire modificazione. Intanto unisco a questo rapporto il resoconto dell'Agenzia Havas (l) nel quale è riferito il discorso che S. E. il Marchese Di Rudinì avrebbe pronunciato ieri alla Camera conchiudendo alla accettazione dell'ordine del giorno presentato dal Marchese di San Giuliano, uno degli oratori che qui furono considerati come i più aggressivi contro la Francia.

(l) Discorso alla Camera dei deputati, l luglio 1896.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. s. n. Roma, 3 luglio 1896, ore 14,40.

L'Ambasciatore di Germania ha parlato al Presidente del Consiglio delle dichiarazioni a lui attribuite dal telegrafo. Il Presidente del Consiglio lo ha pregato di comunicare al Cancelliere il testo ufficiale del suo discorso, e di aggiungervi il comunicato dell'Agenzia Stefani diramato ieri sera a tale riguardo. Se, nella seduta di ieri l'altro, il marchese di Rudinì ha parlato della possibilità di miglioramenti da introdurre eventualmente nel trattato si fu perchè il deputato Fortis lo aveva rimproverato di aver lasciato sfuggire due volte l'occasione di migliorare un trattato che, a suo dire non dava guarentigie sufficienti. In queste condizioni il marchese di Rudinì ha creduto bene di affermare che aveva mantenuto l'alleanza dopo avere riflettuto ed esaminato maturamente la situazione politica, perchè trovava che l'alleanza dava guarentigia efficace degli interessi italiani, ciò che non impedirebbe d'introdurvi miglioramenti ogni qualvolta le parti contraenti ne avessero trovato l'opportunità. La questione com'era posta dall'on. Fortis spiega la ragione delle dichiarazioni fatte dal marchese di Rudinì le quali senza di questo sarebbero state inopportune. La frase che l'Agenzia Stefani ha attribuito al marchese di Rudinì non esiste nel discorso e in tutti i casi non esprime il suo pensiero al punto che il marchese di Rudinl farà una inchiesta per sapere come la cosa è avvenuta.

(l) Non pubblicato.

124

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1192. Roma, 3 luglio 1896, ore 20,21.

Ringrazio per Suo telegramma. Approvo V. E. abbia insistito presso Hanotaux, sia per fargli apprezzare le nostre considerazioni sia per ottenere che la questione fosse riportata in Consiglio dei Ministri. Non posso però nasconderle, che, salvo ulteriore miglioramento, sarebbe assolutamente inaccettabile la combinazione consistente nella proroga del trattato tunisino con la nota riserva, nella firma della Convenzione di navigazione ed in una semplice nota, da non pubblicarsi, contenente l'impegno dell'attuale Gabinetto francese di trattare accordo commerciale appena sarebbe possibile. Una simile combinazione avrebbe il solo effetto di provocare la caduta del Ministero italiano che l'accettasse, con l'aggravante di un notevole peggioramento dei rapporti tra i due paesi. Deploro, al pari del signor Hanotaux, le recriminazioni e supp~sizioni recentemente annunciate circa la Francia nella nostra Camera. Essendo esse venute esclusivamente da deputati di opposizione ne ha fatto, del resto, giustizia il voto di fiducia riportato a grande maggioranza dal Ministero. Ho cercato, da parte mia, di correggerne l'effetto con amichevoli e cordiali dichiarazioni a Lei ormai note. È certo, ad ogni modo, che il miglior rimedio sarebbe un pubblico atto che facesse cessare l'ostracismo economico di cui l'Italia ha il privilegio in Francia e la Francia in Italia. Ed ora attendiamo la risposta del signor Hanotaux.

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, COSTANTINOPOLI, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, PANSA E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 1193. Roma, 3 luglio 1896, ore 23,5.

L'Ambasciatore di Turchia mi comunica un telegramma del suo Governo nel quale la Sublime Porta, dopo aver constatato che il Sultano deferendo al Consiglio delle Potenze, ha nominato il Governatore Cristiano per Creta, adottato il regolamento di Halepa, convocato l'Assemblea e concesso l'amnistia, si rivolge alle Potenze acciocchè agiscano sul governo greco per richiamarlo a contegno più corretto. Mi sono riservato di rispondere. Questa proposta del Governo Ottomano coincide con analoghe proposte del Governo austro-ungarico a cui si riferisce altro mio simultaneo telegramma.

126

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/6)

T. s. n. Roma, 13 luglio 1896, ore 23,45 (per. Sondrio, ore 5,50 del 14).

Necessità di risolvere una crisi difficile. Desidererei di dare al Gabinetto da me presieduto autorevole rappresentanza Senato e uomo politico di antiche tradizioni che mantenga Ministero carattere conservatore liberale. Mi fanno sperare che Ella voglia accettare aiutarmi come titolare Ministero Affari Esteri. La prego di telegrafarmi sua adesione di massima e favore partire per Roma.

127

IL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, MALVANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CAETANI

(A C)

L. CONFIDENZIALE Roma, 17 luglio 1896. Il Marchese di Rudini mi ha detto che il Marchese Visconti Venosta ha accettato, ma desidera che la cosa rimanga segreta fino al ritorno del Re, quando potrà giurare. Ai diplomatici che interrogano, siamo autorizzati, Bonin ed io, a dire che

l'accettazione può considerarsi come assicurata, e che la decisione officiale è aggiornata fino al ritorno del Re.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI ITALIANI ACCREDITATI ALL'ESTERO

T. 1318. Roma, 20 luglio 1896, ore 17,30. Assumo oggi Ministero Esteri con fermo proposito serbare inalterato indi

rizzo politico che recenti voti parlamentari riaffermarono conforme agli interessi ed alla volontà del paese.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1522. Parigi, 22 luglio 1896, ore 19,40 (per. ore 21,45). Dal colloquio avuto oggi con Hanotaux riporto impressione che Gabinetto francese pur dimostrandosi sempre favorevolmente disposto creare un riavvi

cinamento col mettere le relazioni di commercio e di navigazione in uno stato normale, si otterrà (sic) pel momento nel negare di collegare negoziati relativi all'accordo commerciale con quello della rinnovazione del trattato Tunislno. Circa impegno di trattare per accordi commerciali Hanotaux mi ha detto di nuovo che l'impegno se deve essere pubblico perchè noi ce ne possiamo valere davanti al Parlamento, susciterebbe in Francia un'opposizione ancora maggiore che la presentazione di un accordo concluso, e se deve essere segreto è un atto inutile fra Ministri uno scambio in buona fede di intendimenti amichevoli. Egli non ha più parlato di collegare la trattativa tunisina con quella della convenzione di navigazione; in sostanza le disposizioni presenti qui sono per una trattativa immediata e separata per la rinnovazione del trattato con Tunisi, per la qual~ Hanotaux dice essere disposto a cercare le formole più attenuate e più accomodanti per noi, consacrando ad ottenere questo resultato, una parte delle sue vacanze estive.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V)

L. P. Vienna; 22 luglio 1896. Vi dò il benvenuto alla Consulta. Mi congratulo della vostra risoluzione, non tanto con voi, quanto col nostro paese, e col Re. Vi ringrazio del vostro telegramma personale. Tenterò di essere quì interprete vostro fedele. Certo non avrete bisogno dei miei consigli. Ma vi dirò sempre ciò che penso e ciò che vedo. Questo passo del resto è importante soltanto per un lato. C'è una situazione delicata che esige un'attenzione continua e richiede sopratutto una grande confidenza reciproca. Lo stato delle nostre relazioni coll'Austria è improntato a questa fiducia, ed esse non potrebbero essere più cordiali. Vi fo sapere per ogni buon fine che Pasetti, il quale fu per lungo tempo I° Capo Sezione al Ministero Austro-Ungarico (vale a dire Sottosegretario di Stato) è qui molto ascoltato. Vi esorto ad avere fiducia in lui e a valervi della sua opP.ra il più che potrete. Nelle questioni generali, salvo quelle che toccano i Balcani, l'AustriaUngheria viene in seconda linea. Per le questioni mediterranee essa seguirà l'Inghilterra e l'Italia, ma non prenderà iniziativa. Essa non si crede obbligata ad aiutarci in Africa, dove siamo andati senza consultarla e non si crede impegnata se non molto indirettamente negli affari della Tripolitania e del Marocco. Importerà il non perdere d'occhio lo stato preciso dei nostri impegni reciproci

per non esporci a disinganni. È qui aspettata per la fine di agosto la coppia Imperiale Russa.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 1540. Parigi, 24 luglio 1896, ore 16,26 (per. ore 18,10).

Sono avvertito che la Francia e l'Austria-Ungheria si sono intese per il regolamento delle cose tunisine presso a poco sulla base seguente : Rinunzia assoluta, ed in ogni caso ad invocare il regime delle Capitolazioni, godimento in ogni materia del trattamento della nazione più favorita, ad eccezione del trattamento francese, quando non esistesse in Tunisia alcun trattamento di favore per altro Stato; godimento in Tunisia del trattamento che l'AustriaUngheria ha in Francia. In compenso la Francia rinunzia, per la durata del trattato Austro-Italiano, ad invocare per i suoi vini il trattamento italiano in Austria-Ungheria. L'accordo è preso in una forma che non rende necessaria l'approvazione dei Parlamenti rispettivi.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1547. Vienna, 25 luglio 1896, ore 14,15 (per. ore 15,25). Le notizie circa l'accordo commerciale austro-francese per Tunisi contenute

nel telegramma di Tornielli sono esatte. Esse confermano quelle da me mandate a codesto Ministero col rapporto 22 giugno scorso n. 462 (1).

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1558. Vienna, 26 luglio 1896, ore 6,45 (per. ore 19,35). Accordo commerciale austro-francese su Tunisi non è firmato ma è convenuto. Quando io chiesi a Goluchowsky, in conformità dispaccio del 30 giugno (1),

di non affrettare la firma, egli mi disse che parte sua non l'affretterebbe, ma che se la Francia lo richiedeva, egli non avrebbe potuto ritirare il suo consenso.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA. AGLI AMBASCIATORI A COSTANTINOPOLI, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, PARIGI, LONDRA, PANSA, NIGRA, LANZA, MAFFEI, TORNIELLI, FERRERO, E AL MINISTRO AD ATENE. AVARNA.

T. 1366. Roma, 26 luglio 1896, ore 19. L'incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria mi ha comunicato un telegramma del Conte Goluchowski nel quale questi propone: l) che in conformità del noto telegramma identico degli Ambasciatori a Costantinopoli i Ministri delle Potenze ad Atene facciano presso il Governo Ellenico un nuovo passo per invitarlo ad impedire l'invio d'armi e munizioni in Creta, e che questo passo si

faccia in forma di nota collettiva riproducente la conclusione del predetto telegramma degli Ambasciatori; 2) che in vista di un eventuale rifiuto del Governo

Ellenico le potenze prendano in considerazione il progetto di un blocco dell'isola di Creta da attuarsi di comune accordo tra le potenze e la Porta, e da notificarsi nel momento opportuno al governo ellenico, con una ulteriore nota. Circa il primo punto ho detto all'Incaricato d'Affari che il R. Ministro ad Atene ha già istruzione di associarsi agli uffici che tutti i suoi colleghi siano autorizzati a fare presso il Governo Ellenico nel senso del telegramma identico degli Ambasciatori, e tale istruzione è abbastanza larga da consentire anche la partecipazione ad una nota collettiva nel senso proposto dal Conte Goluchowski. Circa il secondo punto che si riferisce ad eventualità ancora futura, ho detto all'Incaricato che desideravo anzitutto conoscere in proposito l'impressione anche degli altri Gabinetti amici.

(per Berlino) V. E. già mi lascia intravedere col suo telegramma di iersera, il modo di vedere di codesto Gabinetto. (per Parigi, Londra, Pietroburgo) Voglia indagare confidenzialmente e riferirmi il modo di vedere di codesto Gabinetto.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS

D. s. n. Roma, 26 luglio 1896.

Il Conte di Benomar è venuto a farmi la comunicazione da Lei annunciata con telegramma del 7 luglio (l) e rapporto del dì successivo.

Il Duca di Tetuan, così mi disse l'Ambasciatore, grandemente apprezza e sinceramente gradisce le buone disposizioni dimostrate dal mio predecessore rispetto al noto negoziato, e ne trae nuova conferma al proposito di mantenere la sua politica sul terreno dei principii e delle intelligenze costituenti l'accordo scaduto. L'Italia e i suoi alleati non ritenendo possibile la proposta aggiunta di una clausola che garantisca Cuba contro ogni aggressione o intromissione straniera, la rinnovazione di quell'accordo senza la detta guarentigia costituirebbe per il governo della Regina Reggente una gravissima responsabilità, mancando lo assenso del partito liberale, nè potendosene ripromettere l'accettazione e il rispetto. Però il Conte di Benomar era autorizzato a dichiarare che, fintanto che duri al potere il gabinetto conservatore, la sua politica verso l'Italia e verso i suoi alleati si ispirerà alle stesse condizioni come se il patto fosse stato rinnovato.

Il Duca di Tetuan, facendo assegnamento sulle nostre buone disposizioni incaricava infine l'Ambasciatore, nell'interesse della Spagna in particolare, ed in generale nell'interesse dell'Europa marittima e coloniale e del principio monarchico, di richiamare fin d'ora la nostra attenzione sopra un Memorandum che prossimamente sarà inviato a tutte le grandi Potenze di Europa per esporre i pericoli che, per l'avvenire di Cuba, possono derivare, moralmente e materialmente, dalla condotta degli Stati Uniti, e per sollecitare l'appoggio dell'Europa, a Washington, di fronte a così gravi difficoltà.

Ho ringraziato, a mia volta, l'Ambasciatore della sua importante comunicazione. Gli dissi il mio rincrescimento del non essersi rinnovato il patto, che costituiva un vincolo di più tra l'Italia e la Spagna, osservando che questo stesso mio rincrescimento doveva dimostrargli il pregio in cui io tengo gli intimi e cordiali rapporti tra i due paesi. Aggiunsi che, essendo transitorii i motivi che trattenevano la Spagna dal rinnovare quel patto senza la guarentigia

per Cuba, io nutrivo speranza che più tardi si potesse giungere, con vantaggio comune, ad un accordo. Dichiarai che gradivo ed apprezzavo la dichiarazione fattami dall'Ambasciatore, in nome del suo governo, che, cioè, finchè duri il gabinetto conservatore la politica sua sarà quella stessa che trovavasi concretata nell'accordo del 1887. Conclusi, infine, assicurando che, non appena l'annunciato Memorandum mi sia comunicato, lo esaminerò con particolare attenzione e con l'intendimento più amichevole, e tosto mi porrò in comunicazione con gli altri gabinetti per conoscerne il pensiero.

Quanto precede è per notizia di Lei, segnatamente per il caso che delle dichiarazioni da me scambiate nella presente circostanza coll'Ambasciatore di Spagna, Le accadesse di dover discorrere col Ministro di Stato o coi Colleghi Ambasciatori delle tre Potenze partecipi all'accordo del 1887 (1).

(l) Non rinvenuto.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

L. P. Roma, 27 luglio 1896.

Questa che vi scrivo è lettera particolare, benchè, stretto dal tempo, debba valermi d'altra mano. Già fin dal primo giorno vi avvertii che avrei spesso ricorso a Voi per assistenza e per consiglio.

Si tratta, oggi, di Tunisi. Ecco, in breve, come trovai a tale riguardo le cose, entrando alla Consulta.

Il trattato di commercio del 1868, scade col 29 settembre prossimo. Però il Governo francese aveva lasciato fin dal primo momento intendere che, pur di negoziare a Parigi, sarebbesi potuto concordare un nuovo trattato. Senonchè !asciavasi pure intendere che, col nuovo trattato, la Francia avrebbe dovuto avere un regime privilegiato in confronto di ogni altra potenza. L'offerta francese implicava, adunque, due concessioni nostre: concessione politica, negoziare con la Francia per Tunisi, concessione economica, rinunciare al pieno trattamento della nazione più favorita.

L'amministrazione Crispi sarebbe stata disposta a entrare per codesta via. Solo avrebbe voluto dei compensi d'indole territoriale dalla parte di Obok e Gibuti. I pourparlers abortirono ancora prima che si entrasse nello stadio di un vero e proprio negoziato. Il Ministero Rudinì-Sermoneta diede al negozio un nuovo indirizzo. Incoraggiato da cordiali dichiarazioni dei Ministri rapidamente succedutisi al Quai d'Orsay, il mio predecessore metteva innanzi (anche questi furono pourparlers confidenziali, non negoziati precisamente detti) la idea

di cumulare l'affare tunisino col regolamento dei rapporti commerciali tra l'Italia e la Francia sulla base dalla tariffa minima francese e della tariffa di favore italiana; e, dopo i primi scandagli, per meglio agevolare l'opera dei Ministri francesi offriva di concordare, con beneficio della Francia più che dell'Italia, anche una convenzione di navigazione, e di escludere dal trattato di commercio la categoria della seta, materia particolarmente scabrosa per un ministero Méline. Sussidiariamente, in vista della ò.ifficoltà di intendersi a breve scadenza, Sermoneta proponeva una proroga dello statu quo a Tunisi, per un altro anno. Pochi giorni prima della mia venuta alla Consulta era giunta una risposta poco confortante di Tornielli: Hanotaux ammetteva in massima la convenienza di ridare base normale ai rapporti commerciali tra i due paesi, ma non ne stimava maturo il tempo; era disposto ad accordare la proroga del trattato italo-tunisino, ma con la riserva che ne fosse escluso il trattamento privilegiato, vale a dire l'assoluta franchigia, da assegnarsi alla Francia. Questo è ancora, al dì d'oggi, lo stato delle cose, ed ora conviene deliberare sul da farsi.

Io penso dovere anzitutto insistere sulla combinazione messa innanzi da Sermoneta: offerta equa ed onesta, quando pure, dal punto di vista francese, possa ancora sembrare immatura. Qualora poi, com'è purtroppo probabile, il governo francese persista nel diniego, io mi proporrei di concentrare il nostro sforzo sopra una domanda di proroga; proroga pura e semplice, beninteso, e che non pregiudichi, in un senso o nell'altro, la questione. E la proroga dovrebbe essere concessa fino al momento in cui anche con l'Austria-Ungheria e l'Inghilterra subentrino 1i nuovi agli antichi Trattati. È chiaro che, non potendosi attuare in Tunisi l'unione doganale con la Francia, che è sostanzialmente l'obiettivo del lavoro diplomatico del Quai d'Orsay, la concessione che con la proroga ci si farebbe, avrebbe carattere prettamente nominale, mentre in Italia avrebbe utile effetto, sia come dimostrazione di buon volere da parte del Governo francese, e sia anche come opportuna predisposizione degli animi.

È evidente che la nostra domanda di proroga non ha pratico valore che ad una condizione; alla condizione cioè, che lo statu quo si protragga ancora per alcun tempo, in Tunisia, per l'Austria-Ungheria e l'Inghilterra. Per quanto concerne l'Inghilterra Ferrera assicura (ed io ebbi cura di farvelo sapere) che il Foreign Office non ha punto fretta di concludere, e non ha ancora risposto alle proposte francesi, benchè queste traggano titolo giuridico dall'art. 6 della Convenzione 15 gennaio 1896 per Siam. Per quanto concerne l'Austria-Ungheria, le notizie concordi vostre e di Tornielli sono meno propizie; ma anche rebus sic stantibus mi sembra che anche da Vienna ci possa venire aiuto.

Sarebbe certo irragionevole pretesa il volere che all'impegno già assunto da codesto Governo non abbia a tenere dietro la firma. Però il fatto stesso che il nuovo trattato austro-tunisino dovrebbe necessariamente rimanere lettera morta fin tanto che rimanga in piedi l'antico trattato anglo-tunisino, potrebbe legittimare l'indugio; come pure potrebbe del pari legittimarlo il desiderio che codesto governo ben può avere, di conoscere, prima di vincolarsi, le risultanze di fatto del negoziato pendente tra la Francia e l'Inghilterra.

Può inoltre concepirsi, dato che di fronte alle insistenze francesi, la firma non si potesse differire, che nello stipulare il nuovo trattato codesto Gabinetto chieda un certo intervallo tra la firma e l'attuazione del nuovo regime, tale essendo la consuetudine, come se ne ebbe esempio, tra l'Austria-Ungheria e l'Italia, per la nota clausola d'opzione rispetto al dazio sui vini.

Naturalmente, queste sono semplici idee, suggeritemi da un primo esame della situazione, sulle quali desidero conoscere anzitutto il vostro pensiero. Se vi paiono suscettibili di esplicazione concreta, vi lascerei volentieri la cura di determinarne il modo migliore. Non vorrei débuter presso codesto Governo con pratiche indiscrete e inopportune, ma neppure vorrei avere il rimorso d'aver negletto alcun mezzo atto ad agevolare la soluzione dell'arduo problema. Da voi mi può venire luce dapprima, e poi eventualmente, efficace cooperazione.

Attenderò una vostra lettera su questo tema con molta impazienza.

(l) Copia del dispaccio venne trasmessa nella giornata stessa dal Visconti Venosta al Nigra.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

T. 1392. Roma, 28 luglio 1896, o1·e 11,55. Ricevo rapporto circa Tunisi e ne rilevo che governo inglese non intende presentemente continuare negoziato con Francia per nuovo Trattato. Prego V. E. ringraziare Foreign Offìce per questa informazione che sarà tenuta strettamente segreta e cerchi di ottenere da Salisbury promessa che saremo avvertiti in

tempo utile se mai dovesse costì avvenire una modificazione di atteggiamento a tale riguardo.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1619. Vienna, 30 luglio 1896, ore 16,15 (per. ore 18). Conte Goluchowsky mi ha riferito che l'accordo commerciale austro-francese su Tunisi fu firmato in questi giorni a Parigi su richiesta del Governo francese. Egli mi disse che non aveva potuto riprendere nè sospendere il consen»o già dato ed esporre il proprio Governo alla alternativa di una guerra di tariffe colla Francia o alla concessione del trattamento italiano ai vini francesi. In seguito a ciò

non vi è più alcun assegnamento a fare sul concorso di questo Governo nei nostri negoziati su Tunisi.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/5)

L. P. Vienna, 30 luglio 1896. La notizia dettami oggi dal conte Goluchowski della firma avvenuta in Parigi

dell'Accordo commerciale austro-francese su Tunisi mi dispensa da lunghi commenti. Il Ministro austro-ungarico degli affari esteri mi aveva promesso or sono pochi giorni che egli non avrebbe affrettato questa firma. È vero però che m'ave~ va detto in pari tempo che se Hanotaux l'avesse richiesta, egli non avrebbe potuto rifiutarla. Ma non è men vero che almeno egli avrebbe potuto informarmi delle insistenze francesi qualche giorno prima. Ciò non avrebbe cangiato le cose, ma ci sarebbe stato un buon procedere a nostro riguardo. Il Conte Goluchowski mi ripeté a questa occasione, che non avrebbe potuto né riprendere, né sospendere la firma senza esporre l'Austria-Ungheria all'alternativa di una guerra di tariffe colla Francia, e alla concessione del trattamento italiano ai vini francesi nell'Impero. Quest'affare dei vini fu sempre la grossa questione, e il Governo austriaco non ci lascio mai ignorare che in fondo si sentiva nel torto verso la Francia, la quale in forza dei trattati in vigore ha diritto al trattamento di favore delle sue merci in Austria-Ungheria.

Comunque sia del resto avvenuta la cosa, il fatto della firma tronca ogni nostra illusione sopra un concorso qualsiasi di questo Governo a favore delle nostre trattative circa gli affari di Tunisi. Ho ragione di credere che quando Fasetti offerse a Sermoneta i suoi uffici e del suo Governo in favore nostro, egli fece ciò di suo capo, mosso dal suo desiderio, ma non autorizzato da nessuna istruzione. A me qui non si disse mai una parola che mi autorizzasse a sperare un concorso qualsiasi. Vorrei poter credere che almeno non ci venisse meno quello dell'Inghilterra. Ma ho l'impressione che anche quello, ammesso che riesciamo ad ottenerlo, sarà di poca efficacia.

Voi vi trovate adunque nel fatto in faccia alla Francia, solo. Ma non è provato che la situazione ci sia perciò più sfavorevole. Un'ingerenza in questi negoziati di altre potenze a favore nostro parmi avrebbe forse indisposto il Governo francese. Ma ciò non è che una mia impressione. Le domande fatte da Sermoneta e il suo progetto, mi sembrano tali da poter essere presi in considerazione dal Governo francese. La base è buona, equa e ragionevole. Crederei che si debba insistere sulla sua accettazione trattando direttamente colla Francia e mostrandoci concilianti anche nella forma.

P. S.-Goluchowski mi ha detto che la Russia si era pronunziata in favore del blocco di Creta, e che credeva che la Germania avrebbe fatto altrettanto. Ma Lord Salisbury non aveva dato il suo consenso. Goluchowsky aveva però insistito di nuovo. Ma finora nessuna nuova risposta era arrivata.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

D. 28620/548. Roma, 31 luglio 1896.

I documenti diplomatici che Le si vengono comunicando accennano a preoccupazioni per supposti disegni della Francia nell'hinterland tripolino. Siffatte preoccupazioni traggono sopratutto alimento dal linguaggio dei giornali officiosi di Algeria e di Tunisia, nei quali si sostengono, a tale riguardo, le più singolari teorie, come, ad esempio: che il dominio ottomano si estende poco oltre la costa, e subentra indi, nell'interno, una zona libera nella quale l'hinterland va tracciato secondo ben diversi criterii; che tutto al più il dominio ottomano, nell'intemo, include i soli punti guerniti di truppe, libera essendone la regione circostante; che, infine, anche verso il mare la delimitazione è tutt'altro che ben definita. Si sono, dipoi, aggiunti, in questi ultimi tempi, gli incidenti di frontiera dalla parte di Nalut ed il massacro della spedizione Morès; dopo il quale trovò credito la voce che un corpo francese si stesse già allestendo a Gabes per avviarsi verso l'interno ed occupare Gadames.

Le dichiarazioni officiali del signor Hanotaux escludono che simili progetti esistano. Di esse abbiamo preso nota con tanto maggiore compiacimento, in quanto che la nostra politica rispetto alla Tripolitania ed alle adiacenti regioni, si riassume nel desiderio che lo statu quo vi sia integralmente mantenuto.

Ad ogni modo, è evidente che ad assicurare il rispetto dello statu quo è indispensabile che opportunamente e diligentemente provveda la potenza sovrana. Ad essa spetta vegliare a che niuna causa di turbamento sorga sul confine; ad essa spetta sopratutto lo impedire invadimenti ed occupazioni che l'inerzia sua potrebbe convertire in veri e propri mutamenti territoriali. La presenza di presidii stabili nei punti prossimi alla frontiera è senza dubbio il mezzo più efficace per conseguire l'intento. Già altra volta il R. governo l'ha costi raccomandato; lo schietto consiglio dovrebbe essere rinnovato.

Questi sono i concetti che la situazione attuale, in Tripolitania, mi suggerisce. Lascio a V. E. la cura di trarne materia a convenienti discorsi con codesto ministro.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERÒ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 417/218. Londra, 31 luglio 1896.

Come era da prevedersi, lord Salisbury, malgrado le insistenze dell'ambasciatore austro-ungarico e più ancora del germanico, ha tenuto fermo nell'idea di non fare partecipare la Gran Bretagna al blocco eventuale dell'isola di Creta.

L'opinione pubblica inglese ha già troppo rimproverato al govemo della Regina la sua opera inefficace a favore dei sudditi cristiani del Sultano, per tollerare da parte del govemo stesso un'azione a favore della Porta ed in odio ad una popolazione cristiana.

Ma a questa spontanea considerazione lord Salisbury ne aggiunge altre, non meno degne di attenzione. È singolare secondo lui, che le potenze le quali spingono maggiormente al blocco di Creta siano appunto quelle che al blocco stesso non concorrerebbero.

È evidente che la voce corsa che le potenze vogliono addivenire al blocco di cui si tratta, consiglierà al partito d'azione l'acceleramento dei soccorsi e dei preparativi a favore dei cretesi, per prevenire la minaccia.

All'atto pratico il blocco non potrebbe impedire l'approdo delle barche peschereccie che faranno il contrabbando di guerra; cosicchè alla odiosità della misura non farebbe compenso l'efficacia della medesima.

7 -Do<umtnli dip'lomatid • Serie III • Vol. I

La diplomazia europea, dopo essere stata incapace di un'azione energica per forzare il Sultano a porre un termine alle carneficine, sfogherebbe ora il proprio dispetto, a danno dei cretesi, trasformando le flotte europee in gendarmi del Sultano stesso.

Ciò il gabinetto di St. James non vuole, e tale decisione è certamente con

forme al sentimento pubblico inglese.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA (A V V, fase. 68 Z/1)

L. P. Roma, l agosto 1896.

Vi ringrazio della vostra lettera. Accolgo, con animo grato, i vostri auguri che desidero, forse più che non speri, si possano avverare. So di poter sempre contare su voi, come su un amico.

Voi mi fate, colla vostra solita perspicacità di linguaggio e pensiero, un quadro esatto dello stato delle nostre relazioni coll'Austria.

Finchè io rimarrò a questo posto, potete essere sicuro che farò tutto quanto sarà in poter mio perchè in queste relazioni si mantenga quella grande confidenza reciproca che, con ragione, ritenete indispensabile.

Ho avuto col Barone Pasetti, prima che egli partisse in congedo, un colloquio di cui egli mi parve contento e che non poteva essere più cordiale.

Vi mando, come l'ebbi da Parigi, l'accordo tra l'Austria e la Francia per Tunisi. Questo accordo firmato in questi ultimi giorni, era, già da tempo, definitivamente concluso.

Vi confesso che non posso sentirmi soddisfatto della condotta del conte Goluchowski verso l'Italia, in questa occasione.

Voi mi avvertite che, nelle questioni della Tripolitania, della Tunisia e del Marocco, importerà il non perdere d'occhio lo stato preciso dei nostri impegni reciproci, per non esporci a disinganni.

Ma sui nostri reciproci impegni v'è però quello d'uno scambio di idee nelle questioni generali di comune interesse. Ora di questo scambio di idee non ho avuto traccia. Di più la stessa redazione di alcuni punti dell'accordo è tale da pregiudicare, quasi indirettamente il passaggio, in Tunisia, del Protettorato alla annessione. E se, per questo passaggio eventuale, l'Austria non ha impegni, altri ne hanno che il Governo austriaco non ignora, poichè sono consegnati in una stipulazione firmata dall'Austria. Parmi dunque che si poteva procedere con qualche maggiore riguardo.

Non so dirvi quanto mi dolga e mi turbi il trovare pel mio debutto al Ministero la spinosa questione di Tunisi. La mia lettera, le spedizioni che vi sono fatte, vi hanno messo al corrente sullo stato attuale di questo affare. Noi abbiamo, in uno scambio confidenziale di idee, offerto al Governo francese di associare al Trattato per Tunisi un accordo che regolasse il com

plesso delle nostre relazioni colla Francia, coll'applicazione della tariffa minima francese colla nostra tariffa convenzionale, aggiungendo anche qualche speciale concessione alla Francia. Il Governo francese finì col dirci che egli non si sentiva in grado di affrontare le difficoltà parlamentari che questo accordo avrebbe incontrato.

Il Governo francese è ancora legato dal suo Trattato coll'Inghilterra e, finchè con questa un nuovo trattato non intervenga, non avrà acquistata la sua libertà d'azione pel trattamento speciale, anzi per la franchigia, da applicarsi alle proprie merci. Vista anche la strettezza del tempo, ho dunque proposto alla Francia di prorogare il nostro trattato sino al_ giorno in cui andrà in vigore il nuovo trattato anglo-francese.

Questa proroga produrrebbe una buona impressione, il risultato delle negoziazioni inglesi faciliterebbe le nostre e le stesse condizioni anglo-francesi si illuminerebbero sulle possibili condizioni del nostro trattato.

Con questa proroga la Francia non dovrebbe nulla, meno l'inibirsi il gusto di applicarci delle tariffe odiose nel frattempo. Non ho ancora una risposta formale, ma non ho alcuna fiducia che il Governo francese acconsenta a questa proroga.

Tra breve dunque mi troverò in presenza dell'alternativa -o firmare un trattato colla rinuncia alle capitolazioni e col trattamento della nazione più favorita, esclusa la Francia-o lasciar scadere il trattato, riservare la questione di diritto, non acuire il conflitto nell'ordine dei fatti e considerare la questione come una questione aperta da regolarsi, quando verrà il momento opportuno coll'insieme delle nostre relazioni commerciali ed economiche colla Francia. Alternative ambedue poco liete.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, COSTANTINOPOLI, PARIGI, LONDRA, VIENNA, PIETROBURGO, LANZA, PANSA, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, MAFFEI, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 1440. Roma, 2 agosto 1896,ore 15,30. L'Incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria mi ha fatto la comunicazione di cui qui trascrivo la sostanza: « Il Governo britannico dichiara non poter aderire al progetto di blocco di Creta che potrebbe in Inghilterra interpretarsi come abbandono della popolazione cristiana. Vista la grande importanza di soffocare l'insurrezione cretese, né la pacificazione potendosi ottenere senza il blocco, Goluchowski propone che simultaneamente col blocco si autorizzino i Consoli a costituirsi in Commissione con mandato di indurre l'Assemblea generale ad accettare la convenzione di Halepa come base dell'ordinamento futuro e di farsi intermediarii delle modificazioni che nel senso del trattato di Berlino, fossero chieste dalla popolazione per assicurare all'isola una buona e giusta ammini

strazione». Ho risposto all'Incaricato d'Affari che desideravo mettermi anzitutto, a tale riguardo, in comunicazione coi Gabinetti amici.

(Per Vienna, Berlino e Londra). Per informazione di Lei aggiungo che non avrei difficoltà ad accettare senz'altro la proposta del mandato da conferirsi ai Consoli, mentre rispetto al blocco, ancorchè accompagnato dal mandato stesso, non potrei risolvermi se non quando fossero assenzienti tutti gli altri Gabinetti.

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RELAZIONE DELL'INTERPRETE PRESSO IL MINISTERO DEGLI ESTERI, TKALAC (1), AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A C S R, Carte Visconti Venosta, 1896, fase. l)

Roma, 3 agosto 1896.

Nell'adempimento dell'incarico datomi dall'on. duca Caetani, allora ministro, di studiare le cause dello sfavorevole atteggiamento della stampa in Germania verso il Ministero conservatore italiano e di cercare a rettificare i suoi giudizi sulle cose nostre, mi sono recato a Monaco di Baviera, a Lipsia, Dresda, Berlino e Francoforte per abboccarmi cogli editori e principali redattori dei più importanti giornali di queste città.

Partito da Roma il 27 giugno feci la prima sosta a Monaco di Baviera; poi a Lipsia, Dresda, Berlino e Francoforte, donde andai a Parigi. A Monaco non ho incontrato difficoltà a mettermi d'accordo colla stampa. Spiegai il modo in cui l'on. Crispi per mezzo di corrispondenti romani bene salariati e messi sotto l'incubo di espulsione dall'Italia riuscì a creare in Germania ed in Inghilterra una opinione pubblica fittizia a suo commodo personale, facendo suggerire ai redattori e al pubblico esser lui l'unico uomo di Stato in Italia che abbia l'ingenio e l'energia necessari per salvare la Monarchia ed esser lui l'unico sostegno della Triplice Alleanza benchè da principio non l'abbia approvata. Essendo questa alleanza il perno dell'interesse della politica tedesca, ripetevo che qualsiasi ministero italiano, lo si chiami Depretis, Crispi, Giolitti o Rudini, la manterrà salda, e che appunto l'on. Rudini l'ha ben due volte rinnovata. I redattori difendevano calorosamente l'incorruttibilità, imparzialità ed equità dei loro corrispondenti romani e loro simpatie per l'Italia, aggiungendo che non mancheranno mai a tener conto delle difficoltà contro cui ll ministero Rudini ha da combattere alla Camera, ma che dubitano della sua vitalità e perciò riguardano il ritorno di Crispi al governo come una inevitabile e prossima necessità.

Tanto mi parve guadagnato quando al mio soggiorno a Lipsia giunse il sunto telegrafico del discorso dell'on. Rudinì sulla «perfettibilità » della Triplice Alleanza. L'impressione di quell'infelice telegramma fu la più sfavorevole, e la susseguente attenuante rettifica dell'Agenzia Stefani non trovò credenza nè valse a calmare le collere della stampa tedesca ed austriaca. Questa eccitazione della opinione pubblica perdurava anche durante tutto il tempo che stetti a Berlino, nè credo che si riescirà a cancellarla presto, tanto più che nella nomina di

V. -E. i tedeschi si ostinano a scorgere l'intenzione dell'an. Rudinl di svincolarsl dalla Triplice Alleanza e di avvicinarsi alla Francia. Si gridava alla fellonia e perfidia degli Italiani e si ripeteva non esservi altro mezzo di salvezza per l'Italia e la Triplice Alleanza che il ritorno di Crispi al potere quando anche egli fosse quel brigante, truffatore, bigamo etc. che lo dicono i suoi avversari.

Quantunque oltre ògni dire afflitto e avvilito dalle contumelie ed ingiurie che ogni giorno sentivo dire e leggevo nei giornali contro il Re, il governo e il paese, non mi stancai di combattere questo contegno non solo della stampa, ma anche di miei amici personali, tra professori d'Università, alti funzionari ed ufficiali, quasi tutti influenzati da questa corrente ostile. Non si rinnova, dissi, un trattato di alleanza quando si ha intenzione di romperlo, e non lo si rompe quando si sa che in tal caso l'Italia sarebbe immantinente la preda della Francia. L'on. Visconti è patriota da lunga data e gentiluomo che di certo non si presterebbe mai a tradire la sua Patria. Durante l'Impero napoleonico, e memore dei grandi servizi, che, sia pure involontariamente, Napoleone rese all'Italia, egli doveva supportare, come tutta l'Europa, le prepotenze francesi perchè non poteva reagire; ma di certo non è disposto a subirle di nuovo. Egli sarà stato bonapartista, ma caduto l'Impero, le sue simpatie non possono essere per la gente che ha rovesciato l'Impero e tratta l'Italia peggio che non l'abbia mai trattata Napoleone. Mi si rispose: «Va bene se è così, ma ciò nonostante gl'Italiani sono tutti francofili, eccetto Crispi >.

Un autorevolissimo personaggio militare, colonnello del « Grande Stato Maggiore > e parente di un mio intimo amico mi spiegò, a condizione di non declinare il suo nome, le vedute delle altissime sfere militari intorno all'Italia.

«Gli obblighi dell'alleanza sono gravi per l'Italia, ma non si capisce come Rudinì possa lusingarsi di ottenere migliori condizioni dell'Italia essendo l'esistente trattato puramente e semplicemente rinnovato senza che i patti stipulati fossero in alcun modo modificati. È vero che, col consenso di tutti i patteggianti, un trattato si può modificare, ma quando l'Imperatore Guglielmo il quale da suo padre ha ereditato delle simpatie politiche e sentimentali per l'Italia, vi consentisse, di certo l'Imperatore d'Austria non ammetterebbe veruna modificazione del trattato che per l'Austria è l'arca santa intangibile.

« Orbene, l'alleanza esiste e durerà quanto durerà la pace europea; ma da noi nessuno conta sulla sua durata nel caso di guerra generale. Noi siamo convintissimi che in tal caso l'Italia troverà modo -o causa sufficiente o pretesto ostensibile -per dichiararsi neutrale e per mettersi alla fine della guerra dalla parte del vincitore. Conoscendo noi forse meglio di voi stessi la debolezza politica, economica, finanziaria e militare dell'Italia, non possiamo condannare assolutamente questa politica dei deboli, sleale sl, ma purtroppo comandata dalla sua debolezza e dai suoi interessi. In principio si griderà, come in questo momento, alla fellonia e perfidia italiana, ma in fine la si scuserà e perdonerà. L'Imperatore Guglielmo si compiace nella parte del più forte se non unico sostegno dell'Italia, e da soldato egli vorrebbe che l'Italia fosse militarmente forte, più per se stessa che pei fini dell'alleanza. A noi non importa nulla se l'Italia abbia otto o dodici corpi d'armata; ma non ci può essere indifferente che l'esercito italiano sia bene ordinato e armato per poter nel caso mantenere almeno la neutralità dell'Italia e non peggiorare la nostra situazione militare.

« E perciò da noi non si può nascondere il profondo rammarico e scontento a vedere come ognuno dei vostri cento ministri della guerra sconvolge tutto il vostro ordinamento militare, ne peggiora sempre le condizioni e scontenta tutto l'esercito che in tal modo non si potrà mai consolidare nè essere pronto per l'azione. Voi spendete quasi 8 lire per testa della popolazione· all'esercito e questo è, visto le condizioni economiche del paese, un delitto capitale commesso contro la nazione. Per voi una forte flotta e un esercito bene ordinato, armato, vestito e nutrito di 250 a 300 mila uomini varrebbe infinitamente meglio che un milione di soldati di carta pesta che non si possono mettere in campo. Non si riesce a comprendere che il vostro Re non si opponga di tutte le sue forze e con tutta la sua autorità ai capricci e incessanti esperimenti dei vostri ministri della guerra, e benchè da noi nessuno dubiti della sua perfetta lealtà, è facile a prevedere che anche nella questione dell'alleanza come in tutte le altre egli si lascerà dominare come sempre dai ministri del momento tanto più che secondo ogni previsione l'Italia nè meno sarà in grado di accompiere gli òbblighi assunti coi trattati d'alleanza>.

Per ricambiare le premure e gentilezze usatemi dalla stampa di Berlino, da professori dell'Università e uomini politici, e per aver occasione di discutere con tutti insieme, come lo feci isolatamente, delle nostre condizioni, non ho potuto sottrarmi all'abitudine berlinese di riunirli a una lauta cena. Una orchestra italiana suonava nel grande salone attiguo al nostro. Fra tanti altri pezzi musicali ad un tratto si senti suonare il nostro inno reale che fu accolto con battimani e fragorosi gridi di «Viva l'Italia». Anche i miei convivi proruppero in gridi di «Viva l'Italia» e divennero cordiali assai. Io ho approfittato di questa corrente simpatica per chiedere una tregua di Dio per l'Italia e il suo Governo. Non mi lusingo di averli convertiti alle mie vedute, ma in un brindisi portato a me, un redattore della National Zeitung, crispino impenitente, disse a nome degli altri presenti essere giusto di serbare verso il ministero italiano l'atteggiamento di benevola aspettazione fino a che Rudinì non commetta qualche atto chE! renderebbe impossibile tale contegno della stampa. Parte per ischerzo parte sul serio mi si raccomandava di andare a Londra « per dare assalto a codesto baluardo del crispinismo », e di vedere a Parigi l'effetto del recente cambiamento ministeriale in Italia. Il suggerimento non mi pareva cattivo. Non avendo trovato presenti a Parigi i direttori dei più importanti giornali, stando tutti alla campagna o in città di acque, volli subito partire per Londra. Ma poichè mi fu detto che essi per disbrigo di affari solevano venire almeno un giorno di settimana a Parigi, mi vi sono trattenuto aspettandoli per non aver fatto inutilmente cotesto viaggio. Infatti essi venivano in città, ora uno ora un altro, ed io ho potuto parlare con loro delle nostre cose. Ma disgraziatamente senza il desiderato effetto. Questi signori, quantunque avversari in tutte le quistioni politiche, sono stranamente concordi e categorici nelle loro vedute sull'Italia. I loro punti fermi sono l'ingratitudine dell'Italia verso la Francia e la Triplice Alleanza. All'Italia si deve rifiutare ogni concessione tanto che durerà la Triplice Alleanza. La Francia sarebbe pazza se aprisse il suo mercato all'Italia e le fornisse i mezzi per prepararsi alla guerra contro la Francia. Sciogliete la Triplice, e allora rifletteremo se vi sia caso di riprendere buone relazioni con voi; se no, no. In queste condizioni i cambiamenti ministeriali in Italia ci lasciano affatto

indifferenti. Ci ha procurato soddisfazione la vergognosa caduta di Crispi, ma l'entrata di Visconti non può cambiare nulla alla situazione. Visconti è senza dubbio un perfetto gentiluomo, ma anche ammesso che sia amico della Francia, -che cosa egli può fare avendo le mani legate dal patto della Triplice Alleanza? Vogliamo sperare che egli non ci darà cagione di combatterlo personalmente; ma qual ministro d'Italia egli nelle condizioni date non può non essere avversario politico della Francia, pur usando i più squisiti modi di gentiluomo nelle nostre relazioni diplomatiche. E questi ragionamenti mi furono quasi ripetuti negli stessi termini da altri personaggi politici, da professori e accademici etc. : anche gli uomini più seri sono dominati dall'idea di rivincita e di riconquista dell'Alsazia e Lorena. Il clericalismo mi pare aver fatto negli ultimi anni grandi progressi, giudicando almeno dal fatto che è diventato moda di essere o fingere di essere papalini, non fosse per altro che per sfogarsi contro l'Italia. Uomini ragionevoli ammettono il fatto e lo deplorano, ma la loro influenza non arriva nei più alti e nei più bassi strati della popolazione.

Aspettando lungamente le persone cui desideravo parlare, il soggiorno di Parigi mi ha impedito di prolungare il mio viaggio fino a Londra, poichè la necessità di viaggiare e stare con un certo lusso nelle città visitate, esauri i miei fondi e mi obbligò a rinunziare al viaggio di Londra dove la mia presenza sarebbe stata forse più utile che a Parigi.

Se l'E. V. lo desidera le presenterò a giorni un'altra relazione sulle osservazioni che ho potuto nel breve tempo di cinque settimane fare in Germania e in Francia sulle condizioni politiche ed economiche di questi due paesi.

(l) -Cfr. anche una sua relazione in data 15 agosto 1896, in ACSR ivi, che non riteniamo necessario pubblicare.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI CA V V, fase. 68 Z/10)

L. P. Roma, 4 agosto 1896.

Scrivendole privatamente per la prima volta, desidero dirle, innanzi tutto, come mi incoraggi nel mio difficile ufficio il pensiero di poter fare assegnamento sulla sua collaborazione e sul suo consiglio.

Le riassumo, in un dispaccio, il linguaggio che tenni all'Ambasciatore di Francia, la prima volta che gli parlai del Trattato di Tunisi.

In sostanza, espressi l'idea e la domanda di una proroga non a termine fisso, ma sino al giorno in cui sarebbe andato in vigore il nuovo Trattato Anglo-Tunisino. Questa proroga avrebbe per noi un grandissimo valore. Essa farebbe una assai buona impressione sulla opinione pubblica e ci permetterebbe di preparare questa opinione. Il risultato delle trattative della Francia coll'Inghilterra la illuminerebbe sulla realtà delle cose e darebbe anche al Governo la misura di quella che potrebbe essere, nel caso di una trattativa nostra, la misura delle domande possibili e delle concessioni inevitabili. È difficile per noi il prendere, in questo argomento, delle iniziative. La proroga, infine, diminuirebbe, allontanerebbe forse, per qualche tempo le difficoltà di una questione, che Ella lo sa, si connette

pel Ministero con una situazione politica e parlamentare di cui è impossibile non tener conto.

Nel mio dispaccio ho riassunto in breve, le considerazioni d'ordine diplomatico che svolsi col signor Billot in favore della proroga nei termini che vi sono indicati.

Ma, avendomi detto il signor Billot che egli aveva poca speranza di vedere accolto il mio pensiero perchè già sapeva che il signor Hanotaux non vi era favorevole, la nostra conversazione è andata molto più in là.

Gli parlai con un'intera franchezza delle relazioni politiche tra l'Italia e la Francia, dell'interesse comune di migliorarle, delle guarentigie che, per questo riguardo, offrivano in Italia gli uomini che oggi sono al potere, e non gli nascosi in guisa alcuna, l'impressione anzi la reazione che destavano nell'animo mio le costanti c fins de non recevoir > opposte non solo alle proposte più concilianti, ma anche ad ogni atto di buon volere in una questione che poteva essere un'occasione tanto per inaugurare una nuova era nei rapporti de' due paesi come per farli retrocedere all'antico stato di difficoltà e tensione.

Il signor Billot fu con me cortese, ma riservato, come doveva. So per altro che parlando, subito dopo col Conte Bonin e col Comm. Malvano, disse loro che avrebbe cercato di affrettare di qualche giorno il suo arrivo a Parigi, per riferire al suo Ministero la nostra conversazione.

Io ho il vivo desiderio che si possa ottenere la proroga, ma le confesso che ne ho purtroppo una scarsa speranza.

Ad ogni modo converrà che Ella, continuando però pel suo colloquio, quel carattere di scambio di idee confidenziale che ebbero i suoi precedenti colloqui col Ministero francese degli affari esteri, proponga al signor Hanotaux la proroga fino al giorno in cui andrà in vigore il nuovo trattato coll'Inghilterra appoggiandola caldamente con tutti quegli argomenti che crederà opportuni.

Mi sembra però desiderabile, per non rinunciare a nessuna circostanza che

ci possa essere favorevole, che il signor Billot abbia veduto il Ministro prima

che Ella abbia con lui questo colloquio. lo mi procurerò qui le necessarie infor

mazioni per sapere quando il signor Billot arriverà a Parigi e quindi se il tempo

ci concede o no di attendere questo arrivo. Ci scambieremo quindi dei telegrammi

per le definitive istruzioni. Oramai è necessario esaminare con chiarezza le

alternative che vi si possano offrire. Ho letto, in proposito tutta la sua corri

spondenza e poichè oggi mi manca il tempo, le scriverò, tra un paio di giorni

per porle alcuni quesiti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

D. s. n. Roma, 5 agosto 1896.

I miei successivi telegrammi Le hanno impartito speciali istruzioni man mano che, nello svolgersi della azione diplomatica rispetto a Candia, ci pervenivano, o dal convegno degli ambasciatori presso la Porta, o da alcuna delle potenze, proposizioni concrete. V. E. ha certamente avvertito che quelle nostre istruzioni hanno costantemente avuto un duplice obiettivo: cooperare, per quanto stava in noi, al compito di pacificazione che le potenze si sono prefisso; mantenerci ligi al concetto che solo mercè l'opera concorde delle potenze lo scopo può raggiungersi, mentre una disformità di atteggiamento, oltre al compromettere lo scopo comune, potrebbe anche esporci a maggiori com

plicazioni.

Non posso dissimulare, però l'impressione che, mentre nel primo momento le potenze ebbero cura di altamente proclamare che la pacificazione durevole dell'isola avesse da attenersi, non tanto con provvedimenti di rigore, quanto con l'adozione e attuazione di efficaci e provvide riforme, nelle fasi successive andò pressochè del tutto negletto questo che pure doveva essere il sostanziale compito spettante alla Porta, e alle potenze. Gli sforzi di queste, le proposizioni presentate, gli offici fatti, da alcun tempo mirarono quasi esclusivamente ad impedire che cause interne ed esteriori venissero a rendere meno agevole il ristabilimento dell'ordine; nè delle riforme, come coefficiente e guarentigia essenziale di durevole quiete, fu quasi mai più parlato.

Eppure, nostro convincimento è, oggi ancora, che nella sollecita e schietta attuazione di convenienti riforme organiche consista la vera e stabile soluzione del problema. Dal momento che per unanime consenso delle popolazioni, della cristiana, come della musulmana, il patto di Halepa, che pur fu savio partito proclamare senza altro reintegrato acciocchè si avesse una base immediata di ulteriori deliberazioni, abbisogna, per costituire un soddisfacente assetto, di opportune modificazioni importa che codesta opera di revisione sia sollecitamente condotta a termine. Impotente, per irremediabile deficienza d'una maggioranza legale, a deliberare validamente circa la grave controversia, l'assemblea ha dovuto necessariamente scindersi e presentare simultaneamente le proposte dei delegati cristiani e le contro-proposte dei delegati musulmani; spetta ora al Sultano il dirimere, con la sua autorità sovrana, la divergenza, statuendo quali modificazioni del patto di Halepa siano da ammettersi, quali da respingersi. E gli ambasciatori, che posseggono il testo delle proposte e delle contro-proposte, non che le relazioni dei consoli sulle une e sulle altre, hanno modo di farne oggetto di rapido studio per additare al Sultano una equa decisione da tradursi immediatamente in atto sotto la guarentigia morale delle potenze. È evidente che, qualora un simile risultato fosse ottenuto, e l'Europa si trovasse consenziente nel riconoscere giuste e sufficienti le riforme da stabilirsi per Creta, sarebbe anche meglio legittimata, e più agevole l'azione delle potenze verso i candioti, i quali con ragione possono oggi dolersi di una pressione con la quale le potenze vorrebbero, in certo modo costringerli ad accettare un regime tuttora indefinito ed ignoto.

Non vorrei prendere, a tale riguardo, una iniziativa che potrebbe forse sembrare meno proporzionata con la entità dei nostri diretti interessi impegnati nella questione cretese. Però io penso che di questi miei concetti V. E.

potrebbe utilmente valersi nei suoi colloqui coi colleghi, i quali, del resto, già possono ritenersi autorizzati, mercè le istruzioni generali di cui sono muniti, ad occuparsi di questo che è, a mio avviso, il più importante lato della questione.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A COSTANTINOPOLI, PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, PANSA, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 1466. Roma, 6 agosto, 1896.

L'incaricato d'Affari d'Austria-Ungheria mi ha comunicato una nuova proposta del suo governo che è in forma più particolareggiata della antica proposta circa il blocco di Creta. Eccone il riassunto: l) la Porta proclamerebbe la chiusura dei porti meno uno o due; 2) le Potenze firmatarie del Trattato di Berlino sarebbero dalla Porta inviate a cooperare con essa per rendere effettivo il blocco; 3) il blocco sarebbe notificato alla Grecia e alle altre Potenze marittime; 4) accettando l'invito della Turchia le Potenze porrebbero per condizione la sospensione delle ostilità e dell'invio di nuove truppe in Creta, l'autorizzazione per i Consoli di costituirsi in Comitato di controllo e sorveglianza per l'applicazione del patto di Halepa e per promuovere l'accordo nelle modificazioni da arrecarsi al patto medesimo. Ho risposto all'Incaricato d'Affari che l'attuale proposta del conte Goluchowski essendo sostanzialmente identica alla precedente, identica era del pari la mia risposta. Favorevole alla parte relativa alla cessazione delle ostilità e al mandato da conferirsi ai Consoli, dovevo, circa il blocco, riservarmi di scambiare ulteriormente le mie idee con i Gabinetti amici.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI (A V V, fase. 68 Z/10)

L. P. Roma, 8 agosto 1896.

L'alternativa di cui Le parlavo nella mia ultima lettera, e a cui potremo trovarci presto di fronte, è la seguente.

O lasciar cadere il trattato, riservando la questione di diritto, cercando di non acuire il conflitto nell'ordine dei fatti, dichiarando che si considera la questione aperta sinchè l'Italia e la Francia potranno un giorno regolare il complesso delle loro relazioni commerciali ed economiche, oppure fare un trattato colla rinuncia implicita o esplicita alle capitolazioni ed accettando il trattamento eccezionale fatto al commercio francese.

Rimanendo senza trattato, quali sono i conflitti che possono sorgere, quali di essi appartengono a quella categoria che dà luogo a tali riserve diplomatiche per non pregiudicare il diritto, quali invece sono di natura a creare dei contrasti di natura immediata e pericolosa?

L'applicazione della nuova tariffa francese al posto dell'attuale 8 %. Il Governo francese forse applicherà la franchigia alle merci di Francia, forse per non diminuire di troppo i proventi doganali della Tunisia applicherà qualche altro provvedimento per cui il meno pagato dal commercio francese sarà compensato dal di più pagato dal commercio delle altre nazioni.

Quando il signor Hanotaux le parlò di una somma di circa dugento mila lire di cui sarebbe caricata l'Italia, non disse, a caso, questa cifra che rappresenta un aumento del 30 %.

L'inviolabilità del domicilio degli italiani. Oggi l'autorità locale entra nel domicilio italiano non solo per l'esecuzione delle sentenze dei Tribunali, ma per ogni provvedimento d'indole giudiziaria. Senza trattato potrebbe entrare anche per ragioni di polizia municipale, doganale; ma sono questi singoli casi che non mi pare possano dar luogo a gravi complicazioni.

Le scuole, le associazioni. Qui mi pare che possa sorgere una vera e temibile difficoltà! Il Governo francese potrebbe nel frattempo, voler cr-eare dei fatti compiuti, manomettere queste scuole, togliere loro ogni autonomia, ogni carattere italiano. Questa questione toccherebbe, da noi, ad una fibra delicata del sentimento nazionale, e c'impedirebbe probabilmente di mantenere in una misura tollerabile una attuazione per se stessa precaria.

Questa situazione, infatti, se non si vogliono gravemente compromettere le relazioni dei due paesi, esigerebbe non solo da parte nostra, ma anche da parte della Francia molta prudenza e molto spirito di moderazione e di temporeggiamento.

Le accennerò ad alcuni punti relativi alla ipotesi di un trattato esclusivo per Tunisi.

Quale sarebbe la forma preferibile per questo Trattato? Certo bisognerebbe non ·solo pel fondo ma anche per la forma, scostarsi, per quanto è possibile dal deplorevole protocollo dell'Austria.

Si potrebbe, come pat"mi a noi converrebbe, prendere per base la revisione dell'attuale nostro Trattato in scadenza?

Del regime delle capitolazioni e degli usi, confermato dal Trattato e dal protocollo del 1884, quanto è ancora in vigore nella Tunisia e quanto è già stato sinora derogato coll'espresso e col tacito consenso delle Potenze? Alle capitolazioni ha fatto una deroga il Protocollo del 1884, togliendone tutta la parte della giurisdizione consolare colle sue conseguenze.

Vi ha fatto una deroga l'art. 8 e qualche altro articolo del Trattato che ora scade. A queste deroghe è succeduta dopo l'occupazione francese, tutta una legislazione, tacitamente accettata e· che costituisce lo statu quo attuale. Sarebbe bene di farne un esame nel Bompard e nella continuazione del libro del Bompard, e se Ella volesse portare la Sua attenzione su questo stato della questione, gliene sarei grato.

Non so ancora con certezza se la Francia abbia offerto all'Inghilterra per la rinnovazione del Trattato tunisino qualche concessione doganale sui prodotti che più interessano il commercio inglese, stoffa di cotone, e macchine. Queste voci non essendo similari alle nostre, la clausola della nazione più favorita perderebbe per noi il suo valore pratico. L'Italia potrebbe domandare delle riduzioni convenzionali di tariffa e lo statu quo per alcune voci che più interessano le sue importazioni, specialmente della Sicilia, come il vino.

L'Italia potrebbe domandare la continuazione dello statu quo per la navigazione e la pesca.

Infine, e sarebbe questo il vero corrispettivo delle nostre concessioni, crede ella che si potrebbe domandare, con qualche probabilità di successo, la continuazione dello statu quo per le scuole e le Società italiane? Le confesso che ne dubito, ma mi domando se, una volta che sventuratamente non fosse ammessa la presenza, invece di rompere il negoziato perchè il Governo francese non ha creduto di associare il Trattato per Tunisi a un accordo generale pel commercio franco-italiano, non varrebbe meglio rompere invece questo negoziato perchè dopo aver fatto tutte le concessioni possibili, non abbiamo potuto ottenere ciò che aveva, per noi, il valore di un corrispettivo?

Una simile domanda non si potrebbe fare alla Francia nel territorio francese, ma, a Tunisi, anche col protettorato, vi è pur sempre il Governo beylicale, alla cui indole non ripugna una guarentigia limitata e parziale di questo genere. Ciò che importa a noi è di salvare l'autonomia didattica delle nostre scuole.

In conclusione, l'ipotesi che La prego di esaminare è la seguente. Un Trattato su base e colla forma del Trattato attuale contenente implicitamente pei nostri negoziati il trattamento della nazione più favorita, e alcune tariffe doganali convenzionali per quelle voci che più ci interessano, ammesso il trattamento privilegiato per la Francia, lo statu quo per le scuole e le società italiane esistenti.

È questa, ripeto, una semplice ipotesi, per la quale non potrei autorizzarla ad alcuna indagine confidenziale, non ritenendomi autorizzato io stesso, poichè non ho ancora avuto occasione di parlarne col Presidente del Consiglio, il quale mi si mostrò propenso ad interrompere le trattative, una volta non accettate dalla Francia nè le nostre prime proposte, nè la proroga.

Esaminando, più da vicino, la questione, mi è parso che, per questo lato, poteva, forse, aprirsi una via. Anche mettendosi sul terreno delle capitolazioni, noi non potremmo reclamarle che nella misura ln cui ancora esistono e come una continuazione dello stato attuale. Ora mi è parso da una prima indagine, che raccomando pure al suo studio, che delle capitolazioni ora non rimangono nell'ordine dei fatti che due punti importanti: l) l'ostacolo pella Francia a riservarsi un trattamento doganale e privilegiato, ostacolo che essa non può superare se anche dura il Trattato anglo-tunisino e che cadrebbe il giorno in cui il nuovo Trattato coll'Inghilterra lo avesse rimosso. 2) Le scuole di cui Ella conosce l'importanza dinanzi all'opinione pubblica italiana.

Anche quanto ai Consoli, una volta soppressa, come ora è, la giurisdizione

contenziosa e quella volontaria, meno l'immunità diplomatica piena di cui ora

godono, le loro attribuzioni presenti non si discostano molto da quelle che sono

ora riconosciute anche dalla nostra Convenzione Consolare colla Francia.

Vi è bensl un altro punto assai grave ed oscuro, benchè non sia oggi in

questione, ed è quello della cittadinanza. Non pare possibile che la Francia possa

avere l'intenzione di far emanare dal Bey una legge per la quale gli europei

diventano tunisini, nè si vede come possa con una legge sua pretendere di far

diventare francesi gli stranieri dimoranti in un territorio che non è francese.

Desidererei conoscere la sua opinione.

Le ho esposto troppo diffusamente, forse un po' confusamente un ordine di

idee su cui desidero richiamare il suo studio ed avere il suo avviso.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/9)

L. P. Parigi, 8 agosto 1896. L'espressione della costante amiCIZia sua, recatami dalla di Lei lettera del 4 corr. (1), giunse in buon punto a confortarmi alquanto negli imbarazzi che ci crea l'imminenza della scadenza del trattato tunisino. Ho messo in questo affare la miglior cura e tutto lo studio che mi furono possibili. Mi sono sovratutto inspirato alla necessità di essere e di parere molto calmo. Mi pare di rendermi perfettamente conto delle considerazioni diverse che attribuiscono a questa faccenda tanto dal punto di vista italiano, quanto dal francese, una importanza di grall lunga superiore all'intrinseca entità degli interessi regolati da quel trattato. Ed è appunto a causa dei singolari aspetti che questo affare prende in Italia e qui, che mi pare cosa difficile lo attenerci ai partiti che sarebbero i più facili e naturali. Per noi questi partiti sarebbero due: quello che Ella giustamente preferirebbe, cioè la proroga; e l'altro di andare incontro pacatamente alla scadenza senza aver nulla sostituito all'antico trattato. Con il corriere che parte oggi con questa lettera Le scrivo ufficialmente circa il primo di questi due partiti. Temo che Ella abbia perfettamente ragione nel non avere fiducia che al medesimo il signor Hanotaux voglia piegarsi. La posizione extra parlamentare di questo Ministro e certe necessità anche di vita privata che lo rendono tenace ad aggrapparsi alla sua carica, lo rendono sensibilissimo all'azione della stampa ed egli sente che la sua posizione di Ministro necessario sarebbe tosto sfatata se i giornali potessero registrare al suo passivo degli insuccessi. La proroga pura e semplice ne sarebbe uno; od almeno per tale lo considererebbe la stampa francese. Per l'altro partito, cioè quello 'di lasciar venire la scadenza del trattato del 1868 senza avervi sostituito cosa alcuna, bisognerebbe che dalla parte nostra si potesse contare sovra una stampa calma, ragionevole e sovra tutto illuminata. Nei miei rapporti ufficiali ho esposto già da parecchio tempo quale, a parer mio, sarebbe il trattamento al quale avremmo diritto a Tunisi finchè dura il trattato inglese. Dal punto di vista degli interessi commerciali e di navigazione non vedo danni, nè mi pare che ci si possa efficacemente ricusare il trattamento inglese. Ma la nostra colonia, cresciuta straordinariamente di numero dopo che i capitali francesi si sono impiegati in Tunisia, ha creato intorno a sè un ambiente di mal definite aspirazioni che trovando appoggio nelle frasi sonore dei nostri giornali, finirono per persuadere tutti gli Italiani che il Governo nostro ha una infinità di interessi da tutelare in quel paese. Ne avviene che i punti vulnerabili nostri, che, in mancanza di trattato, si potrebbero ridurre alla autonomia delle scuole, al regime della pesca ed a poche altre cose, ci espongono a clamorose proteste affatto sproporzionate, a parer mio, con la entità dei danni che ci possono toccare.

Il malanno viene dal non poter noi mantenere lo statu quo in ogni punto senza invocare, insieme al diritto nostro al trattamento doganale inglese, anche

quello che ci viene dalle capitolazioni. Se noi enunceremo qui soltanto l'intenzione di appoggiarci sovra quest'ultime, bisogna prevedere tutto ciò che dallo scatto del mal umore francese ci possiamo aspettare. La stampa avvelenerà poi dalle due parti la situazione rendendola ancor più delicata e penosa.

Appena saprò che il signor Billot ha potuto agire qui presso i Ministri, mi adopererò per la proroga. Vorrei si riuscisse a conseguirla; ma bisogna apparecchiàrci a farne senza.

In ogni modo mi sembrerebbe incauto non promuovere prima della scadenza del trattato uno scambio di idee amichevoli, sovra la condizione di cose che, a nostro avviso, sussisterà quando l'attuale regime convenzionale verrà a cessare. Mi pare che da noi si potrebbe esprimere alla Francia il desiderio di entrare in una trattativa per una nuova convenzione italo-tunisina e ciò ci darebbe l'opportunità di dichiarare quale, a nostro avviso, dovrà essere intanto il trattamento al quale gli Italiani hanno diritto in Tunisia. Se i nostri giuristi del Ministero eviteranno d'invocare le capitolazioni, se troveranno il modo di non nominarle nella affermazione di tale nostro diritto, la discussione si potrà fare in termini moderati e. calmi. Però bisogna aspettarci ad incontrare una opposizione ostinata da parte della Francia ed in tal caso non potremmo appellarcene ad un giudizio di arbitri?

Inchinerei senza esitazione per la scelta della via che condurrebbe a tale soluzione se non mi fermasse una considerazione sostanziale la quale nasce dal fatto che tutto l'edificio nostro mancherebbe di base il giorno in cui l'Inghilterra avesse rinunciato all'attuale suo trattato con Tunisi. Ora questa eventualità può verificarsi ogni giorno e non sarebbe cauto lo affidarci alla resistenza che il Gabinetto Inglese potrebbe presentemente dimostrarsi inchinato ad opporre perchè, nel giuoco dei molti e vari interessi che mettono in contatto la Francia con l'Inghilterra, non può mancare il mezzo alla prima di queste Potenze di offrire alla seconda dei compensi larghi che questa accetterà sicuramente.

Ella mi dirà di certo, signor Marchese, che ormai tutte queste titubanze sono inconcludenti e che il tempo di stare fra il sì e il no è passato. Io avrei perciò voluto che si collegasse la questione di proroga con quella del regolamento del regime della navigazione fra l'Italia e la Francia. In un recente rapporto ho manifestato il pensiero che tale regolamento si potrebbe conseguire con la nostra legge attuale mercè l'adozione dalle due parti di provvedimenti autonomi e spontanei che una semplice intesa dei due Governi determinerebbe. Se la cosa sembrasse accettabile da parte nostra, potrei parlarne qui subito. Con la proroga bisognerebbe cionondimeno prendere l'impegno di trattare per la Convenzione tunisina e non gioverebbe illudersi che qui non si pretenda che a tale impegno si aggiungano talune basi della trattativa. Ma in tutto ciò, almeno in principio, ci troveremmo in un campo riservato alla discussione diplomatica e non saremmo esposti al gravissimo inconveniente di spiegare un'azione diplomatica delicatissima in mezzo al frastuono di una stampa velenosa e di mala fede.

Questa considerazione della stampa è delle più gravi. Mi confermo sempre più nel pensiero che una organizzazione esiste qui per adoperarla contro le probabilità di riavvicinamento della Francia con l'Italia. Vi sono due interessi diversi che operano in questo senso. Uno che ci riguarda specialmente; un altro che ha per mira di impedire che la Francia trovi altri amici nel mondo. Da coloro che tali interessi qui rappresentano si dispone di larghi mezzi e con essi ogni concorrenza mi pare impossibile. Non ho di certo le prove di queste asserzioni; ma non credo infondata la mia supposizione della quale ad ogni modo bisogna pur tener qualche conto.

(l) Pubblicata al n. 145.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA CA V V, fase. 68 Z/1 [Il])

L. CONFIDENZIALE Roma, l O agosto 1896.

Da quando ho accettato di dirigere la nostra politica estera, il mio pensiero si è rivolto alla convenienza e alla possibilità di migliorare le nostre relazioni colla Russia. Ma, per un complesso di circostanze mi trovo isolato e mi manca ogni mezzo di azione. L'ambasciatore Vlangali, col quale avrei i migliori rapporti personali, è malato, in congedo e non farà ritomo che nel tardo autunno. Con Maffei, pure in congedo, ho avuto, nei primi giorni della mia entrata in ufficio, un colloquio dal quale non ho cavato alcun costrutto, nè la speranza di cavare un maggior costrutto in avvenire. A me sembra che a render più cordiali le relazioni politiche bisognerebbe dar principio colle relazioni tra i Sovrani e le Case Regnanti. Vi prego di esprimermi il vostro avviso in questo argomento e di darmi i vostri consigli. Lo Czar sta per visitare i Governi d'Austria, di Prussia, d'Inghilterra e pare certo che andrà anche a Parigi. Se si trattasse solo delle tre Corti suddette, la visita limitata ad esse avrebbe la sua spiegazione naturale. Aggiungendosi anche la Francia, duole il vedere che, sola delle grandi Potenze, l'Italia sia lasciata fuori. Bene inteso, che a mio parere, non potrebbe trattarsi di Roma, troppo lontana dall'itinerario, e che si dovrebbe essere soddisfatti dì una visita personale a Monza.

I giornali annunciano che lo Czar visiterà l'Imperatore di Germania alle grandi manovre presso Breslavia. Alcuni giorni prima, S. A. R. il Conte di Torino si troverà alle manovre di cavalleria che avranno luogo a Haynau, in Sassonia. Vi fu invitato dall'Imperatore Guglielmo e dal Re di Sassonia. Nulla di più facile, credo, per lui che di essere invitato e di recarsi anche a Breslavia. Credete voi che da questo incontro del nipote del Re e dello Czar potrebbe cavarsi qualche partito? Ma bisognerebbe che il terreno fosse già prima preparato. E in che modo prepararlo?

Vi scrivo di ciò, come di una semplice mia idea personale, perchè io non ne ho tenuto parola con S. M. e nemmeno col Presidente del Consiglio. Ma se voi credete che la cosa possa avere un seguito, potremmo comunicarci le idee nostre con uno scambio di telegrammi confidenziali. Certo, se lo Czar venisse in Italia, sarebbe questo fatto considerato come un evento fortunato e come un successo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

(A V V, fase. 68 Z/5)

T. s. n. Roma, 11 agosto 1896, ore 12,20.

Se avete ricevuta la mia lettera sul viaggio dello Czar vi prego telegrafarmi personalmente vostra opinione. Presidente Consiglio è d'accordo con me e telegrafò S. M. per autorizzarmi ai passi che potrebbero essere opportuni.

152

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2164/670. Vienna, 12 agosto 1896.

Il conte Goluchowski mi ha informato che decisamente il marchese di Salisbury gli fece annunciare il suo rifiuto di associarsi alla proposta del blocco marittimo di Creta per parte delle potenze, benchè questa proposta fosse stata accompagnata da condizioni e guarentige dirette a mostrare che essa sarebbe stata applicata sia nell'interesse della Turchia come nell'interesse delle popolazioni cretesi.

Il ministro austro-ungarico degli affari esteri mi partecipò poi che il principe Lobanoff gli aveva fatto suggerire dal conte Kapnist l'idea di dar effetto alla proposta di blocco senza l'Inghilterra. Il conte Goluchowski avrebbe risposto, secondo ciò che egli stesso mi disse, che, per parte sua, il gabinetto di Vienna non avrebbe difficoltà ad associarsi a questo modo di procedere suggerito dalla Russia, purché le altre potenze continentali vi aderissero, e purché fosse ben inteso che le potenze agirebbero risolutamente e coattivamente, anche nel caso di opposizione della Turchia. La questione si trova ora in questi termini. Il conte Goluchowski lascia al principe Lobanoff la cura di proporre la sua idea alle altre potenze, limitandosi a farvi adesione nelle condizioni sovraccennate. Egli è però molto impensierito della nuova fase in cui la questione cretese è entrata. Egli teme che, dall'un lato, gli eventi in Creta conducano alla guerra tra la Turchia e la Grecia, e che d'altro lato, l'agitazione si propaghi in Macedonia e forse altrove, in guisa da impegnare anche le popolazioni bulgare e altre popolazioni vicine a parteciparvi.

Intanto, fin d'ora, anche all'Italia si presenta il caso di decidersi circa la sua azione eventuale. Se la Germania aderisse alla proposta russa, come vi ha aderito l'Austria-Ungheria, alla condizione che le altre potenze continentali vi aderiscano egualmente, ed essendo certo che la Francia seguirà la via tracciata dal governo russo, il governo italiano resterà solo a far conoscere le sue intenzioni, le quali pare non possano essere in un altro senso che in quello di non disgiungersi dai governi alleati.

153

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2820/747. Parigi, 12 agosto 1896.

I giornali d'oggi annunziano che nel consiglio dei ministri che sarà tenuto qui fra due giorni, ed al quale assisterà il capo dello Stato, il ministro della guerra proporrà una spedizione nel sud algerino per la occupazione di In Salah e delle oasi di Tuat e di Gurara. Sebbene varie informazioni lasciassero già da qualche tempo prevedere che una spedizione per penetrare in quella zona fosse allo studio, tuttavia la decisione che ora si adotterebbe a tale riguardo, merita di essere presa in esame, soprattutto in relazione con l'azione diplomatica altre volte spiegata dal governo di S. M. per prevenire le espansioni francesi a pregiudizio delle regioni di sovranità territoriale del Marocco. Non si potrebbe forse oggi fare astrazione, nel considerare i termini nei quali si pone questa questione, dai fatti che si sono compiuti per opera della Francia nella regione dei Tuaregs. Ancor meno si potrebbe prescindere dal tener conto della annuenza dell'Inghilterra a quelle espansioni francesi. Quando, con l'azione concertata dall'Italia, con l'Inghilterra e con la Spagna si cercava di contrastare il passo della Francia verso le agognate oasi di Tuat e di Gurara, spingendo il Marocco a fare rispettare i suoi diritti, la condizione delle cose era assai diversa dalla presente. Fin d'allora, però, lo Stato il più direttamente interessato era l'Inghilterra, ancorchè non apparisse essere quello che più attivamente entrava nell'azione.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1745. Londra, 13 agosto 1896, ore 13,32 (per. ore 17,15).

Sotto Segretario di Stato per gli Affari Esteri mi ha scritto che Salisbury ha detto all'Agente britannico in Zanzibar che il Governo della Regina è favorevole alla proposta del Governo italiano di riprendere la concessione orig\nale per il Benadir del 1892, come è favorevole, per quanto si riferisce al canone, all'apertura di negoziati col R. Console in Zanzibar.

~ -Documenti diplomatici · Serie III · Vol. I

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/9)

L. P. Parigi, 14 agosto 1896.

Spero aver interpretato l'intenzione sua svolgendo nel rapporto che spedisco oggi il tema della nuova convenzione che potremmo fare in sostituzione di quella del 1868 per Tunisi.

La di Lei lettera del giorno 8 (l) mette in perfetta evidenza parecchie cose che io Le scrissi lo stesso giorno. Vedo con molta soddisfazione mia che scrivevamo sotto quella data in perfetto unissono. Ella pure, più per considerazioni d'ordine politico e morale che per ragioni d'interessi materiali ed economici, è condotta a preferire il partito di non rimanere senza un trattato che si sostituisca a quello del 1868. Però, anche riducendo la nuova stipulazione alla massima semplicità possibile, vi sono dei punti sui ;quali l'accordo non può essere facile a stabilire in pochi giorni e la previsione che il termine della scadenza arrivi senza che si sia firmato una nuova convenzione, deve essere tenuta a calcolo.

Non è presumibile, nel Gabinetto francese attuale, l'intenzione, in tale ipotesi, di eccedere e di rendere acuta la condizione dei rapporti della Francia con l'Italia. Ma questo, come qualsiasi altro Gabinetto francese, potrebbe essere spinto a provvedimenti di fatto eccessivi in Tunisia contro lo stato di cose che vi abbiamo, il giorno in cui da parte nostra si affermasse l'intenzione di invocare le capitolazioni e di fondare sovra di esse una situazione giuridica che in nessun modo qui ci si consentirebbe.

Come Ella mi scrive, se non si stipula una nuova convenzione in sostituzione di quella che scade, la principale difficoltà sarà di mantenere in una misura tollerabile una situazione per se stessa precaria, perchè per conseguire questo fine occorre dalle due parti uno spirito di moderazione e di temporeggiamento che forse si può aspettare dai Governi, ma che per certo presentemente non anima l'opinione pubblica dei due paesi. Da parte nostra bisognerebbe inoltre contare con le improntitudini degli italiani di Tunisi. Metto in questo numero la circolare che quella Camera di Commercio ha indirizzato alle consorelle d'Italia per promuovere l'agitazione contro le concessioni che, alla scadenza del trattato, il nostro Governo si disponesse a fare alla Francia.

Frenare siffatte intemperanze, impedire l'eco che esse troverebbero nella stampa e fors'anche nella tribuna francese, non è opera che si possa compiere nè dal Governo nostro, nè da quello di qui. Fra di noi possiamo anche dirci che l'occasione sarà buona per seminare un abbondante raccolto di zizzanie e non mancheranno, coloro che vi hanno interesse, di mettervi mano. Malgrado dunque tutte le obbiezioni che si affacciano facilmente contro il partito di fare un trattato esclusivo con la Tunisia, rinviando ad altra epoca quelli destinati a regolare

i rapporti fra l'Italia e la Francia, a me pare che questo partito s'imponga come il più prudente e savio.

Mi sembra che non si possa prescindere, a tale riguardo, da una considerazione d'ordine morale assai importante pe! determinare la posizione che noi prenderemo di fronte alla Francia. Questa ci ha proposto, in termini molto amichevoli di sostituire al trattato del 1868 un'altra convenzione, a due riprese. La prima volta quando ci fu presentata la denuncia alla fine d'agosto dell'anno passato. Allora, in risposta, noi abbiamo sollevato qui la questione politica significando le riserve che risultavano dal fatto del non riconoscimento da parte nostra dal Trattato del Bardo. La seconda volta fu il Ministro Berthelot che ci chiese di collegare la rinnovazione del trattato tunisino con l'accordo di delimitazione in Africa che gli domandammo, sul finire di dicembre ultimo, con particolare insistenza e premura. Davanti l'opinione pubblica europea la posizione migliore apparirebbe essere quella della Francia che ci offri due volte di trattare incontrando presso l'Italia un ostinato contegno di ripulsa.

Ella mette il dito sulla piaga quando prevede che le maggiori difficoltà sarebbero per la conservazione delle scuole nel loro presente ordinamento! Delle scuole dirette ed amministrate da un Governo straniero, non aventi alcuna sembianza di vita propria, sono infatti istituti sui generis dei quali trovo soltanto riscontro in quelle istituzioni scientifiche od artistiche che alcuni Governi si danno il lusso di mantenere a Roma e ad Atene. Sono moltissime le scuole sussidiate e mettiamo pure anche pagate totalmente dalla Francia, dalla Germania ed all'estero; ma hanno carattere ecclesiastico e rivestono così il carattere autonomo delle congregazioni o delle associazioni che le governano.

Rompere il negoziato sul rifiuto eventuale del Governo francese di riconoscere, sia pure come corrispettivo di altre concessioni nostre, al Ministero della istruzione pubblica italiana di tenere delle scuole nel paese soggetto al protettorato francese, non ci assegnerebbe davanti l'opinione pubblica europea una posizione molto buona. In ogni caso bisognerà manovrare in modo che la questione non si ponga in tali termini.

Non ho potuto, volendo rinviare senza troppo ritardo il corriere di Gabinetto, esaminare la legislazione tunisina posteriore all'inaugurazione del protettorato. Ciò che ebbi l'opportunità di conoscerne non modificherebbe i giudizi e gli apprezzamenti che le ho esposti nei miei rapporti. La piena facoltà della Francia di fare sotto la firma del Bey qualunque legge nella Reggenza risulta dai trattati relativi al protettorato.

Ella avrà notato nel mio rapporto d'oggi che non ho indicato nè le voci per le quali una tariffa convenzionale dovrebbe essere da noi proposta, nè la misura dei dazi da inscrivere nella medesima. Una proroga pura e semplice della tariffa attuale per le voci che più ci interessano, sarebbe la cosa preferibile. Ma bisogna essere preparati ad acconsentire un aumento. Quale questo potrebbe essere, non so. Bisognerebbe su questo punto che gli esperti si pronunciassero badando che non ci resta molto tempo per mercanteggiare.

Se poi il Ministero opinasse di non dare seguito a trattative separate per le cose di Tunisi, io dovrei raccomandare che non si lasci venire la scadenza del trattato del 1868 senza aver cercato di intenderei qui sulla situazione che per gli italiani ed i loro commerci .-sussisteranno in Tunisia dopo quella data. Sono d'avviso che il peggior modo di procedere sarebbe quello di lasciare che le cose vadino da loro. Anche se, come è probabile, il Governo francese non fosse disposto ad accettare a tale riguardo il nostro modo di vedere, durante il periodo di amichevoli spiegazioni non si deciderà ad introdurre radicali mutamenti. Ma se da parte nostra ci teniamo in un contegno indifferente e silenzioso fino alla scadenza, vi è da temere che, per effetto di leggi e decreti beylicali, già forse preparati, ci abbiamo a trovare improvvisamente davanti a mutamenti che, una volta introdotti in via di fatti, non si distruggerebbero facilmente.

(l) Pubblicata al n. 148.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1768. Parigi, 15 agosto 1896, ore 11,51 (per. ore 6 del 16).

Sul ribasso rendita italiana influiscono più considerazioni d'ordine politico che erronei apprezzamenti delle nostre condizioni economiche e finanziarie. I fatti nei quali queste si manifestano sono abbastanza sinceramente riferiti da qualche tempo nella parte seria della stampa francese. Le cause del fenomeno giustamente lamentato dal Ministro del tesoro sono varie e complesse; anzi tutto bisogna vedere in esso la reazione naturale del rialzo prodottosi in un momento di esagerata aspettazione in un nostro radicale mutamento d'indirizzo della politica estera. Si è detto allora che un sindacato spingesse al rialzo, come ora si dice che un sindacato operi al ribasso; ma all'infuori di ciò bisogna tener conto di una sequela di fatti e d'incidenti non tutti di seria importanza che incominciano con l'abbandono della riduzione delle spese militari e mettono capo alla prospettiva di ripresa di ostilità in Africa, i quali hanno sfavorevolmente impressionato l'opinione pubblica. Quasi tutti i giornali hanno pubblicato qui il comunicato italiano inteso a rassicurare contro questa ultima previsione, ma simultaneamente sono riprodotte negli stessi giornali le notizie venute dallo Scioa e certe informazioni attinte nelle gazzette italiane, dalle quali a molti parve poter concludere che la guerra africana sia inevitabile per l'Italia, malgrado ogni contrario desiderio del suo Ministero attuale. L'essere trascorsi più di 4 mesi dalla caduta del Ministero Crispi senza che le disposizioni reciproche dei Governi di Roma e di Parigi per un riavvicinamento abbiano prodotto qualch~ frutto apparente, la ricomparsa nelle rubriche dei giornali degli incidenti di frontiera, delle questioni di partecipazione della Francia al rifornimento di armi all'Abissinia, l'incertezza su ciò che sarà per seguire alla scadenza del trattato italo-tunisino, mantengono pubblico grande perplessità, fanno perdere fiducia nella possibilità di un prossimo miglioramento di rapporti, accrescono le diffidenze. Poichè questo pubblico che non è, nè può essere sufficientemente informato, che non è disposto a riconoscere la parte di responsabilità spettante ai suoi governanti, e che, in ogni modo, aspettava troppo dall'attuale Ministero italiano, si ferma all'idea che cause a lui ignote paralizzano qualunque buona disposizione. Questo essendo lo stato odierno dell'opinione pubblica francese, la sua influenza agisce necessariamente sui corsi dei nostri valori. Nell'ordine dci

fatti d'ordine finanziario poi si segnalano mancanze di compratori e necessità di vendere dei piccoli capitalisti impegnati nella sottoscrizione prestito russo senza fondi corrispondenti, i quali avevano calcolato realizzare premio che questo prestito non ha avuto. Non avendo noi operazioni urgenti da fare, non vi sarebbe, in sostanza, motivo di inquietudine che se le apprensioni dominanti qui si dovessero realizzare.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/15 [I])

L. P. Trinità (1), 15 agosto 1896.

Casualmente assente ieri da questo eremitaggio quando vi giunse la pregiata lettera di V. E. dell'll corrente (2), questa venne da me aperta solo stamattina al mio liitorno, come telegrafai poco fa. Mi affretto rispondervi. A mio avviso parmi sarebbe utile che il desiderio di S. M. il Re di potersi incontrare collo Czar, non già a Roma, ma semplicemente a Monza, durante il suo giro presso i Sovrani delle Potenze Estere, fosse espresso a Pietroburgo al più presto possibile, anche senza chiedere immediata risposta decisiva. A Vienna, se risposta non fosse ancora data, il conte Nigra parlando col signor Lobanoff, che certo accompagnerà lo Czar, potrebbe far rilevare l'importanza politica di quella visita a Monza, e più ancora degli inconvenienti della omissione di essa, e non dubito che il Ministro degli Esteri russo si arrenderebbe alla saggia ed eloquente parola del distinto nostro rappresentante alla Capitale Austriaca.

Se poi tutto ciò non valesse o non si credesse ricorrervi, io potrei recandomi a Berlino tentare l'ultimo colpo: basterebbe perciò che io arrivassi colà prima della fine del mese corrente, giacchè, se non erro, lo Czar non si recherà a Breslavia che il 5 settembre. Non avrò forse occasione di parlare personalmente coll'Imperatore Guglielmo, sempre assente, ma potrei fargli esprimere il desiderio del Re e del suo Governo e non dubito che si adoprerebbe per quanto sta in lui, perchè quel desiderio, di speciale importanza politica, venisse soddisfatto. Come non dubito anche il Governo Imperiale mi aiuterebbe. Mi permetto però insistere perchè la cosa fosse messa sul tappeto prima d'allora, al fine di togliere la possibilità di una risposta negativa basata sul fatto di disposizione di viaggio e d'impegni posteriori già presi che ne impediscano l'effettuazione.

Io non muoverò di qui, anche per poco, senza darne avviso telegrafico a

V. E. e mi ripeto pronto a partire sia per Roma sia per Berlino al primo suo cenno.

A scusa del mio eventuale ritorno repentino a Berlino potrei addurre motivi di famiglia che obblighino il conte Calvi a venire in Italia, mentre non havvi altri a Berlino a chi lasciare la reggenza dell'Ambasciata, ed io non ho speciali ragioni che mi distolgono dall'interrompere il mio congedo.

(l) -Presso Fossano. (2) -Non pubblicata.
158

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/5)

T. s. n. Vienna, 16 agosto 1896.

Tenterò di scandagliare Lobanoff al suo passaggio per Vienna, ma temo sarà tardi ed inefficace.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA (A V V, fase. 68 Z/5)

T. P. Roma, 17 agosto 1896, ore 13.

S. M. a cui fu telegrafato anche il progetto delle lettere risponde che non può associarsi alla proposta di dover fare egli il primo passo per sollecitare una visita che qualora non si effettuasse costituirebbe per lui una cosa penosa. Egli aggiunge testualmente: apprezzo invece vivamente l'idea di incaricare il conte Nigra di negoziare per visita Imperatore di Russia in Italia.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1568. Roma, 17 agosto 1896, ore 14,30.

Billot ritardando suo ritorno Parigi ulteriore indugio mi parrebbe soverchio. Voglia presentare la nostra proposta di proroga pel trattato tunisino. Adoperi un linguaggio conciliante. Ci preme che il signor Hanotaux sia convinto non essere la proroga da noi chiesta un semplice espediente dilatorio sibbene il mezzo di poter pacatamente continuare ad esaurire la ricerca di un nuovo accordo reciprocamente accettabile. S~ poi costì lo si preferisce, la proroga potrebbe anche essere per un termine fisso.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI

D. 31032/184. Roma, 17 agosto 1896.

In un recente nostro colloquio, l'incaricato d'affari di Roma mi diceva essere desiderio del principe Lobanoff di conoscere la mia opinione circa le presenti complicazioni cretesi. A me parve che fosse occasione opportuna per chiarire schiettamente il mio pensiero.

Ciò che noi desideriamo, dissi, è che le attuali difficoltà abbiano sollecito componimento. Desideriamo, quindi, altresì che si mantenga pieno e intero l'accordo fra tutte le potenze: nelle cose d'Oriente, esso costituisce la più sicura guarentigia. A tale intento, abbiamo costantemente assecondato, nella misura del possibile, tutte le proposte messe innanzi in questi ultimi tempi. Abbiamo solo riservata la nostra adesione rispetto alla proposta del blocco, essendoci sembrato che, per un simile provvedimento, l'unanimità delle potenze fosse assolutamente necessaria, e che, d'altra parte, potesse essere pericoloso esporre l'azione delle potenze alle contingenze d'un primo screzio.

Intanto, a nostro avviso, è soprattutto indispensabile e urgente che si provveda ad un soddisfacente assetto dell'isola. La Porta dovrebbe non perdere un minuto di tempo. Essa si duole, e può avere anche ragione, che alla pacificazione di Creta sia ostacolo la speranza della popolazione cristiana d'avere aiuto dalla Grecia. Ma è certamente ostacolo altrettanto e forse più grave l'assenza di una fiducia qualsiasi nelle promesse riforme e nel miglioramento che dalla Porta si possa ottenere. Oramai gli ambasciatori hanno condotto a termine il loro esame circa le proposte dei deputati cristiani e le obiezioni dei deputati musulmani. La conclusione dello studio si compendia in proposizioni precise e concrete che ora sono sottomesse alla approvazione dei governi. Importa che la Sublime Porta non tardi a tradurre quelle proposte in provvedimenti che correggano e completino il patto di Halepa. Le potenze avranno cosi modo di prestare un efficace concorso, sia per ottenere a quei provvedimenti l'acquiescenza delle popolazioni, sia per assicurarne l'effettiva applicazione. Questo -non lo tacqui all'incaricato d'affari -è, a mio avviso, il procedimento che solo può condurci ad una giusta e stabile soluzione del problema.

La S. V. potrebbe, eventualmente, tenere, circa questo importante argomento, un linguaggio conforme al mio.

162

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1800. Parigi, 18 agosto 1896, ore 20,10 (per. ore 23,30).

Ho avuto con Hanotaux un lungo colloquio, nel quale ho esposto le ragioni che ci portano a chiedere nell'interesse dell'esito finale del negoziato, una proroga del trattato Tunisino. Il linguaggio del Ministro fu improntato a grande conciliazione, e le verbali sue dichiarazioni lasciano credere che non esiste alcuna disposizione attuale, qui, ad inacerbire i rapporti con degli incidenti dispiacevoli in Tunisia. Ma, relativamente alla proroga del Trattato egli dichiarò formalmente di non poterla consentire. È una questione di massima, inderogabile per la Francia, il non lasciare sopravvivere alla scadenza loro i trattati della Tunisia. La proroga dell'Atto derogherebbe alla massima alla quale assolutamente non si vuole fare eccezione. Però ho condotto Hanotaux a distinguere fra l'atto della stipulazione del 1868 e lo stato di cose da esso regolato; ed egli si è mostrato arrendevole a prorogare stato di cose ossia a !asciarlo sopravvivere all'atto che deve intendersi in ogni caso scaduto e finito. Egli si esprimeva però nel senso che la sopravvivenza dello stato delle cose dovrebbe risultare da un atto fra l'Italia e la Francia; che l'Italia dovrebbe rinunziare ad opporre eventualmente alla Francia lo stato delle cose di cui resterebbe temporaneamente in possesso, e che l'Italia rinunzierebbe ad invocare le capitolazioni.

Nelle mie risposte mi sforzai di dimostrare: 1o che l'accordo di una proroga costituirebbe necessariamente un atto fra l'Italia e la Francia; 2• che, se si adotta per la proroga il termine della durata del trattato inglese, è chiaro che non si presenterà, durante la proroga, il caso di introdurre il regime speciale francese, nè per noi quello di ritoccarlo; 3° che dello stato delle cose regolato dal trattato del 1868 sussisteva soltanto la parte relativa alla navigazione, alla pesca, al regime doganale, alla nazionalità dei cittadini, alle società ed associazioni e poche altre disposizioni che trovavano le loro similari nei trattati fra gli Stati europei, poichè tutto ciò che si riferiva alla giurisdizione era regolato dal protocollo italo-francese del 1884 che non era attualmente in discussione. Conveniva non allargare inutilmente ed inopportunamente il campo della materia da prorogare. Questa comprendeva soltanto il complesso delle cose al presente regolate dal trattato del 1868, nel quale delle capitolazioni non era fatta alcuna menzione. Hanotaux, al quale Billot malato in Svizzera aveva scritto che io avrei domandato la proroga, ha concluso chiedendomi tempo fino ai primi giorni della settimana prossima per redigere una formula che, in uno spirito di conciliazione reciproca, possa essere sottoposta al nostro esame per lasciare sussistere lo stato di cose presente, durante un certo termine, senza pregiudizio delle questioni di massima che impediscono alla Francia di consentire alla proroga pura e semplice.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

D. 311171779. Roma, 18 agosto 1896.

Pregiomi di segnare ricevuta e di ringraziare V. E. del rapporto in data

12 corrente, n. 28201747 (1), relativo alla proposta spedizione francese nel sud

algerino per occupare In Salah e le oasi di Touat e di Gourara. V. E. richiama l'azione diplomatica spiegata dal R. governo, in accordo coi governi inglese e spagnolo, per prevenire le meditate espansioni francesi a pregiudizio della sovranità territoriale del Marocco; aggiunge però, con ragione che la situazione è notevolmente mutata dal tempo in cui Inghilterra e Spagna apparivano, benchè in diversa misura, entrambe risolute a contendere alla Francia la divisata impresa.

È certo che l'interesse nostro nella questione è oramai affatto indiretto e secondario. Ad ogni modo, La prego di continuare ad inviarmi tutte le informazioni che Le sarà dato di procurarsi sull'interessante questione.

(l) Pubblicato al n. 153.

164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1599. Roma, 19 agosto 1896, ore 18,30.

Il rifiuto della proroga pura e semplice quale era da noi domandata, non mi riuscì inatteso. Avrei però preferito che il colloquio di Lei con Hanotaux si fosse fermato a questo punto, per avere, noi stessi, piena libertà di considerare se e quali altre proposte ci convenga di fare, mentre, invece, il successivo svolgimento della conversazione ha condotto Hanotaux a poter prendere l'iniziativa di una proposta che ci metterà, io temo, in una posizione imbarazzante. Tutto considerato, io penso che Ella debba trovare un motivo che giustifichi la sua partenza per l'Italia e qui venga a conferire sul da farsi, essendo necessario intenderei chiaramente sul possibile seguito, sul metodo e sullo scopo del negoziato. Sarà bene che Ella parta prima che Hanotaux possa presentarle la sua formola.

165

IL MINISTRO A TANGERI, MALMUSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 502/91. Tangeri, 19 agosto 1896.

Il cav. Gentile è partito addì 16 mattina per Marocco. Gli diedi una mia lettera d'introduzione presso il gran vizir (lettera che, tradotta, qui unisco), e queste mie scritte istruzioni:

« Definire la questione del Bascir, ottenuto H pagamento per parte del governo sceriffiano di ogni somma rimasta a dovere ai fratelli Orlando, e che un commissario imperiale si rechi in Italia per ricevere in consegna la nave e provvedere al suo armamento col prestabilito personale di artiglieri e marinai indigeni; tale è il primissimo scopo della missione di Lei a Marocco.

Trattata e risolta questa per noi essenziale vertenza, la S. V. vorrà adoperarsi perchè il Makhzen riapra la scuola arabo-italiana di Tangeri, o, per lo meno, non tenga più lungamente deserte di alunni marocchini le classi del R. Istituto dnternazionale di Torino; perchè attenda con puntualità agli impegni per esso assunti rispetto alla fabbrica d'armi; e perché infine, pur esamini e componga gli affari nostri in corso di privati cittadini e protetti.

La perizia e la sagacia ond'Ella diede ottima prova in precedenti laboriosi negoziati, Le detteranno il linguaggio meglio appropriato a raggiungere siffatti obbiettivi.

Quello che preme, come Le è noto, si è di raddrizzare anzitutto i falsi giudizi che sappiamo prevalere alla Corte sceriffiana, di ricondurre il gran vizir ad un più esatto apprezzamento delle reali condizioni politiche e militari del nostro paese; di persuaderlo della parte importante che l'Italia non ha cessato di rappresentare nel concerto europeo,_ del valore di sue alleanze, e dell'utilità di sua amicizia.

La S. V. vorrà informarmi dell'interna situazione politica del paese, delle accoglienze che Le verranno fatte dalla Corte e dai ministri, e, man mano che se ne offra l'opportunità, dell'esito di sue gestioni».

Ardisco sperare di avere così fedelmente interpretato il pensiero ed desiderii dell'E. V.

ALLEGATO.

MALMUSI A AHMED IBN MUSA (l)

Tangeri, 14 agosto 1896.

Il cav. Gentile, regio segretario-interprete, latore di questo mio scritto, ti farà parte dei desideri e degli intendimenti del mio governo circa diversi nostri affari vertenti.

Tu lo conosci e sai come in precedenti missioni a lui affidate egli abbia dato prova di prudenza e di capacità, meritandosi la fiducia e l'approvazione insieme di S. M. l'augusto mio Re e di S. M. Sceriffìana.

Ascoltane la parola amica, presta illimitata fede a quanto egli sarà per esporti in mio nome, e fa di agevolargli il compito suo per il vantaggio reciproco dei due paesi.

166

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS

D. 31283/143. Roma, 20 agosto 1896.

Confermando le notizie già dall'E. V. pervenutemi quest'ambasciatore di Spagna mi ha esposto le ragioni per le quali, dopo la promulgazione del proclama 30 luglio p. p. del presidente Cleveland, codesto governo, accogliendo anche i consigli dei rappresentanti in Madrid dell'Inghilterra e della Francia, ha reputato ormai opportuno di non dare altro seguito al progettato invio di una circolare alle potenze circa il contegno degli Stati Uniti nella questione cubana.

Ho ringraziato il conte di Benomar della sua comunicazione. Gli dissi che l'E. V. già mi aveva informato della decisione in tal senso adottata dal gabinetto di Madrid e gli dichiarai il mio particolare compiacimento, sia per la decisione stessa, sia, sopratutto, per il fatto che l'aveva determinata; facendo rilevare come, per tal modo, vengano eliminate le spiacevoli ·contingenze che, indipendentemente dal buon volere dei due governi interessati, da un ulteriore dibattito della delicata questione avrebbero potuto derivare fra la Spagna e gli Stati Uniti.

Il proclama del presidente Cleveland senza dubbio muta, migliora la situazione, ed è tale manifestazione di cui è giusto tener conto; nè, d'altra parte, è meno evidente che, soprattutto alla vigilia dell'elezione presidenziale negli Stati Uniti, l'appello della Spagna alle potenze d'Europa avrebbe potuto eccitare nella federazione, ed anche in altri Stati d'America, le suscettibilità nazionali, e quella opposizione che vivamente si manifesta ogni qualvolta sorge colà il dubbio che le potenze stesse abbiano come che sia ad intervenire negli affari di quel continente.

In tale stato di cose, il governo della Regina Reggente ha, senza dubbio, cautamente operato astenendosi dal compiere il divisato invio del memorandum. In questo senso mi sono espresso col conte di Benomar; ed ora comunico

quanto precede all'E. V. per informazione sua, e perchè a queste stesse considerazioni Ella possa eventualmente informare il suo linguaggio nei colloqui che su questo argomento Le accadesse di avere con codesto ministro di Stato.

(l) Gran Visir del Marocco.

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L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1826. Therapia, 21 agosto 1896, ore 12,30 (per. ore 0,30 del 22). Ministro degli Affari Esteri è venuto ora a dirmi che il Sultano è disposto ad accettare buoni uffici delle Potenze per un componimento affare Creta sulla base delle proposte Ambasciatori, le quali dovrebbero discutersi qui direttamente fra noi e la Sublime Porta per essere poi notificate ai deputati cretesi come espressione volontà Europa in nostro nome. Interrogato circa punti relativi nomina Governatore Generale subordinata assenso Potenze, il Ministro disse ritenere che tale questione potrebbe venire risolta favorevolmente. Le sue parole mi lasciarono impressione che la Sublime Porta desidera vivamente uscire dalle presenti difficoltà, le quali sono, fra altro, di ostacolo alla conclusione di qualche operazione finanziaria urgentemente richiesta dalle gravi condizioni erario. Tutti

i Consoli sono autorizzati a trattare sulle basi indicate, salvo Ambasciatore di Russia, che ancora attende istruzioni suo Governo.

168

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MAGGIORE NERAZZINI

T. 1624. Roma, 21 agosto 1896, ore 20. Siamo grandemente impressionati dal lungo silenzio e dal tempo che passa senza risultati. Questa impressione è anche maggiore nel paese che non si rende conto delle difficoltà. Se alla fine del mese non abbiamo ricevuta alcuna risposta Ella dovrà senz'altro partire per l'Harrar facendosi precedere da un corriere

per conoscere le intenzioni di Makonnen e dirgli che siamo disposti a mandare il generale Valles per trattare la pace.

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IL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 488/285. Pietroburgo, 21 agosto 1896. Tutta la stampa russa è unanime nel salutare con manifesto compiacimento gli sponsali del Principe di Napoli colla Principessa Elena di Montenegro, accompagnando la notizia del fausto avvenimento con ogni sorte di commenti e di previsioni sulle sue probabili conseguenze politiche.

Non sarà forse privo d'interesse per l'E. V. il conoscere gli apprezzamenti dei principali giornali russi, che qui appresso riassumo brevemente:

La Novoe Vremia ritiene che al matrimonio dell'Erede del Trono della cattolica Italia con una Principessa di religione ortodossa e di sangue slavo non possa assegnarsi la stessa mancanza d'importanza politica che caratterizzò in questi ultimi anni le unioni principesche in Europa, e che il lieto avvenimento che sta per compiersi a Cettigne significhi anzitutto un riavvicinamento dell'Italia alla Russia. Se si considerano i vincoli di stretta amicizia che unirono in ogni tempo a quest'Impero il Principe Nicola, che in una memorabile occasione venne chiamato dal defunto Imperatore Alessandro III «l'unico e migliore amico della Russia » non è da supporsi che quell'unione si sarebbe effettuata se non avesse incontrato piena ed intera la simpatia della Corte e del popolo russo.

«Non crediamo -così conclude l'autorevole giornale di Pietroburgo, che anche in questa occasione non volle smettere il tuono altezzoso che spesso e volentieri assume parlando delle cose nostre -che vi sia per la Russia un urgente bisogno di migliorare i suoi rapporti coll'Italia, ma per la politica sinceramente pacifica del Governo Imperiale il rannodamento di siffatte relazioni costituisce una nuova e fortunata garanzia della pace d'Europa, la quale anzitutto, è basata sopra una cordiale intesa delle potenze continentali appartenenti o no alla Triplice Alleanza che va ognor più perdendo il suo carattere minaccioso ».

Press'a poco un uguale linguaggio, per quanto più mite nella forma, tiene pure il N ovosti, il quale trova però modo di mettere in relazione gli sponsali principeschi colla presenza a Roma di Leontiew e coi supposti negoziati coll'Abissinia. Esso si fa anzi mandare da Roma un telegramma, secondo cui il progettato matrimonio non verrebbe celebrato se non dopo conchiusa la pace col Negus.

Mentre i giornali suddetti si limitano a vedere negli sponsali dell'Augusto nostro Principe un sintomo di prossimo miglioramento dei rapporti tra l'Italia e la Russia, il Birgevoi Viedomosti vi scorge addirittura la fine della Triplice Alleanza. « Allorquanto una Principessa di razza slava -esclama in un tuono patetico il prefato periodico concludendo il suo articolo -cingerà la corona Reale, cadranno le catene che tengono avvinto il giovane Regno, e l'Italia, abbandonando gli antichi suoi alleati, aprirà le braccia alla nuova sua amica la Russia».

Anche i giornali che hanno più diretta attinenza col Governo, come il Petersbursvie Viedomosti commentano con molto favore l'unione delle Case Savoia e Njegosch, dovuta secondo essi in gran parte all'ingerenza dello Czar, e credono possano derivarne notevoli cambiamenti nelle relazioni fra l'Italia e la Russia.

170

IL MAGGIORE NERAZZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1843. Aden, 22 agosto 1896, ore 10,15 (per. ore 12,30).

Maconnen scrive: « Imperatore Menelik soddisfatto sue lettere che rammentano antica amicizia lo aspetta Scioa. Prima di lasciare Zeila, come amico, le comunico seguenti consigli: Menelik desidera rinnovamento amicizia con Italia ma suo pensiero è che Governo italiano riconosca annullamento trattato di Uccialli, indipendenza Impero Etiopico con testimonianza Potenze europee nostre amiche. Se ella non è stato autorizzato sottoscrivere tale atto, sua missione prigionieri non può riuscire e non faccia viaggio invano. Lei dev'essere munito pieni poteri sovrani confermati Presidente Consiglio, Ministro affari esteri, Ministro Guerra, e se Lei può sottoscrivere queste due cose venga, tutto sarà finito ben presto; intanto mantengasi promessa fatta Magg. Salsa non passare Mareb fino arrivo plenipotenziari Scioani per concludere pace. Se Ella può trattare nei termini suddetti venga subito>.

Maconnen con altra lettera mi permette inviare carovana soccorso prigionieri, incaricandosi egli stesso interessare Menelik per prosecuzione da Harrar Scioa. Per guadagnar tempo risposi avere avuto completi pieni poteri, ma voler telegrafare Governo del Re intendimento Menelik e aspettare Zeila salvacondotto Menelik che speravo in istrada. Ora conviene decidere essendoci noto modo assoluto intendimento Menelik pace, sperando sempre ottenere che riconoscimento indipendenza Etiopia sia esteso altre nazioni europee. Se il Governo del Re intende trattare su queste basi prego telegrafarmi istruzioni precise. Cambiamento risultato missione oramai non può dipendere qualità persone inviate trattare ma dall'accettar o no intendimento Menelik immutabile sempre da marzo ad oggi: qualunque personaggio che portasse proposte essenzialmente diverse farebbe pure

viaggio invano per cui sembrami intervento Generale Valles essere prematuro cagione perdita tempo, ponendomi falsa posizione con Governo Etiopico cui scrissi essere io plenipotenziario: Generale potrebbe venire per solenne ratifica trattato di pace. Se il Governo del Re accetta trattare su quelle basi, non vedendo altra soluzione diplomatica possibile, propongo autorizzarmi tosto Gubbi scrivendo Maconnen in nome dei ministri i quali fiduciosi parola Menelik e sua mi autorizzano entrare Harrar. Credo intanto necessario mandarmi nuove affermazioni mie credenziali con lettera firmata soliti Ministri, come scrive Maconnen anche in seguito al cambiamento avvenuto Gabinetto.

Prego telegrafarmi se debbo Aden risposta interessandomi tornare sollecitamente Zeila per spedire carovana. Per sicurezza mia personale non ho timore.

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IL MAGGIORE NERAZZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1855. Aden, 23 agosto 1896, ore 11,15 (per. ore 12,15).

.

Quanto alla prima formula ritengo significhi: «notificazione alle potenze europee del nuovo trattato > quando non voglia significare che europei residenti Scioa siano testimoni atto pace ma questa versione poco probabile. Quanto alla seconda formula è un'osservaziòne mia riferentesi desiderio nostro impedire che Menelik accetti in seguito altro protettorato quando potessimo ottenere che: «indipendenza Etiopia sia dichiarata tanto riguardo dell'Italia quanto delle altre Potenze europee». Sarà questo il punto difficile perchè Menelik già comprende nei precedenti tentativi di negoziati lo scopo cui mira questa nostra dicitura la quale vincola sempre sua indipendenza. Non credo possano sorgere questioni serie circa confini: vera causa questione con Etiopia fu nostra dichiarazione di protettorato: unico impedimento per qualsiasi negoziato fu volere mantenere formula accennante protettorato ovvero vincolo libertà Etiopia. Eliminato questo punto controversia, ogni altra questione diviene secondaria e credo si possa sormontare abilmente. Quanto alla cattura del bastimento carico armi suppongo appartenga Menelik ignoro precise circostanze fatto, nè posso presumere quale effetto Negus sulle sue decisioni.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MAGGIORE NERAZZINI

T. 1641. Roma, 23 agosto 1896, ore 12,15.

Il R. Governo accetta trattare con Menelik sulla base abrogazione trattato Uccialli e riconoscimento sua indipendenza, assumendosi farne, egli stesso, dichiarazione presso Potenze d'Europa, libero Menelik di fare altrettanto.

Questa è evidentemente la sola forma reciprocamente accettabile di testimonianza delle Potenze amiche, non convenendo a noi e neppure a Menelik, di ammetterne il diretto intervento che non sarebbe decoroso chiedere e sarebbe certo rifiutato. Ella può adunque, oltre all'inoltrare immediatamente carovana di soccorso, proseguire Ella stessa per Harrar e Scioa, scrivendo a Massaua lettera nel senso da Lei indicato e lasciando a Zeila persona di fiducia, con Provana, a sua disposizione per eventuali comunicazioni. Meglio sarà affidare tale incarico al Comandante del Provana. Mi avverta per farlo autorizzare dal Ministro di Marina.

Per i preliminari da stipularsi confermo, salvo la suespressa modificazione circa trattato di Uccialli e indipendenza Abissinia, le istruzioni del 28 maggio in ogni loro parte. Insisto soprattutto per escludere indennità di guerra sotto qualsiasi forma.

Per il rimborso delle spese di mantenimento dei prigionieri Ella ha facoltà accettare somma che sarà richiesta purchè sia entro limiti tali da eliminare il dubbio che il pagamento se ne faccia per titolo diverso. Sarà bene che la liquidazione se ne faccia separatamente dal Trattato.

Le sarà tosto mandata, quantunque superflua, una lettera firmata dai tre Ministri dell'attuale Gabinetto, confermante i suoi Pieni Poteri, ed intanto Ella può annunciarne i! prossimo arrivo. Voglia assicurare ordini precisi dati di non oltrepassare Mareb.

Sarà sospesa partenza Plenipotenziario di maggior grado, essendo data a Lei facoltà concludere; essa avverrà solo qùando Ella lo richiedesse.

Non ho duopo raccomandarle risolutezza e soprattutto sollecitudine. Opinione pubblica non comprende indugi imposti dalle distanze. Mandi notizie più frequentemente possibile.

173

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1874. Rio de Janeiro, 24 agosto 1896, ore 2,20 (per. ore 20,50).

Camera nella seduta odierna ha respinto unanimità protocollo (1). Impomente dimostrazione ostile distribui fogli eccitamento ecc,idi italiani. Urge provvedere. Chiedo istruzioni pronte categoriche.

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, BRUNO

T. 1660. Roma, 25 agosto 1896, ore 14,40.

Ricevetti regolarmente tutti i suoi telegrammi. Raccomando calma fermezza. Voglia comunicare a codesto ministro degli affari esteri punti seguenti: l) Se a

S. Paolo fu insultata la bandiera del Consolato non basta processare colpevoli, occorre riparazione formale consueta in simili casi; 2) sono disposto esaminare reclami contro Brichanteau appena mi siano noti e provvederò secondo la conclusione dell'esame, ma non posso, dopo questa mia dichiarazione, ammettere ritiro exequatur che sarebbe atto gratuitamento odioso; 3) dopo il rigetto del protocollo, ci attendiamo che il governo brasiliano ci faccia in tempo breve le sue proposte per altro modo· di definizione dei nostri reclami; 4) infine e soprattutto desidero codesto governo sappia che noi dobbiamo considerarlo responsabile d'ogni danno o pericolo che per incuri~ sua o delle autorità locali, possa derivare ai nostri nazionali. Mancando su questo punto, completa sicurezza, dovremmo intanto come indispensabile provvedimento, sospendere emigrazione per il Brasile.

175

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1891. Rio de Janeiro, 26 agosto 1896, ore 10,35 (per. ore 17,30).

Situazione grave. Continua dimostrazione ostile. « Morte Italia, viva Menelich ». Dimostranti portatori ritratto Menelich occhiello. Italiani minacciati, aggredHi; qualcuno ferito: polizia impotente. Mancano notizie S. Paolo. Malafede governo brasiliano patente. Mi consta che questo ministro degli affari esteri, prima del mio colloquio, aveva assistito conferenza Presidente della Repubblica, nella quale fu conchiuso rigetto protocollo. Questo governo sparge voce ottenere direttamente per mezzo Regis de Oliveira soddisfazione esigenze. Prego di diffidare. Astengomi vedere questo ministro degli affari esteri non avendo istruzioni.

(l) Si riferisce al protocollo italo-brasiliano firmato il 12 febbraio 1896 a Rio de Janeiro dal Ministro plenipotenziario italiano, conte Roberto Magliano e dal Ministro degli Esteri del Brasile, Carlo Augusto de Carvalho.

176

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA,

(Carte Ereditd Nigra)

T. P. Roma, 26 agosto 1896.

Tra le molte cose qui dette da Leontieff è anche, questa che certo Josef, messo del Negus con lui venuto in Europa ha recato all'Imperatore di Russia una lettera del Negus, con la quale questi in certo modo si rimette interamente al suo consiglio. Se veramente tale lettera fu recata all'Imperatore di Russia e Lobanow ve ne parla, sapete nostre idee che si compendiano nel fare la pace onorevole con la liberazione dei prigionieri.

177

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA (A V V, fase. 68 Z/5)

T. P. Roma, 26 agosto 1896, ore 12,30.

Credo bene rinnovare assicurazione che rifiuto S. M. scrivere lettera ebbe per solo motivo timore risposta cortese ma negativa. Re avrebbe scritto se avessi potuto dargli qualche affidamento sul risultato. Egli desidera vivamente che l'Italia non rimanga esclusa dal viaggio imperiale ed ha ripetutamente insistito idea pregarvi esercitare verso Principe Lobanoff quegli uffici che crederete opportuni. Comprendo tutte le difficoltà. Riuscendo avrete reso grande servigio. Paese intero saluterebbe visita con grande soddisfazione. Spero che matrimonio Principe di Napoli, cosi bene accolto dal popolo italiano, possa contribuire rendere disposizioni più favorevoli.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (Carte Ereditd Nigra)

T. P. Vienna, 27 agosto 1896.

Da non comunicarsi se non al Re ed al Presidente del Consiglio. Ecco la risposta che il Principe Lobanow è venuto a portarmi alla mia interrogazione circa la possibilità d'un viaggio dell'Imperatore di Russia in Italia. L'itinerario del viaggio attuale essendo già fissato, e l'imperatore dovendo trovarsi a Pietroburga per il 20 ottobre, anniversario della morte di suo padre, non può, malgrado il suo vivo desiderio, fare per quest'anno una corsa in Italia. Ma spera poterla fare nell'anno prossimo. Segue lettera.

179

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

CA V V, fase. 68 Z/5 [II])

T. P. Vienna, 27 agosto 1896, ore 17,50 (per. ore 19,50).

Principe Lobanoff mi ha detto che difatti l'Ambasciata russa in Roma lo aveva informato del prossimo arrivo di un messaggio del Negus, nel quale questi chiederebbe la mediazione della Russia. Ho comunicato a Lobanoff il contenuto del vostro telegramma. Egli mi ha chiesto se converrebbe al Governo del Re che la Russia accetti la parte di mediatore, nel caso in cui la lettera del Negus contenesse tale proposta. Io risposi pregando Lobanoff di voler fare chiedere al nostro Governo se la mediazione gli conviene e quali sono le sue condizioni per la pace ed egli lo promise. Segue lettera.

180

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/5 [II])

L. CONFIDENZIALE Vienna, 28 agosto 1896.

Il Principe Lobanoff mi ha informato che il noto Leontieff, arrivato in Vienna, fu da lui ricevuto questa mattina, e gli confermò la notizia già datagli dall'Ambaseciatore russo in Roma, che un messo del Negus è incaricato di una lettera del suo Signore per l'Imperatore, e anche di messaggi per lui, Lobanoff. Il messo è giunto in Odessa e ha chiesto dove e quando avrebbe potuto rimettere i suoi messaggi. L'Imperatore gli fece rispondere, che sarà a Kiew fra tre giorni, e che colà potrà ricevere il messaggio del Negus. Secondo il detto di Leontieff, la cosa sarebbe seria. Il Negus farebbe sapere allo Czar ch'egli è disposto ad accettare la mediazione della Russia per la conclusione della pace coll'Italia. Il principe Lobanoff avendomi chiesto se il Governo italiano avrebbe accettato tale mediazione, gli risposi pregandolo, quando la proposta del Negus sia vera, di farvi rivolgere tale interrogazione e di farvi chiedere se la cosa vi conveniva e quali erano le nostre condizioni.

Lobanoff mi promise di farlo, dopo che avrà ricevuto il messaggio del Negus e dopochè l'Imperatore gli avrà comunicato la lettera a lui diretta da Menelik; e mi disse, parlando in modo affatto obbiettivo, ch'egli credeva di poterei rendere servizio, se noi pure ci affidavamo a lui. Il principe insistette sulla parola mediazione che si troverebbe nella lettera del Negus, bene inteso al dire di Leontieff. Non si tratterebbe dunque di un semplice consiglio chiesto dal Negus allo Czar, ma di una proposta di vera mediazione.

Ora spetta al Re, a Rudinì e a voi l'esaminare la cosa. Krupenski sarà incaricato di interrogarvi a tempo debito, cioè fra quattro o cinque giorni; suppongo, non più tardi. Vi impegno a proseguire le trattative, se ve ne saranno, con Kru

9 -Documenti diplomatici • ~erie lil · V0l. I

penski. Già sarebbe difficile il fare altrimenti. Di qui io non posso incaricarmene. A Pietroburgo non avete nessuno. Bisognerà dunque trattare col mezzo di Krupenski. Questi è un po' chiacchierone e manca talora di tatto. Ma ha molto ingegno; è ambizioso di far qualche cosa di attivo, e potrà nelle vostre mani servirvi allo scopo.

Per me è evidente una cosa. Dopo l'affare del trattato di Uccialli, il Negus è diffidente verso di noi, e ha ripugnanza a trattare con noi, sospettando sempre che dal nostro plenipotenziario gli si cangino le clausole pattuite. Questa diffidenza, che è invariabile, ha consigliato il Negus di chieder di trattare per mezzo della Russia, a fine di avere un testimonio idoneo e potente. La cosa è dura per il nostro amor proprio. Ma oramai il nostro paese deve persuadersi, che quando si adoperano diplomatici come Antonelli, Generali come Baratieri, e Ministri come Mancini, non si possono avere pretese soverchie.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(Carte Eredità Nigra)

L. CONFIDENZIALE Vienna, 28 agosto 1896. Quando mi avete fatto sapere (con telegramma del 17 corrente) (l) che S. M. il Re credeva più conveniente che io presentissi il Princ,ipe Lobanow circa la possibilità di una corsa dell'Imperatore e dell'Imperatrice di Russia in Italia, dopo aver preso in esame la cosa, e riflettendo alla brevità del tempo, mi decisi a scrivere al principe la lettera particolare e privata, di cui è qui annessa la copia. Tentai di concepire la lettera in termini tali da non compromettere nè pregiudicare le intenzioni del Re. Il principe Lobanow giunse ieri a Vienna coll'Imperatore, verso le 11 del mattino, e alle 3 venne a vedermi. Come vi ho telegrafato, egli mi disse che l'itinerario del viaggio attuale dei suoi sovrani era stato concertato e fissato da più di un mese, e che non potendosi ora modificare, mancava il tempo necessario per una visita in Italia. Aggiunse che l'Imperatore è legato da una data inesorabile, quella del 20 ottobre, anniversario della morte di suo padre, alla quale epoca deve trovarsi a Pietroburgo, e quindi deve rinunziare, malgrado il suo desiderio di render visita ai nostri sovrani, a fare per quest'anno una corsa in Italia. Il principe Lobanow mi fece però sapere confidenzialmente che l'Imperatore sperava poter fare ciò nell'anno prossimo. Non mancai di far notare a Lobanow che l'omissione dell'Italia nel viaggio attuale non avrebbe mancato di fare in Italia un'impressione sfavorevole, mentre l'avrebbe fatta eccellente la visita imperiale. Ma egli osservò che non era possibile materialmente il far entrare ora l'Italia nel quadro ristretto dell'itinerario anteriormente fissato. Non ho altro da aggiungere ora a questo proposito, se non che, se si vuole

la visita per un altro anno bisognerà: l) non parlarne ora con altri che col Re e colla Regina e col Presidente del Consiglio, poichè se i giornali se ne immi

schiano, si può guastar tutto; 2) preparare la cosa con un po' di abilità. Sarà soprattutto importante che cessi questa mancanza di rapporti personali tra i due sovrani, e posso aggiungere anche fra i due Governi, poichè le due Ambasciate a Roma e a Pietroburgo da molto tempo sono quasi nominali, e la nostra influenza in Russia è ridotta a zero.

.ALLEGATO.

NIGRA A LOBANOV

Vienne, le 19 aout 1896.

Maffei et Vlangali étant en congé, permettez-moi de vous faire revoir mes caractères, et de vous adresser une question qui intéresse nos deux Com·s, et aussi un peu nos deux pays. Je sais que le Roi et la Reine d'ltalie seraient charmés, si profitant de leur prochaine course à travers l'Europe, LL. MM. l'Empereur et l'Impératrice de Russie comptaient aussi de visiter quelque coin de l'Italie, dont Ils s'empresseraient de Leur faire les honneurs. Le Roi et la Reine ont gardé la meilleure impression du gracieux accueil qu'lls ont trouvé autrefois à la Cour de Russie, et je suis sur qu'ils saisiraient avec plaisir l'occasion de témoigner la fidélité de ce souvenir, personnellement, à LL. MM. Impériales. Je pense qu'il ne vous sera pas difficile de connaitre s'il sera possible à Vos Augustes Souverains de leur fournir cette occasion. En ce cas, le Roi aurait naturellement soin de s'adresser directement à l'Empereur en temps et lieu. Je vous informe, pour toute bonne fin, que le Roi et la Reine resteront probablement à Monza jusqu'à novembre. Mais je ne doute pas qu'Ils laisseraient éventuellement à l'Empereur et à l'Impératrice le choix de l'époque ainsi que de celle, parmi les résidences royales, qui leur conviendrait le mieux.

Vous pourrez me donner la réponse à votre prochain passage à Vienne, où je serai très content de Vous revoir.

(l) Pubblicato al n. 159.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, BRUNO

T. 1696. Roma, 29 agosto 1896, ore 0,15.

Pisani Dossi non potendo partire per motivi famiglia ho deciso inviare costì come Incaricato Straordinario e Ministro Plenipotenziario in missione speciale il cav. De Martino. L'ho annunziato a questo ministro Brasile aggiungendo che De Martino è incaricato sia di provvedere per conveniente riparazione casi presenti, sia di ottenere soddisfacente conclusione per i reclami precedenti cui riferivasi protocollo. De Martino potrà anche esaminare e riferire addebiti fatti Brichanteau. Dissi chiaramente a Regis che dopo questa mia dichiarazione il ritiro dell'exequatur avrebbe provocato inevitabile rottura. Informo di quanto 'precede per norma linguaggio.

183

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 1981. Pietroburgo, 1 settembre 1896, ore 12,30 (per. ore 13,40).

Il solito informatore mi comunica l'Ato Josef sarebbe latore di una domanda di Menelik allo Czar di assumersi la mediazione nel conflitto italo-abissino. Il

Negus dichiarerebbe essere inoltre disposto accettare il protettorato della Russia. Ato raggiunto da Leontieff ad Odessa è partito con esso per Kiew per incontrarvi Imperatore. È forse a tale proposito da attribuirsi inaspettato viaggio del principe Lobanoff a Kiew ed ora immediata chiamata del signor Cischkine partito iersera.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DESTINATO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO

D. 33349. Roma, l settembre 1896. Desidero qui segnare in succinto per maggior precisione le istruzioni che già ebbi ad impartirle verbalmente per la missione che Le è affidata. Il compito di Lei abbraccia così i reclami per i fatti recenti, come i reclami più antichi a cui riferivasi il protocollo 12 febbraio 1896 respinto dal congresso brasiliano. Però, pur facendo chiaramenté intendere al Governo del Brasile non potersi considerare esaurito il mandato di Lei se non quando siano composte entrambe le categorie di reclami, conviene che la S. V. dichiari avere avuto dal regio Governo istruzione di prima esaurire la trattazione dei reclami recenti, per intraprendere indi quella dei reclami più antichi. Troppo viva è la legittima commozione suscitata in Italia dai dolorosi casi di questi ultimi giorni, perchè se ne debba di troppo differire una giusta riparazione. I recenti fatti possono raggrupparsi sotto ques,ti tre punti: a) offesa alla bandiera nazionale; b) offesa agli stemmi consolari; c) danni patiti da nostri connazionali negli averi, o nelle persone. Per quanto concerne la bandiera nazionale, consta, dai telegrammi della regia legazione, che, non la bandiera del consolato, ma altra bandiera privata, coi colori nazionali, è stata pubblicamente abbruciata in S. Paolo. Se veramente tali sono i particolari del caso, non sarebbe giustificata la domanda di una riparazione solenne, quale sarebbe l'innalzamento della bandiera, con simultaneo saluto militare, siffatto procedimento essendo riservato solo a riparazione di ingiuria fatta alla bandiera ufficiale. Il ministro degli Affari Esteri del Brasile ha già dichiarato che gli autori del fatto saranno sottoposti a processo; basterà che il processo effettivamente si faccia, e che in qualche guisa si abbia una manifestazione officiale di riconoscimento. Lo stesso procedimento sarà sufficiente per gli stemmi cui sia stato fatto sfregio, senza che siano stati ri,mossi. Per verità, essendo stato smentito che sfregio siasi fatto allo stemma della R. Agenzia consolare di Santos, come in sulle prime ne era corsa la voce, la cosa sarebbe solo avvenuta per lo stemma della regia agenzia consolare di Bahia, contro al quale furono lanciati sassi ed esplosi colpi di rivoltella. Anche per questo fatto, l'istruttoria avviata contro i colpevoli ed una manifestazione di rincrescimento saranno riparazione sufficiente. Per i danni subiti, nelle persone o negli averi, da regi sudditi in occasione

dei recenti avvenimenti, importa premettere che, indipendentemente dallo esperimento dell'azione privata, in linea civile o penale, da parte degli interessati,

il diritto pubblico vigente e praticato in più d'una circostanza nel Brasile lascia adito a reclami di indennizzo verso il Governo federale e verso il Governo dello Stato, quante volte a carico dei Governi stessi, o dei loro agenti, si possa accertare responsabilità per atti effettivi per connivenza o per omissione della necessaria diligenza. In conseguenza, quante volte sia accertata rispetto ai singoli reclami, una siffatta responsabilità, la S. V. dovrà fermamente insistere acciocchè l'obbligo dell'indennizzo sia formalmente assunto, salvo regolare liquidazione del danno. Se l'accertamento della responsabilità può essere effetto della diretta trattazione di Lei col ministro degli Affari Esteri, rimarrà solo l'accertamento della entità del danno, ed in tal caso, siffatto accertamento potrebbe essere opera di una commissione mista composta, a simiglianza di quelle create per le riparazioni militari negli Stati di Santa Caterina e di Rio Grande, nel seguente modo: il governatore dello Stato e il console, o loro delegati, con voto derivante attribuito, e previa autorizzazione del suo Governo, al console di Germania in caso di mancato accordo tra i due commissari. Che se, invece l'accertamento della responsabilità non potesse conseguirsi con la trattazione diretta, se ne potrebbe del pari, nei singoli casi, affidare il compito alla stessa commissione mista incaricata di accertare l'entità del danno.

Condotta a termine la prima fase del negoziato, la S. V. me ne darà immediata notizia, con la precisa indicazione dei termini in cui sarà intervenuto l'accordo. E la prima fase si intenderà esaurita tosto che l'obbligo generico del risarcimento e il procedimento da seguirsi per l'accertamento siano formalmente stabiliti, senza che occorra, naturalmente, aspettare la materialità della esecuzione.

Rispetto ai più antichi reclami, che formeranno il soggetto della seconda parte del compito a Lei assegnato, come non è sperabile che possa puramente e semplicemente riassumersi l'arbitrato nella forma che ebbe voto contrario dal congresso spetterebbe, a ragion di diritto (e già lo facemmo dichiarare dal

R. Incaricato d'affari in Rio) al Governo federale di prendere l'iniziativa di nuove proposte atte a fornire giusta soluzione delle difficoltà. Però, dovendosi prevedere il caso probabile che, o niuna proposta ci si faccia con la desiderabile prontezza, o che si metta innanzi taluna proposta inaccettabile, ci è sembrato espediente di escogitare, noi stessi, un opportuno metodo che, mentre soddisfaccia alle nostre legittime esigenze, abbia anche alcune probabilità di essere accetto dal Governo federale.

Nella discussione avvenuta nel congresso, ed anche in una successiva pubblicazione officiale fu, contro il protocollo del 12 febbraio, obiettato che esso avesse per effetto di recare davanti l'arbitro reclami destituiti, in diritto

o in fatto, d'ogni fondamento. Ci sembra che l'obiezione potrebbe essere rimossa con l'affidare ad apposita commissione mista un giudizio preliminare di ammissibilità, nel senso che debbansi portare davanti l'arbitro quei reclami soltanto che la commissione mista avrà stimato, mercè sommaria deliberazione, meritevoli d'essere esaminati e decisi dall'arbitro. Il Governo federale dovrebbe fare buon viso a questa nostra proposta, eminentemente equa e conciliativa. Nè, da parte nostra, esitiamo a metterla innanzi, essendo sempre stato nostro proposito di patrocinare davanti l'arbitro quei reclami soltanto che siano veramente meritevoli di appoggio.

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La commissione mista potrebbe essere composta di un funzionario delegato dal ministro d'Italia e da un funzionario delegato dal ministro degli Affari esteri del Brasile, con voto dirimente, in caso di dissenso attribuito al ministro di Germania.

Prevalendo questo concetto, la S. V. ed il ministro degli Affari Esteri dovrebbero richiedere al ministro di Germania di voler prestare l'eventuale opera sua, mentre opportuni offici potrebbero anche essere fatti a Berlino, acciocchè sia autorizzata l'accettazione. Per la scelta del nostro funzionario converrà prendere norma da quanto farà, per analogo incarico, codesto ministro degli Affari Esteri.

Con la nostra proposta rimarrebbe fermo l'arbitrato decisivo assegnato al presidente degli Stati Uniti. Nè abbiamo, in quanto ci concerne, ragione alcuna di mutar pensiero a tale riguardo. Solo nella ipotesi, per verità poco probabile, che piacesse al Governo federale di scegliere altro arbitro, sarebbe, per noi, in caso di esaminare le eventuali designazioni e di pronunciarci in proposito.

Le presenti istruzioni segnano solo i capisaldi del negoziato di cui Le si affida l'incarico. Nè sarebbe cosa cauta vincolare l'azione di Lei con troppo minute istruzioni. La S. V. conosce, del resto, per le spiegazioni verbalmente scambiate, i nostri concetti e lo spirito che ci anima. Non le fanno quindi difetto, a complemento di questo dispaccio, norme generali da cui l'azione di Lei può trarre utile guida. Ad ogni possibile lacuna, ad ogni dubbio eventuale, supplirà, nello svolgimento ulteriore delle trattative, il carteggio telegrafico.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1999. Parigi, 2 settembre 1896, ore 7,45 (per. ore 23,15j. Ho esposto ad Hanotaux per sommi capi la proposta del regolamento di tutti gli interessi italiani attualmente regolati in Tunisia dal trattato di commercio e dai patti internazionali riservati nell'articolo 2 del protocollo 1884 mediante un nuovo trattato di commercio, una convenzione di stabilimento e consolare, una convenzione di estradizione ed un protocollo per l'Ospedale e le Scuole colla autonomia didattica. Gli ho presentato nei più chiari termini la condizione di tempo per l'applicazione sotto la quale siamo disposti ammettere che la clausola del trattamento della nazione più favorita non comprenderà il trattamento speciale francese. Il Ministro non ha opposto obiezione di massima al piano espostogli dicendo che poteva formare base di amichevole conversazione. Gli era necessario mettersi subito in rapporti col Presidente del Consiglio assente da Parigi e naturalmente fino a che non si fosse col medesimo concertato, non poteva accogliere altrimenti che sotto tutta riserva la proposta nostra. Personalmente l'appoggierebbe presso i Colleghi del Gabinetto. I due punti più difficili erano quelli riguardanti il collegamento in una forma condizionale

dell'accordo per Tunisi coll'altro relativo al commercio italo-francese e quello concernente le scuole per il quale bisognerebbe forse precisare alcune cose. Egli

si rendeva però conto dell'interesse d'indole morale che in Italia vi si annette dell'interesse reciproco di non creare su questo punto un attrito. Intanto gli occorreva sapere le intenzioni nostre circa la ferrovia Tunisi-Goletta, uffizio nostro postale, la durata del nuovo trattato e se eravamo disposti, poichè la nuova legislazione italiana simile alla francese oggi lo permette, di intenderei . colla Francia per sopprimere dalle due parti le sopratasse che pesano sulla navigazione. Atteso le favorevoli disposizioni ed il linguaggio veramente amichevole col quale il piano generale del negoziato fu accolto, ho stimato potere dire che, sempre nella previsione dell'accettazione del medesimo, io credeva che il mio Governo non farebbe difficoltà a trasferire nella Francia il suo diritto di veto all'eventuale cessione della ferrovia insieme però all'onere della guarentigia chilometrica; che della conservazione degli uffici postali il mio Governo non farebbe una questione purchè la soppressione fosse accompagnata da conveniente misura normale fra i dodici e nove anni con tacita riconfermazione di anno in anno; che circa l'abolizione simultanea delle sopratasse di navigazione io conoscevo le lettere particolari scambiate fra Billot e Brin che chiarivano essere la cosa possibile e che conseguentemente l'avrei raccomandata al Governo. Tutte queste domande postemi da Hanotaux indicano il suo proposito di mettere davanti ai suoi Colleghi un accomodamento generale che abbracci anche questo punto per fare accettare dai medesimi il nostro progetto. Mi sembra che nel complesso l'avviamento sia favorevole. Bisogna spedirmi subito gli schemi delle tre convenzioni e del protocollo. Bisogna aspettarci la domanda di rendere defi

nitiva la sospensione della giurisdizione consolare. Questa, a parer mio, di nessun valore poichè la sospensione è stipulata con patti perpetui. Hanotaux raccomanda segreto sul corso trattative.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/11)

L. P. Parigi, 3 settembre 1896. Le mando un rapporto che conferma e spiega il telegramma a'ieri che già le ha recato l'informazione della accoglienza fatta da Hanotaux alla proposta nostra per l'affare tunisino. Mi sembrò, vedendo la facilità con la quale questo Ministro, penetrò subito nel concetto fondamentale di tale proposta, che egli già ne avesse saputo almeno i punti sostanziali e sovra de' medesimi avesse avuto campo di riflettere. Nel rapporto ufficiale ho incluso tutto ciò che fu detto nel colloquio d'ieri in ordine alla trattativa fra l'Italia e la Francia. Non vi ho messo invece parecchie altre cose che riguardano le trattative che il signor Hanotaux dice di dover avere con i suoi colleghi perchè, come è ben facile a comprendere, egli mi raccomandò su questo punto la massima discrezione. Le difficoltà maggiori vengono sempre dal Thurel protezionista per i vini. Ma Hanotaux mi ha fatto sentire che ormai egli si dispone a porre innanzi alle opposizioni di ordine economico la questione politica. Egli ha anzi parlato di

porre come sua propria la questione dell'accordo commerciale con l'Italia davanti al Gabinetto. Delle opposizioni della Camera egli sembra ormai sicuro di trionfare. Mi domando, non essendo dubbio che il linguaggio di Hanotaux non avrebbe

potuto essere più chiaro, se egli, tenendomelo, non obbedisse a qualche recondito

pensiero. Non lo saprei però indovinare.

Non volendogli io lasciare prendere l'iniziativa della principale abbiezione

che, dal punto di vista francese, suscita la considerazione che nel nostro progetto

vogliamo legare insieme due convenzioni delle quali l'una riguarda un grosso

interesse economico e l'altra un interesse minimo, gli dissi: i vostri colleghi

protezionisti vi metteranno innanzi questo argomento; ma voi loro direte che

nelle due questioni primeggia l'interesse politico, poichè non si può pretendere

che il Ministero italiano attuale si diparta dalle riserve mantenute da quelli

che lo hanno preceduto, circa le cose di Tunisi, per un Ministero francese

che non abbia il coraggio di far capire che diventa un atto di avversione politica

il rifiutare al commercio italiano in Francia il trattamento della tariffa minima

conceduto da tempo a tutti gli altri paesi. È proprio così, replicò Hanotaux, che

intendo porre la questione.

Ma riuscirà egli?

Intanto ho motivo di credere che i giornali che da lui direttamente ricevono

l'imbeccata, abbiano avuto l'istruzione di tenere un linguaggio che prepari l'opi

nione in senso favorevole all'accordo commerciale italo-francese.

Quando fui in Roma mi pare che nulla fosse concretato circa la possibilità

che lo Czar venisse a visitare la nostra Corte. Dal punto di vista delle nostre

relazioni con la Francia, un tal fatto, messo in relazione con il matrimonio del

nostro Principe ereditario, produrrebbe un effetto immenso, non tanto per ciò

che ne penserebbero gli uomini di Stato francesi, quanto per l'impressione straor

dinaria che ne avrebbe l'opinione popolare. Credo che, per un pezzetto almeno,

questa cesserebbe di considerare l'Italia come la nemica naturale della Francia

senza saper perchè.

La morte di Lobanow ha un po' sconcertato i Francesi. Ne deriva che la

posizione personale di Hanotaux è considerata aumentata di fronte agli altri

Ministri, perchè, in vista della venuta dello Czar e delle relazioni con il nuovo

Ministro russo che lo accompagnerà, Hanotaux è la persona sempre più neces

saria nel Gabinetto.

Profitto di un'occasione particolare che ho fino a Torino per mandarle

il mio rapporto d'oggi e questa lettera.

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L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/5 [III))

L. P. Vienna, 5 settembre 1896.

Vi mando qui unite due lettere {1), una in copia e una in originale, scambiate tra il Conte Kapnist e me all'occasione della morte del principe Lobanoff e in relazione col messaggio di Menelik. Si può dire che questo messaggio fu

causa indiretta della morte del Ministro russo. Egli contava di riposarsi qualche giorno a Vienna, e ne sentiva il bisogno, poichè al suo arrivo qui, e precisamente quando venne a farci visita, si trovò subitamente indisposto in modo inquietante. Egli aveva accettato di venire a pranzo da me il sabato 29 agosto. Ma il venerdì 28 mattina, venne a darmi la notizia che aveva visto Leontieff e saputo da lui che il messo del Negus si trovava in Odessa in attesa di ordini per presentare i suoi messaggi all'Imperatore e a lui Lobanoff, come vi scrissi. Si scusò quindi di non poter rimanere, lo Czar avendo espresso il desiderio di averlo vicino al momento in cui riceverebbe il messaggio del Negus in Kieff; ma non giunse in questa città che cadavere. Il principe Lobanoff era per me una buona conoscenza, come si dice, da quasi venti anni.

Mi aveva sempre mostrato buone disposizioni personali, e anche una certa deferenza. Ma nel fondo non fu mai amico del nostro paese e detestava cordialmente l'Inghilterra e gli Inglesi. Era però animato da sentimenti altamente pacifici, almeno per ora, ben comprendendo, che la conservazione della pace era in sostanza favorevole agli interessi russi.

Facciamo voti, senza troppe illusioni, che il successore abbia meno avversione per l'Italia. Facciamo, almeno, per parte nostra, quanto è conveniente di fare per non dar pretesto a sentimenti poco benevoli per noi in Russia.

Vi avverto per ogni buon fine, e perchè ne informiate S. M. il Re, che l'Imperatore d'Austria ha l'intenzione d'invitare il Duca e la Duchessa d'Aosta ad assistere al matrimonio del Duca d'Orléans, che sarà celebrato in Vienna colla sola assistenza dei principi che sono congiunti alla sposa o allo sposo con vincoli di parentela o affinità. Il matrimonio sarà celebrato, dicesi, in novembre.

ALLEGATO.

NIGRA A KAPNIST

(Copia)

Vienne, le Ier septembre 1896. Mon cher Collègue,

La mort si subite et à tous les points regrettable du Prince Lobanoff me fait un, devoir de recourir à vos bons offices pour faire parvenir à la connaissance de S. M. l'Empereur de Russie et de son Gouvernement un point, digne d'attention, qui a formé le sujet de la dernière conversation que j'ai eue Vendredi dernier avec Lui. Le Prince Lobanoff me confirma la nouvelle, que j'avais déjà reçue de Rome, qu'un Envoyé du Roi Ménélik se trouvait à Odessa avec des lettres de son Maìtre pour S. M. l'Empereur et pour lui. Cet Envoyé devait remettre ces lettres à leur haute destination à Kiew à l'arrivée de l'Empereur. Le message du Roi Ménélik devait contenir, de sa part, une demande de médiation de la Russie pour la conclusion de la paix avec l'Italie. Le Prince Lobanoff me demanda s'il convenait au Gouvernement italien que le Gouvernement Russe acceptat cette médiation, et en ce cas quelles seraient les conditions de la paix acceptables pour l'Italie.

J'ai remercié tout d'abord le Prince pour sa communication. Je l'ai surtout remercié de m'avoir dit, au cours de la conversation, que dans cette circostance il aurait pu, peut etre, avec l'agrément de l'Empereur, rendre à l'Italie un véritable service. Je lui dis ensuite. que ne prévoyant sa communication, je n'avais pas pu demander à Rome des instructions pour lui faire une réponse précise; mais j'ajoutai que je pouvais l'assiìrer bien positivement que le Gouvernement du Roi était disposé à conclure la paix à des conditions honorables, et bien entendu avec la restitution des prisonniers. J'ai prié le Prince, si réellement le message du Négus contenait la demande de médiation, de vouloir bien, après avoir pris les ordres de l'Empereur, faire interroger directement M. le Marquis Visconti Venosta, par l'entremise de l'Ambassade Russe, à Rome, et lui faire demander s'il convenait au Gouvernement du Roi de donner cours à cette idée de médiation, et quelles seraient éventuellement les conditions de paix acceptables pour l'ltalie.

Le Prince Lobanoff m'a promis qu'il aurait suivi ce mode de procéder. De mon còté, je lui dis que j'aurais eu soin d'informer de notre conversation le Marquis Visconti Venosta, ce que je fis le jour méme.

Comme la chose a une certaine urgence, il serait peut-étre opportun que vous écriviez le plus tòt possible à ce sujet à S. E. M. Chichkine, qui a été appelé, dit-on, à Kiew auprès de l'Empereur. Peut-étre méme pourriez vous, si vous le jugez opportun, le prévenir par le télégraphe d'attendre votre message, avant de donner une réponse à l'Envoyé du Négus.

(l) Se ne è pubblicata in allegato solo una.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2077. Parigi, 9 settembre 1896, ore 5 (per. ore 20,35).

Affare tunisino fu ieri portato nel Consiglio dei Ministri presieduto dal Presidente della Repubblica e, malgrado qualche viva opposizione, Hanotaux fu autorizzato a trattare con riserva di riferire al Consiglio prima di concludere.

Nella direzione commerciale si stanno esaminando le varie questioni. Tale lavoro sarà terminato presto. Hanotaux mi disse avere adottato il sistema della nostra proposizione nella quale non tutto gli pare accettabile, ma essere meglio non aprire discussione sopra questioni separate, prima che lo studio dell'insieme non sia finito. Mi ha ripetuto con certa insistenza l'impossibilità per lui di prorogare, quasi sospettasse in noi la recondita idea di proroga. Gli ho riferito che, se sui punti cardinali ci potevamo intendere, sopra particolare questione non sarebbe difficile.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1419. Roma, 9 settembre 1896, ore 18.

V. E. riceverà domattina i noti schemi. Confermo, ad ogni buon fine, che essi debbono, per il momento, avere il solo scopo di chiarire, presso il Governo francese, gli intendimenti nostri rispetto al complesso del negoziato, dovendosi come questione assolutamente preliminare, mettere anzitutto in sodo se il Governo francese ammette, o non, il nesso da noi proposto tra l'attuazione del regime privilegiato francese in Tunisia, e l'accordo diretto itala-francese per i reciproci rapporti economici e doganali. Se questo punto è affermativamente risoluto, potrà iniziarsi circa quegli schemi la discussione particolareggiata in occasione della quale potranno eventualmente accettarsi ulteriori temperamenti.

Così rispetto alla tariffa, che abbiamo ridotto alle poche voci per noi più importanti, o tali da non urtare interessi francesi o tunisini, si potrebbe ancora facilitare se ciò fosse necessario per conseguire accordo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

D. 33994/423. Roma, 9 settembre 1896.

Un iradé del Sultano avendo sanzionato le riforme che, in aggiunta e con miglioramento del patto di Halepa, erano state predisposte dagli ambasciatori in base ai voti dei deputati cristiani di Creta, tenuto conto altresì delle osservazioni dei delegati musulmani, la questione candiota, così come presentavasi alle potenze per effetto dei recenti rivolgimenti, può, in diritto, considerarsi ormai risoluta. Può, del resto, ritenersi del pari risoluta in fatto; imperocchè i telegrammi dei consoli, incaricati di portare quelle riforme a notizia dei deputati, assicurano averle i deputati cristiani accolte con riconoscenza e vivo compiacimento, mentre di fronte al fermo atteggiamento del Sultano, non sembra poter essere cagione di ulteriori difficoltà, o complicazioni, il malcontento manifestato da taluni delegati musulmani, ai quali sarebbe piaciuto che niuna novità fosse statuita per l'isola e che al movimento popolare si fosse opposta una irremovibile resistenza.

Se le popolazioni, come giova sperarlo, si terranno paghe del nuovo regime ad esse largito, e sè, come non possiamo dubitarne, la Sublime Porta, moralmente impegnata anche verso le potenze, si farà stretto debito di scrupolosamente curare l'osservanza dell'attuale iradé, il problema della pacificazione di Candia, che, poche settimane or sono, pareva insolubile, avrà avuto, invece, soddisfacente e durevole soluzione.

Del risultato ottenuto tanto più abbiamo argomento di compiacerci, in quanto che ad esso siamo giunti per quella via appunto che ci sembrò la più acconcia e la più efficace. Non ho, a questo proposito, che a richiamarmi a quanto Le scrivevo nel mio dispaccio del 22 agosto scorso, n. 31696/700 (1). In quel momento si susseguivano e avvicendavano proposte intese a procacciare mercè mezzi materiali la pacificazione dell'isola; però fin d'allora era per noi manifesto che l'opera delle potenze, per essere praticamente utile, ed anche per apparire opera giusta, avrebbe dovuto essere preceduta e legittimata dalla ricerca e dalla sanzione di tale un complesso di riforme per cui fossero appagati i voti delle popolazioni in quanto essi dovevansi riconoscere ragionevoli ed equi. Questo procedimento, fortunatamente, è stato seguito, e la effettiva convenienza ne è stata dimostrata, non solo dall'esito finale, ma dal fatto stesso che neppure gli spiacevoli casi sopravvenuti durante le fasi più recenti hanno potuto turbarne lo svolgimento.

Questa, che qui venni enunciando, è semplice constatazione di fatto trattandosi di questione oramai esaurita e composta. Mi parve conveniente che nel mio carteggio con l'ambasciata ne rimanesse traccia, anche per la migliore intelligenza dell'azione politica che il regio governo ha spiegato rispetto alle cose di Candia.

(l) Non pubblicato.

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IL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2085. Londra, 10 settembre 1896, ore 5,35.

Ho, a più riprese, ultimamente sabato scorso, interrogato Reggente Ministero degli Affari Esteri circa trattative per Tunisi.

Reggente Foreign Office mi ha sempre dichiarato, ed oggi conferma, non avere Governo della Regina, sino ad ora, risposto alle ultime proposte francesi, già note a V. E. Mi ha assicurato nuovamente tenerci informato qualsiasi ulteriore decisione.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1422. Roma, 10 settembre 1896, ore 13,15.

Mi compiaccio assai che il punto preliminare del negoziato sia oramai in massima concordato. V. E. ha operato opportunamente comunicando, circa gli altri punti, quel tanto che occorreva per agevolare, da parte di codesto Governo, una favorevole decisione circa il noto nesso. Stamane debbono esserle pervenuti gli schemi, l'invio dei quali subì breve ritardo per l'assenza del Presidente del Consiglio e del Ministro del Tesoro.

Intorno a questi schemi La prego manifestarmi suo parere. Essi furono modellati in base alle intelligenze con Lei prese durante suo recente soggiorno in Roma. È bene inteso che nel corso ulteriore del negoziato essi potranno subire quelle modificazioni che senza sostanziale pregiudizio dei nostri interessi e dei punti essenziali, fossero necessarie per conseguire accordo. Desidero che Ella escluda nettamente il dubbio che da noi si voglia tirar le cose in lungo con la speranza di una proroga. A noi preme invece che il negoziato sia rapido in guisa da avere per il 29 settembre possibilmente una definitiva conclusione.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2084. Parigi, 10 settembre 1896, ore 17,30 (per. ore 19,30).

Ricevo gli schemi: abbisogno alcuni schiarimenti: l o Possiamo in Italia accordare trattamento nazionale per scali cabotaggio? 2° Suppongo non siavi obiezione a fare il trattato di commercio in lingua francese e ne preparo la traduzione. 3o Nello schema per l'estradizione manca la eccezione pei nazionali nell'obbligo di consegna (articolo 5o italo-rumeno, articolo ... italo francese). Se l'omissione è dal R. Ministero voluta, quale delle due formole qui ricordate sarebbe preferita? 4° Le disposizioni relative alle attribuzioni consolari sono unilaterali nello schema. Sarà difficile escludere la reciprocità se domandata. Il trattato del protettorato del 1881 affida ai Consolati francesi gli interessi tunisini, bisogna prevedere che qui si vorrà che direttamente od indirettamente tale condizione di cose sia da parte nostra ammessa. Prego telegrafarmi in proposito. 5• Nel protocollo prego autorizzarmi: Primo: a sostituire eventualmente al numero uno, una clausola la quale dica soltanto che l'articolo 20 del trattato sarà applicabile simultaneamente all'accordo diretto che i due paesi si sono intesi di stipulare per il regolamento dei rapporti commerciali e di dogana fra l'Italia e la Francia. Secondo: a rimpiazzare nel numero due le parole: «Rappresentante del Re» con queste altre: « Agente o Console d'Italia ». Secondo la mia previsione, in questo momento il Direttore Generale del Commercio mi manda un voluminoso schema del trattato unico che comprende stabilimento, estradizione, consolati e commercio. Mi scrive in forma privata che me ne fa l'invio secondo le istruzioni del Ministro Affari Esteri assente per la giornata e per guadagnare tempo il Ministro si terrà a mia disposizione. Lo schema non essendo accompagnato dal protocollo al quale sono riservati i punti preliminari delle trattative sarà domani soltanto che sopra di questo inviterò Hanotaux ad emettere formalmente le sue idee. Fino ad ora egli mi ha detto soltanto di avere accettato il sistema della nostra proposta nella quale non tutto gli pareva

accettabile. Naturalmente alla discussione dei particolari deve precedere l'intesa circa il punto preliminare sostanziale. La trattativa è aperta giacchè Hanotaux mi ha detto di essere autorizzato dal Consiglio dei Ministri a negoziare.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2095. Parigi, 11 settembre 1896, ore 13,50 (per. ore 16,10). Ho esposto ad Hanotaux impossibilità per me di entrare nell'esame dei particolari del negoziato tunisino se preliminarmente non si stabiliva l'intesa circa il nesso fra l'entrata in vigore del trattamento speciale francese e la conclusione dell'accordo commerciale italo-francese. Per precisare le cose gli misi sotto gli occhi il protocollo mandatomi da V. E.; egli mi rispose che nel Consiglio dei Ministri aveva ottenuto di abbandonare in riguardo all'Italia il sistema della formola dichiarativa già adottata con l'Austria, per seguire invece il sistema proposto da noi di rimpiazzare le convenzioni con altre convenzioni, ma che il Consiglio dei Ministri aveva rifiutato di legare insieme il regolamento degli interessi relativi a Tunisi con quello delle relazioni commerciali italofrancesi, dicendo essere questioni distinte. Hanotaux mi ha spiegato lungamente il punto di vista economico e parlamentare dei colleghi suoi insistendo sul buon avviamento della questione dell'accordo commerciale italo-francese che a parer suo deve venire concretato; ma dichiarando nello stesso tempo che con suo dispiacere non è autorizzato a prendere in occasione della rinnovazione del

trattato italo-tunisino un impegno a tale riguardo. Io avevo già restituito fino da ieri al Direttore degli Affari commerciali il progetto francese senza apprez

zamenti e non ho messo sotto gli occhi del Ministro il nostro, dicendogli soltanto di averlo ricevuto ieri. Circa la sostanza dei trattati Hanotaux ha tenuto a dirmi che tre soli punti gli sembrano delicati e tali da dar luogo a discussione; quello relativo alla cittadinanza, alle scuole e tariffa convenzionale. Naturalmente non sono entrato in discussione alcuna dicendo che io doveva riferire a V. E.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 2108. Berlino, 12 settembre 1896, ore 17,12 (pe1·. ore 18,10).

Vidi ieri l'altro Carlsruhe Marschall mentre trovasi di nuovo in congedo e oggi, qui, Cancelliere dell'Impero. Entrambi mi comunicarono impressione avuta Breslavia in colloquio con Io Czar e Shisckine e che posso riassumere così: grande abbattimento morale Czar, per perdita Lobanoff; ferma intenzione nominare successore, probabilmente Kapnist, che segua medesima linea di condotta politica, per mantenimento pace e stato quo (sic) in Oriente, rinforzando autorità Sultano; desiderio sincero Russia mantenere relazioni amichevoli con la Germania, protesta non intendere seguire Francia sul terreno aspirazioni rivincita; grande diffidenza verso Inghilterra che Russia sospetta sempre propensa suscitare torbidi Oriente europeo, per distogliere Russia stessa da questioni Oriente asiatico. Viaggio Czar Parigi fatto come necessità politica, ma con mala voglia non celata. Disse al Cancelliere che, sebbene politicamente Abissinia non lo interessi, pure, per simpatia religione esistente in paese, vedrebbe volentieri cessate ostilità con Italia e si adoprerebbe volentieri per la pace. Marschall, cui parlai della questione visita Czar a Monza, ha impressione che lo Czar e Sciskine non siano stati informati dei passi fatti a Vienna e risposta Lobanoff a Nigra sarà (l) da Sciskine, o da Kapnist, che pare godere ampia fiducia, messo al corrente ini

ziativa da noi presa e impressione che farà omissione visita Italia; visita, che, quando Czar sarà a Darmstadt, potrebbe, in forma semplice ed a Monza, essere fatta nel corso di 48 ore. Mi permetto comunicare questi particolari solo perchè temo, stante morte Lobanoff e probabile ignoranza passi fatti da Nigra, possa un giorno Czar dire che non visitò Re perchè da noi non fu espresso desiderio.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2117. Parigi, 13 settembre 1896, ore 16 (per. ore 18,15).

Tunisia. Nonostante i termini recisi Hanotaux mi disse essere stata decisione del Consiglio dei Ministri. Ho qualche motivo di credere che egli si proponesse di riparlarmi del voto emesso nel Consiglio che ebbe luogo ieri sul tardi. Ho convegno per domani col Presidente del Consiglio ed ho fatto pervenire in via

indiretta al Ministro affari esteri l'espressione alquanto esagerata del disgusto da me provato per un incidente che allontana il riavvicinamento se pure non aggraverà i dissidi. Ho fatto in modo che gli sia detto che nel protocollo del 1884 abbiamo la posizione giuridica nella quale si fonda presso a poco tutto ciò di cui siamo in godimento a Tunisi. Quel protocollo fatto in pieno protettorato porta la firma della Francia e che conseguentemente noi siamo fondati a ritenere che il Governo rispetterà la sua firma. Ho caricato un poco la dose sempre dicendo però che io non avrei cercato di influire sulle impressioni e sui giudizi del Governo mio. Penso che converrà che io telegrafi domattina dopo il mio colloquio col Presidente del Consiglio prima di dar corso alle istruzioni telegrafiche di questa mattina. La sera dell'H ho affidato alla marchesa Sant'Andrea un rapporto che perverrà oggi a V. E. nel quale ho indicato ciò che nello schema preparato qui vi era di più caratteristico. Debbo aggiungere che sulla mia osservazione che in quello schema erano omessi quasi tutti i punti che più ci interessavano: questione di cittadinanza, di pesca, di tariffa convenzionale, Direttore generale del Commercio rispose che sopra quei punti era naturale che si aspettasse la nostra iniziativa. Ancorchè non abbia potuto istituire un confronto particolareggiato fra testo francese ed il nostro, credo che le differenze siano molte e serie abbastanza per rendere difficile la possibilità d'intesa. Non nascondo a V. E. che sebbene io sia alieno dal supporre che Hanotaux abbia giuocato con me la commedia, tuttavia non posso astenermi dal prevedere che se egli ha tentato un altro sforzo per far prevalere le sue idee, e quelle dei suoi colleghi, ciò deve aver fatto nel senso di compensare la immediata stipulazione commerciale italo-francese colla completa ed esplicita nostra rinunzia alle capitolazioni ed al trattamento privilegiato a Tunisi.

Gli italiani avrebbero in tal modo in Tunisi il trattamento dei cittadini francesi in tutto, meno che nella materia doganale. Sarebbe bene che il R. Governo fosse preparato a rispondere se improvvisamente tale proposta mi fosse fatta.

(l) Sic nel testo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. RISERVATO 1453. Roma, 13 settembre 1896, ore 19. Desidero ben chiarirle il mio pensiero circa la situazione del negoziato tunisino dopo il noto rifiuto. Confermo approvazione d'avere V. E. lasciato Hanotaux sotto l'impressione che un non possumus francese potrebbe a nostra volta costringerci a trincerarci dietro l'art. 2° del Protocollo 1884. Però sono sicuro d'avere V. E. meco consenziente nel pensare che codesto deve essere per

noi partito estremo, da adottarsi allora soltanto quando apparisca impossibile ogni altra soluzione.

V. E. metterà ora sotto gli occhi del signor Hanotaux l'intera serie delle nostre proposte, e già sappiamo che questi ha dichiarato discutibili i tre punti seguenti: cittadinanza, scuole e tariffa convenzionale. Spettando al Consiglio dei Ministri di dire l'ultima nostra parola, non posso assicurare che, risoluto quei tre punti in senso a noi favorevole, l'accordo possa senza altro considerarsi concluso.

Ma è certo che la continuazione del negoziato diventerebbe una impossibilità manifesta se sopra quei tre punti ci fosse negata ogni soddisfazione. Ad impedire che ciò avvenga deve convergere tutta l'abilità di Lei. Sopra quei tre punti potremmo, a rigore di diritto, invocare le capitolazioni. Ce ne asteniamo preferendo le soluzioni concrete alle controversie di massima.

Il signor Hanotaux non può non apprezzare lo spirito conciliante che ci anima e dovrebbe assecondare mercè eque e ragionevoli conclusioni l'opera nostra. Non ho d'uopo di aggiungerle che le nostre formole non sono rigide nè intangibili e che la redazione può essere modificata quante volte rimanga salva la sostanza.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

D. 34550/428. Roma, 13 settembre 1896.

Ringrazio V. E. delle interessanti notizie inviatemi nei suoi rapporti in

data 2 e 3 settembre corrente, nn. 1045/484, 1047/485 e 1050/487 (1).

Approvo quanto V. E. ha fatto, unitamente ai suoi colleghi per indurre il Sul

tano ad intervenire con ordini formali perchè fosse posto termine alle stragi. Con

verrà, ora, persistere nell'atteggiamento preso, acciocchè il Sultano si convinca

dell'assoluta necessità di ristabilire la tranquillità in ogni parte dell'impero.

L'E. V. operò, del pari, provvidamente facendo verificare i danni materiali

sofferti dai nostri nazionali durante i recenti disordini di Costantinopoli.

Per questi danni e per quelli sofferti dai sudditi italiani a Trebisonda ed in

altre provincie della Turchia, Ella procederà, a suo tempo, d'accordo con i suoi

colleghi, allo scopo di ottenere una soddisfacente soluzione di tali vertenze.

I recenti casi di Costantinopoli traggono particolare gravità dall'essersi po

tuto produrre sotto gli occhi dell'Europa, e nella capitale stessa dell'impero, dove

questa dovrebbe avere, e certo ha, a sua disposizione, la maggior somma di mezzi

acconci tanto alla prevenzione quanto alla repressione. Essi hanno mostrato quan

to sia profondo, costi, il fanatismo popolare, e quanto scarso assegnamento si

possa fare, di fronte a simili fatti, sull'opera di codesto governo. Sicuro di avere

con noi consenzienti tutte le potenze, fin dal primo momento impartii a V. E.

istruzioni di adoperarsi per le ragioni della umanità e dell'ordine pubblico, por

gendole anticipata approvazione per i provvedimenti che in tal senso Ella avrebbe

preso. Riconosco, con compiacimento, che l'E. V. seppe tradurre in atto quelle

istruzioni nel modo più efficace, che le circostanze potevano consentire.

(l) Rapporti relativi ai disordini avvenuti in Costantinopoli dal 26 al 30 agosto; cfr. anche il rapporto riassuntivo dell'ambasciatore Pansa, da Therapia, in data 31 agosto 1896 (n. 1038/482), che, analogalmente ai tre precedenti, non si è ritenuto necessario pubblicare.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/15)

L. P. Berlino, 13 settembre 1896.

Faccio seguito al telegramma speditole poco fa. S. M. l'Imperatore è assente ed è difficile potergli parlare o fargli parlare; ma non è questa la sola difficoltà che ho da sormontare per agire, diplomaticamente, nel senso dei colloqui avuti con V. E. e col Presidente del Consiglio circa il noto intervento alle nozze di

S. A. R. il Principe di Napoli. Si tratta sovrattutto di far le cose in modo che

S. M. il Re non ne sia troppo scontento e che questo suo stato d'animo non abbia poi per avventura influenza nociva sulle sue relazioni verso l'Imperatore. Quando da Roma mi recai a Monza per prendere congedo da S. M. lo trovai più che mai avverso all'idea che le nozze siano presenziate da Principi esteri. Osservai a S. M. che l'Imperatore avrebbe forse espresso egli stesso il desiderio di venire

-o di farsi rappresentare a Roma e che io avevo bisogno di sapere come potevo regolarmi in tale evenienza. « Se il caso si presenterà -rispose S. M. e il suo viso soggiungeva «purtroppo » -vedremo che cosa dovremo fare ». In seguito a ciò e tenendo presenti le parole del Presidente del Consiglio, io mi ero proposto il piano di condotta seguente: aspettare fino all'ultimo limite di tempo possibile che qualche ouverture mi fosse fatta o fatta fare dall'Imperatore, senza ch'io l'abbia provocata, ciò che corrisponderebbe alle precise istruzioni del Re; trascorso quel tempo (verso la fine di questo mese sarà necessario di sapere esattamente à quoi s'en tenir per le occorrenti disposizioni da prendersi a Roma) senza che alcun'occasione mi sia stata offerta di trattar la questione, sollevarla io stesso facendo pervenire all'orecchio dell'Imperatore qualche mia parola che la metta sul tappeto. Io non dubito che l'Imperatore aspetta questa parola o meglio qualche parola di S. M. il Re, come sarebbe logico, e il risolvere il problema senza andare direttamente incontro delle intuizioni di S. M. non è cosa facile. Ad ogni modo non dispero divenirne d bouts. Non dubito che se per caso S. M. il Re mutasse parere e si dimostrasse meno contrario all'idea che il matrimonio del Principe ereditario sia fatto con intervento di rappresentanti esteri, V. E. sarà compiacente darmene tosto notizia, per telegrafo, affinchè io abbia un po' di libertà d'azione. P. -S. -La presente sarà impostata in Italia dal Conte Calvi che parte domattina in congedo.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2123. Parigi, 14 settembre 1896, ore 13,45 (per. ore 17).

Da colloqui di carattere privato con Méline risulta che Gabinetto è fermo nel concetto che condizioni parlamentari non gli permettono collegare convenzione

10 -Doc11menti diplomatici • Serie III . Vol. I

tunisina con accordo commerciale franco-italiano, ma che gli studì in comune per quest'ultimo potrebbero cominciare con preliminari scambi di idee anche subito: questo porterebbe sovra le modificazioni autonome da introdurre nella nostra tariffa. Per la convenzione tunisina, mi risulta che ciò a cui qui si terrebbe più di tutto sarebbe che da noi si accettasse, invece della clausola nazione più favorita, con le poche limitazioni convenzionali, il regime della tariffa minima, nel quale quelle limitazioni figurerebbero. Il trattamento della nazione più favorita ci assicura il trattamento inglese fino a che dura e ci lascia dopo senza guarentigia. La tariffa minima sarebbe la francese. Spero che la clausola della cittadinanza sarà accettata mediante spiegazione, in dichiarazione separata, che essa non può alterare stato di coloro che già abbiano acquistata cittadinanza francese secondo la legge francese. Prego telegrafarmi se R. Governo accetterebbe regime della tariffa minima francese, invece di quello della nazione più favorita, e la spiegazione relativa alla cittadinanza. Domando pure di sopprimere, prima presentare i testi, la clausola dell'articolo secondo del trattato di commercio relativo a trattamento bastimenti da guerra che, mentre è insolita e superflua, è di natura da eccitare sospetti e malumori, permetterò pure qualche modificazione di parole nei testi

richiesta dalla condizione politica della Tunisia. Ma mi occorre sapere se siamo o no disposti a fare entrare nelle nuove stipulazioni quelle da conservare del protocollo del 1884, accettando che la formola definitiva sia sostituita alla sospensiva per la giurisdizione dei tribunali francesi, ed abbandonando la clausola dell'art. 3° secondo la quale il regime giurisdizionale non potrebbe essere modificato senza il consenso nostro. Sovra questa sostanziale differenza che passa fra progetto francese ed il nostro è necessario che io conosca esattamente pensiero di V. E. dovendo vedere Hanotaux domani nelle ore pomeridiane.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. URGENTE 1467. Roma, 15 settembre 1896, ore 11,35. Debbo naturalmente rinnovare, rispetto al complesso del negoziato, la riserva dell'approvazione del Consiglio dei Ministri già enunciata nel precedente mio telegramma. Dopo di che, desiderando di mettere V. E. in grado di continuare la trattativa, rispondo senza indugio al suo telegramma di ieri: l) Non abbiamo difficoltà ad accettare, in luogo della clausola della nazione più favorita, il sistema della tariffa minima, purchè questa includa, sia pure in forma autonoma, le limitazioni da noi desiderate per gli articoli di nostro particolare interesse, e purchè il trattamento della nazione più favorita ci sia mantenuto quante volte duri, per l'Inghilterra un trattamento più favorevole di cui continuerebbero a godere anche l'Austria Ungheria e le altre potenze ammesse al trattamento della nazione più favorita; 2) Autorizziamo la dichiarazione esplicativa circa la nazionalità; 3) Autorizziamo l'eliminazione della clausola relativa alle navi da guerra; 4) Ritengo

che per le scuole Hanotaux manterrà l'adesione di massima già significata a V. E. nel colloquio dell'll corrente; 5) Per la trascrizione del nuovo testo di accordi,

di quanto deve ancora rimanere in piedi del protocollo 1884, come pure per le modificazioni da introdursi in occasione di tale trascrizione, mi pare più opportuno che se ne parli dopo regolate le altre materie; 6) Infine noi possiamo rinunciare a collegare convenzione tunisina con accordo commerciale franco-italiano purchè il negoziato per quest'ultimo cominci subito. Non possiamo però nascondere che sarà assai dubbiosa la situazione parlaméntare, nè avremo modo di forzarla, se l'accordo franco-italiano non trovisi sotto gli occhi della Camera come fatto compiuto, o quanto meno come fatto assicurato. L'accettazione di un accordo tunisino, implicante non lieve deterioramento della nostra posizione di diritto e di fatto, avrà necessariamente carattere essenzialmente politico, e non potrebbe essere determinata che dal solo corrispettivo possibile nell'ordine politico, la pace economica ristabilita tra l'Italia e la Francia.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA CA V V, fase. 68 Z/15)

T. Roma, 17 settembre 1896, ore 10,30.

Sospenda per ora qualunque passo per noto intervento dell'Imperatore.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2143. Parigi, 17 settembre 1896, ore 19,50 (per. ore 21,50).

Nel colloquio privato Presidente del Consiglio mantenendo in modo assoluto necessità sua parlamentare di tenere separate le due questioni e le due trattative, ha detto che tuttavia lo studio preparatorio delle riduzioni da domandare nella tariffa italiana, poteva incominciare subito, ma Hanotaux il giorno dopo, ripetendo la dichiarazione del Presidente del Consiglio, l'ha formulata precisamente ed insistentemente nei termini da me riferiti ieri, cioè che prima sia concluso il trattato tunisino e subito dopo si aprano gli studi preliminari per l'accordo franco-italiano. Hanotaux ha fatto allusione alla possibilità che negoziati incominciando in ottobre possano essere terminati forse anche prima della fine di novembre; ma sulla brevità del tempo qui si speculerebbe per certo per chiederci importanti variazioni di tariffa che in ogni ipotesi dobbiamo aspettarci, siano domandate in larga misura. Da parte mia ho chiaramente mantenuto che le variazioni sarebbero in ogni caso autonome. Dovendosi procedere oltre, è mestieri che io sappia pensiero di V. E. sopra la questione che qui sarà certamente proposta di introdurre nel trattato la accettazione definitiva della giurisdizione dei tribunali francesi.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. P. 1484. Roma, 17 settembre 1896, ore 24.

Volevo scriverle lettera particolare. Mancandomene il tempo cercherò di qui condensare il mio pensiero.

Il presente negoziato ha agli occhi nostri, e dovrebbe avere anche agli occhi del governo francese, una importanza essenzialmente politica. Da questo punto di vista è evidente sarà già molto se l'accordo concernente Tunisi riuscirà tale da non guastare vieppiù la situazione reciproca fra i due paesi, mentre un accordo concernente i loro mutui rapporti economici sarebbe un decisivo avviamento a nuova e assai più propizia situazione nell'ordine politico. Indi la massima importanza che il negoziato franco-italiano tosto si intraprenda e si conduca a termine prima che, col riaprirsi del Parlamento, in novembre, l'intera materia dei rapporti franco-italiani, torni a Montecitorio. V. E. avrà, io spero, modo di mettere in luce, presso i Ministri francesi, questo che è l'aspetto più importante e più vero della questione di cui ci stiamo occupando.

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IL COMANDATE DELLA CANNONIERA « PROVANA » (1), COLTELLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2147. Aden, 18 settembre 1896, ore 9,20 (per. ore 10,50).

Trasmetto seguente telegramma di Nerazzini ricevuto ieri Zeila: «Harar 10 settembre. Ottimo ricevimento con tutti onori dovuti rappresentante Governo del Re e manifestazioni viva simpatia personale. Maconnen assicura farmi partire Scioa fra 10 giorni accompagnato sua scorta e suo capo di fiducia. Egli mi afferma che Menelik sarà soddisfattissimo negoziare con me, avendo ripetutamente manifestato desiderio di avermi Scioa, conoscendo mia anteriore condotta nel trattare affari governativi. Popolazione impressionata maniera ricevimento mi manifesta molta deferenza. Vedrò domani tenente medico Zaritch. Numerosi prigionieri sono Ciarciar. Ebbi subito importante colloquio con Maconnen e spero missione avrà esito sollecito e buono.

Prego V. E. non meravigliarsi aspettativa 10 giorni Harar, perchè devo dare tempo Maconnen preparare carovana. Sono molto soddisfatto, non per sentimento personale, ma per prestigio Governo del Re, che vedo ben mantenuto. Firmato Nerazzini ».

(l) La cannoniera • Andrea Provana •, partita da Venezia il 18 marzo 1896 e giunta nel mar Rosso nei primi giorni di aprile, vi rimase a disposizione del maggiore Cesare Nerazzini, inviato straordinario nello Scioa per le trattative di pace ed il riscatto dei prigionieri fatti ad Adua, fino alla fine dell'anno.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2151. Parigi, 18 settembre 1896, ore 16,55 (per. ore 18,55).

Insisterò oggi con Hanotaux sulla formula relativa alle scuole, ma ripeto che la parola autonomia didattica non ha probabilità di essere accettata. Mi si propone invece, mantenuta ad un di presso la prima parte, la formola seguente: « En ce qui conceme les écoles ouvertes présentement en Tunisie et l'hopital de Tunis le statu quo sera maintenu sous réserve des droits supérieurs de l'administration locale en matière d'hygiène et d'ordre public et pour l'application des lois de police et de siìreté générale ». Nello statu quo l'autonomia mi sembra compresa e la spiegazione finale limiterebbe l'intervento dell'amministrazione locale in modo da escluderla in materia didattica. Bisogna d'altronde riflettere che, cessando nel Console l'esercizio della polizia, questa deve necessariamente essere esercitata da qualcuno.

207

IL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2155. Londra, 18 settembre 1896, ore 18,20 (per. ore 20,50).

Salisbury m'informa che ha, con nota ufficiale a quest'ambasciatore di Francia, dichiarato inaccettabili ultime proposte francesi per Tunisi recanti aumento sui dazi attuali. Ritiene Gabinetto francese farà nuove proposte. Ce ne terrà informati.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2157. Parigi, 18 settembre 1896, ore 23,50 (per. ore 1,40 del 19).

Nella questione nazionalità degli italiani di Tunisi sono faticosamente giunto a concretare una formola che li salva dal pericolo di perdere involontariamente la cittadinanza d'origine.

A parer mio, questa era la questione più seria e più importante del negoziato.

Nella questione delle scuole le mie insistenze non riuscirono a fare accettare le parole autonomia didattica. L'espressione generica e comprensiva statu quo è il massimo che il Governo francese crede far passare al Parlamento.

Nella questione doganale ci si propone trattamento della nazione più favorita con eccezioni del trattamento speciale francese e colla guarentigia che i dazi tunisini non eccederanno quelli della tariffa minima applicata in Francia.

Siccome però quest'ultima tariffa contiene delle esenzioni e delle tassazioni al disotto dell'8 per cento di questa guarentigia noi non potremmo valerci fino a che dura il trattamento attuale dell'8 per cento ad valorem.

Un lavoro fatto qui al Ministero degli Affari Esteri che però da soltanto risultati approssimativi farebbe ritenere che in questo regime le principali voci della importazione italiana, eccettuati i vini, avrebbero non molto da perdere e qualche cosa da guadagnare.

L'introduzione di dazi convenzionati, anche se in forma autonoma, incontra difficoltà nella questione di massima.

Atteso l'interesse politico che oramai dalle due parti si è impegnato nella questione, ed atteso che restano solo 9 giorni alla scadenza, credo sia impossibile indugiare maggiormente le finali nostre deliberazioni. Mi duole della sterilità degli sforzi fatti. Abbiamo davanti a noi ancora vari punti di questione. Ho già indicato quello della giurisdizione definitiva dei tribunali francesi in Tunisia.

Prego V. E. di contemplare anche che certamente ci sarà domandato di riconoscere che i Consoli francesi in Italia avranno per la tutela degli interessi tunisini tutte le facoltà riconosciute ai Consoli italiani in Tunisia. Infine la questione del cabotaggio e della pesca non è ancora stata dibattuta.

Se V. E. crede che il negoziato debba essere da me spinto con alacrità indispensabile, è mestieri che io abbia le sue finali decisioni e mi siano spediti pieni poteri per firmare.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1513. Roma, 20 settembre 1896, ore 2.

L'altro mio telegramma Le reca precise istruzioni sui varii punti. Qui aggiungo una considerazione d'ordine generale. Nel presente negoziato le concessioni di sostanza sono tutte da parte nostra, ed è massima concessione il riconoscimento del protettorato in tutti i suoi effetti pratici. A sua volta dovrebbe il governo francese essere quanto meno arrendevole in quanto concerne le formole. Una formola molesta e tale da suscitare inopportune questioni nel nostro Parlamento, mentre nulla aggiungerebbe alla sostanza delle cose, potrebbe provocare difficoltà non necessarie che è comune interesse di evitare. Mi riferisco sopratutto alla questione delle Scuole, rispetto alla quale confido che la nostra formola definitiva, sostanzialmente identica alla francese, possa essere senza più accettata, nonchè alla questione della giurisdizione consolare.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2168. Parigi, 20 settembre 1896, ore 18,10 (per. ore 21,05).

V. E. ha ragione di considerare che nel negoziato le concessioni sono tutte da parte nostra, nè io ho mancato dirlo qui a parecchie riprese; ma il Governo francese ritiene di avere buoni argomenti per provare che cessando il trattato

del 1868, cadono per noi le capitolazioni. Hanotaux mi diceva jeri che nelle carte d'archivio ha trovato assai più di quanto egli pensava vi fosse, per sostenere che nel caso tale era il fatto e di chiarire che, da tale punto di vista, l'aspetto delle cose cambiando, qui si debba invece considerare che le concessioni sono fatte dalla Francia. Ritengo che V. E. non debba avere difficoltà ad accettare che nel preambolo del protocollo sia espresso il pensiero che le tre convenzioni hanno per scopo di dare un regolamento unico agli interessi italiani in Tunisia. Si potrebbe dire: « al momento di stipulare i tre trattati in data di oggi destinati a dare regolamento unico agli interessi italiani in Tunisia... plenipotenziari ecc.». Lotto contro difficoltà che si affacciano ad ogni passo anche nella redazione delle clausole seconda11ie a cagione della singolarità del fatto di due Paesi che trattano per interessi che si trovano in un terzo paese. Ho bisogno che V. E. mi accordi una certa larghezza di facoltà per sormontare queste difficoltà se vogliamo finire in tempo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DELLA MARINA, BRIN

L. CONFIDENZIALE 35498. Roma, 20 settembre 1896.

La situazione, in Oriente, benchè non implichi, per il R. governo la necessità di speciali ed immediati provvedimenti, è però tale da consigliare una particolare vigilanza.

La squadra inglese, forte di poderose e numerose navi, continua ad aggirarsi nell'Egeo, dove la squadra francese sta per ricevere, se già non ha ricevuto, il rinforzo di quattro corazzate, partite, pochi giorni or sono, da Tolone. In tale stato di cose, è sembrato indispensabile e urgente che anche la regia bandiera facesse atto di presenza in quei paraggi. Fu cosi risoluta, consenziente V. E., la formazione di una squadra per il Levante, composta di due corazzate, di un avviso, e dei due incrociatori, la Liguria e il Vesuvio, che già presentemente trovansi, l'uno alla Suda di Candia, l'altro a Smirne. Il comando della squadra è assunto dal vice ammiraglio conte Canevaro.

Nulla accenna, da parte delle potenze in genere, e segnatamente da parte dell'Inghilterra e della Francia, che vogliano menomamente discostarsi dalla politica di statu quo e di conservazione in Oriente, in cui tutte le grandi potenze si sono dimostrate concordi in occasione delle vicende e degli incidenti di questi ultimi tempi. L'azione della nostra squadra, e sopratutto il linguaggio del supremo comandante, debbono, quindi, ispirarsi a codesto concetto, che non esclude, ed anzi implica, la affermazione di quello che fu costantemente il nostro programma: mantenerci col governo ottomano in amichevoli rapporti, tenere alto il prestigio della nostra bandiera, provvedere, in ogni contingenza, alla sicurezza e alla quiete delle nostre colonie. Questo deve essere, per dir così, il compito costante e quotidiano della regia squadra.

Potrebbero però avvenire nuove e gravi perturbazioni in alcuni punti dell'impero, e segnatamente nella capitale. Se a Costantinopoli si ripetessero le scene di sangue che l'hanno funestata non ha guarì, è da presumersi che le potenze sarebbero condotte ad intervenire con provvedimenti diretti, nell'interesse della umanità ed a guarentigia dei propri connazionali. Qualora l'ipotesi si avverasse, e navi d'altra bandiera, non ostante la lettera dei trattati relativi alla chiusura degli Stretti, accorressero a Costantinopoli, il nostro ammiraglio non dovrà esitare, salvo le cautele d'ordine tecnico, a seguirne l'esempio, e dovrà seguirlo anche se la sola squadra britannica prendesse l'iniziativa dell'azione. Per potere, eventualmente, decidere dei modi e del momento, converrà che l'ammiraglio si tenga in continua comunicaz,ione col R. ambasciatore in Costantinopoli, essendo stato all'uopo munito di apposito cifrario.

Tali le istruzioni che V. E., quante volte non abbia obiezioni, potrebbe impartire all'ammiraglio, per l'adempimento della missione che gli è affidata. Mi sarà grato un cenno di ricevuta, con la notizia delle decisioni di V. E.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1523. Roma, 21 settembre 1896, ore 12,30. Non so che cosa il signor Hanotaux abbia potuto trovare nei suoi archivi, ma non ha certo potuto trovare documento alcuno che valga ad infirmare l'art. 2 del protocollo del 1884 che è l'atto più recente e reca la firma della Francia a piedi della perentoria dichiarazione che le capitolazioni, salvo la giurisdizione, rimangono espressamente riservate. Quali poi siano codeste capitolazioni lo ha detto la Francia stessa nell'art. 7 del suo trattato 8 agosto 1830 con Tunisi, articolo così concepito: « Les capitulations faites entre la France et la Porte sont confirmées et continueront à etre observées dans toutes celles de leurs dispositions auxquelles le présent acte ne dérogerait pas ». Più volte le dissi ed oggi ancora ripeto non essere animo nostro sollevare senza precedenti la questione delle capitolazioni, preferendo le soluzioni concrete alle controversie. Ma importa che il signor Hanotaux non si faccia illusione sulla situazione in cui l'insuccesso delle trattative reciprocamente ci collocherebbe, e non creda di trovarci disposti a qualsivoglia concessione pur di concludere. Quanto al preambolo da Lei proposto per il protocollo, io preferirei, a dire il vero, quello semplicissimo da noi proposto, non contenente dichiarazione alcuna. Se però la dichiarazione che Ella enuncia nel suo telegramma è costì desiderata, osservo che essa presuppone la trascrizione

del protocollo 1884 nei nuovi accordi, e converrebbe, per pronunciarci, sapere in quali termini avverrebbe tale trascrizione.

213

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/15)

T. P. s. n. Berlino, 21 settembre 1896.

Ieri, dopo colazione in casa mia con Biilow e Rothenhan, essendo assenti Hohenlohe e Marschall, ebbi lunga famigliare conversazione in cui potei svolgere i concetti riassunti nel telegramma di V. S. del 17 corrente (l) circa l'essenziale movente dello spirito conciliativo del nostro negoziato per Tunisi. Potei persuadermi sempre più che il contegno di V. E. è qui altamente apprezzato e la soluzione delle trattative pendenti a Parigi vivamente desiderata.

Bi.ilow accennò varie volte al testo del trattato di alleanza, il che prova che le eventualità ora prevedute sono qui tenute presenti senza che io debba per ora insistervi troppo. Da Parigi qui scrivono avere Hanotaux espresso il desiderio di accordarsi con noi e di evitare che possa cadere un Ministero in cui trovansi Rudinì e V. E.

Bi.ilow sarà costì fra una diecina di giorni.

214

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1548. Roma, 22 settembre 1896, ore 17,50. È lontano dal nostro pensiero il cercare con delle sottigliezze di forma di sottrarci al concetto del protettorato. Desidero che V. E. elimini ogni ingiustificata diffidenza. Se talvolta insistiamo nelle formole si è per timore che termini meno appropriati possano in Parlamento suscitare e accrescere le già così gravi difficoltà parlamentari per questo trattato; e ciò nell'interesse comune delle due Parti. La fiducia deve essere reciproca. Noi ne diamo l'esempio annettendo un

positivo e non dubbio valore alla promessa fattaci di tosto intraprendere anche il negoziato per i rapporti diretti tra Italia e Francia.

215

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2190. Parigi, 23 settembre 1896, ore 1,15 (per. ore 6). Non ho mancato di adoperare gli argomenti che V. E. suggerisce nei suoi telegrammi di oggi; ma il signor Ministro degli affari esteri dal canto suo mi oppone la previsione degli attacchi parlamentari ai quali egli si crede già esposto principalmente per la clausola della nazionalità che deroga al sistema della legislazione francese, e va contro l'evidente interesse della Francia di assimilare alla sua nazionalità gli elementi stranieri nel nord africano. Egli ritiene nello avere accettato di ricostituire colla Italia un completo sistema convenzionale mentre altre grandi nazioni hanno sottoscritto breve formola dichiarato... (sic) di avere dato la massima prova per lui possibile dello spirito di conciliazione che lo anima. L'idea di un trattamento speciale anche di quantità limitata per certi prodotti delle isole è da me propugnata con molta insistenza, ma non ho fiducia

di riuscire a farla prevalere sopratutto per i vini. La guarentigia che ci offre l'insuperabilità dei limiti della tariffa minima ha intanto un serio valore. Ho di

nuovo posto in chiari termini a Hanotaux la questione della pesca e cabotaggio ricordandogli che lo statu quo per essi fu uno dei punti principali prestabiliti dell'intesa con cui siamo entrati nella trattativa. In questi ultimi giorni Hanotaux mi ha chiesto con vivissima insistenza di stabilire simultaneamente l'abbandono reciproco delle sopratasse marittime fra l'Italia e la Francia. Oggi mi ha chiesto espressamente di telegrafare a V. E.; gli ho sempre risposto che essendo noi entrati nella via qui preferita di negoziare per il solo affare tunisino, non ci era possibile collegare questo con altra questione. Del reciproco trattamento per i diritti marittimi si parlerebbe poi. Ma debbo avvertire che Hanotaux si dimostra su questo punto incalzante dicendo che della previsione di questo pronto accordo egli si è fatto argomento per vincere la resistenza di certi suoi colleghi nel Consiglio dei Ministri. Ha inoltre domandato di risolvere simultaneamente l'affare della ferrovia e dell'ufficio postale, pei quali in verità secondo le intelligenze prese durante il mio soggiorno in Roma io gli aveva lasciato intravedere un probabile accordo. Ecco le clausole che egli propone: « Le gouvernement italien prètera ses bons offices pour le rachat par le gouvernement tunisien ou par telle Société que celui-ci désignera, des lignes de chemins de fer de Tunis à la Goulette, à la Marsa au Bard et de la Goulette à la Marsa Bard. Ce rachat ayant lieu, le gouvernement italien serait dégagé de toute obligation financière à l'égard de la nouvelle administration ». «Le gouvernement italien ayant l'intention de supprimer son service postal de Tunisie à la suite de la mise en vigueur de la Convention conclue aujourd'hui, le gouvernement français prend l'engagement... la situation des postes et télégraphes ».

Queste clausole furono già rimaneggiate in seguito ad osservazioni mie relative alla loro forma primitiva che dichiarai non volere presentare. Per la forma ora mi sembrerebbero accettabili.

(l) Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2199. Parigi, 23 settembre 1896, ore 10,40 (per. ore 0,40 del 24). L'Inghilterra non ci ha presentito quando consentì revisione del suo trattato tunisino in occasione dell'accordo per il Siam, ed ora si dimostra inquieta che Italia regoli i suoi rapporti commerciali colla Francia per la Tunisia. Nel controprogetto francese per il nostro trattato di commercio vi è un articolo che stabilisce che nel caso in cui la tariffa attuale del 10 % per i vini e dell'8 % per tutti gli altri articoli venisse ad essere soppressa in Tunisia, i nuovi dazi non potranno essere superiori a quelli inscritti nella tariffa minima francese eccettuato i prodotti indicati ai numeri 88 e 110 della tariffa stessa cioè: frutta e grani oleosi nostri ed olii manufatturati. Queste voci non ci interessano e la eccezione è destinata a proteggere gli olii indigeni contro la sofisticazione. Un'altra disposizione ci assicura il trattamento della nazione più favorita eccettuato il trattamento speciale francese. Noi avremo dunque il trattamento attuale fino a

che dura: poi tutte le concessioni che potrebbero essere fatte agli altri, le esenzioni contemplate dalla tariffa minima francese per varie voci per noi interessanti, dazi moderati della tariffa minima per vari altri, e la assicurazione che anche per il resto tali dazi non saranno superati. Ho insistito e insisto nel senso delle istruzioni di V. E. per introdurre le poche riduzioni ed esenzioni da noi desiderate; ma non ho fiducia di riuscire. Mancano cinque giorni soli alla scadenza del nostro trattato, e l'Inghilterra ha davanti a sè tutto il tempo che vuole. La voce che è più esposta e per la quale più premerebbe provvedere, cioè il vino, è appunto quella che solleva le maggiori obbiezioni, non solo per la questione di massima, ma anche a cagione della grande produzione di vino di Tunisia di cui i viticultori francesi osteggiano l'importazione in Francia, opponendosi a tutto ciò che può facilitare l'entrata in Tunisia di vini esteri. Faccio osservare che fino a che il Governo del Re non mi avrà dato istruzioni per transigere sopra questo punto, non sarà probabile che Hanotaux si pronunzi per pesca o cabotaggio.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2213. Parigi, 25 settembre 1896, ore 1,45 (per. ore 6,30).

Il Governo del Re cerca nel negoziato tunisino una legittima soddisfazione degli interessi degli Italiani dimoranti nella Reggenza, della navigazione e del commercio, nella misura compatibile collo stato di protettorato; ma più di tutto vuole compiere un'opera pacificatrice fra l'Italia e la Francia. I nuovi accordi garantiscono agli Italiani nella Reggenza conservazione dello stato quo (sic) dei loro istituti e scuole, e, nel resto, non solo il trattamento nazionale, ma anche il francese e quello della nazione più favorita. Per la navigazione i patti saranno pienamente soddisfacenti se, secondo sua promessa, Hanotaux manderà redazione accettabile relativa cabotaggio e pesca. Sarebbe stato desiderabile che per il commercio si fosse, in più delle importanti guarentigie già intese, potuto ottenere le riduzioni di tariffa per qualche voce più interessante. Ma l'impossibilità di conseguire tali riduzioni non scema, atteso soprattutto la scarsa entità dell'interesse economico, il serio valore intrinseco e morale dell'accordo preso nel suo insieme. A parer mio, perchè il valore morale e politico sia conservato all'opera che si compie, occorre che questa sia finita prima della scadenza sulla quale il pubblico francese tiene fisso lo sguardo. Il 29 settembre, se il Ministero francese non sarà in grado di fare annunziare la conclusione dei nuovi accordi, si produrrà in Francia un movimento d'opinioni che sarà, sotto ogni rispetto, meglio avere evitato anche nell'interesse della necessaria preparazione del sentimento pubblico in vista della sollecita intesa per il regolamento dei rapporti commerciali italo-francesi.

Ritenga V. E. che nulla ho trascurato per conseguire effetti più completi e che se mi induco a quest'ultima ora ad esprimermi con Lei in questo senso, si è perchè scorgo che gli accordi mettono in salvo interessi che senza di essi non potrebbero essere tutelati da nostre diplomatiche proteste. Mi pare vedere assicurato un intento politico che è nel pensiero del Governo di S. M. di conseguire.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2217. Berlino, 25 settembre 1896, ore 14,43 (per. ore 15,55).

In questi ultimi giorni, come mi riferisce Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, furono indirettamente fatte pervenire Governo Imperiale espressioni desiderio che spariscano diffidenze esistenti in Germania verso la Francia e che linguaggio stampa chauvinista francese purtroppo alimenta. Governo Imperiale ha per la stessa via, che non mi fu nominata, ma suppongo sia la via russa, fatto rispondere che non annette importanza articoli giornali, sebbene non possa a meno tenere conto sentimenti opinione pubblica che essi giornali riflettono; non potersi però affidare a Governo francese fino a che esso suscita all'Italia difficoltà commerciali, non basate su vero interesse economico, ma collo scopo di distaccarla dalla triplice alleanza.

219

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2229. Pietroburgo, 26 settembre 1896, ore 18,25 (per. ore 21,50).

Mio discorso con Chiskine sulle nostre trattative col Negus fu strettamente conforme alle istruzioni inviatemi dal Conte Bonin Longare, procurando io, in pari tempo, di spingere il mio interlocutore a raccomandare all'Abissinia pronta conclusione pace, quantunque egli mi asserisse avere già fatto. Mi ha promesso però che tornerebbe a ripetere quel consiglio avvalorandolo coll'assicurazione che l'Italia è disposta riconoscere completa indipendenza Menelik. Chiskine mi tenne linguaggio molto cordiale e mi è sembrato animato di buone intenzioni; confidò, fra altre cose, che il Governo Imperiale si era sopratutto deciso offrirei sua mediazione, perchè Leontieff aveva detto che il Marchese Rudinì la bramava, ma non ha tardato a convenire meco che delle parole di quel faccendiere non vi era da fidarsi gran che.

220

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2233. Parigi, 27 settembre 1896, ore 2,27 (per. ore 7,20).

Se avessimo davanti a noi il tempo sufficiente, potrei chiedere ancora altri patti dei quali non si è parlato finora. Ma qui si conta in modo assoluto di firmare lunedì i tre trattati ed il protocollo. L'opinione pubblica e la stampa aspettano una decisione a quella data e se la firma non seguisse, si avrebbe uno scatenamento di malumori che, ripercossi in Italia, non soltanto farebbero perdere ogni beneficio politico dell'opera che sta per compiersi, ma creerebbero un ambiente nel quale, malgrado la migliore buona volontà dei due Governi, sarebbe impossibile la continuazione di trattative. È mio stretto dovere di avvertire di ciò il Governo del Re e di mettergli sotto gli occhi la previsione che molto difficilmente il Ministero francese potrebbe se gli accordi non sono firmati prima della scadenza del trattato del 1868, resistere alla pressione della stampa che gli imporrebbe di fare novità a Tunisi. Dei tre punti sostanziali del negoziato abbiamo risoluto a nostra soddisfazione quelli della cittadinanza e delle scuole. Per il trattamento daziario abbiamo ottenuto se non tutto almeno una guarentigia seria. Ogni altro interesse compreso cabotaggio e pesca è messo in salvo. Ora debbono prevalere i criteri politici che in sostanza sono i soli veramente importanti che hanno guidato Governo del Re in questa laboriosa trattativa.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1619. Roma, 27 settembre 1896, ore 23,45.

La fissazione di firmare domani piuttosto che posdomani è assolutamente irragionevole, mentre è naturale che in materia di tanto momento si proceda con la debita ponderatezza. Nè la pubblica opinione costì ha da commuoversi potendosi benissimo annunciare che conseguito ormai l'accordo rimangono solo da regolarsi, prima di firmare, pochi particolari di forma e di cancelleria. Ritengo, poi, che quando pure manchi ancora la materialità della firma non si vorrà posdomani pubblicare a Tunisi una tariffa odiosa per la sola Italia, mentre per il trattato di commercio l'accordo è già completo. Sarebbe una gratuita imposizione che sull'opinione pubblica in Italia produrrebbe certo pessima impressione, ma che non potrebbe trattenerci dal curare fino all'ultimo i nostri legittimi interessi.

222

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2250. Parigi, 28 settembre 1896, ore 18,20 (per. ore 20).

Ecco la formola di una nota che Hanotaux mi rimetterà alla firma delle Convenzioni: «le Gouvernement du Roi ayant demandé nos intentions au sujet de l'exercice en Tunisie des professions libérales par les italiens nous n'avons aucunes difficultés à lui faire connaitre que nous désirons nous memes régler cette question dans le sens le plus équitable en conséquence le libre exercice de ces professions sera conservé aux italiens qui sont actuellement en profession ».

È il maximum che ho potuto strappare.

223

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2249. Parigi, 28 settembre 1896, ore 18,45 (per. ore 20).

Ministro degli affari esteri è ansioso di firmare prima di mezza notte; ancorchè cosa sia puerile, ritengo sarebbe opportuno soddisfarlo. Mando altri tre telegrammi relativi ai punti sui quali mie istruzioni impediscono concludere.

224

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. URGENTE 2261. Parigi, 29 settembre 1896, ore 7,20 (per. ore 21,45)..

Ho fatto conoscere il caso di forza maggiore che ritarda la nostra decisione. Hanotaux mi ha dichiarato essere egli posto in una situazione difficilissima, perchè il Consiglio dei Ministri ha deliberato che se gli accordi non sono firmati entro oggi, la pubblicazione della tariffa tunisina per i paesi non aventi trattati non deve essere maggiormente ritardata appunto perchè tale pubblicazione, venendo più tardi, non rivesta carattere di provvedimento ostile prerogative contro l'Italia, e lo stesso Consiglio dei Ministri gli ha imposto firmare se l'accordo non è fatto anche circa la navigazione italo-francese. Egli aspetterà tuttavia fino a domani mezzodì. Più mi ha formalmente dichiarato di non poter aspettare. Secondo le istruzioni di V. E. ho avvertito Hanotaux, che per salvaguardare alla marina francese la navigazione di scalo in Italia, è necessario concludere un accordo ulteriore al quale il R. Governo è disposto. In seguito di questo avvertimento, Hanotau"x mi ha detto che la questione era da lui esaminata, in relazione al testo della legge italiana del 1896, la quale riserva il solo cabotaggio e non lo scalo; che questo ultimo in Francia è di diritto comune e che, conseguentemente, egli come tutti i suoi Colleghi, avevano sempre ritenuto che bastasse stabilire la parificazione delle tasse perchè le due marine potessero riprendere la navigazione di scalo. Ne seguì una discussione piuttosto vivace in conclusione della quale Hanotaux disse che la formula da lui stesso proposta, e da me telegrafata oggi a V. E. più non gli bastava e mi ha mandato un'altra formola, che io ho dichiarato troppo larga per potere essere da noi accettata. Ho suggerito, e prego

V.E. per evitare le conseguenze di una sospensione di firma, di accettare che la dichiarazione, secondo la formola da lei telegrafatami la notte del 27, sia mantenuta con la variante che segue: «Il a été d'un commun accord établi que la navigation de cabotage continuant seule a ètre reservée un pavillon national la réduction etc.». Sarebbe cosa molto grave l'incontrare i guai della sospensione per ritardare una concessione che nessuna legge nostra ci vieta di fare ed alla quale d'altronde dichiariamo di essere disposti fin d'ora.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. URGENTE 2262. Parigi, 29 settembre 1896, ore 9,30 (per. ore 23,15).

Cose telegrafatemi da V. E. furono da me insistentemente dette qui, ma Hanotaux venuto or ora da me insiste affermando non poter firmare se non quando sia assicurato che il cabotaggio solo è escluso ed io sia in grado di dargli un'assicurazione in proposito. Egli mi ha scritto anche una lettera particolare a tale riguardo. Debbo dunque ripetere la conclusione dell'ultimo mio telegramma? È necessario che io conosca deliberazione del R. Governo di buon'ora domattina.

226

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2266. Parigi, 30 settembre 1896, o1·e 12,15 (per. ore 14,25).

Sono firmate le tre Convenzioni (1). In quella di commercio e di navigazione è espressa la riserva dell'approvazione parlamentare con tre mesi di termine utile per lo scambio delle ratifiche. Un protocollo allegato alla Convenzione consolare contiene tre punti: scuole, protetti e riserva relativa all'art. 13 della convenzione di stabilimento per certe categorie di naturalizzati francesi. Un altro protocollo allegato alla convenzione di estradizione riguarda le condanne capitali pronunziate contro italiani o contro estradati. La dichiarazione circa trattamento marina mercantile in Italia e Francia, che porta la clausola relativa alla futura .convenzione completa, sarà datata del primo ottobre e non se ne parlerà per quattro o cinque giorni (2). Nel telegramma di V. E. comunicato ad Hanotaux per posta e ferrovia alla parola « immediatamente » fu sostituito « aussitòt après » e furono soppresse le parole « dans le mois qui suivra cette ratification ». Le convenzioni portano la data del 28 settembre. Hanotaux mi rimette la dichiarazione nei convenuti termini circa i professionisti. Trovo superfluo comunicazione a Hanotaux del comunicato per dare notizie dell'insieme degli accordi. Rinnoverò raccomandazione vivissima per il segreto relativo alla comunicazione circa posta e ferrovia ma qui ne è informato il Consiglio dei Ministri e dobbiamo aspettarci il segreto consisterà nel non rendere pubblici, senza previa intelligenza, i termini dell'intesa. Hanotaux mi ha fatto avvertire questa mattina che contro sua volontà fu publicata ieri a Tunisi la tariffa generale applicabile fra 15 giorni ai paesi non aventi trattato. Egli ne è seccatissimo. Ma avendo messo ai nostri trattati la data del 28 ogni inconveniente anche d'impressione mi pare evitato.

Edite in Trattati e convenzioni fra i! regno d'Italia e g!i a!tri Stati, raccolti per cura del Ministero degli Affari Esteri, Roma, 1899, vol. XIV, pp. 309-350.

(l) 1° Convenzione di commercio e navigazione fra l'Italia e la Tunisia; Parigi, 28 settembre 1896. 2° Convenzione consolare e di stabilimento fra l'Italia e la Tunisia; Annesso -Protocollo; Parigi, 28 settembre 1896. 3° Convenzione di estradizione fra l'Italia e la Tunisia; Annesso -Protocollo; Parigi, 28 settembre 1896.

(2) Dichiarazione fra l'Italia e la Francia per l'abolizione dei diritti differenziali marittimi, Parigi, 1 ottobre 1896. Edita in Trattati. e convenzioni..., raccolta cit., Roma, 1899, vol. XIV, pp. 351-352.

227

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2265. Parigi, 30 settembre 1896, ore 12,45 (per. ore 14,25).

Dopo la firma degli atti Hanotaux si è con parole molto amichevoli felicitato di avere oggi potuto compiere con l'Italia un atto di cui da molti anni non vi era più stato esempio e che deve essere seguito da altri per il bene dei nostri due paesi. Egli mi ha specialmente incaricato di farLe conoscere tutta la soddisfazione che gli cagiona lo avere a trattare con V. E. esprimendosi nei termini della massima considerazione a di Lei riguardo.

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RELAZIONE DEL CONSOLE A GIANINA, MILLELIRE, AL CAPO DIVISIONE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI. BIANCHINI

Roma, 30 settembre 1896.

Ho preso cognizione dell'istanza presentata a nome della Nazione Albanese a codesto R. Ministero, che la S. V. I. mi ha comunicato, affinchè io Le sottomettessi ufficiosamente i miei apprezzamenti in proposito, per la conoscenza che ho di quel paese, nel quale risiedo da ben 17 anni.

L'argomento di cui si tratta è certamente dei più delicati, e meriterebbe ampio svolgimento. Io ne parlerò brevemente sì, ma nel modo più chiaro possibile. Dirò senza tergiversare il mio pensiero, perchè anche se fallace, è figlio di una profonda convinzione, e derivante dall'affetto profondo che nutro pel mio paese.

Per meglio esporre la mia opinione, parmi che letta la petizione Albanese, si affaccino alla mente tre quesiti, cioè:

l. -Gli Albanesi costituiscono etnograficamente una razza, un popolo? Hanno perciò diritto alla realizzazione delle loro aspirazioni come tale?

2. --Le riforme escogitate sono esse necessarie? Gli Albanesi soffrono dello stato attuale delle cose? 3. --Conviene o meno politicamente all'Italia lo svolgimento di questo popolo, ed è quindi opportuno accettare con benevolenza quell'istanza, perorando la causa loro?

Cercherò di rispondere a ciascuno dei tre quesiti.

l. -Gli Albanesi costuiscono senza dubbio una razza speciale, un vero nucleo che può apportare il suo peso, nella bilancia Balcanica. Dessa è la schiatta più antica della penisola, appartiene alla vecchia famiglia Celtica, gli Aborigeni dell'Europa, ha dei caratteri fisiologici speciali, che la distinguono dalle altre raz7.e Balcaniche. Gli Albanesi sono tutti dolicocefali (testa allungata) mentre le altre razze sono brachiocefale (testa allargata). I moderni Etnologhi assicurano che dessi sono un ramo dei Baschi di Spagna, degli abitanti del paese di Galles in Inghilterra, i figli degli antichi Etruschi. Attraverso ai secoli ed alle successive invasioni di popoli nella penisola Balcanica, fra le diverse razze che quivi si affastellarono, in mezzo ad idiomi svariati, hanno integralmente conservato la loro lingua, ed ancora al dì d'oggi la maggior parte degli Albanesi, non conosce che lo Schipetaro. Il Turco sebben lingua ufficiale, non è conosciuta che dalle persone che si dedicano agli impieghi civili o militari. Rozzi, fieri, ma nobili, vivono nelle loro montagne, dalle quali portano il nome, perchè Albanese e Schipetaro non vuoi dire che « Montagnaro ».

Non v'è dubbio che l'Albania ha una storia propria e ben cruenta. Anch'essa ha avuto i suoi Principi, ed ha dato il suo contributo di sangue, per opporsi alla Turchia, nell'epoca in cui questa irrompente, minacciava l'Europa intera: Scanderbeg insegni! Scanderbeg è una figura che non può sfuggire alla storia.

Dopo più di cinque secoli di conquista, non si può dire che l'Albania sia completamente domata, è forse il solo popolo Balcanico, che non ha mai interamente piegata la cervice, ed io posso assicurare che vi sono dei luoghi, nei quali l'autorità del Sultano è nominale, dove i Bariaktari (Alfiere) eletti dal popolo, amministrano tutto, e compongono persino le vendette di sangue. Giova qui che io delucidi un equivoco, pel quale taluni argomentando dalla diversità di religione, vogliono dedurre che gli Albanesi possono essere una miscela di varie stirpi. Questo è un errore. Gli Arnauti sia musulmani che Cristiani, appartengono ad un tipo unico: il fatto della differenza di religione è accidentale, e consiste in questo: invasa l'Albania dalle orde Asiatiche, i popoli che abitavano le pianure, meno atte alla difesa, piuttosto che perdere i beni e la vita, dovettero nolenti abbracciare l'islamismo, religione che oggidì professano i discendenti di quell~ generazioni, e ciò è così vero che in Albania trovansi famiglie legate da stretti vincoli di parentela, portanti lo stesso nome, delle quali un ramo è Musulmano e l'altro Cristiano, ma o Maomettani o Cristiani hanno gli stessi caratteri fisiologici, gli stessi usi, costumi, e gli stessi istinti. La poligamia non regna fra seguaci dello Islam, e quantunque selvaggi, fieri, poichè la civiltà tarda ad infiltrarsi in quei rozzi abituri, pure tutti indistintamente hanno istinti nobili, così a mo'

di esempio, io non ho mai sentito dire, che un Schipetaro, per qualsiasi motivo,

abbia spogliato od ucciso, una donna, un bambino, un sacerdote; per essi sa

rebbe estrema vigliaccheria intingersi le mani di sangue di esseri, che per il

sesso, l'età ed il ministero, non possono lottare e difendersi.

Da tutto ciò che ho brevemente passato in rassegna, parmi emergere non

esservi dubbio che gli Albanesi costituiscono un popolo, una razza, un nucleo

numericamente non disprezzabile, dotato di una tenacità, e di una forza vitale

non comune, di fermi propositi, capace ed avente diritto come le altre nazionalità

di svolgere ed esplicare la loro attività, e rivendicare all'occorrenza la loro libertà,

come tutte le altre razze Balcaniche, le Slave e le Elleniche. È cosa poco equa

che finora nei concerti Europei, siasi data la prevalenza a quelle, in confronto

di queste, forse perchè negli Albanesi non sono scarsi i Musulmani.

2. -Al secondo quesito devo premettere un'osservazione: la proposta formulata dal Comitato Albanese, è una maschera, un primo passo per avvicinarsi alle idee del popolo Schipetaro, e destinato semplicemente ad aver vigore, finchè l'Europa manterrà in Oriente lo statu quo. Gli Arnauti in generale a qualunque confessione appartengono, detestano cordialmente la dominazione Ottomana; la

11 -Documenti diplomatici -Serie III · Vol. I

religione imposta colla spada, non ha cancellato il rancore che, naturalmente, germoglia nel cuore umano, fra lo schiavo ed il padrone. In fondo gli Albanesi tutti senza eccezione, aspirano alla autonomia, sotto il patronato di una Grande Potenza; ma questo loro concetto ch'io conosco a fondo, non poteva essere formulato in una petizione circolare, che certamente è anche destinata a cadere in mano della Sublime Porta, ed avrebbe perciò aumentate le sofferenze di questa razza seppure non li avrebbe ridotti ad una lotta disperata, come quella degli Armeni. Hanno quindi dovuto prendere un mezzo termine, per non provocare le ire di Costantinopoli, e creare imbarazzi maggiori all'Europa, preparando nello stesso tempo il terreno per l'avvenire, che si presenta gravido di eventi. I capi Albanesi ed il popolo tutto specialmente della bassa Albania, da Tirana El Bassan fino a Prevesa, mille volte io ritroso e nolente, mi hanno parlato delle loro aspirazioni, dessi all'unisono mi hanno sempre detto così:

«Noi sentiamo di essere un popolo, e come tale abbiamo diritto di rivendicare la nostra libertà; mentre l'Europa s'interessa dei Bulgari, degli Elleni, degli Armeni, di noi non si parla perchè forse in buona parte musulmani; noi non vogliamo creare all' Europa maggiori imbarazzi, ma non appèna il momento psicologico della Turchia sarà giunto, noi non ci lasceremo assorbire da qualsiasi altra nazionalità Balcanica, piuttosto trucideremo i nostri figli, le nostre donne, abbrucieremo i nostri casolari, e moriremo colle armi in pugno per la nostra redenzione. Il nostro maggior desiderio, il nostro sogno dorato, sarebbe che venuto quel giorno, noi potessimo rivendicare la nostra libertà, sotto l'egida ed il patronato degli Italiani, popolo al quale siamo legati da secolari tradizioni di San Marco, da simpatia, da affinità di razza, e che sempre abbiamo considerato come nostri fratelli».

A dire il vero gli Albanesi non hanno torto di dolersi della Turchia. Dai despoti del Bosforo gli Albanesi furono sempre trattati peggio dei Bulgari, peggio dei Greci. Essi come coraggiosi soldati, furono sempre il caposaldo degli eserciti Ottomani, mai non ebbero riposo, il servizio militare non ha per essi mai un limite, i loro cadaveri sono disseminati dalle rive del Bosforo, alle sponde dell'Eufrate, e nell'infocate sabbie dell'Arabia Petrea: se le ossa che gli Albanesi hanno lasciato nella Cernagora, potessero erigersi a piramidi, formerebbero picchi più elevati della stessa montagna nera; le pianure e le colline di Candia ne contano a migliaja, ed in contraccambio di tanto sangue versato per sostenere un impero barcollante, di tanti sacrifici indurati, il Governo del Sultano, li ha sempre mantenuti abbietti, spogliati caricandoli di balzelli ingiusti, ha persino proibito le scuole nella loro lingua, nel mentre queste furono concesse ai Bulgari, ai Greci ed agli Armeni; nei centri dove la Turchia ha potuto penetrare, vi ha stabilito il regime del terrore; guai se un Arnaut parlasse, i più doviziosi per impinguare il Sultano, erano di notte tempo strappati dal seno delle loro famiglie e tradotti a forza a morire in fondo alle sabbie del Hiemen; nessuna giustizia, i giudizii affidati in mano di sedicenti Tribunali composti di avidi Asiatici, di Governatori ingordi, sempre pronti a dar loro torto, a meno che la giustizia non fosse comperata a peso d'oro, e fortunato chi poteva a peso d'oro averla!

Dato questo stato di cose, si capisce benissimo le parziali sollevazioni, non poche volte avvenute, e soffocate nel sangue, come quella sedata dal defunto Dervish Pascià. Il malcontento è generale e più ancora negli Albanesi musulmani,

ed è quindi legittimo il loro desiderio di voler vivere come gli altri popoli, e costituirsi in Nazione, come gli altri popoli Balcanici, o per lo meno domandare quelle riforme coerenti al progresso dei tempi.

3. -Il terzo quesito è certamente il più delicato, e per noi il più importante, perchè implica la politica, cioè l'equilibrio mediterraneo indirettamente.

Prima di esporre il mio pensiero, credo opportuno dare un colpo d'occhio alla sfuggita sulla situazione geografica dell'Albania e specialmente della bassa, ossia l' Epiro. Prima dell'annessione dell' Epiro e della Macedonia alla Repubblica Romana, annessione che fu compiuta sotto il Console Paolo Emilio, l' Epiro era uno dei paesi più ricchi della Costa Orientale Adriatica; contava ben 70 città opulenti e floride pel commercio, con una popolazione superiore ai due milioni di abitanti. Il decreto crudele del Senato Romano, messo in esecuzione, sebben lacrimando, da Paolo Emilio, rese quel povero paese una landa deserta; oggidl sui ruderi delle 70 città messe a sacco ed a fuoco, crescono innumerevoli praterie ove pascolano gli armenti. Nonostante però la crudeltà romana, i saccheggi dei Visigoti di Alarico, le invasioni dei Vandali, dei Traci, dei Serbi è ancora un paese fertile, e ciò per la sua giacitura. Bagnato dal mare Adriatico, è irrigato da ben quattro fiumi principali, che possono facilmente diventare navigabili, ha alte montagne e pianure ubertose, la pastorizia e l'allevamento del bestiame è una discreta fonte di ricchezza, mancano soltanto le braccia per dissodare i terreni, nei quali senza concimi, la terra appena grattata con arnesi primitivi, produce non di rado granturco da nascondere un uomo a cavallo. La sua posizione nell'Adriatico è di prima importanza, Vallona prospiciente ad Otranto, con una rada immensa, che mediante l'isola del Gapeno che ne chiude quasi la bocca, può diventare un porto militare formidabile, ed anche emulare quello recente di Biserta in Tunisia. Da Capo Linguetta di Vallona ad Otranto corrono appena 40 miglia marine, distanza che coi piroscafi di oggidì è varcata in men di due ore. Strategicamente Vallona è il punto più importante, è la chiave dell'Adriatico, neutralizza completamente Corfù, e chi la possiede tiene senz'altro il monopolio l'egemonia di quel mare, di là una squadra può facilmente scorrere sia nell'Jonio, che nell'Adriatico propriamente detto; notisi poi che mentre le sponde dalla parte di Vallona e dell'Albania in generale, sono elevate e scoscese sul mare, quindi facilmente difendibili, piene di insenature, dove le navi possono trovare un sicuro rifugio, quelle contrapposte dell' Italia invece, sono tutte terre basse, difficilmente difendibili, e coll'aggravante del tavoliere delle Puglie, territorio assai fertile, e che può facilmente sopperire ai bisogni di un esercito invadente. Vallona poi come centro commerciale potrebbe divenire un -emporio stupendo, una ferrovia che attraverso il Pindo la congiungesse coll'Oriente, attirerebbe una buona parte di quel commercio, sarebbe una via ferroviaria principale dell'Oriente con l'Italia, con sole due ore di mare. Anche Prevesa l'estremo lembo della bassa Albania è di somma importanza, il suo porto sbarazzato facilmente dalle poche sabbie che lo ingombrano all'imboccatura, può formare anche un discreto emporio commerciale, ed una stazione navale importante.

Chi possiede l'Albania può a suo bell'agio scendere quando meglio voglia in Italia, la Storia ce lo insegna, fu da Vallona per Otranto che Pirro venne a rintuzzare il volo delle Aquile Romane! Dato poi ora lo stato odierno del Mediterraneo, incalzati alle calcagna dall'invasione francese di Tunisi, scemata ed anzi resa nulla l'importanza di Tripoli per l'occupazione dell'Hinterland per parte della Francia stessa, l'Albania e specialmente l'inferiore in mano di una altra Potenza, noi saremmo stretti in un cerchio di ferro, minacciati dovunque, senza mezzi efficaci di difesa, con una spada di Damocle sempre sospesa fra capo e collo.

Da queste considerazioni mi sgorga quindi spontaneo questo pensiero: Gli Albanesi sono un popolo fiero e coraggioso, che porterà certamente un peso nella bilancia politica della penisola Balcanica, la posizione dell'Albania, specialmente inferiore è per noi d'importanza vitale, è un popolo che naturalmente gravita verso di noi, per tradizioni secolari di Venezia, per simpatia, per affinità, che spera in noi; perché dunque non sostenerlo nei suoi giusti e sacrosanti diritti, in quei diritti che l'Europa civile ha conceduto alla Grecia, alla Bulgaria, che cerca di far accordare all'Armenia, ed a tutte le nazionalità conculcate e derelitte. Certo io non intendo con queste mie parole di voler mutare oggidì la situazione della Turchia Europea, ma mi pare che non dobbiamo chiuderci la via ad avvenimenti, che possono sorgere da un momento all'altro, e come la nostra azione umanitaria e civile si è esplicata in favore di popoli che come l'Ellenico ci ha pagati di ingratitudine, potrebbe ora svolgersi in prò di una razza che ci ama, il cui paese ha tanta importanza per noi, e che può indubbiamente per l'avvenire esserci di immensa utilità.

Non appoggiando e non tenendo conto delle legittime domande degli Albanesi, noi daremo così la prevalenza alla razza Ellenica, dalla quale nulla abbiamo da attendere, e che invece ci odia cordialmente, e che ci può essere dannosa, poichè se dalla Grecia politicamente non dobbiamo temere, sarebbe un errore permettere un accrescimento di questa nell'Adriatico. Sia per effetto di trattati troppo condiscendenti, sia per lo spirito intraprendente e marinaresco degli Elleni, già pur troppo fin d'ora vediamo nell'Adriatico e persin sulle nostre coste, la bandiera Ellenica, far vittoriosamente la concorrenza ai nostri velieri; che sarebbe se noi patrocinassimo l'ampliamento della Grecia a discapito dell'Albania? In politica chacun pou1· sai et Dieu pour tous! Concludo dunque dicendo che per ragioni di giustizia, di ugual trattamento, e soprattutto pel nostro sommo interesse, non si dovrebbe disdegnare l'istanza degli Albanesi, e ben inteso colle forme diplomatiche volute, senza suscitare sospetti, od ire partigiane, far conoscere agli stessi, che se verranno sul tappetp le questioni Orientali, per ragioni d'equità, noi non saremmo alieni di spendere una parola in prò degli Albanesi, degli Armeni, ed in generale di tutti i popoli derelitti.

Terminerò queste considerazioni aggiungendo che la benevolenza dimostrata

agli Albanesi, non farà che maggiormente sviluppare le simpatie che già forti

nutrono per noi, preparare la via a qualunque evento, avendo sulle coste Orien

tali a noi opposte, un popolo guerriero a noi devoto: del resto questa nostra

attitudine in verun modo potrà essere meno favorevolmente apprezzata; poichè

oggidì gli Albanesi colla loro petizione, non accennano affatto a desideri che

possano menomare l'integrità della Turchia, accennano invece allo statu quo

della stessa, ardente desiderio dell'Europa, e domandano soltanto che anche ad

essi sia concesso di vivere la vita di esseri ragionevoli, e non quella di animali,

che oggidì indurano. Credo poi che nell'appoggiare le aspirazioni albanesi,

troveremmo probabilmente un compagno nella vicina Austria.

229

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2276. Rio de Janeiro, 1 ottobre 1896, ore 3,40 (per. ore 22,40).

Ho avuto jeri ed oggi lunga conferenza col Ministro degli Affari Esteri col quale riesce difficile negoziare. Gli esposi oggetto della mia missione animato dallo spirito maggiore di conciliazione e moderazione, ed egli accettò di esaurire anzitutto il mio mandato circa offese alla bandiera ed agli stemmi, ma principiò immediatamente lamentarsi vivamente del Compans di Brichanteau insistendo perchè sia richiamato. Mi rifiutai ad una discussione che avrebbe mutato carattere della mia missione. Avendo avuto da lui espressione rincrescimento per le offese bandiera, stemmi, gli ho detto mi basterebbe nota ufficiale nel medesimo senso. Promise rivolgermela, se autorizzato dal Presidente della Repubblica. Avendo quindi riconosciuto nostro diritto ad indennizzo in ogni caso in cui sia accertata responsabilità degli agenti di polizia, ho accennato commissione mista come quella per le requisizioni. Mi rispose avere pensato a questo. Vedrò soluzione che sarebbe la migliore. Mi ha pregato infine ascoltare sue ragioni contro Compans di Brichanteau, delle quali principali sono: l) Avere provocato e poi diretto dimostrazione, 2) sua nota ufficiale al Presidente dello Stato in data del 22 agosto. Ho ripetuto che non avevo mandato per soddisfare esigenze espressemi. Ho rammentato dichiarazione telegrafica comunicata all'E. V. da Regis de Oliveira, « non insistere caso Brichanteau » ed ho difeso vivamente Brichanteau. Credo necessario osservare all'E. V. che mi consta Console d'Italia non condusse dimostrazione, quantunque avrebbe forse potuto impedirla, e che, se egli ha sbagliato, chiedendo invece di processo, punizione colpevoli, esigendo saluto bandiera e dichiarando ritiro stemma reale, è atto di pura giustizia, prendere in considerazione lunghi giorni di precedenti provocazioni ed offese: governo brasiliano vorrebbe ora mutarci da provocati in provocatori. Oggi questo Ministro degli Affari Esteri dopo che mi disse essere autorizzato rivolgermi nota ufficiale predetta, mi ha, con mia sorpresa, diretto seguente dichiarazione testuale: « Presidente della Repubblica ha concertato con Ministro Affari Esteri di dichiarare al Ministro d'Italia che, come condizione sine qua non e preliminare ad ogni accomodamento, il R. Console a San Paolo deve essere richiamato dal governo

del Re». Ho risposto che lo telegraferei a V. E. ed aspetterei i di Lei ordini. Posso confermare quanto dissi a V. E. sulla fiacchezza di questo governo; si sente impotente dare a noi soddisfazione se non col richiamo del Console. Siccome non credo possibile che Brichanteau, essendo segno di tanta ostilità dal governo locale e federale possa nell'interesse nostro rimanere al Brasile, potrei forse essere autorizzato dichiarare, mediante scambio di note, che il governo del Re, senza conseguenze, non volendo imporre un agente che non è più persona gradita, darà altra destinazione al Brichanteau non appena le diverse questioni pendenti fra i due paesi saranno soddisfacentemente composte, ma se questa estrema concessione non sembrasse opportuna o convenenvole, ardisco aggiungere che la sola rottura delle relazioni diplomatiche non basta e azione navale parmi consigliata anche per guaranzia della nostra colonia.

230

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO

T. 1654. Roma, l ottobre 1896, ore 2.1.

Regis è venuto ad insistere per il richiamo di Brichanteau, lasciando intendere che agli occhi del suo Governo questa dovrebbe essere questione preliminare per la trattazione dei nostri reclami. Ho risposto che fin da principio avevo dichiarato la spontanea mia intenzione di esaminare ed eventualmente provvedere circa Brichanteau, avendo anche a Lei dato particolare incarico a tale riguardo. Però non potevo assolutamente ammettere che la questione personale del R. Console potesse avere carattere preliminare in confronto di quella dei reclami già preesistenti e già regolata tra i due Governi mercè il noto protocollo. Ella dovrà eventualmente tenere analogo linguaggio. Da Lei, poi, desidero conoscere: l) la opinione oramai da Lei fattasi circa il contegno di Brichanteau nei noti fatti; 2) se a negoziato avviato Ella possa chiamarlo a Rio Janeiro senza che la cosa abbia a suscitare impressione men favorevole per il nostro prestigio ed anche per l'efficacia della nostra azione.

231

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2279. Parigi, 2 ottobre 1896, ore 2,15 (per. ore 4).

Nel giornale «Matin » Paolo Doumer Ministro delle finanze del Gabinetto Bourgeois attacca vivacemente le principali clausole dell'accordo tunisino. Tutto sarebbe stato sacrificato all'Italia dalla Francia senza verun compenso. Per regime daziario è in potere dell'Inghilterra far durare indefinitivamente la situazione privilegiata dell'Italia dal punto di vista dei diritti e prerogative riconosciute agli italiani a parità dei francesi. L'articolo conclude col dire che la colonia italiana continuerà a formare uno Stato dentro lo Stato. L'accoglienza che trattato troverà nel parlamento francese non sarà migliore di quella che gli sarà fatta dai francesi in Tunisia.

Ritengo che questo articolo dovrebbe essere segnalato nel bollettino telegrafico dell'Agenzia Stefani perchè dimostrerà all'opinione pubblica italiana che non è il Governo del Re che ha perso la partita.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENZIALE 1667. Roma, 2 ottobre 1896, ore 18.

Facendo seguito al telegramma di jeri sera, aggiungo che anche la lettera dichiarativa del signor Hanotaux circa professioni liberali deve rimanere segreta.

La sua pubblicazione potrebbe dare luogo ad interpretazione contraria agli intendimenti dei due Governi e suscitare senza necessità moleste polemiche. Desidero essere rassicurato a questo proposito.

233

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2291. Rio de Janeiro, 3 ottobre 1896, ore ...... (per. ore 17). Rispondo suo telegramma in data di ieri. Giudicando dai rapporti stessi del Compans de Brichanteau a questa Legazione ed a V. E., come quello in data 16 agosto, non credo possa negarsi che egli era eccitatissimo dalle provocazioni ed offese e non sempre cauto nel suo linguaggio, come pure avrà pronunciato parole minacciose, le quali saranno giunte alle autorità dello Stato; e avrà non solo offeso ma anche ispirato timore di qualche sommossa degli italiani. Credo che impegnatosi colla colonia non ha quindi potuto esercitare azione pacificatrice. Siccome giornale tedesco, ispirato dal Console di Germania in S. Paolo, gliene muove rimprovero, so che fu informato che dimostrazione italiani sarebbe avvenuta la sera e che avrebbe potuto impedirla. Ma in pari tempo è mio dovere confermare quanto ho già telegrafato sui veri motivi di questo Governo, e rammento che i primi autori di quei fatti furono i brasiliani e che il Governo locale e gli agenti di polizia meritano grande biasimo. Cionondimeno credo che non si possa mantenere al Brasile un Console d'Italia che ispiri tanto odio, anche a torto, agli indigeni, la cui presenza potrebbe provocare nuovi incidenti e che non può più tutelare presso il Governo locale i suoi connazionali. Questa essendo la condizione delle cose, ho creduto dover dare suggerimento, che ho telegrafato in data 30, col quale in nessuna guisa si riconosce colpabilità alcuna nel Console d'Italia, e la sua destinazione ad altro paese è fatta condizione di una soddisfacente soluzione delle nostre vertenze. Questa nostra risoluzione sarebbe per ora ignorata, essendo questo Ministro degli Affari Esteri impegnato meco mantenere

assoluto silenzio sulle nostre negoziazioni. Quanto al trasloco di Compans di Brichanteau a Rio Janeiro è impossibile per le medesime ragioni indicatemi da

V. E. e perchè potrebbe anche essere causa di dimostrazioni contro la Legazione di S. M. Aspetterò intanto gli ordini di V. E. per riprendere le conferenze con questo Ministro degli Affari Esteri che ho sospeso da avant'ieri.

234

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2315. Rio de Janeiro, 6 ottobre 1896, ore 22,05 (per il 7). Questo Ministro degli affari esteri mi ha dato testè lettura comunicazione verbale e confidenziale che ripeto parola per parola : « Presidente della Repub

blica, in presenza della comunicazione verbale e confidenziale dell'Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario De Martino, con la quale Governo italiano

riconosce la convenienza del richiamo del Console attuale a S. Paolo, Compans de Brichanteau, non insiste più sulla condizione sine qua non preliminare che sia sostituito da un altro funzionario. Giudica però necessaria, per mantenere dignità del Brasile e porlo sul medesimo piede di uguaglianza che la nota ufficiale (quella di rincrescimento), gli accordi pei reclami (i recenti e gli antichi) ed il richiamo del console siano simultanei, cioè tengano la medesima data e così siano pubblicati». Questa mattina in una prima conferenza mi lesse questa stessa comunicazione, ma più accentuata, e cioè terminando colla pretesa di una nostra comunicazione scritta del richiamo del Console che avesse la stessa data della nota ufficiale e degli accordi. In seguito a mio energico linguaggio, pregandolo riflettere alla gravità di una comunicazione, che giudicai ispirata dalla diffidenza, che potrebbe avere serie conseguenze e della quale mi sono vivamente meravigliato dopo la comunicazione dell'intenzione di V. E. che lo soddisfece, questo Ministro degli affari esteri mi pregò aspettare per telegrafare a V. E. che avesse riveduto Presidente della Repubblica. Non posso a meno di ripetere a V. E. difficoltà di negoziare, e anche discutere, con un Ministro che nulla può decidere, ed osservo da capo che questo Governo brasiliano si sente impotente dare a noi soddisfazione, se non può coprirsi col richiamo del Console. Questo Ministro degli affari esteri mi ha quindi voluto spiegare che i negoziati potrebbero continuare, purchè la data dei documenti firmati fosse quella che, in un modo

o nell'altro, coincidesse con la cessazione di Compans de Brichanteau dall'ufficio a S. Paolo. Ha anche preso in mia presenza le annotazioni seguenti: « Nota ufficiale di rincrescimento è consentita; è ammesso principio di indennità nei casi in cui responsabilità degli agenti di polizia sia accertata; Commissione mista come quella per le requisizioni non è respinta, ma da esaminare ancora; Presidente della Repubblica giudica che ogni accordo debba essere sottomesso al Congresso Nazionale». Mi disse che questa omissione per il protocollo requisizione fu irregolarità che non potrebbe ripetersi, ma che Congresso nazionale adesso è ben disposto. Soggiungo a V. E. che a questa necessità del Congresso nazionale quando ci fosse formalmente annunziata, noi non ci potremmo opporre, ma credo che preoccupi il solo Governo brasiliano. Quanto al grave ostacolo che è Compans di Brichanteau non oso emettere opinione, ma se V. E. non lo considera superato, Compans de Brichanteau potrebbe essere nominato a Montevideo e Massa a S. Paolo, ambedue con lettere di Console Generale e con istruzioni precise ad ambedue, da tenersi segrete, di partire al mio primo cenno. Nel caso concreto sempre sarebbe impossibile esecuzione da Compans de Brichanteau di un accordo qualunque pei reclami a S. Paolo. Mi astengo da ogni azione fino a nuovo ordine di V. E.

235

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA

T. 1716. Roma, 9 ottobre 1896, ore 12 Prego informarsi confidenzialmente e tosto telegrafarmi quanto vi sia di

vero nelle voci che corrono di un accordo tra l'Inghilterra, la Russia e la Francia circa le cose d'Oriente.

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENZIALE l 717. Roma, 9 ottobre 1896, ore 12,15.

V. E. conosce le voci che corrono sopra accordi tra l'Inghilterra, la Russia, e la Francia. Desidero sapere al riguardo l'impressione di Lei. Più tardi, dopo le feste, Ella vedrà se sarà il caso di interessare Hanotaux intorno alle idee del Governo francese sugli affari d'Oriente.

237

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO E VIENNA, LANZA E NIGRA

D. CONFIDENZIALE 38139/858, 38140/460. Roma, 9 ottobre 1896.

Le apprensioni che, fino a questi ultimi giorni, nutrivansi a Costantinopoli accennano a calmarsi. Secondo i rapporti del R. ambasciatore, non si ha indizio che nuovi attentati siano per sopravvenire da parte degli agitatori armeni, e sembra, d'altra parte, che gli ammonimenti delle potenze siano riusciti, a palazzo, abbastanza efficaci da porgere fiducia che, quando pure alcun attentato, come quello dello scorso agosto, si riproducesse, la repressione non degenererebbe, come allora avvenne, in cieco e crudele eccidio.

Però la calma attuale, ben lungi dal giustificare, da parte delle potenze, una minore sollecitudine e vigilanza, dovrebbe, a nostro avviso, essere usufruita per un diligente studio delle contingenze che potrebbero affacciarsi in un più

o meno prossimo avvenire, e dei migliori mezzi da attuarsi per eliminare ogni futuro pericolo.

Un primo punto da considerarsi -il più urgente -è quello che si riferisce alla eventualità, oramai divenuta, come già dissi, meno probabile, che nella capitale stessa dell'impero si ripetano le scene di sangue di poche settimane or sono. Non ci consta che tra altri gabinetti sia intervenuto, a tale riguardo, alcuno scambio di idee. Nondimeno è da supporsi che, ciascuno per conto proprio, i gabinetti abbiano considerata quella eventualità, ed abbiano anche fermato il loro pensiero sopra i provvedimenti che potrebbero, occorrendo, essere adottati, sia per la tutela dei propri nazionali sia per uno scopo di umanità. La permanenza di una poderosa squadra britannica nelle acque di Levante, i rinforzi mandati alla squadra francese, l'itinerario segnato alle navi-scuola di Germania sono altrettanti fatti, la connessione dei quali con quel che accade, o potrebbe accadere, a Costantinopoli è manifesta. Per quanto ci concerne, V. E. conosce le istruzioni che, mentre il pericolo di nuovi e gravi torbidi a Costantinopoli pareva imminente, abbiamo impartito alla divisione navale inviata in Oriente. Però siffatte istruzioni, dettate dall'urgenza del momento, e che qui rammento esclusivamente per ricordo confidenziale di V. E. possono essere riprese in esame anche dal punto di vista della situazione generale in Europa, ora che le circostanze appaiono meno stringenti. Desidero quindi che, a questo riguardo,

V. E. si intrattenga con codesto signor Ministro degli affari esteri e sugli intendimenti di codesto gabinetto mi fornisca precise e sicure indicazioni.

Questo, a cui finora accennai, non è il lato solo, nè il più importante, del grave problema che pende minaccioso in Oriente. Ancorchè siasi fronteggiata, con opportune intelligenze e provvisioni, la eventualità di disordini gravi a Costantinopoli, rimarrà tuttavia ancora insoluta e gravida di pericoli la così detta questione armena -questione che abbraccia oramai tutta la compagine dell'impero -se alle provincie, e segnatamente a quelle di Anatolia, che furono le più travagliate, non sarà dato un migliore e più sicuro assetto. Le riforme che la Sublime Porta !argiva nello scorso novembre alle sei provincie di Anatolia non sembrano punto avere raggiunto lo scopo che con esse dichiaravasi di voler conseguire. All'infuori della loro intrinseca insufficienza, ha potuto forse nuocere alla loro efficacia l'essere state stabilite dalla Porta senza la diretta partecipazione delle potenze, e quindi senza quella più sicura guarentigia che, mercè tale partecipazione, avrebbe avuto, sia verso le popolazioni, sia verso le autorità chiamate ad attuarle. In ogni modo, non parrebbe inopportuno che, giovandosi appunto del presente periodo di relativa calma, le potenze riassumessero direttamente in esame la questione, e considerassero se non sia opera cauta e previdente, anzichè abbandonare l'avvenire alla balìa del caso, predisporre, di concerto con la Sublime Porta, provvedimenti atti a mettere definitivamente un termine alle incertezze della situazione. L'esperimento che di siffatto metodo si è recentemente fatto, con propizio esito, per Creta dovrebbe incoraggiare le potenze a ritentare ora la prova sopra più vasta scala e con maggior larghezza di utili effetti. Nè sembra impossibile che si trovi all'uopo tale procedimento che, senza ferire le suscettibilità del governo ottomano, o nuocere al suo prestigio, permetta alle potenze di pesare in giusta misura sulle sue risoluzioni.

Queste che qui ho sommariamente enunciato non sono proposte; sono semplici idee, che per ora vorrei !imitarmi a mettere sotto gli occhi dei due gabinetti a cui ci avvincono più stretti legami. Epperò ne scrivo solo a Lei e al suo collega presso l'altra corte alleata. Quando pure da questo scambio confidenzialissimo di comunicazioni non avesse a derivare alcuna conclusione concreta, sarebbe pur sempre per noi di grande pregio e di non lieve utilità il conoscere più addentro il pensiero dei due governi alleati circa codesto importante argomento, rispetto al quale non avemmo in questi ultimi tempi la opportunità di scandagliare l'animo loro.

In questo senso prego V. E. di regolare il suo linguaggio con codesto si

gnor Ministro degli affari esteri, senza che apparisca da parte nostra una formale

iniziativa, il presente scambio d'idee essendoci suggerito soprattutto dal de

siderio di trarre norma, per l'azione nostra, da quella dei nostri alleati.

238

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2339. Parigi, 10 ottobre 1896, ore 2,55 (per. ore 16,40).

Le voci relativamente ad un accordo fra Inghilterra, Russia e Francia non produssero fin qui a Parigi altra impressione fuorchè quella che, cercando una

spiegazione con le due ultime Potenze, il Gabinetto di Londra è rientrato nell'allineamento loro ed è quindi eliminata per il momento la previsione dell'azione separata della Gran Bretagna, alla quale questa sembrava spinta dall'opinione pubblica inglese. Salvo rettifica, se ne sarà il caso, per ora anch'io divido questa opinione. Acciocchè abbia occasione, non troppo tardiva di scrivere a V. E. sarebbe opportuno anticipare di qualche giorno viaggio dell'ordinario corriere di Gabinetto.

239

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2341. Berlino, 10 ottobre 1896, ore 3,7 (per. o1·e 16,20).

Impressione sfere ufficiali tedesche su visita Czar Inghilterra e Francia non mi risulta netta da conversazione con il barone Marschall e Holstein: « Salisbury assicura Czar non avergli parlato politica e si presta fede a tale asserzione; non si crede quindi ad accordi anglo-russi per questione Oriente, nè per altra. Visita Czar a Parigi accrescerà in Francia sentimenti e speranza, ma qui si è pienamente tranquilli che su tale via Francia non sarà mai mistificata da Russia. Se la Germania continua politica pacifica ed amichevole verso la Russia, non si crede che possano prevalere antipatie che pur esistono in Czar contro la Germania e che a Copenaghen ed a Balmoral non si sarà mancato di cercare di infondere nello Czar. Eccezionale cortesia dimostrata Czar verso la Francia a Parigi ed a Chàlons credesi abbia avuto scopo principale lusingare amor proprio della Repubblica, ipnotizzarla sempre più ed assicurarsene fino all'ultimo concorso finanziario, nonchè possibilmente cooperazione contro Inghilterra nelle varie questioni, a cominciare da quella dell'Egitto e del Canale di Suez, che qui si crede sempre Russia disposta a mettere sul tappeto».

Linguaggio giornali tedeschi nei giorni scorsi fu sempre misurato sebbene non privo di sarcasmo per il contegno della Francia repubblicana verso l'autocrate russo. Si loda la stampa francese che seppe resistere a sfoghi contro la Germania; si è al contrario irritatissimi contro la stampa inglese e contro i suoi corrispondenti all'estero.

240

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. CONFIDENZIALE 2340. Londra, 10 ottobre 1896, ore 15,23 (per. ore 17,35).

Voce riportata da giornali inglesi francesi e nostri di un accordo anglorusso-francese non ha ombra di fondamento. Parlando con lo Czar Salisbury ha avuto occasione di dissipare forse qualche malinteso, ma la conversazione non ha condotto ad alcun accordo nè scritto nè verbale.

Segue rapporto.

241

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 2344. Pietroburgo, 11 ottobre 1896, ore 1,30 (per. ore 14,15). Il reggente del Ministero degli Affari Esteri mi disse avergli il signor Chiskine dato incarico di parteciparmi che sottomise all'Imperatore la mia lettera del conte Nigra relativamente al desiderio manifestato fin dallo scorso agosto di vederlo passare per l'Italia e che lo Czar, sebbene sensibilissimo a

questo gentile pensiero del nostro augusto sovrano, è ormai nella impossibilità di alterare l'itinerario del suo viaggio.

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO

T. 1746. Roma, 12 ottobre 1896, ore 20,35. Rispondo ai due suoi ultimi telegrammi (1). Il miglior procedimento sarebbe continuare senz'altro e condurre a termine il negoziato per le questioni sostanziali, salvo a mettersi d'accordo prima di firmare, sulla comunicazione da scambiarsi per il nostro servizio consolare a San Paolo. La prego di insistere per questo procedimento, la ragionevolezza del quale è evidente. Però, siccome la destinazione a San Paolo di un nuovo funzionario di maggior rango è già da noi deliberata, e la si tiene in sospeso unicamente in vista dell'attuale stato precario dei nostri rapporti col Brasile, e d'altra parte il governo brasiliano ha consentito la nota di rincrescimento, consente in massima al risarcimento dei recenti danni a San Paolo, si dichiara infine disposto a regolare con un nuovo accordo gli antichi reclami, così, se altrimenti non si potesse riassumere risolutamente la trattazione sostanziale, la S. V. potrebbe, confidenzialmente e verbalmente, far conoscere che la notificazione officiale del predetto provvedimento sarà fatta, anche nello stesso giorno, non appena, mercè la firma degli accordi, i rapporti tra i due paesi saranno ridivenuti normali. Queste mie istruzioni la mettono in grado, quale che sia la definitiva formula di codesto governo per l'affare Brichanteau, di

chiudere la discussione su questo punto, e di riassumere senz'altro la trattazione delle questioni sostanziali.

243

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2355. Parigi, 13 ottobre 1896, ore 19,20 (per. ore 21,35).

Congresso dell'alleanza cooperativa internazionale sarà tenuto a Parigi dal 28 al 31 ottobre. Il discorso di apertura sarà del Boucher Mlnistro del Com

mercio e per la seduta pomeridiana del 30 è annunziata nel programma una relazione di S. E. Luzzatti. Il pranzo del 28 è offerto dal Conte di Chambrun presidente onorario, in casa sua. Vi assisterà il Ministro, il presidente effettivo del Congresso Siegfried ed avrà carattere governativo. Suppongo vi sia un equivoco circa presidenza di questo desinare la quale mi pare poter essere difficilmente tenuta da uno straniero, ancorchè ne sia universalmente riconosciuto l'eminente grado scientifico.

Dal punto di vista dell'oggetto speciale della venuta di S. E. Luzzatti, non vi sarebbe dunque alcuna abbiezione da prevedere; dal punto di vista politico, la presenza in Parigi di uno dei principali Ministri italiani in carica, non è tale cosa da passare inosservata, nè qui, nè a Berlino, nè a Londra, n è a Vienna. In Francia gli effetti prevedibili sono due: per gli uni significherà addirittura una dimostrazione politica dell'Italia verso la duplice alleanza; per gli altri una semplice manovra nostra intesa a forzare la mano al Gabinetto Méline nell'affare dell'accordo commerciale. S. E. Luzzatti è certamente persona capace di evitare le difficoltà che da siffatto preconcetto e giudizio nascerebbero e l'influenza dell'autorevole sua parola potrebbe giovare assai a vincere le esitazioni del presente Gabinetto francese nello assecondare le nostre viste relativamente al ristabilimento delle relazioni economiche normali fra l'Italia e la Francia. Nelle capitali dei paesi più intimamente legati al nostro è prevedi'oile che si rinforzi proporzionalmente l'impressione già prodottavi dall'accordo italotunisino. Se per acquietarne le apprensioni fossimo indotti a dover fare qualche controdimostrazione, la posizione delicatissima dalla quale dipende il buon esito dell'intesa commerciale colla Francia ne potrebbe ricevere una inopportunissima

scossa. Fino a che avremo davanti alla Camera Francese le interpellanze per

l'affare tunisino e sarà dei. nostri calcoli di consentire l'accordo commerciale

colla Francia, l'astensione da ogni manifestazione di fedeltà alla nostra alleanza

tedesca ed alla nostra intimità con l'Inghilterra deve rimanere nel nostro

programma.

(l) Non pubblicati.

244

IL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 565/244. Londra, 13 ottobre 1896. L'insistenza con la quale, da parecchi giorni, in alcuni dei più accreditati organi delia stampa politica quotidiana di Londra si manteneva la voce d'un accordo anglo-russo-francese, di cui le basi sarebbero state concertate a Balmoral tra lo Zar e Lord Salisbury, mi parve meritare qualche indagine sulla origine di quella strana notizia. Se sono bene informato, questa sarebbe nata da qualche parola sfuggita a Lord Salisbury sulla impressione da lui riportata dello Zar, parole raccolte ed interpretate in senso assai estensivo da corrispondenti troppo zelanti. La notizia fu poi riprodotta dai giornali francesi, cui tornava conto pro

palarla, l'accordo dovendo significare per l'Inghilterra la rinuncia alla attuale sua politica mediterranea.

Giuntomi quindi il telegramma che V. E. mi ha fatto l'onore d'indirizzarmi il 9 corrente (1), non mi rimaneva che collazionare le notizie già raccolte con quelle che eventualmente mi riuscisse ottenere al Foreign Office.

Sir Thomas Sanderson, cui ho parlato confidenzialmente della cosa, mi disse che, tranne poche righe indirizzate da Lord Salisbury, ancora da Balmoral, non v'era nulla di scritto intorno allo scambio d'idee tra lo Zar e il Primo Ministro; che era però a sua conoscenza (del Signor Sanderson) che su parecchi punti Lord Salisbury aveva potuto constatare una certa conformità di vedute, e che, specialmente, Lord Salisbury riteneva d'essere riuscito a dissipare alcuni malintesi sugli intenti della politica britannica in Oriente. Sir T. Sanderson non ha maggiormente precisato di che genere fossero t.questi malintesi, ma non è difficile indovinare quali, all'incirca, potevano essere gli argomenti addotti dal Primo Ministro per scagionare la sua politica dalla taccia d'avido egoismo che le s'infligge nel campo russo-francese, e conviene dirlo, non nel campo russo-francese soltanto.

«Quanto ad un accordo non ne è stata questione nè poteva esserne questione, se Lord Salisbury è riuscito a dissipare alcuni malintesi sarà già questo un risultato soddisfacente».

Tutto questo vale, ben inteso, pel momento presente; chè se in avvenire all'Inghilterra fosse dato potere giungere con la Russia e la Francia, se non ad un accordo ad una entente, inclinerei a credere che in date condizioni, se cioè gli altri due non si facessero pagare troppo cara l'adesione, la Gran Bretagna sarebbe lieta di parteciparvi, malgrado la renitenza ch'essa ha di legarsi con una potenza o con un gruppo di potenze. Ed a spingerla a ciò potrebbe grandemente contribuire l'avversione politica e la gelosia commerciale che ogni giorno, maggiormente, prende qui piede contro la Germania nonchè il sentimento d'isolamento che forse mai è stato così profondamente sentito come lo è nel momento attuale in cui l'Europa è così nettamente partita in due campi.

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IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2368. Rio de Janeiro, 14 ottobre 1896, ore 6,25 (per ore 8,45).

Dopo lunga conferenza, convinto non esserci altro modo di chiudere discussione, ho fatto a questo Ministro d{'!gli Affari Esteri comunicazione verbale confidenziale, con la quale gli ho confermato che la sostituzione del R. Console attuale da un altro a San Paolo è già decisa dal Governo del Re; questa misura presa non essendo sospesa che dallo stato precario nostri rapporti; ma, siccome abbiamo ormai buona speranza che non tarderanno a ridiventare normali poichè siamo d'accordo sulla nota da essermi diretta, perchè pagamento indennità è ammesso in ogni caso in cui responsabilità degli agenti del Governo sia provata e poichè le stipulazioni da concludere dovranno presto regolare le questioni

pendenti dei reclami recenti ed antichi, così V. E. mi ha telegrafato d'informare S. E. verbalmente e confidenzialmente che sarò autorizzato rivolgergli comunicazione ufficiale, avente la stessa data delle stipulazioni e della nota, per annunziargli le predette misure. Incidente Brichanteau, così essendo terminato, ho principiato discussione sulla commissione mista pei reclami recenti; ho consegnato schema di accordo, e domattina presenterò elenco dei reclami, da questo Ministro degli Affari Esteri richiesto, intermediario dei negoziati fra Presidente della Repubblica e me. Prevedo molte pretese inammissibili e grandi difficoltà raggiungere questo scopo soluzione. Questa previsione è cresciuta in me dal linguaggio dei vari personaggi, fra i quali un Ministro di Stato. Ad ogni modo avremo dimostrato sino all'estremo nostro spirito di conciliazione e di moderazione prima di :ricorrere a quegli altri mezzi che il Governo del Re vorrà impiegare.

(l) Pubblicato al n. 235.

246

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1414/483. Berlino, 15 ottobre 1896.

Ho avuto ripetute volte occasione di riferire che il Governo Imperiale si ritiene certo, per le formali assicurazioni avutene anche nell'ultimo incontro dei Sovrani di Germania e di Russia a Breslavia, che la Russia non ha preso impegni presso la Francia che possono favorire le sue aspirazioni alla conquista delle provincie perdute. Gli sforzi fatti ora dalla stampa francese per dimostrare l'esistenza di un vero trattato di alleanza, benchè questa parola sia stata accuratamente evitata in tutti i toast, discorsi, allocuzioni, pronunciate durante il soggiorno dello Czar in Francia; il linguaggio di gran parte dei giornali francesi, dopo la partenza dello Czar, non lasciano però alcun dubbio che l'idea della rivincita abbia in Francia di nuovo infiammato gli spiriti, e l'opinione pubblica tedesca comincia a trovar pericolosa l'incertezza in cui il paese è lasciato sulla vera natura dei «legami», esistenti fra la Francia e la Russia.

Già chiaramente giornali serii esprimono il timore che la Francia, fidente

o sicura ormai dell'ajuto russo, non sappia più frenare i suoi impeti, e si lasci trasportare a qualche atto inconsulto. L'ufficiosa «Ktilnische Zeitung » va fino al punto di far appello alla Imperatrice di Russia, quale principessa tedesca, perchè induca il suo Augusto consorte a meditare sulla grave responsabilità cui egli va incontro, se, permettendo che si prolunghi l'equivoco, lascierà che s'infonda nella masse la persuasione che il suo viaggio in Francia non possa aver le conseguenze pacifiche ch'egli certo da esso si proponeva.

Nella :stampa tedesca e anche nelle sfere ufficiali, un'altra conseguenza possibile, anzi probabile, del viaggio dello Imperatore di Russia a Parigi, viene seriamente discussa, l'influenza cioè che può esercitare sul popolo russo la cor·rente di simpatie che gli vengono dalla Francia repubblicana, da quella Francia che di 'recente ancora era retta da un Ministro socialista, da un Ministero i cui membri professavano idee politiche la cui accettazione e divulgazione sarebbe in Russia considerata come delitto. « È egli possibile, esclama la «Kreuz Zeitung » nella sua per solito molto pregiata rivista settimanale della politica estera, è egli possibile che questa fratellanza russo-francese sancita dalla parola dello Czar, resti senza contraccolpo sul sentimento del popolo russo? Non possiamo crederlo. Ciò è contrario ad ogni precedente storico, ad ogni probabilità; sarebbe un vero miracolo. Raccomandiamo il fatto allo studio di chi si occupa della psicologia dei popoli ed al Governo Russo».

247

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2389. Rio de Janeiro, 16 ottobre 1896, ore 11,10 (per. ore 22,15). È mio dovere informare V. E. che gli articoli di giornali nostri, che affermano conflitto risoluto a favore dell'Italia, sono immediatamente telegrafati ed aumentano grandemente difficoltà. I giornali brasiliani, che poco dopo del mio arrivo mantenevano riserbo, accennano adesso riprendere polemica. Sarebbe patriottico che, per lo meno, stampa amica del R. Governo si astenesse, tanto più che miei negoziati debbonsi mantenere segreti.

Mi permetto ripetere all'E. V. che questo Governo brasiliano è governato dalla r>iazza.

248

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1423/487. Berlino, 16 ottobre 1896. Ho comunicato al barone Marschall il contenuto del dispaccio di V. E. del 9 corrente, n. 38140/460 (l) l'ho comunicato colle stesse parole dall'E. V. usate, tralasciando soltanto quelle relative al resto delle istruzioni dal R. Governo date al comandante la divisione navale inviata in Oriente, che dovevo considerare come riservate. Il barone Marschall si dimostrò gratissimo di quella comunicazione, nella quale vedeva il desiderio, da lui pienamente diviso, che fra ·i gabinetti di Roma e quelli di Berlino e Vienna si abbia sempre a procedere a scambi di vedute sulle più importanti questioni di politica estera che sieno per presentarsi, così e come comportano del resto i loro accordi. Egli non aveva quindi nel caso presente, alcuna difficoltà di farmi conoscere il suo modo di vedere sulle varie contingenze che potrebbero affacciarsi in Oriente, e sulle quali, seguendo le indicazioni datemi, io aveva richiamato la sua attenzione. Ed anzitutto il barone Marschall mi osservava che, l'anno scorso, avendo la Russia, la Francia e l'Inghilterra presa l'iniziativa che condusse all'accordo di tutte le grandi potenze pel trattamento delle cose di Creta, era necessario evitare anche l'apparenza che le potenze della Triplice Alleanza volessero pro

cedere da sole a concerti, sia pure per sottoporli dopo alle altre potenze, ma ingenerando sospetti in queste, ed a Costantinopoli il dubbio che quell'accordo non

esista più. Il barone Marschall ritiene quindi necessario che sia mantenuto il segreto sul passo fatto da V. E. a Berlino ed a Vienna e sugli ulteriori scambi di idee che possano avvenire, mentre proposte concrete, da qualunque parte si producano, dovrebbero esser fatte contemporaneamente a tutti i gabinetti.

Venendo poi all'esame delle varie questioni toccate con speciale competentenza da V. E., il barone Marschall sorvolò sulla prima (istruzione da darsi ai comandanti delle squadre nel caso si ripetano scene di sangue nella capitale turca) adducendo, a scusa, il non avere la Germania una vera squadra nelle acque ottomane, ma avervi inviato solo navi-scuola sparse, che non sono nemmeno destinate a rimanervi. Nè io avrei potuto entrare in discussione su quelle istruzioni, senza valermi di quelle già impartite dall'E. V. in via provvisoria. Non avrei potuto valermene perchè confidenziali: e specialmente confidenziale, e tale da inspirare diffidenze nella Germania, se noto, io riteneva l'ordine dato al comandante la nostra squadra di seguire la squadra inglese, qualora questa, anche sola, prendesse l'iniziativa di accorrere a Costantinopoli, non ostante la lettera dei trattati relativi alla chiusura degli stretti. Questa questione del forzamento degli stretti è però la sola che premerebbe prevedere, e decidere, se fosse possibile di comune accordo fra le potenze, chè la successiva condotta da seguirsi dalle squadre dinanzi a Costantinopoli dipenderà, naturalmente, dalle condizioni locali del momento. Il barone Marschall ascrive le scene di sangue che desolarono ultimamente Costantinopoli all'assoluta insufficienza numerica delle truppe regolari stanziate in permanenza nella capitale turca, all'incolsulta disposizione data di rinforzarle con truppe irregolari quasi selvaggie, e infine all'obbligo imposto, dicesi, dal Corano ad ogni musulmano di accorrere in aiuto degli agenti del Sultano contro persone di altra fede. Sui due primi punti il Governo Imperiale è disposto a far rinnovare presso il Sultano i consigli già dati insistendo energicamente perchè il presidio di Costantinopoli sia accresciuto, e mai sieno chiamate alla capitale orde irregolari. Anche sul terzo punto si potranno dare energici consigli, ma non è da sperarne grande risultato.

E ora vengo alla questione così detta armena che, come V. E. giustamente osserva, abbraccia ormai tutta la compagine dell'impero, epperciò appunto riesce tanto difficile risolvere senza sollevare tutta la questione orientale. Il barone Marschall ritiene molto difficile trovare un modus procedendi che, senza ferire la suscettibilità del Sultano e nuocere al suo prestigio, permetta alle potenze di pesare, in giusta misura, sulle risoluzioni. Il caso di Creta non può paragonarsi all'Armenia: Creta è un'isola, e la popolazione musulmana vi è in gran minoranza. Gli armeni sono sparsi in tutta la Turchia e, quel ch'è più, havvi anche un'Armenia russa. Parlare di «questione armena» attorno ad un tappeto verde degli ambasciatori a Costantinopoli è lo stesso che condan.. nare a priori ad un risultato negativo le loro deliberazioni, non volendosi naturalmente decidere sulla ripartizione dell'impero ottomano! Occorrerebbe, in ogni caso, nel pensiero del Governo Imperiale, non parlare di questione armena, bensì di riforme applicabili a tutto l'impero turco. E in tal senso, se, per accordo di tutte le potenze, si potesse provocare una riunione degli ambasciatori a Costantinopoli, la Germania non avrebbe motivo di non associarvisi, ma lo farebbe senza grande speranza di qualche risultato positivo.

12 -Docttmenti diplomatici • Serie III · Vol. I

Tali sono in breve le cose dettemi dal barone Marschall nella lunga conversazione avuta ieri con lui. Se devo poi riassumere l'impressione che quella conversazione ha lasciato in me, basteranno due parole. Il barone Marschall fu veramente soddisfatto di vedere che V. E. desidera procedere con lui a scambi di idee, prima di prendere decisioni su importanti questioni di politica generale; ma, nel caso concreto presente, preferirebbe che l'iniziativa di provvedimenti o proposte generali relativi alla questione armena, ed in massim"l alla questione orientale non venissero dalla triplice alleanza, sia per non eccitare diffidenze nelle altre potenze che, l'anno scorso, presero una tale iniziativa, sia, e specialmente, perchè non vorrebbe la triplice alleanza facesse proposte che non fossero di certa attuazione e tali da condurre a risultati pratici e positivi. E, poichè ho parlato di diffidenze, non devo tacere che nel fin fond del pensiero del Governo imperiale havvi sempre il timore, non certo espresso, ma non meno apparente, che l'Italia, ovvero l'Austria-Ungheria, possano prendere nella questione orientale un'attitudine di cui si approfitti l'Inghilterra, cercando di atti· rarvi la Germania, la quale vuole invece che l'Inghilterra si riavvicini da sè, tocchi con mano la necessità di non esser disgiunta dalla triplice alleanza. Purtroppo il linguaggio della stampa tedesca verso la Gran Bretagna non è fatto per favorire il conseguimento di tale scopo.

(l) Pubblicato al n. 237.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Roma, 17 ottobre 1896.

Le mando il pro-memoria che mi fu consegnato dall'Avvocato G. d'Angeli.

ALLEGATO. Eccellenza!

Poichè gravi avvenimenti accennano a maturare, è stretto dovere di mettere in rilievo fatti certamente non ignorati dal R. Governo, ma che i sottoscritti sono in grado di conoscere più minutamente e di affermare con la propria testimonianza quali verità assolute.

Per quanto si cerchi di velare i fatti è ormai sicuro che l'Austria subisce l'influenza del predominante elemento slavo, in danno d'ogni altra nazionalità, ma soprattutto della italiana, numericamente più debole d'ogni altra e però in ogni occasione abbandonata e sagrificata non pure dalle altre nazionalità dell'Austria, ma dai propri fratelli uniti in libero Stato.

Mentre nelle terre italiane, lo Stato austriaco mantiene scuole primarie e secondarie tedesche per favorire lo sviluppo nazionale di poche centinaia di pubblici funzionari o di piccoli gruppi di immigrati avventizi, ed agli Italiani, che provvedono con immenso proprio sagrifizio pecuniario alla completa istruzione dei loro figli, si ricusa pertinacemente una università italiana, chiesta più volte ogni anno, già da più che trent'anni, dalle provincie, dai Comuni, da sodalizi, dalle adunanze popolari, e si frappongono ostacoli gravosissimi agli studenti che vogliono frequentare le università del Regno, alle quali, da secoli, ricorrevano i nostri padri (negando il Governo Austriaco pertinacemente validità ai diplomi di quelle illustri scuole), per contrario si accolgono le richieste più esagerate e più ingiuste degli Slavi riguardo alla lingua nelle scuole rurali e suburbane, nei tribunali e negli altri uffizi; si costringono i Comuni a creare scuole slave non comandate dalla legge, in luoghi dove gli slavi o formano la più esigua minoranza o non esistono affatto fuori che per effetto di una statistica fittizia; si obbligano i giudici dei tribunali e gli altri impiegati in queste terre italiane ad imparare lo slavo, ad accogliere istanze presentate in detta lingua da stranieri agitatori sovvenzionati con manifesta voluta e confessata provocazione e ad intimarle alle parti ignare della lingua slava, e per ciò solo, offese e lese nei propri interessi.

Mentre si traslocano gli impiegati di nazionalità italiana in provincie tedesche

o slave, si occupano i posti rimasti vacanti con impiegati di nazionalità slava, che appena conoscono la lingua del paese; epperò non solo si permette che i pubblici impiegati corrompano i nomi italiani, scrivendoli a modo slavo nei registri delle ipoteche e nei ruoli della popolazione, ma non si accolgono le proteste degli italiani che se ne dolgono, lasciando dormire senza riscontro i ripetuti altissimi e documentati reclami delle provincie e dei Comuni; a domande italiane si risponde, insultando, in slavo; i formulari tedeschi e slavi abbondano, gli italiani difettano.

Le statistiche si falsano in doppio modo: o forzando o seducendo con varii argomenti la povera gente delle campagne a dichiararsi di nazionalità slava, oppure notando per gli analfabeti la nazionalità che piace all'i. r. registratore. Procedendo di questo passo si squaderneranno un giorno innanzi agli occhi dell'Europa le statistiche più bugiarde, come già avviene con le carte geografiche, nelle quali si sostituiscono nuovi nomi slavi agli italiani, imponendo perfino ai Comuni, in onta alle opposizioni di questi (il che è avvenuto) di valersi nei propri decreti, dei nuovi nomi adulterati.

In questa propaganda il Governo austriaco ha potente alleato il clero, scelto da esso espressamente tra gli slavi ogni qualvolta si renda vacante una parrocchia, un canonicato o un vescovado, serrandÒ ogni via d'avanzamento all'ottimo clero italiano, non privo di sentimento patriottico. Nei seminari accanto alla latina, la lingua d'insegnamento predominante è la slava e i vescovi fanno venire i sacerdoti fino dalla lontana Boemia a decine alla vòlta per farne altrettanti apostoli battaglieri dello slavismo nelle campagne e perfino alle porte delle più illustri città.

I sacerdoti sono gli strumenti più efficaci della slavizzazione, e sotto la impunità, o meglio, con la protezione del Governo Austriaco, si permettono tutti i soprusi, corrompendo i nomi nei libri battesimali, in onta alle proteste dei genitori, togliendo le prediche italiane nelle campagne, introducendo le slave nelle chiese delle città, anche in parrocchie dove gli slavi sono un centinaio di villici avventizi rispetto a migliaja e migliaja di cittadini italiani originarii.

Non esiste nelle nostre terre italiane, il fatto è mostruoso, una sola scuola normale prettamente italiana. Ed alla domanda della provincia tergestina perchè le sia concesso di erigerne una a proprie spese, si oppone da oltre un decennio reciso rifiuto. Ond'è che noi difettiamo di maestri culti nella lingua del paese o dobbiamo con gravissimo sagrificio pigliarli fuori della provincia o mandare i giovani nostri altrove ad istruirsi italianamente. E la scuola normale di Capodistria, diretta da furibondi agitatori, si è fatta semenzajo di agitazione antinazionale.

Di quali mezzi si giovi il Governo Austriaco per far eleggere i proprii candidati nei Consigli comunali e nelle Diete provinciali sarebbe lungo riferire. Esso vuole che la confusione entri nella amministrazione ed è giunto a tale di tracotanza da obbligare le Diete provinciali dell'Istria e del Friuli orientale -pena lo scioglimento (quale fu eseguito due volte per la Dieta Parentina) -di tollerare nelle loro aule, vergini finora di accento forestiero, i discorsi in islavo che per atto di. provocazione vi pronunciano i pochissimi con infiniti soprusi eletti dalla campagna e che il corpo deliberante non capisce.

Questi fatti avvengono ogni giorno alla luce del sole e sono voluti ed imposti e non solamente tollerati dal Governo Austriaco.

Non può essere più dubbio che il Governo Austriaco è risoluto di fare ogni sforzo per togliere al Friuli orientale, all'Istria, a Trieste il loro carattere italiano, nella folle speranza di ripetere lo scempio fatto del civile elemento italiano in Dalmazia, anche in queste terre, dove tutto è naturalmente e storicamnte italiano e dove per ingenita necessità il sentimento e il pensiero delle classi dirigenti e delle plebi sono tenacemente italiani.

Il Governo Austriaco ha manifestamente l'intenzione di poter proclamare un giorno all'Europa: nei paesi dell'Austria non vi sono più Italiani! Questa congiura contro l'italiano è tanto più grave e minacciosa, perchè muove da,1 più alto luogo.

Vi si aggiunga quello che noi vediamo anche più chiaramente di quanto apparisca fuori di questo Stato: cioè la mancanza d'ogni riguardo internazionale nei congressi cattolici tenuti alla presenza e con l'adesione esplicita di persone facenti parte del Governo, la recente processione del XX settembre voluta dal Governo in Trieste, malgrado le insistenti proteste del Comune e le pratiche degli uomini più moderati, le repressioni di ogni più tranquilla e più legale dimostrazione dei Consigli municipali e del popolo, per il corso di trenta anni, fatta più evidente in occasione del venticinquesimo anniversario delle nozze dei Reali e della liberazione di Roma, ma ripetuta sempre in qualunque congiuntura o lieta o triste dei nostri fratelli del Regno.

Noi siamo risoluti di combattere per la nostra nazionalità sino all'estremo, ma la lotta si fa ogni giorno più dura, le provocazioni ogni giorno più crude; il cerchio di ferro intorno a noi si stringe sempre più, noi combattiamo e combatteremo, ma è necessario che il R. Governo abbia sempre innanzi agli occhi la guerra che l'Austria muove in tutto alla vita nazionale di queste terre italiane; abbia presente che questa guerra non cessa un momento ed è l'effetto di un proposito deliberato e costante. Noi non vogliamo creare impicci; abbiamo sempre seguito, obbedito i consigli di prudenza, e di aspettativa; la parola d'ordine per noi non può venire che da Roma; ma appunto per questo ci siamo permessi di rappresentare questi fatti, perchè il Governo Austriaco sia in qualche modo frenato nella via che percorre apertamente e, molto più ancora, subdolamente a danno della nostra italianità.

Agli uomini di Stato, ai patrioti è inutile che noi ricordiamo il martirologio nostro, che non risplende soltanto nell'aureola dei nostri caduti sui campi di battaglia di tutte le guerre della indipendenza nazionale, o gementi ancora e da lungo tempo nelle prigioni austriache, ma che da trent'anni in qua è martirio d'ogni giorno nella lotta quotidiana, sostenuta, con sagrifizi indicibili morali e materiali, da tutte le classi della popolazione, con il solo pensiero e la sola speranza che la maledizione di Lissa non gravi lunga e triste su queste terre.

Ben giova rammentare l'interesse straordinario che ha l'Italia a conservare la italianità di queste terre a difesa dei suoi naturali confini e per il dominio dell'Adriatico; a preservare l'Italia da pericoli politici e militari e da danni economici di futura gravità incomensurabile che si possono fin d'ora prevedere, e che è necessario di non ristar mai dal combattere, perchè ogni giorno si fanno più palesi, più evidenti, più forti e più minacciosi.

Al R. Governo per l'Italia e per noi domandiamo soccorso.

Avv. FELICE VENEZIAN (assessore comunale e consigliere provinciale)

GIORGIO A. G. BONUSSI (assessore comunale e consigliere provinciale, presidente dell'Associazione Progressista)

Avv. Gumo D'ANGELI (assessore comunale e consigliere provinciale) JACOPO LIETMANN (assessore comunale e consigliere provinciale)

EDGARDO RASCOVICH (presidente della Società Operaia, consigliere comunale e provinciale)

LORENZO BERNARDINO (consigliere comunale e provinciale)

G. CAPRIN (direttore della Lega Nazionale)

C. HERMET (consigliere comunale e provinciale)

Avv. ETTORE DAURANT (presidente dell'Unione Ginnastica)

A. HORTIS

Dott. GIORGIO PICCOLI (consigliere comunale e provinciale, presidente della Lega Nazionale -Sezione Adriatica)

CARLO BoNELLI (consigliere comunale e

provinciale) VITTORIO SALEM TEODORO MAGER (direttore del giornale

• Il Piccolo •)

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IL REGGENTE LA LEGAZIONE A LISBONA, FRIOZZI CARIATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2402. Lisbona, 18 ottobre 1896, ore 7,35 (per. ore 6 del 19).

Il Ministro degli Affari Esteri mi comunica il contenuto di un telegramma di codesta Legazione portoghese che si riferisce ad un articolo del giornale La Tribuna circa il viaggio di S. M. la Regina Maria Pia. Il signor Monteverde informa che quel giornale, riproducendo una conversazione tra S. E. il Presidente del Consiglio e codesto Console Generale di Portogallo, asserisce che il Governo di

S. M. considera il viaggio della Regina come di indole affatto privata senza conseguenze per la situazione politica tra i due paesi. Questa asserzione, mi disse il signor Soveral, sarebbe assolutamente contraria alle assicurazioni che S. M. il Re Nostro augusto sovrano avrebbe date alla Regina Maria Pia, la quale non sarebbe mai partita per l' Italia se non alla condizione esplicita che appena giunta sarebbe nominato il titolare di questa Legazione. Il viaggio della Regina madre non fu deciso se non ieri l'altro in seguito ad un telegramma del Re, dichiarando che, dopo aver consultato i suoi Ministri, S. M. era in grado di affermare che l'arrivo della Regina a Roma sarebbe prontamente seguito dalla ripresa delle nostre relazioni col Portogallo. Il Re invitava perciò l'Augusta sua sorella a venire accompagnata dal Duca di Oporto e dal signor Carvalho e Vasconcellos, il quale «sarebbe stato ricevuto a Corte».

In mancanza di queste assicurazioni, il Governo portoghese non avrebbe mai consentito al viaggio della Regina madre e se si confermasse la notizia data dalla Tribuna, si vedrebbe nella penosa necessità di telegrafare a S. M. d'interrompere il suo viaggio a Nizza, ove giungerà il 21, il che, per adoperare le proprie parole del signor Soveral, darebbe luogo ad un immenso scandalo. Egli ha telegrafato a codesto Incaricato d'Affari di Portogallo, chiedendogli schiarimenti, e mi ha espresso il desiderio di vedermi domattina. Il Re Don Carlos ignorava ancora il telegramma del signor Monteverde.

Chiedo istruzioni. Finora sono stato tenuto nella più completa ignoranza delle trattative tra le due Corti circa il viaggio della Regina a Roma, avendo questo Governo serbato in proposito il più grande segreto.

251

IL CONSIGLIERE DI LEGAZIONE A LONDRA, COSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 583/253. Londra, 19 ottobre 1896.

V. E. avrà certo osservato come il discorso pronunziato a Glascow dal signor Curzon (di cui ho avuto l'onore di trasmettere il sunto pubblicatone dal Times col rapporto N. 570/246 del 15 corr.) (l) venga a tagliare corto alle voci, che con una certa insistenza si mantenevano, della conclusione d'un accordo dell'Inghilterra con la Russia e la Francia per un'azione comune a Costantinopoli. Eppure, come ne ho riferito all'E.V. col rapporto n. 565/244 del 13 corr. (2),

malgrado tutto, la possibilità di un siffatto accordo in date circostanze non ha quel carattere d'inverosimiglianza che a prima giunta le si potrebbe attribuire. Non si perdona all'Imperatore Guglielmo il telegramma al Presidente Kriiger; l'incidente della protezione accordata dalla Germania· a Seid Kalid, ha, checchè se ne dica, prodotto qui una deplorevole impressione; si aggiunga a ciò la gelosia commerciale che articoli di riviste tecniche hanno in questi ultimi tempi accesa più viva; si tenga pure conto della guerra d'inchiostro dei giornali tedeschi contro l' Inghilterra, e si giungerà alla conclusione che un avvicinamento alla Germania, e quindi al gruppo delle Potenze centrali è ora meno attuabile che non lo fosse pel passato. Se si pone poi mente alla pressione dell'opinione pubblica nella questione armena ed alla impressione che da sola l' Inghilterra non può nulla si giungerà all'illazione che si deve contare colla ipotesi di un possibile accordo della Gran Brettagna con il gruppo russo-francese. Gli ostacoli che si oppongono ad un siffatto accordo sono:

l) La renitenza che ha l'Inghilterra di legarsi con Potenze continentali.

2) La quistione d'Egitto; ma chi può dire che se la Francia consentisse ad un temperamento equo, come potrebbe ad esempio essere la neutralizzazione dell' Egitto, non si sormonterebbe qui, se le circostanze venissero ad incalzare, l'antipatia contro qualsiasi accordo concreto con Potenze continentali?

(l) -Non pubblicato. (2) -Pubblicato al n. 244.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 1444/494. Berlino, 20 ottobre 1896.

Nello scorso mese di gennaio (rapporto n. 119/40 del 20, segreto) io riferiva al Barone Blanc allora Ministro degli Esteri sui discorsi che qui mi erano stati fatti sulla importanza della triplice alleanza, sull'eventualità che per date questioni potesse convenire alla Triplice alleanza di procedere d'accordo colla Russia, colla Francia ecc. e soggiungeva: « la Germania cerca più che mai di tenere solida la Triplice alleanza e prevede fin d'ora il caso di doverne portare .il peso dalla parte della Russia se l' Inghilterra persiste nella sua politica d'isolamento. Tutto ciò finora non è che adombrato e non prenderà forma, se forma dovrà prendere, se non quando saranno definitivamente conosciute le intenzioni dell'Inghilterra, che si spera sempre ancora di ricondurre ad un migliore apprezzamento de' suoi propri interessi nel senso di non inimicarsi per sempre la Germania e separarsi dalla Triplice alleanza. Per ora -e credo di non andare errato -la Germania lavora e lavorerà per persuadere noi e l'Austria-Ungheria ad andar cauti verso l'Inghilterra etc.... ».

D'allora in poi la triplice alleanza è stata rinnovata, ma nulla avrei da mu

tare a quanto io allora scriveva. L'attitudine dell'Inghilterra non è mutata, le sue

relazioni colla Germania non sono diventate. migliori e la Germania, per impedire

che gli accordi russo-francesi possano prendere un carattere anti-tedesco perico

loso per la pace, tende più che mai a mantenersi in buone relazioni con la Russia.

Le eventualità cui io faceva allusione nel mio rapporto succitato non hanno quindi

perduto nulla della loro attualità. Io, confortato del resto dal parere delle persone del Governo con cui ho frequente occasione di intrattenermi, non credo ancora possibile che l'Inghilterra voglia proprio sacrificare la sua posizione nel Mediterraneo e non torni a migliori consigli. La Germania però non è disposta a fare nuovi passi verso di essa e noi, che abbiamo lealmente fatto tutto quel che potevamo per essere il vero tratto di unione fra la Triplice e l' Inghilterra, non ne abbiamo certo ricevuti compensi tali che ci incoraggino a tentare altri sforzi e uscire da quella dignitosa riserva, che ormai del resto le nostre condizioni ci impongono. E vado più in là: vorrei persino che fossimo liberi a Kassala da impegni verso l' Inghilterra per poter regolare la nostra condotta a seconda delle circostanze senza altri riguardi che la tutela dei nostri interessi nel Mediterraneo.

Queste mie, forse inopportune, considerazioni mi sono suggerite da una conversazione avuta jeri col mio collega d'Inghilterra; il quale, pur deplorando la condotta equivoca del suo governo, non prevede ch'esso sia per mutare strada e teme che sotto l'impressione della sua irritazione contro la Germania -irritazione, che ha forti radici nella opinione pubblica (l)-si lasci trascinare a provvedimenti inconsulti.

Come curiosità e segno dei tempi, in relazione a quanto precede, mi permetto

accludere qui, in traduzione, un brano d'articolo pubblicato nell'ultimo fascicolo

della rivista molto apprezzata Deutsches Wochenblatt la quale considera la visita

dello Czar a Parigi come l'origine di una unione dell'Europa continentale contro

l' Inghilterra.

ALLEGATO.

Un ampliamento della Russia dal lato della sua frontiera occidentale, un accre

scimento di sudditi polacchi ovvero tedeschi, costituirebbe non una forza ma un

indebolimento per quella potenza. Quel grande impero ha bisogno di una uscita

libera e sicura dal Mar Nero nonchè di acquistar porti in Asia. A ciò mira la poli

tica mondiale della Russia. Una intelligenza colla Germania e coi suoi alleati per

mette allo Czar -il quale in ogni caso può essere siCuro della Francia -di procu

rarsi questi grandi vantaggi pacificamente e senza rischi, contro ed a spese del

l' Inghilterra.

Ciò che si è preparato a Parigi è quindi diretto non a toccare la Germania sib

bene a costituire una lega mondiale contro l' Inghilterra. Dovrebbero finalmente

accorgersi a Londra che i popoli sono stanchi di lasciarsi spingere l'un contro l'altro

per favorire la politica di sfruttamento dell' Inghilterra: essi finiranno per trovare

più agevole di intendersi pacificamente per regolare le cose in modo da assicurare

una pace duratura. Nessuno stato d'Europa ha interesse di limitare l'estendersi

della Russia in Asia: v'è colà spazio a sufficienza perchè, accanto alla Russia, anche

la Germania, la Francia e l'Olanda possano ottenere od ingrandire i loro territori

coloniali. L' Europa non ha motivo di intervenire in alcun modo a favore della domi

nazione inglese nelle Indie o del marcio impero chinese; e col Giappone non sarà

difficile l'intendersi mediante aumenti territoriali. In Turchia l'attuale stato di cose

può mantenersi ancora a pena. La divisione di quell'impero, tenendo conto degli

interessi dell'Austria-Ungheria, può formare la base per una confederazione balca

nica alla quale appartenga Costantinopoli come città neutrale. I Dardanelli, il

Bosforo, il canale di Suez e le altre consimili vie di comunicazione marittime, inter

nazionali dovrebbero venire neutralizzate e poste sotto un'amministrazione comune

delle potenze. La Russia avrebbe soltanto imbarazzi dal possesso di Costantinopoli: ad essa basta la sicurezza per l'uscita dal Mar nero. La parte che toccherebbe alla Francia consisterebbe nell'occupazione dell'Egitto e nell'ampliamento del suo dominio in Asia: in cambio essa potrebbe lasciare senza invidia all' Italia Tripoli e taluni porti della costa balcanica. Creta toccherebbe alla Grecia. La Germania prenderebbe il posto dell'Inghilterra, oltre che in Asia, nell'Africa Orientale e meridionale: il Canadà riceverebbe la sua naturale unione cogli Stati Uniti. Nel continente australiano si formerebbe una federazione di stati repubblicana. La dominazione mondiale inglese avrebbe cessato d'esistere.

Lo Czar si trova in condizioni tali da poter compiere questo grande fatto, liberando così la Russia da una rivalità che le è più pericolosa di quello che lo sieno per essa la Germania, la triplice ed anche la massa di interessi in opposizione ed inconciliabili coi suoi. L'Inghilterra sarà al caso di impedire una tale soluzione? certamente no. Dall'ultimo discorso di Lord Rosebery vien fuori già quasi un sentore del minaccioso pericolo. L' Inghilterra non ha battuto la via della salvezza l'accostarsi alla Triplice: essa ha brutamente offeso l' Imperatore Guglielmo e con ciò la Germania; se la diplomazia russa sa abilmente approfittare di questo fatto essa si rende padrona della situazione. Poco importa che gli Inglesi si arrendano al loro destino ovvero che difendano eroicamente ma inutilmente la loro mondiale situazione. Di fronte all'Europa riunita la resistenza inglese -se anche non si tratterrà di resistenza di forma -poco durerà. Tutte le potenze europee troverebbero allora largo campo alla loro attività, nel quale esse potranno estendersi l'una accanto all'altra senza incontrare conflitti. Nè si va errati se si suppone che il Gabinetto MélineHanotaux voglia utilizzare, oltre che per scopo politico, per scopo economico l'amicizia russo-francese. Anche questa deve naturalmente avere una punta anti-inglese. Méline è il primo difensore degli interessi de' produttori e della sistemazione internazionale della questione monetaria sul continente. Una intesa della Russia e della Francia sopra i grandi problemi economici dovrebbe guadagnare un significato altrettanto grande quanto l'accordo politico se si riesce ad attirarvi la Germania. Tra la Germania e la Francia esiste una completa uguaglianza d'interessi economici e i francesi dopo Colbert, hanno bene imparato a ben salvaguardarli. I pericoli economici e sociali non potranno mai esser meglio ovviati che per mezzo di una intesa del continente la quale, anche sotto questo riguardo, si effettuerebbe contro l'Inghilterra ed a sue spese.

Abbiamo motivo di ritenere che durante le rumorose feste di Parigi si è pur trcvata l'occasione di parlare seriamente di siffatte cose. L'avvenire insegnerà se un risultato in questo senso sarà stato ottenuto.

(l) Ed è più che altro da ascriversi ad un sentimento di rivalità commerciale. (Nota del documento).

253

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/11)

L. P. Parigi, 22 ottobre 1896.

Avrò a scriverLe privatamente forse fra pochi giorni profittando di sicura occasione per Roma. La spedizione d'oggi esaurisce il tema tunisino. Ella vi troverà pure il rapporto mio circa il miglior contegno che a me pare gioverebbe seguire per la Convenzione formale di navigazione ed un altro rapporto relativo agli accordi commerciali. Il solo procedimento che sembra possibile non è pur troppo così sollecito come da noi si potrebbe desiderare. La spedizione ufficiale risponde in gran parte alle cose da Lei scrittemi nella lettera particolare del 7 ottobre. Ma mi resta da soddisfare all'obbligo di sincera e vivissima gratitudine per la cortesia delle parole che in essa adoperò a mio riguardo. Firmai gli atti relativi a Tunisi con la tristezza d'animo con la quale avrei sottoscritto ad una pace necessaria ma non gloriosa. Mi confortò alquanto l'apprezzamento che i cervelli equilibrati hanno fatto dell'opera compiuta.

254

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 3637/943. Parigi, 23 ottobre 1896.

Fu rimarcato dai giornali quotidiani di Parigi l'articolo pubblicato dall'on. Franchetti nella Revue de Paris per patrocinare l'idea che si fa strada in questo paese della possibilità di un ravvicinamento nelle relazioni dell'Italia con la Francia. Me ne parlò anche il signor Hanotaux rallegrandosi che il tema potesse oggi pacificamente discutersi, anche fra dissidenti politici ed in sensi e con criteri diversi, senza suscitare le preliminari obbiezioni ed opposizioni che, in tempo non remoto, si sarebbero di certo incontrate. Lo stesso signor Clemenceau ne parla, soggiungeva il Ministro, a modo suo invero; ma egli pure consentendo che fra i due paesi l'amicizia dovrebbe esistere.

Unisco a questo rapporto l'articolo di Clemenceau, comparso nella Justice del 22 ottobre (1), perchè esso mi fornisce la occasione di fare una osservazione di cui mi sembrerebbe utile il tener conto. E la osservazione non è nuova nel carteggio mio col R. Governo, poichè altre volte già mi è occorso far notare la differenza grande che passa fra le simpatie professate nel campo radicale francese per una Italia che mutasse forma di governo ed i migliorati sentimenti che oggi diventano frequenti fra coloro che militano nel partito repubblicano moderato al quale appartengono gli uomini presentemente al Governo. Se il movimento di idee che si fece in quest'ultimo elemento, fu assai più lento, il valor suo ce ne deve sembrare ancora maggiore e la permanenza al governo di coloro che ci stanno attualmente ci deve assicurare che una propaganda contro le istituzioni nostre interne non sarà tentata sotto il pretesto di affrettare la conciliazione delle due Nazioni. Della qual cosa è facile convincersi perchè essa è conseguenza logica e quasi necessaria dell'indirizzo dato alla politica estera del paese, sicchè, in privato colloquio il signor Hanotaux stesso mi diceva un giorno che tale indirizzo ed una propaganda repubblicana nei paesi latini, erano termini inconciliabUi e che se i colleghi suoi ed egli stesso non fossero animati, per convincimento proprio, della più sincera intenzione di impedire ogni tentativo di tal sorta, l'interesse vitale del proprio paese li persuaderebbe a non fare altrimenti.

(l) Manca.

255

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 3659/948. Parigi, 24 ottobre 1896. Fanno contrasto con le previsioni che dalla forza delle cose s'impongono a chi considera la situazione presente dell'Europa, le dichiarazioni ch'io raccolsi in un recente colloquio col signor Hanotaux. Questo Signor Ministro, al quale tenni parola del buon esito delle feste russe quel tanto che mi parve necessario per non affettare il silenzio, colse occasione dal mio dire per mettere in evidenza il sentimento di pacifica soddisfazione che dominò nelle manifestazioni del popolo francese. Egli mi faceva notare che nessun grido, nessun atto che potesse spiacere, o sembrare mal sonante a chicchessia si era prodotto. Era stata tanto unanime la volontà che si evitassero, che nessuno osò dipartirsi da una consegna che il popolo avea data a se stesso. E su questo tono lo lasciai dire finchè mi si porse il destro di segnalare come dissonanti, in questo concerto di pace, taluni articoli di giornali autorevoli comparsi subito dopo finite le feste, i quali non parevano fatti per attenuare il sentimento d'inquietudine e d'incertezza che si palesava per molti sintomi in tutta Europa e che anche in Parigi si rifletteva sull'andamento del mercato finanziario. Negò naturalmente il Ministro che nella stampa parigina si notasse il risveglio di acrimonie aggressive contro la Germania. Insistette sull'indole pacifica di questa democrazia che ha dato alla Francia un periodo di pace del quale non ebbe mai più lungo sotto alcun altra forma di governo. L'inquietudine e la incertezza nascono, egli soggiunse, da due situazioni che il Governo francese non ha per certo contribuito a creare: quella che si è prodotta nell'Impero ottomano e quella che negli Stati Uniti di America minaccia di sconvolgimento tutte le relazioni economiche internazionali e la ricchezza dell'Europa. Nella questione orientale, continuò a dire il Ministro, la Francia si è imposta una linea di condotta, diretta unicamente a prevenire che i pericoli crescessero, che le difficoltà si allargassero. Ed in questa politica, diceva il signor Hanotaux, ho perseverato fino quasi ad incontrare l'opposizione del sentimento pubblico del paese, scosso dal racconto delle atrocità commesse contro gli Armeni. Di questi sentimenti che è diviso anche dalle frazioni del partito conservatore, si vedrà l'affermazione appena il Parlamento sarà riunito e la lotta da sostenere sarà grave perchè il Governo si è inspirato unicamente al pensiero che, lasciandosi strascinare in diversa via, la pace dell'Europa avrebbe potuto essere compromessa. A mia volta osservai che, dappoichè di grave inquietudine era eziandio causa la questione monetaria, sovra la quale pesavano le incertezze delle risoluzioni dell'America Settentrionale, io non mi spiegava come mai il Ministero di cui era Presidente il signor Méline ed essendo nel Gabinetto inglese il signor Balfour, nulla si tentasse dai bimetallisti di Europa per iscongiurare i disastri da essi preconizzati? Vi pensiamo, risposemi il signor Hanotaux. Indi soggiunse

che il signor Méline lo avea diggià avvisato dell'intenzione sua di promuovere, sovra la tanto discussa materia, uno esame in comune dei paesi che vi hanno

il maggior interesse. Si approssima il termine del privilegio di cui gode la Banca di Francia; il momento, anche per questo rispetto, sembrerebbe propizio per fare qualche cosa. Per il signor Méline, strenuo protettore degli interessi agricoli in Francia, la questione monetaria primeggia sovra ogni altra e, nel pensiero suo, essa è direttamente od indirettamente causa di tutti i danni e pericoli che affliggono la società moderna. Me ne parlò a più riprese e con l'accento di chi non è disposto ad ammettere che in buona fede si possa diversamente pensare.

Il colloquio che io riferisco e che ebbi col signor Hanotaux ha avuto carattere puramente informativo, nè comporta che io debba ripigliare altra volta con lui il discorso sovra questo soggetto. Voglio tuttavia che il Governo del Re ne abbia notizia sia a causa della intrinseca importanza del soggetto al quale esso si riferiva, sia perchè, qualora gli interessi nostri concordassero con quelli che il signor Méline stima essere vitali per la Francia, potrebbero forse essere prossime le circostanze nelle quali siffatta parità di interessi si paleserebbe in modo altamente favorevole per le relazioni dei due paesi.

256

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/11)

L. P. Parigi, 24 ottobre 1896.

Profitto del ritorno in Italia del collega marchese Vitelleschi, per mandare fino a Roma, con sicura occasione, questa lettera che, per la forma sua particolare, mi permette di intrattenerLa con maggiore libertà di pensiero e di parola intorno ad interessi nè immediati nè urgenti, già delineati però abbastanza chiaramente per imporsi alla nostra attenzione. Mi dà motivo di non indugiare a scrivere a Lei, l'ultima mia conversazione con il signor Hanotaux, della quale scrivo pure oggi, con rapporto ufficiale, le parti che tale carattere potrebbero avere.

Il Ministro indicò, in questo colloquio, le cause di inquietudine e di incertezza dominanti in Europa e quando annoverò fra esse la condizione presente dell'Impero Ottomano, alluse ai pericoli che la questione del Mediterraneo inchiude. E siccome poco prima egli si era rallegrato del visibile e crescente movimento dell'opinione pubblica francese in favore delle buone relazioni con l'Italia, augurandone bene per le ulteriori nostre trattative, parve a me di non dovere trascurare l'occasione di lasciar cadere una parola la quale significasse che quando la pacificazione degli animi fosse completa, altri interessi sarebbero da regolare sovra i quali sarebbe meglio intendersi che mantenersi in istato di permanente reciproco sospetto. Non dissi di più: neppure indicai vagamente dove questi interessi si trovino. Ma il Ministro tosto m'interruppe con queste parole: «Dal canto mio vi sono apparecchiato sulla base del reciproco disinteresse». Non era cosa opportuna spingere più oltre il discorso non essendo questa materia della quale convenga trattare a caso nel corso di una conversazione sovra la situazione politica generale. Se ne era parlato in relazione con

lo stato presente di cose della Turchia. Sarebbe perciò logico il supporre che le parole del signor Hanotaux si riferissero all'avvenire della Tripolitania. Non ne ho tuttavia la certezza, mentre il contatto in Africa con la Francia ci crea un altro interesse territoriale divergente. Ed il dubbio mi pare permesso, stantechè una formola di reciproco disinteresse offrirebbe probabilmente il mezzo di eliminare, tanto nell'un luogo, quanto nell'altro, gli inconvenienti che, forse ancora più che dal contrasto di interessi veri, sono creati dalle diffidenze e dai sospetti nei quali da troppi anni i due paesi vivono fra di loro.

Non vedrei iin questo momento, a meno di perdersi in lontane congetture, quali altri interessi, all'infuori dei due sovr'indicati, potrebbero dividere l'Italia e la Francia sul terreno delle questioni loro particolari.

Vorremo noi prossimamente accingerci ad esaminarle insieme ed a risolverle?

Non mi risulta che per la Tripolitania siano corse fra i Gabinetti di Roma e di Parigi, in altri tempi, entrature di sorta. Furono invece presi e ripresi più volte gli scambi di idee col Governo Francese circa la nostra delimitazione in Africa. Una clausola che, prendendo a base il reciproco disinteresse, ci assicurasse contro il pericolo di espansioni francesi oltre i limiti della Tunisia mi parrebbe già utile assai e se vi fosse aggiunta la riserva di futura intelligenza per il caso in cui il protettorato tunisino dovesse trasformarsi in sovranità diretta della Francia, riterrei che per questo lato poco più vi sarebbe da desiderare. Era poi sovra un concetto di disinteresse reciproco e non di riconoscimento formale dei rispettivi diritti territoriali, che per ultimo furono qui da me portate le trattative per la delimitazione africana. Noi volevamo allora avere una linea di delimitazione che partendo dal territorio inglese di Zeila avvolgesse tutto il territorio francese di Obock separandolo dall'Harar, dall'Aussa ecc., fino al mare. Nelle condizioni d'oggi la ripresa del negoziato sovra questa stessa base sembrerebbe singolare, quasi ridicola. Ma è cessato ogni interesse nostro ad assicurarci contro l'espansione francese in Abissinia? Finchè durano gli accordi del 1888 con l'Inghilterra non è probabile che essa abbia luogo verso l'Harar. Ma l'impegno è con la sola Inghilterra e non rispetto a noi. Eppoi verso l'Aussa nessuna linea fu posta nè dal Governo inglese, nè dal nostro che imponga alla Francia di contenersi nei suoi limiti attuali. Capisco che finchè la situazione di pace non è stabilita fra l'Etiopia e noi vi sia poco da fare a questo riguardo; ma se qualche vantaggio ci avrà da derivare dalla posizione che abbiamo presa in Africa a Nord ed a Sud dell'Abissinia, io stimo che ci sarà necessario allettare quel popolo a venire al mare tenendone noi la polizia dei porti e delle acque.

Come Ella vede, signor Marchese, il terreno sul quale il disinteresse della Francia ci potrebbe essere utile, non foss'altro per ridarei la calma che non si ha quando si temono sorprese, abbonda. Veda dunque Lei se vi sia alcun che da fare e mi dia, se ancora non è tempo di istruzioni, le sue idee in proposito.

Passo ad altro soggetto che è di maggiore attualità. Le ho già scritto ufficialmente che il signor Hanotaux non prevede difficoltà nel Parlamento che si riunisce qui il 27, per le convenzioni tunisine. È certo che l'effetto politico della conclusione di quegli accordi, dal punto di vista della ripresa degli amichevoli rapporti fra l'Italia e la Francia, è stato in quest'ultimo paese assai p:iù rapido ch'io non me lo aspettava. Ora restano vivi alcuni dubbi che spero saranno dissipati appena si sarà veduto che anche nelle nostre Camere quelle convenzioni troveranno buona accoglienza. Ma in una parte dei giornali di opposizione in Italia si apre una campagna contro gli eventuali accordi commerciali con la Francia e si mettono avanti ragioni d'ordine economico che sembrano ispirate da certi gruppi d'interessi. Quale attenzione merita tale movimento d'opinione? Quale valore hanno intrinsecamente quelle ragioni? Il Governo vi avrà per certo pensato e non aspetta che ne abbia scritto io. Però alcuni studii che ho fatto per prepararmi ad una trattativa eventuale mi hanno quasi persuaso che, nell'accordo commerciale, l'interesse politico probabilmente supera l'economico per quanto riguarda l'Italia.

E, dappoichè Le scrivo privatamente, aggiungerò ancora un'altra cosa. Ella ha veduto che ci riuscì negli accordi tunisini di evitare che ci fosse domandato di pronunciarci sul valore che conservano di fronte alle stipulazioni nuove, i patti e le convenzioni antiche che non ebbero fin dall'origine termine prestabilito per la durata. Nessuna formola generale le ha abolite, come nessuna le ha confermate. Furono passate sotto silenzio. Negli accordi nuovi, quando siano applicati con giudizioso proposito di conciliazione, nulla vi ha di cui la Francia possa sentire il bisogno di sbarazzarsi più tardi. Quegli accordi potranno dunque perpetuarsi per tacita riconduzione anche finito che sia il novennio. Però mi pare naturale che gli oppositori del Governo non intendano tacere su questo punto e che conseguentemente Ella sarà provocata a fare in proposito delle dichiarazioni. Questo è il solo scoglio che io tema nella discussione, perchè se dovessimo in una maniera qualsiasi essere condotti a dire che le convenzioni antiche e le capitolazioni sono soltanto sospese nei loro effetti e rinascerebbero se le nuove cessassero col novennio, per certo partirebbero di qui le più vive proteste e tutto l'edificio penosamente eretto crollerebbe in un giorno. È più facile segnalare una tale difficoltà che risolverla; ma a Lei non manca l'arte della parola misurata e nessuno dei Ministri, Colleghi suoi, che avesse da parlare nella discussione, farebbe, io spero, una così grossa stuonatura.

257

TRATTATO DI PACE FRA L'ITALIA E L'ETIOPIA (Ed. in L. V., 95, I) Addis Abeba, 26 ottobre 1896.

Au nom de la Très-Sainte Trinité.

S. M. Humbert I, Roi d'Italie, et S. M. Menilek Il, Empereur d'Ethiopie, désireux de mettre fin à la guerre et de faire revivre leur ancienne amitié ont stipulé le traité suivant.

Pour conclure ce traité, S. M. le Roi d'Italie a délégué, comme son envoyé plénipotentiaire, le major docteur César Nerazzini, chevalier des Saints Maurice et Lazare, officier de la Couronne d'Italie. Les pleins pouvoirs du major Nerazzini ayant été reconnus en bonne et due forme, S. E. le major Nerazzini, au nom de S. M. le Roi d'Italie, et S. M. Menilek Il, Empereur d'Ethiopie et des Pays Galla, en son propre nom, ont convenu et conclu les articles suivants:

Art. I. -L'état de guerre entre l'Italie et l'Ethiopie a pris définitivement fin. En conséquence il y aura paix ed amitié perpétuelles entre S. M. le Roi d'Italie et S. M. le Roi d'Ethiopie, ainsi qu'entre leurs successeurs et sujets.

Art. II. -Le traité conclu à Outchalé le 25 Miazia 1881 (correspondant au 2 mai 1889) est et demeure définitivement annulé, ainsi que ses annexes.

Art. III. -L'Italie reconnait l'indépendance absolue et sans réserve de l'Empire éthiopien comme Etat souverain et indépendant.

Art. IV. -Les deux Puissances contractantes n'ayant pu se mettre d'accord sur la question des frontières, et désireuses cependant de conclure la paix sans délai et d'assurer ainsi à leurs pays les bienfaits de la paix, il a été convenu que dans le délai d'un an, à dater de ce jour, des délégués de confiance de S. M. le Roi d'Italie et de S. M. l'Empereur d'Ethiopie établiront, par une entente amicale, les frontières définitives. Jusqu'à ce que ces frontières aient été ainsi fixées, les deux Parties contractantes conviennent d'observer le statu quo ante, s'interdisant strictement de part et d'autre de franchir la frontière provisoire, déterminée par le cours des rivières Mareb, Belessa et Mouna.

Art. V. -Jusqu'à ce que le Gouvernement italien et le Gouvernement éthiopien aient d'un commun accord fixé leurs frontières définitives, le Gouvernement italien s'engage à ne faire de cession quelconque de territoire à aucune autre Puissance. Au cas où il voudrait abandonner de sa propre volonté une partie du territoire qu'il détient, il en ferait remise à l'Ethiopie.

Art. VI. -Dans le b:ut de favoriser les rapports commerciaux et industriels entre l'Italie et l'Ethiopie, des accords ultérieurs pourront etre conclus entre les deux Gouvernements.

Art. VII. -Le présent traité sera porté à la connaissance des autres Puissances par les soins des deux Gouvernements contractants. Art. VIII. -Le présent traité devra etre ratifié par le Gouvernement italien dans le délai de trois mois à dater de ce jour.

Art. IX. -Le présent traité de paix conclu ce jour sera écrit en amharigna et en français, les deux textes absolument conformes, et fait en deux exemplaires, signés des deux Parties, dont un restera entre les mains de S. M. le Roi d'Italie et l'autre entre les mains de S. M. l'Empereur d'Ethiopie.

Etant bien d'accord sur les termes de ce traité, S. M. Menilek II, Empereur d'Ethiopie, en son propre nom, et S. E. le major docteur Nerazzini, au nom de

S. M. le Roi d'Italie, l'ont approuvé et revetu de leurs sceaux.

Fait à Addis Abeba, le dix-sept Tekemt mil-huit-cent-quatre-vingt-neuf (correspondant au 26 octobre 1896).

(L. S.) Maggiore CESARE NERAZZINI

inviato plenipotenziario di S. M. il Re d'Italia (Sigillo di S. M. L'IMPERATORE MENILEK Il) (l)

258. CONVENZIONE FRA L'ITALIA E L'ETIOPIA

PER LA RESTITUZIONE DEI PRIGIONIERI (Ed. in L. V., 95, II)

Addis Abeba, 26 ottobre 1896.

Au nom de la Très-Sainte Trinité.

Entre S. M. Menilek II, Empereur d'Ethiopie et des Pays Galla, et S. E. le major docteur César Nerazzini, envoyé plénipotentiaire de S. M. Humbert I, Roi d'Italie, a été convenue et conclue la présente convention:

Art. I. -Comme conséquence du traité de paix entre le Royaume d'Italie et l'Empire d'Ethiopie signé ce jour, les prisonniers de guerre italiens retenus en Ethiopie sont déclarés libres. S. M. l'Empereur d'Ethiopie s'engage à les réunir dans le plus bref délai possible et à les remettre à Harrar au plénipotentiaire italien, aussitòt que le traité de paix aura été ratifié.

Art. II. -Pour faciliter le repatriement de ces prisonniers de guerre et leur assurer tous les soins nécessaires, S. M. l'Empereur d'Ethiopie autorise un détachement de la Croix rduge italienne à venir jusqu'à Gueldessa.

Art. III. -Le plénipotentiaire de S. M. le Roi d'Italie ayant spontanément reconnu que les prisonniers ont été l'objet de la plus grande sollicitude de la part de S. M. l'Empereur d'Ethiopie, constate que leur entretien a entraìné des dépenses considérables et que de ce fait le Gouvernement italien est redevable envers S. M. de sommes correspondant à ces dépenses.

S. M. l'Empereur d'Ethiopie déclare s'en rapporter à l'équité du "ouvernement italien pour le dédommager de ces sacrifices.

En foi de quoi, S. M. l'Empereur d'Ethiopie, en son propre nom, et S. E. le major docteur César Nerazzini, au nom de S. M. le Roi d'Italie, ont approuvé et revetu de leurs sceaux la présente convention.

Fait à Addis-Abeba le 17 Tekemt 1889 (correspondant au 26 octobre 1896).

Maggiore CESARE NERAZZINI inviato plenipotenziario di S. M. il R.e d'Italia (Sigillo di S. M. L'IMPERATORE MENILEK Il) (l)

(l) Ratifica di S. M. il Re d' Italia: Roma, 6 gennaio 1897.

259

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 6011359. Pietroburgo, 26 ottobre 1896. Ho l'onore di mandare qui acchiuso a V. E. il sunto d'un articolo pub

blicato dalla Novoie Vremia alla vigilia del matrimonio del Principe di Napoli.

ALLEGATO.

Il matrimonio del Principe di Napoli non ha, nel senso stretto della parola, un carattere politico. A tutti sono note le circostanze che ne resero possibile l'effettuazione. L'Augusto Principe, guidato esclusivamente dalla inclinazione del suo cuore, scelse per sposa la Principessa Elena, sapendo perfettamente che la figlia del Principe Nicola di Montenegro non avrebbe potuto esser sua, senza il consenso del Sovrano di una grande potenza che non ha motivo di essere particolarmente soddisfatta dell'atteggiamento del Governo Italiano a suo riguardo.

La probabilità del consenso in parola poteva apparire a prima vista alquanto dubbia, e se il figlio e successore del Re Umberto, condividendo, al pari del suo Augusto genitore, le idee del Signor Crispi, si fosse lasciato guidare da riflessi di ordine politico, egli avrebbe forse dovuto cercare altrove la sua sposa.

Il Principe Vittorio Emanuele, che già una volta era stato ricevuto con sincera cordialità in Russia, venne però, nel maggio scorso a Mosca, fermamente convinto che non lo si avrebbe voluto rendere responsabile delle colpe e degli errori di Crispi, ed in ciò egli non si è ingannato. Il suo matrimonio colla Principessa Elena che solo date circostanze rendevano possibili, sta a dimostrare come il rancore non sia un difetto del carattere Russo. Solo i più sinceri auguri di felicità giungeranno domani dalla Russia alla Coppia Principesca.

Tutti coloro che qui dividono il nostro modo di vedere faranno voti sinceri perchè l'entrata nella Reggia Italiana di una Principessa di razza slava possa, presto

o tardi, condurre ad un mutamento delle relazioni tra l'Italia e questo Impero, quale lo desidera la società russa, non tanto nel proprio interesse, quanto allo scopo di allontanare l'Italia dalla falsa e pericolosa via in cui venne precipitata dalla politica internazionale di Crispi.

Nei circoli politici bene informati il Principe di Napoli viene considerato come caldo fautore di un riavvicinamento tra l' Italia e la Russia. Il Principe Vittorio Emanuele non ha, egli è vero, una diretta influenza sull'andamento degli affari pubblici, ma difficilmente potranno i consiglieri di Re Umberto tenere interamente in non cale le idee e le simpatie dell'Erede del Trono Italiano.

Ogni giorno la situazione internazionale viene sempre più assumendo un carattere tale da escludere per l'Italia ogni plausibile ragione di mantenere, rispetto alla Russia ed alla Francia, una attitudine di cortese riserbo. Ad un miglioramento delle relazioni con quelle due potenze, non osta neppure ormai la partecipazione dell'Italia alla triplice alleanza, e ad esso potrebbe soltanto nuocere l'eventuale inclinazione per parte del Quirinale di dar ascolto ai consigli e suggerimenti provenienti da Londra. Non havvi però finora motivo di credere che gli attuali Ministri si lascino dominare da siffatte influenze.

In altre circostanze l'atteggiamento di simpatia, con cui la opinione pubblica di questo paese segue il fausto avvenimento che sta per compiersi a Roma, avrebbe potuto avere un carattere meno riservato, ma le ragioni di quel riserbo non sono in veruna guisa da ricondursi alla persona degli Augusti sposi, a cui la società russa manderà, in questo lieto giorno, i suoi più cordiali saluti e più sinceri auguri di felicità.

(l) Ratifica di S. M. il Re d' Italia: Roma, 6 gennaio 1897.

260

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2445. Berlino, 27 ottobre 1896, ore 6,52 (per. ore 18,30).

Articolo Hamburger Nachrichten già segnalato da telegrafo, non attirò qui attenzione pubblica fino a che non giunsero da Vienna commenti su asser

zione. del giornale di Bismarck avere esistito fino al 1890 accordo fra la Russia e la Germania per reciproca neutralità in caso di attacco da terza Potenza, accordo che, non rinnovato da Conte Caprivi, avrebbe condotto al riavvicinamento Russia e Francia. Oggi tutti giornali ne parlano, credono questo nuovo tentativo di Bismarck screditare tutto ciò che si fece senza di lui e invocano spiegazioni da Governo. Giornali officiosi finora tacciono.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A COSTANTINOPOLI, PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO E PIETRO BURGO, PANSA, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA E MAFFEI

T. 1355. Roma, 27 ottobre 1896, ore 15,45.

L'Ambasciatore d'Inghilterra mi ha confidenzialmente comunicato il dispaccio circolare di Lord Salisbury circa la questione orientale. Dopo una lunga esposizione storica dei precedenti di diritto e di fatto, e dopo avere constatato la gravissima situazione in cui amministrativamente e finanziariamente trovasi ridotto l'Impero, Lord Salisbury conchiude che, se il convincimento concorde delle Potenze, segnatamente delle finitime, circa la necessità di mantenere lo statu quo territoriale dell'Impero, può bastare a preservarlo da scosse esteriori, non giova invece a preservarlo dagli effetti del mal governo e dall'interno decadimento.

Traendo argomento da quanto si fece per Candia, Lord Salisbury propone che i sei Ambasciatori siano incaricati di studiare e proporre ai rispettivi governi le riforme atte a mantenere la stabilità dell'(mpero ed a prevenire il ritorno degli orribili eccidii dell'ultimo biennio. Però, prima di dare siffatte istruzioni, il Governo britannico opina doversi provvedere a che le risoluzioni unanimi delle potenze siano tradotte in atto. Niuna azione dovrà spiegarsi rispetto a proposte che non abbiano ottenuto l'unanime consentimento delle potenze; ma quante volte le proposte degli Ambasciatori fossero da tutte le Potenze riconosciute accettabili, non potrebbesi ammettere al punto in cui sono giunte le cose, che le obiezioni del Governo ottomano siano un ostacolo per la loro attuazione. Lord Salisbury confida che le Potenze vorranno preliminarmente concordare che le loro unanimi decisioni sono finali e da tradursi in atto con tutta la forza di cui esse dispongono. Un accordo preliminare a tal riguardo faciliterà grandemente le deliberazioni degli Ambasciatori ed eliminerà gran parte delle evasive e degli indugi che hanno finora impedito il miglioramento dell'amministrazione turca.

Ho ringraziato l'Ambasciatore per questa importante comunicazione, che, come egli me ne richiedeva, sarà tenuta riservata. Gli ho dichiarato che il Governo italiano desidera che il concerto europeo si mantenga, negli affari concernenti la Turchia, per l'adozione di opportune riforme nel Governo e nell'amministrazione dell'Impero ottomano. Esso è quindi pronto ad unirsi agli sforzi che per tale intento il Governo britannico si propone di fare in unione con le altre grandi potenze.

13 -Documenti diplomatici · Serie III · Vol. I

(Per Vienna e Berlino). Sopra questa notevole comunicazione britannica gradirei continuare uno scambio intimo di idee con codesto Governo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

D. 40106/478. Roma, 27 ottobre 1896.

Mentre da V. E. mi giungeva il rapporto del16 di questo mese, n. 1423/487 (1), il signor de Biilow, reduce da Berlino, veniva ad espormi, per incarico avutone del suo governo, le considerazioni stesse che, a Lei svolte, circa le cose d'Oriente, dal barone Marschall, l'E. V. aveva riassunto in quel suo rapporto.

Il gabinetto di Berlino ci è grato di avere voluto iniziare con esso uno scambio di idee intorno a quell'importante argomento; nondimeno esso reputa che, non solo ha da sconsigliarsi ogni iniziativa, da parte dei governi componenti la triplice alleanza, che possa mettere in forse il pieno accordo di tutte le grandi potenze, nel quale risiede la migliore guarentigia per gli scopi di pacificazione a cui concorde'lllente si mira, ma sia pure da evitarsi, a tale intento, anche il solo so

spetto che si voglia meditare una azione separata, e debbasi quindi serbare, intorno al nostro scambio di idee, il più scrupoloso segreto.

A mia volta, dissi all'ambasciatore germanico che i nostri propositi erano sostanzialmente identici a quelli del gabinetto di Berlino. Anche noi opiniamo che nel concerto unanime delle grandi potenze consista il mezzo più efficace, non solo per la preservazione, in genere, della pace, ma altresì per quella azione che, per un interesse di umanità e di quiete, si dovesse eventualmente esercitare in Oriente. Come ebbi cura di ben chiarire nel mio dispaccio del 9 di questo mese, noi non abbiamo punto inteso di fare proposte e tanto meno di promuovere una separata iniziativa da parte del gruppo alleato. Nostro desiderio era quello soltanto di conoscere il pensiero dei due gabinetti componenti con noi la triplice alleanza, intorno alle contingenze più o meno probabili che potrebbero affacciarsi in Oriente. Verificandosi quelle contingenze, sarà certo sempre da farsi ogni sforzo acciocchè, occorrendo una azione da parte delle potenze, questa si esplichi come manifestazione del loro pieno e palese accordo. Però gioverebbe pur sempre che tra i gabinetti alleati si mettessero in sodo, mercè lo scambio confidenziale di idee che a noi pare opportuno, e tale pure è sembrato a codesto governo, quelli che dovrebbero essere i concetti direttivi dell'opera comune del concerto europeo. quante volte si dovesse passare da uno stadio di concorde aspettazione e vigilanza, a quello di una vera e propria azione. Il trovarsi a tale riguardo predisposti e pronti ad una uniformità di atteggiamento e di indirizzo gioverebbe certo alle influenze e fors'anche agli interessi più diretti delle tre potenze alleate.

In questi termini V. E. potrebbe esprimersi col barone di Marschall, non tanto per insistere nel senso del precedente mio dispaccio, quanto per mettere meglio in luce gli intendimenti ivi espressi.

(l) Pubblicato al n. 248.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2457. Berlino, 28 ottobre 1896, ore 5,55.

Barone Marschall, col quale ho conferito ora, è sommamente indignato per le rivelazioni Hamburger Nachrichten, condotta Bismark; e astrazione fatta da dichiarazione pubblicata dal Reichsanzeiger, volle, in via affatto confidenziale, spiegarmi tutta questa dolorosa storia. Quando egli e Conte Caprivi, nel 1890 entrarono al Governo trovarono infatti accordo reciproco neutralità tra Germania e Russia, accordo, che per promessa solenne delle due parti, doveva essere mantenuto segreto per sempre. Conte Caprivi e Barone Marschall ne chiesero abrogazione: primo perchè, come si espresse Conte Caprivi, egli trovava politica a doppia faccia di Bismark «troppo complicata» e meno leale; secondo perchè non voleva lasciare in possesso di Bismark un segreto di Stato di cui, l'esperienza lo prova, Bismark avrebbe potuto abusare. L'Austria-Ungheria non fu mai informata

ufficialmente di nulla, ma, visto gli accenni ripetuti della stampa Bismarkiana, alla « rottura dei fili » colla Russia ai « due ferri che Bismark teneva al fuoco » Governo Imperiale ebbe dopo il 1890 occasione di notificare all'Austria che non esi

steva alcuna specie di accordo colla Russia: di più non poteva dire stante promessa segreto perpetuo dell'accordo cessato. Cancelliere dell' Impero Hohenlohe e Barone Marschall non dubitano che nemici triplice alleanza e Germania ora cercheranno, in tutti i modi, spargere diffidenza contro quest'ultima. Sperano però che queste franche confidenziali comunicazioni fatte a me varranno a togliere ogni dubbio nel Governo italiano sulla lealtà dell'attuale Governo tedesco. In questa lealtà, io, per mio conto, non ho mai dubitato, nè dubiterò fino a che Barone Marschall è al Governo.

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IL COMANDANTE DELLA CANNONIERA « PROVANA », COLTELLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2459-Bis. Gibuti, 28 ottobre 1896, ore 10,20 (per. ore 14).

Parlato con Macario che mi sembra molto disilluso. Parte oggi recandosi Vaticano. Raccolsi notizie e opinioni che telegrafo V. E.: Condizione riuscita trattative sarebbe abolizione trattato di Uccialli; aggiunse poi che Negus chiederà denaro sia come indennità di guerra, sia per ogni prigioniero; confine Mareb Belesa.

Da lettere ricevute ieri gli risulta che Nerazzini è guardato dalle guardie di Menelik che l'accompagnano sempre essendogli impedito comunicare con chicchessia. Si dice pronto trattato commerciale colla Francia fatto da Moudon de Vidaillet e aspettasi pace per pubblicarlo; nel trattato Francia avrà diritto proprietà nello Scioa e Harrar. Menelik farebbe due spedizioni nell'Ogaden e nel Tigrè; questa contro Mangascià accusato di avere relazioni con gli Inglesi nel Sudan.

Menelik non va nel Caffa; ma invece a Wareita, presso confini Scioa. Ho avuto comunicazione confidenziale lettera Menelik al Papa che porta Macario. Egli dice che voleva dare i prigionieri; ma che si astenne poi per l'atteggiamento ostile dell' Italia verso l'Abissinia. Ieri Macario fece colazione a bordo. Andandosene disse che Papa e Chiesa Copta Alessandria si sono interessati molto per i prigionieri; ma è dolente, mortificato ottenuto nulla.

Le opinioni di Macario sulle trattative Nerazzini non sono concordi con quanto dice Madia, nè con quanto emerge dal.modo come Nerazzini è stato trattato durante il viaggio. Sembra che la missione papale non è stata ricevuta colla stessa pompa quella di Nerazzini e che Menelik fece temporeggiare la risposta fino all'arx:ivo ambasciatore italiano. Questi fatti possono avere disgustato ambasciatore papale. Nei discorsi Macario si dimostra partigiano per la guerra all'Abissinia.

Maconnen fu incontrato 12 ottobre a una giornata da Harar diretto Eutoto dove pare recarsi per missione Nerazzini. Prego V. E. telegrafare se signora Ilg è partita.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2464. Berlino, 30 ottobre 1896, ore 15,15 (per. ore 16,25). Mi riferisco telegramma V. E. data 27 (1). Francia insisteva da qualche tempo per iniziare accordi per Tunisi anche con la Germania, ma questa ritardò sempre risposta aspettando conoscere esito trattative altre Potenze più interessate. Nel

frattempo venne applicata ad importazioni tedesche tariffa generale, il che ha fatto credere rifiuto Germania accordare regime privilegiato alla Francia, segnalato a

V. E. da nostro Agente a Tunisi. Il fatto è che le trattative francesi-tedesche furono iniziate solo in questi ultimi giorni. Finora è assodato che la Germania accetterà come noi trattamento della nazione più favorita con regime privilegiato francese rinunziando così alle capitolazioni. Governo tedesco tentò bensì ottenere qualche vantaggio speciale per alcune materie; ma vi rinunziò dopo risposta negativa Governo francese che non vuole accordare trattamento più favorevole di quello fatto all' Italia. Tali sono, in sostanza, informazioni datemi separatamente da Barone Marschall e mio collega francese, informazioni che completerò a suo tempo.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 2466. Pietroburgo, 30 ottobre 1896, ore 18 (per. ore 20). Leontieff reduce a Pietroburgo mi fece oggi una lunga visita. In sostanza mi

ha affermato che Nerazzini non concluderà nulla ed aveva l'aria di insinuare di avere ciò saputo per telegrafo. Si lagnò quindi che l' Italia abbia declinato media

zione della Russia, dopo l'assicurazione da lui data allo Czar a Kieff che il Marchese Rudinì gli aveva detto essere Governo del Re lieto di accettarla. Pur troppo questo coincide con quanto mi disse signor Chikine ed io riferii a V. E. per telegrafo e per posta.

In definitiva Leontieff mi ha fatto intendere che anche ora, se l' Italia vuole mediazione dello Czar, basterà un cenno di questo per procurarle immediata stipulazione della pace col Negus. Leontieff mi ha quindi aggiunto: « S. M. ritorna domani; badate che una semplice parola vostra potrebbe mutare completamente situazione a favore dell'Italia». Questo linguaggio in bocca del compagno del segretario di Menelick è per lo meno assai singolare. Non mi è lecito passare sotto silenzio e starò in attesa di qualche ulteriore istruzione che a V. E. piacesse impartirmi.

(l) Non pubblicato.

267

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2472. Berlino, 31 ottobre 1896, ore 21,51 (per. ore 22,30).

Invio sunto altro articolo pubblicato da Hamburger Nachrichten in risposta ultima dichiarazione Reichsanzeiger accordi russo-tedeschi di un tempo non sono segreto Stato, appartengono alla storia e agli archivi. Segreto in cui furono tenuti non era necessario per Germania nè per triplice alleanza, ma avvenne solo per desiderio Russia. Non è vero accordo sia atto sleale verso triplice alleanza. Testo trattato triplice alleanza accorda anche all'Austria neutralità in caso Germania sia attaccata da Francia, nonchè in caso di attacco non provocato dalla Germania verso Russia.

Le potenze della Triplice potrebbero in corpore, se Russia vi assentisse, fare un simile accordo senza venir meno scopo principale loro trattato. Accordo non rinnovato nel 1890 sarebbe anche oggi consigliabile quanto era incompleto nel primo articolo Hamburger Nachrichten può Governo imperiale completarlo pubblicando testo accordo. Quell'articolo non conteneva però nulla di fatto, e saranno autorizzati chiedere al Reichsanzeiger a termini di legge una rettifica in questo senso.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

D. 41001/501. Roma, 31 ottobre 1896.

L'ambasciatore di Turchia mi manifestava, ieri, il desiderio di conoscere il pensiero del R. governo intorno alla presente situazione in Oriente. Mi astenni naturalmente dallo accennare alle comunicazioni confidenziali che, intorno al grave argomento, sì stanno attualmente scambiando tra le grandi potenze. Però stimai non inopportuno di enunciare, in proposito, alcuna considerazione che potesse essere utilmente riferita dall'ambasciatore al suo governo.

La condizione delle cose e degli animi in Turchia, è certamente ben lungi dal !asciarci scevri da ogni preoccupazione. Però la preoccupazione è anche maggiore, nè lo tacqui a Rescid bey, per il dubbio che il Sultano e il suo governo non abbiano un concetto sufficientemente esatto della imminenza del pericolo e della urgenza di provvedere. La Sublime Porta dovrebbe intendere che oramai è tempo di troncare ogni indugio e di affrettare essa stessa, presso le potenze, una reciproca e cordiale collaborazione in vista di savie, pratiche e radicali riforme, mercè le quali soltanto potranno scongiurarsi le contingenze che minacciano di sconvolgere l'intera compagine dell'impero. Le grandi potenze sono, oramai, consenzienti, fermamente consenzienti, nel voler mantenuto, per la Turchia, lo statu quo territoriale, ma lo sono del pari nel volere che, mercè serie riforme, sia assicurata, con la incolumità dell'Impero, anche la pace generale. La Sublime Porta deve pur comprendere, di fronte all'atteggiamento delle potenze, che mal provvederebbe a sè con espedienti dilatori o con l'inerte resistenza, mentre suo manifesto interesse è di farsi innanzi essa stessa e di prestare volenteroso contributo all'opera delle potenze. Al punto cui sono giunte le cose, il partito più fatale, per la Sublime Porta, sarebbe quello d'indugiarsi con la speranza che, venendo meno l'unanime accordo delle potenze, scemi l'efficacia dell'azione loro. Se tale eventualità potesse avverarsi, e il fascio delle grandi potenze venisse a rompersi, la Sublime Porta potrebbe bensì sentirsi momentaneamente liberata quasi da una molesta pressione, ma dovrebbe da quell'istante stesso temere per sè i maggiori guai e la estrema iattura. Fidare nelle potenze, accoglierne le raccomandazioni, sollecitamente tradurle in atto: questo è il procedimento che solo può trarre a salvezza e quiete il travagliato dominio del Sultano.

Questi concetti, amichevolmente svolsi con l'ambasciatore; li consegno nel mio carteggio con V. E., acciocchè Ella sappia quanto Rescid bey ha dovuto, dopo il nostro colloquio, riferire al suo governo.

269

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2475. Berlino, 1 novembre 1896, ore 15,45 (per. ore 17,15).

Cancelliere dell'Impero mi disse dopo il nuovo articolo Hamburger Nachrichten non si può più dubitare rivelazioni vengano da Bismark per sfogo odio verso suoi successori ed Imperatore. Stesso Imperatore farà quanto potrà per evitare procedere contro suoi portavoci per divulgazione segreto di Stato. In fondo della questione Governo imperiale ed Imperatore sono sempre di opinione che a Germania importa tenere buone relazioni con la Russia, ma non coi mezzi adoperati da Bismark, ritenendoli meno leali, ed evitare assolutamente ogni accordo che tocchi alleati, senza che questi possano esserne informati, com'era per accordo neutralità russo-tedesca, non rinnovata nel 1890 da successore di Bismark. Fatto avvenuto potrà, a mio avviso, avere un lato buono, cioè, che, per timore essere sospettato doppiezza, Governo germanico diventi meno acre verso l'Inghilterra, il che, per noi ed Austria, è da desiderare. Imperatore, Cancelliere dell'impero, barone Marschall sono irritatissimi ed anche mortificati che, con ragione, ma senza loro colpa, si sparga diffidenza verso sincerità politica germanica. Credo a noi convenga, come fa Austria, dimostrare questa diffidenza non esistere da parte nostra.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PIETOBURGO, MAFFEI

T. 1389. Roma, l novembre 1896, ore 19,45. Leontieff ripete che il marchese di Rudinì aveva accettato la mediazione russa, e V. E. ricorda nel suo telegramma esserle stato detto, a suo tempo, da Sciskine che l'affermazione di ,Leontieff aveva influito sulla decisione del Governo russo di offrir.cela. Desidero, verso Sciskine e il Governo russo, che su questo punto non rimanga ombra di equivoco. Il marchese di Rudinl, quando vide Leontieff, non poteva, con persona priva di carattere officiale, entrare in confidenza circa i negoziati avviati per mezzo di Nerazzini, e la sua risposta alle entrature di Leontieff fu necessariamente generica. Ma quando il Governo russo, per mezzo del suo incaricato d'affari a Roma, ci ieee le note entrature, la nostra risposta fu che, essendo quei negoziati già avviati, mancava la opportunità di una ver'l e propria mediazione, mentre due negoziati distinti e simultanei avrebbero posto nell'imbarazzo la potenza mediatrice, nè per la distanza si sarebbero potute modificare le istruzioni di Nerazzini: che, però, essendo nostro proposito di concludere una pace onorevole e di riconoscere l'indipendenza del Negus, noi saremmo stati grati alla Russia dei consigli che in questo senso avesse voluto porgere a Menelik. Ora quei consigli sono stati dati e noi ne siamo riconoscenti. In ogni modo la prego di prendere occasione dalle attuali dichiarazioni di Leontieff, che V. E. potrà schiettamente confidare a Sciskine, per ripetergli ancora una volta il nostro pensiero ed anche per comunicargli riservatamente le precise condizioni di pace da noi offerte a Menelik, cioè: l) restituzione dei prigionieri; 2) confine Mareb-Belesa; 3) abrogazione del trattato di Uccialli con riconoscimento della indipendenza di Menelik. Se in base a questa nostra comunicazione, che è prova della nostra piena fiducia verso il Governo russo, questi stima rin

novare i suoi buoni uffici presso Menelik, sarà, per noi, lo ripeto, gradita ciimostrazione di amicizia ·e di reciproca cordialità.

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IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2497. Rio de Janeiro, 4 novembre 1896, ore 2 (per. ore 6,15 del 5).

Avendo modo di procrastinare, a cagione grave malattia Presidente repubblica, prego telegrafarmi: l) se per precisare vero carattere dell'accordo, posso proporre clausole: essendo pagamento della predetta somma considerato come soluzione questione delle difficoltà esistenti fra i due governi per cui governo italiano rimane solo ed esclusivo arbitro nella distribuzione della somma tra i reclamanti credo che parola arbitro sia più esatta e conveniente, in un patto

internazionale, che non sia la parola: «mandatario », anche se impiegata in forma negativa; 2) se invece della lJarola «molestia», che non credo adatta, posso impiegare «intervento», e se basta che sia stipulato «i reclami che sono stati presentati dalla R. Legazione al Ministero degli affari esteri brasiliano fino ad oggi » essendo questa una forma consueta e che eccettua esplicitamente quei reclami non ancora presentati; 3) le parole «dal 1889 », non mi furono chieste nè sono desiderate da questo Ministro degli affari esteri ma da me proposte a V. E. per liberare Governo di S. M. da reclami per infinità di milioni, come saccheggi di Paysandu e Franzini ed altri, che, se non sono esclusi mediante l'accordo origineranno molte proteste e difficoltà pel governo del Re, perchè, quantunque non siano ammissibili, ciò non di meno, se sono inchiusi anche in massima faranno apparire la somma di tre milioni e mezzo affatto insufficiente, e toglieranno effetto prezioso della ampia riparazione ottenuta. Specialmente per questa ragione di primaria importanza, ho creduto che la esclusione essendo stata da V. E. ammessa per l'arbitrato ci converrebbe mantenere una nota e sarebbe più giustificata in un accordo di sistemazione diretta, che è sempre necessariamente preceduta da un lavoro di selezione; 4) in caso queste rispettose considerazioni siano accolte da V. E., aggiungerei nell'accordo « pei reclami anteriori al 1889 rimane impregiudicato diritto dei reclamanti di ricorrere alle autorità giudiziarie competenti ». Considerando che se con un patto internazionale abbiamo in ogni singolo caso il diritto di far cessare il nostro intervento di cui siamo soli giudici, non siamo autorizzati rinunciare per i reclamanti ad un diritto intangibile di ogni cittadino; 5) per lo stesso motivo e, quantunque formola di V. E. « nei suoi rapporti col governo italiano liberato da ogni suo intervento pei reclami pendenti » ne sia indiretta constatazione, vorrei aggiungere clausola « è inteso che a quel reclamante che rifiutasse di accettare la somma di indennità che gli fu concessa dal governo italiano a suo beneplacito assoluto ed illimitato, rimane impregiudicato diritto di ricorrere ai tribunali competenti brasiliani». E perchè questa clausola possa essere accettata dal governo brasiliano aggiungerei, se assolutamente necessario, «ma in tale condizione sarà restituita al tesoro della repubblica del Brasile la somma rifiutata dal reclamante»; e queste clausole sarebbero usate a difesa contro ogni protesta e pretesa di ciascun reclamante; 6) debbo dichiarare sin da oggi che è impossibile annuncio solo verbale circa Compans di Brichanteau, ma la nota che penso scrivere credo che raggiunga scopo: « considerando gli interessi sempre più numerosi e importanti della colonia italiana nello Stato di San Paolo, governo di S. M. è venuto nella decisione di sostituire l'attuale R. Console Compans di Brichanteau con un altro funzionario di grado più elevato. Avrò onore di trasmettere all'E. V. decreto reale di nomina del Console Generale Chicco appena avrò notizia dell'arrivo che è imminente, di questo nuovo titolare del Consolato di S. M. a

S. Paolo »; 7) potrò chiamare Compans di Brichanteau appena firmato accordo, perchè mi riferisca sui reclami a S. Paolo, e per stabilire la cifra di indennizzo; ma osservo che la sua chiamata, senza che abbia 'Un titolo ufficiale a Rio Janeiro non sarà considerata disposizione lusinghiera per lui; temo che potrebbe produrre irritazione nella colonia e che sarebbe giudicata dai brasiliani come nostra concessione. Credo valga meglio aspettare il suo successore e partire quindi direttamente per la nuova destinazione; 8) jeri questo Ministro degli affari esteri, che prima ne dubitava, mi ha dichiarato necessario sottoporre accordo al Congresso, ma è assolutamentP. sicuro della approvazione; 9) oso raccomandare segreto con Regis de Oliveira. È mio dovere informare confidenzialmente V. E. che questo Ministro degli affari esteri mi ha fatto leggere un telegramma di Regis, in cui afferma che, dalle sue conversazioni, reputa che V. E. sia disposta a rinunciare ad ogni indennità pei fatti di S. Paolo ed a ogni soddisfazione per la bandiera. Invocando benevolenza di V. E., oso aggiungere che fu per me dolore di scorgere dal suo telegramma che alla soluzione attuale che io considerava buon successo superiore ad ogni aspettativa e tanto soddisfacente sotto tutti i rapporti e specialmente sotto quello dell'ampia soddisfazione internazionale e della riparazione nazionale, l'E. V. avrebbe preferito una commissione mista locale con elementi brasiliani. Io credetti di aver conseguito appieno lo scopo, pel quale quella commissione non sarebbe stata che il mezzo, e un mezzo che la esperienza al Chili e altrove ha dimostrato lento e dubbio con le diminuzioni inaudite nelle cifre dei reclami, ed essere un ripiego quando ogni domanda di pronta e diretta giustizia sia fallita. La ingente somma da me adesso ottenuta, che di tanto supera i giusti e legittimi reclami, mi è sembrato infine tale da essere la più eloquente risposta e smentita alle partigiane polemiche dei nemici del R. Governo. Prego V. E. di volermi perdonare se le manifesto la mia crudele delusione: ciò che io credeva un vero trionfo, fra mezzo quasi insuperabili ostacoli, è invece una mia sconfitta.

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IL COMANDANTE DELLA CANNONIERA« PROVANA »,COLTELLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2500. Gibuti, 5 novembre 1896, ore 17,30 (per. ore 20).

Trasmetto seguente telegramma Nerazzini da Adis Abeba nove ottobre: « Arrivato pomeriggio sei ottobre con scorta onore di oltre seicento fucili, che incontrai strada. Sette ottobre ricevimento ufficiale con presentazione credenziali. Fui ricevuto con tutti onori ed ebbi udienza cordialissima con imperatore. Prigionieri ottimo stato salute e benissimo trattati da S. M. Per desiderio Menelick parlerò con prigionieri dopo aver bene avviate le trattative: io stesso incontrandoli strada, li ho pregati aspettare qualche giorno prima di venire mia casa. Ilg che era partito per Gibuti, fu richiamato dall'imperatore. Gli argomenti più difficoltosi saranno pretese forti indennità e questione confine; ma spero vincere tali difficoltà attenendomi strettamente istruzioni avute. Desiderio pace è generale, ma è sempre forte il sospetto che governo italiano cambi attitudine e proposte, come avvenne per negoziati maggiore Salsa. Anche incidente piroscafo olandese catturato ha influito per aumentare sospetto. Oggi imperatore mi scrisse che dòmani comincieremo parlare insieme; intanto aver egli chiamato Adis Abeba tutti più importanti dignitari non troppo lontani per assistere nostro convegno. Prevedo che occorrerà tutto mese ottobre per disbrigare trattative. Prego attendere con calma e calmare impazienza opinione pubblica senza nessun atto che possa pregiudicare andamento missione che sembrami ben avviata. Cifra totale prigionieri non supera milletrecento circa. Nerazzini ».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

D. 41429/936. Roma, 5 novembre 1896. L'ambasciatore d'Austria-Ungheria è venuto a farmi conoscere il pensiero del suo governo circa i concetti che, da me svolti nel dispaccio del 9 ottobre scorso (1), erano stati da V. E. confidenzialmente esposti al conte Goluchowski. Il gabinetto di Vienna ci è grato dello avere con esso iniziato uno scambio di idee sulle contingenze che potrebbero affacciarsi dn Oriente, e sui provvedimenti che potrebbero apparirvi opportuni. Esso è disposto a continuare con noi siffatto scambio di idee, del quale riconosce l'utilità, in vista delle possibili evenienze. Passando alla sostanza dei concetti enunciati nel predetto mio dispaccio, .il conte Goluchowski ricordava, rispetto all'eventuale passaggio dei Dardanelli da parte di nostre navi accorrenti a Costantinopoli per un intento di sicurezza e di umanità, che egli stesso aveva, in precedente circostanza, messo innanzi l'idea che, in vista appunto di somiglianti casi, torni utile considerare se non sia conveniente, a tale riguardo, una revisione del principio assoluto di chiusura, statuito dal trattato di Londra; però siffatta idea non incontra favore, nè parrebbe il caso di risollevarla. Per quanto, poi, concerne le riforme da escogitarsi e da consigliarsi alla Porta, il conte Goluchowski avverte che esse dovrebbero abbracciare l'intero assetto dell'impero, e non già restringersi ai soli armeni, sia perchè potrebbe suscitare gelosia e animadversione il beneficio ristretto ad essi soltanto, e sia perchè, essendo costoro sparsi per tutti i domini del Sultano, mancherebbero la ragione e la materiale possibilità di un trattamento speciale. Ringraziando il barone Pasetti per la sua comunicazione, ebbi cura di ben mettere in sodo che, col 1mio dispaccio del 9 ottobre, non avevo punto inteso di opinare che le potenze alleate avessero a prendere una iniziativa qualsiasi, la quale sarebbe adesso ancora meno opportuna dopo la circolare Salisbury, sibbene avevo stimato utile, rivolgendomi a V. E. e al R. ambasciatore in Berlino, che intervenisse tra le potenze alleate, in previsione di possibili eventi, uno scambio preliminare di idee, che con piacere scorgo essere costì riuscito accetto. La eventualità che navi da guerra abbiano da accorrere a Costantinopoli in seguito ad iniziativa che il governo britannico potesse prendere di simile provvedimento, sembra ora allontanata, sia perchè il pericolo di nuovi eccidii, a Costantinopoli, si è fatto meno probabile, sia anche perchè può considerarsi esclusa la contingenza di una azione isolata da parte dell'Inghilterra. Rispetto, poi, alle riforme, anche noi pensiamo, al .pari del conte Goluchowski, che, per essere efficaci e corrispondenti alle esigenze della situazione, esse debbono abbracciare l'intera compagine dell'impero. 1Del resto, tale è ormai il convincimento generale, ed in tale senso è pur concepita, a questo riguardo, la circolare del gabinetto di Londra.

Con siffatte avvertenze, circa le quali i due gabinetti sono manifestamente consenzienti, ebbe termine, in questo punto, il mio 'Colloquio con l'ambasciatore.

(l) Pubblicato al n. 237.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 620/265. Londra, 6 novembre 1896. Mercoledì 4 novembre ho avuto con Lord Salisbury il primo colloquio dopo il mio ritorno dal congedo.

Le felicitazioni per Dongola furono il punto di partenza per scandagliare le intenzioni del Governo della Regina. Per ragioni finanziarie si vuoi soprassedere dal procedere sopra Kartum. Le operazioni saranno riprese a tempo debito. Lord Salisbury è stato soddisfatto dal resultato della prima campagna, non che dubitasse un solo momento dell'esito, ma per l'esiguità delle perdite sofferte.

Ha parlato della colonia Eritrea e domandato quando l'Italia se ne sarebbe liberata. Ma si capisce che un abbandono completo non farebbe l'interesse dell'Inghilterra.

Di Kassala non si è parlato nè da una parte nè dall'altra e ciò è significativo di fronte alle invenzioni giornalistiche sull'argomento.

Lord Salisbury ha accolto con grande soddisfazione le dichiarazioni che a nome di V. E. gli vennero da me fatte intorno alla continuazione dei rapporti intimi dei due Governi e m'incaricò di ricambiare cordialmente simili dichiarazioni. La questione d'Oriente s'impone in ogni colloquio diplomatico. Lord Salisbury sembra convinto essere vicina la crisi ottomana; e pare che lo stesso Nelidow ambasciatore russo a Costantinopoli, che finora fu il più ottimista, sia ormai convinto che da un momento all'altro debba accadere una catastrofe. Questa potrebbe esser determinata da atti di violenza contro sudditi delle potenze europee e forse anche contro le Ambasciate. In tal caso non sarebbe più possibile evitare l'entrata nel Bosforo delle squadre europee. In simile evenienza il contegno della Russia potrà determinare la piega ulteriore degli avvenimenti. Mi riservo di fare un rapporto speciale su tale argomento.

Si è finalmente venuti sul discorso del Trattato italo-tunisino. Lord Salisbury, senza farne colpa ad alcuno, ha deplorato che la Francia abbia potuto combattere separatamente ed impreparate tutte le potenze interessate in Tunisia, ciò che permise al Signor Hanotaux di aver ragione prima dell'Austria e poi dell'Italia. Ma soggiunse che al punto in cui erano le cose l'Italia non poteva ottenere meglio di quanto ha fatto.

Non è privo d'interesse per noi ciò che conchiuderà l'Inghilterra. Il punto più importante si è che essa non vuol rinunziare alla perpetuità del proprio trattato; e ben si comprende come ciò debba esser causa di gravi difficoltà.

275

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2513. Pietroburgo, 7 novembre 1896, o1·e 18,55 (per. ore 21,55).

Ho immediatamente partecipato il contenuto del telegramma di V. E. (l) al signor Chichkine, il quale molto gradì quella comunicazione, di cui io feci

risultare carattere amichevole. Egli mi disse che teneva Imperatore minutamente ragguagliato di ogni cosa, e che lo aveva informato delle nostre condizioni per la pace col Negus, da me fatte conoscere d'ordine di V. E.

Relativamente alle difficoltà pel confine, che si avranno ad incontrare, debbo avvertire che pure Leontieff me ne aveva parlato, senza però crederle insormontabili, ed insinuando essergli noto mezzo di vincerle. Segnalo frattanto a V. E. che egli ha ieri pubblicato nella Novo'ie Vremia un articolo firmato, già da me spedito a V. E., nel quale ripete molte insolenze a nostro riguardo, e predice insuccesso Nerazzini, ammette pure indirettamente che le armi catturate sul vapore olandese erano per Menelik.

(l) Telegramma del Visconti Venosta al Maffei in data 6 novembre, relativo all'arrivo del Nerazzini ad Addis Abeba e all'inizio dei negoziati con Menelik, non pubblicato.

276

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI CA V V, fase. 68 Z/10)

T. Roma, 12 novembre 1896, ore 12. Ho ricevuto le importanti sue lettere particolari e La ringrazio assai. Mi riservo di risponderle. Intanto stimo utile confermarle, circa il trattato di alleanza, che V. E. è esattamente informata. Non essendo stato denunciato nello scorso maggio, esso entra in pieno diritto, col maggio venturo, nel secondo pe

riodo sessennale di sua durata, ed è quindi assolutamente esclusa ogni ipotesi di sua cessazione o revisione a breve scadenza.

277.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2557. Pietroburgo, 15 novembre 1896, ore 11 (per. ore 12). Il signor Sciskine mi riferisce in questo momento che un telegramma spedito da Menelick allo Czar da Gibuti in data di avantieri annunzia che il trattato

di pace con l'Italia è stato firmato il 26 ottobre. Prego V. E. di farmi conoscere se questa notizia le risulti pure d'altra parte.

278

IL COMANDANTE DELLA CANNONIERA «PROVANA », COLTELLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2558. Gibuti, 15 novembre 1896, ore 14,15 (per. ore 18,25). «Adis Abeba 26 ottobre. Sottoscrissi oggi trattato di pace e convenzione liberazione prigionieri. Cerimonia solenne, saluto ventun colpo cannone. Trattato di pace comincia con formola generale e desiderio ristabilire antica amicizia e seguono articoli. l) Cessazione stato di guerra; vi sarà pace, amicizia per

petua etc. etc. 2) Abolizione trattato di Uccialli e annessi. 3) Riconoscimento indipendenza assoluta Etiopia. 4) Non essendo parti contraenti d'accordo per delimitazione definitiva frontiera e desiderose non interrompere per questa divergenza trattative pace, resta convenuto dentro un anno data trattato di delegare delegati speciali due governi fissare frontiera amichevole accordo. Intanto sarà rispettato statu quo ante e confine provvisorio Mareb-Belesa-Muna. 5) Fino a definitiva delimitazione frontiera governo italiano impegna non cedere altra potenza territorio e se spontaneamente volesse abbandonare qualche porzione territorio rientrerebbe dominazione etiopica. 6) Per favorire rapporti commerciali, industria potrà essere concluso ulteriore accordo. 7) Presente trattato sarà comunicato dalle parti contraenti alle Potenze. 8) Trattato ratificato entro mese dalla data.

Per convenzione stabilito: l) Per conseguenza pace nostri prigionieri dichiarati liberi. Menelik proprie spese riunirà tutti a Harar per farli partire Zeila appena ricevuta ratifica telegrafica trattato; 2) Permesso Croce Rossa italiana mandare sezione fino a Gildezza; 3) Plenipotenziario italiano avendo spontaneamente riconosciuto forti spese sostenute governo etiopico per mantenimento, viaggio, concentrazione prigionieri, conviene dover rimborsare governo etiopico. Imperatore dichiara che non stabilisce somma, rimettendosi totalmente alla equità governo italiano.

Impossibile ottenere soluzione migliore e più dignitosa di questa; ho vinto difficoltà che credevo insormontabili. Con rapporto e a voce farò sapere come fosse molto inopportuna clausola Benadir, che sollevava altre questioni frontiera.

Prego V. E. aspettare me per decidere somma rimborsanda, dovendo rimanere cosa segretissima, avendo lo stesso Menelik compreso che non deve figurare mai sopra nessun documento. Dallo stabilire quella somma dipenderanno facilitazioni nel definire frontiera. Fino a mio arrivo, prego V. E. ordinare assolutamente non siano cominciate fortificazioni. Perfettamente escluso altro plenipotenziario perchè tutto finito oggi stesso per fare partire subito prigionieri, Menelick si contenta telegramma governo italiano approvante trattato a lui diretto, mandato a me per decifrare presenza Maconnen: Ratifiche regolari potranno venire per posta. Da questo telegramma di ratifica dipende immediata partenza dei prigionieri. Menelik vuole che io parta subito per conferire col Governo del Re di cose urgenti: permette che vengano con me quel numero di prigionieri che saranno pronti in Harar: spero condurre generale Albertoni. Prego telegrafarmi subito e mandare Harrar un ufficiale che delego per ricevere in consegna prigionieri, giacchè totale concentrazione prigionieri Harrar richiede circa due mesi. Dopo domani chiedo Imperàtrice grazia per Ingegnere Cappucci. Questa sera prigionieri esultanti; contegno europei qui residenti splendido. Ripeto che esclusa così nobilmente ogni idea di riscatto e indennità dobbiamo essere generosi nella somma da concedere Imperatore, tanto più che per ottenere un articolo che salva l'Italia da qualsiasi imbarazzo mi sono moralmente impegnato coll'Imperatore fargli avere presso a poco quella cifra che fu discussa verbalmente... pagabile entro due anni, non oltrepassando mai dieci milioni lire. Per tale somma che conserva sempre carattere largo rimborso spese effettive, non ho voluto rompere una dignitosa trattativa, lasciando l'Italia nella incertezza di guerra futura e abbandonando 1500 prigionieri a Scioa. Nerazzini ».

Aspetto Gibuti risposta al dispaccio telegrafico, dove preparato corriere veloce.

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IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI· VENOSTA

T. 2556. Rio de Janeiro, 15 novembre 1896, ore 17,25 (per. ore 18).

Per mantenere vieppiù carattere ed effetto della riparazione dovuta, ho fatto aumentare di un altro mezzo milione la somma: sono dunque quattro milioni che il Governo del Re riceverà. La firma dell'accordo è ritardata soltanto dalla necessità di combinare dicitura desiderata dal Governo federale con quella delle istruzioni di V. E. Ma credo che 25 corrente accordo sarà presentato al Congresso nazionale. Oltre l'accordo firmeremo anche una dichiarazione circa le commissioni miste e per estendere il mandato dei sovrarbitri pei casi contemplati dall'articolo 2. Questa dichiarazione non avrà bisogno di essere sottoposta al Congresso nazionale, spero di poter telegrafare 17 corrente il giorno della firma. Ho preso impegno con questo Ministro degli affari esteri serbare assoluto silenzio sino dopo la presentazione al Congresso nazionale. È opportuno per assicurare sua approvazione e per stessa ragione oso raccomandare a V. E. che il Governo di S. M. aspettando di fare le sue spiegazioni e dichiarazioni in Parlamento, abbia adesso, tra la firma dell'accordo e la votazione del Congresso nazionale, grande circospezione nel predisporre costà apprezzamenti; nè si entri nei particolari, nè sia adoperata qualsiasi frase che potrebbe urtare qui amor proprio nazionale; ma sia dichiarata soluzione essere ugualmente decorosa per ambedue; infine, per la stessa ragione, prego telegrafarmi immediatamente autorizzazione di rimandare «Piemonte» in Italia subito dopo la firma. Questa partenza è necessaria ed avrà grande effetto favorevole sul Congresso nazionale. È poi tempo che il « Piemonte » parta senza ritardo, a cagione del pericolo di febbre gialla. Il Vice Presidente è vivamente desideroso di tornare con noi nei rapporti più cordiali.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2576. Berlino, 16 novembre 1896, ore 23,55 (per. ore 0,30 del 17).

Telegrafo ha già trasmesso dichiarazioni Governo imperiale seduta odierna Reichstag. Mi limiterò quindi inviare per posta traduzione letterale dichiarazione Hohenlohe e discorso barone Marschall.

Per riguardo personalità Bismark non furono da Governo imperiale e da partiti moderati pronunziate parole che potessero offendere Bismark, e nemmeno toccato sua biasimevole rivelazione segreto di Stato. Non mancò però attacco personale Bismark da parte del partito progressista, ma... interpellanza lascia tempo che trova, non essendo, come di consueto, presentata mozione. Se, come da noi, si fosse venuto ad una votazione, Governo imperiale avrebbe avuto per sè grande maggioranza. Rivelazioni giornali di Amburgo sarebbero state biasimate, e la non rinnovazione trattato neutralità russo-tedesco sarebbe stata lodata. Bismark trovò infatti difensori soltanto nel partito conservatore. Trascrivo parole con cui barone Marschall delinea principii immutabili politica germanica: tener fermo senza restrizioni alle alleanze con l'Italia e Austria Ungheria; coltivare relazioni amicizia con la Russia; mantenere buone relazioni colle altre potenze, rispettando i loro diritti nella misura del rispetto che esse dimostrano per i nostri, pronti sempre a mettere potenza Germania nella bilancia della pace.

281

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL COMANDANTE DELLA CANNONIERA « PROVANA », COLTELLETTI

T. 2001. Roma, 17 novembre 1896, ore 1,15. Prego mandare immediatamente con corriere veloce a Nerazzini il seguente telegramma. «Abbiamo ricevuto i suoi telegrammi relativi alla conclusione della pace. Ne porgiamo a Lei ampia lode e piena approvazione. Abbiamo tosto telegrafato a Baldissera acciocchè avverta Generale Valles non occorrere più sua missione e mandi subito ad Harrar un ufficiale incaricato di ricevere i prigionieri. Sarà tosto avvertita Croce Rossa può mandare sezione a Gildessa. Attenderemo suo arrivo per fissare somma da rimborsarsi per spesa prigionieri. Prego intanto presentire se, come ci sembra, debba computarsi prezzo carico della nave olandese che potremo rilasciare a Menelich; firmati Rudinì, Visconti Venosta, Pelloux ». Prego di mandare a Nerazzini collo stesso corriere anche questo secondo telegramma; avvertendolo che questo telegramma è quello che egli deve decifrare in presenza di Makonnen, come egli ci telegrafò essere stato stabilito. « Ella è autorizzata a trasmettere a S. M. l'Imperatore Menelich seguente telegramma. « Il governo approva ed accetta il trattato e la convenzione firmata dal maggiore Nerazzini come plenipotenziario di S. M. il Re. Firmati Rudinì, Visconti Venosta, Pelloux ». Ella vorrà in pari tempo trasmettere a S. M. l'Imperatore il seguente telegramma che S. M. il Re gli indirizza in risposta al suo: «A S. M. l'Imperatore d'Etiopia. Ringrazio V. M. del suo telegramma. Accetto e ratifico

H trattato e la convocazione stipulati dal mio plenipotenziario 1naggiore Nerazzin1 secondo le istruzioni del mio Governo. Sono grato del pensiero gentile col quale

V. M. ha voluto scegliere una data cara al mio cume per la restituzione dei prigionieri. Ho fiducia che la pace sarà duratura e auguro alla M. V. salute e prosperità. Firmato Umberto. Controfirmati Rudinl, Visconti Venosta, Pelloux >>.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

D. 43010/1076. Roma, 17 novembre 1896.

Nei pregiati rapporti del 28 ottobre e 4 e 8 novembre, nn. 970, 977 e 988 (1), dei quali La ringrazio, V. E. mi segnala le alternative che ha attraversato, in

questi giorni, il progetto di espansione francese nella regione sahariana, i motivi che possono aver determinato le incertezze che si sono manifestate nelle decisioni del governo della repubblica, e la impossibilità di fare sicure previsione sull'azione che dal governo medesimo sarà spiegata in appresso.

Da quanto l'E. v. riferisce, parmi che risulti in modo non dubbio trovarsi il governo francese assai perplesso fra le difficoltà che presenta l'esecuzione di una spedizione militare verso le oasi di Gurara e di Tuat, e il vantaggio problematico che può derivargliene, a impresa compiuta.

Fin tanto che si tratti di disegni che mirino solo a Gurara o a Tuat, a quella parte, cioè, dell'hinterland algerino che si stende verso il Marocco, noi possiamo tenerci in atteggiamento di spettatori, nessun interesse immediato dell'Italia trovandosi implicato da quella parte. Non così sarebbe se i progetti si volgessero verso Ghadamés e all'hinterland tripolino, potendone derivare una nuova perturbazione per gli interessi che si connettono con le condizioni politiche della costa nord-africana del Mediterraneo.

(l) Non pubblicati.

283

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 647/389. Pietroburgo, 18 novembre 1896.

La sera del 10 corrente, avevo cura di telegrafare all'E. V. il repentino arrivo a Pietroburgo dell'ambasciatore di Francia. Questo ritorno impreveduto da tutti, poichè, anche due giorni prima, l'incaricato d'affari stesso della repubblica non ne sapeva nulla, ha prodotto, come è facile supporre, molta sensazione. E che il conte di Montebello qui venisse per uno scopo ben definito, oltre a non essere da lui medesimo negato, ricevette conferma dall'udienza straordinaria tosto concessagli dall'imperatore per la consegna di una lettera autografa del signor Faure. Di più, la sua presenza a Pietroburgo, al momento in cui pure giungevavi il signor Nelidow, appositamente per dare spiegazioni verbali sulle gravissime condizioni dell'Oriente, rende chiaro che accordi importanti verranno presi, e che si traccieranno le grandi linee della condotta da seguirsi in comune, e da porgersi all'approvazione delle altre potenze.

Inoltre, una delle ragioni speciali della venuta a Pietroburgo del signor Nelidow, deve ricercarsi nel conflitto d'opinioni sorto per la questione della riforma che si vorrebbe introdurre nella commissione del debito ottomano. Il signor Hanotaux ed il signor Chichkine contemplerebbero, com'è noto, l'aggiunta di un delegato russo nel seno della commissione predetta; il signor Nelidow, invece, sostenuto strenuamente dal potentissimo ministro delle finanze, signor Witte, vi si oppone ad oltranza.

Nel suo viaggio a Parigi, il gerente del ministero imperiale degli esteri, subì evidentemente l'influenza del suo collega del Quai d'Orsay, il quale, per ragioni ch'io non conosco, sebbene taluni assicurino che vi sieno motivi non belli in giuoco, vorrebbe la trasformazione della commissione in discorso, che a prima giunta può essere interpretata come favorevole alla Russia. Ma, per ben chiarire agli occhi di V. E. l'ostilità del precitato influentissimo membro del gabinetto di Pietroburgo non posso che riferirmi ad un articolo di molto peso comparso nel giornale del principe Utomsky, la Petersburki Wiedomosti, dovuto -mi consta in via privata -all'inspirazione del signor Witte.

Con una franchezza che tiene del cinismo -e tale precisamente è la caratteristica di quell'uomo di Stato -vien proclamato che il colpo agognato dai finanzieri israeliti, che prestarono danaro alla Turchia, è di sostituire all'impero turco, oggi che è vicino il suo sfacelo, un non so che, capace di tutelare i loro interessi.

Questo, l'unico vantaggio che risulterebbe dalla nomina di un delegato russo presso la citata commissione; per poterle dare cosi l'impronta, che tuttavia non possiede di veramente internazionale. Mentrechè, al contrario, la Russia, la quale dopo l'ultima guerra, ha lavorato indefessamente ad impedire che le potenze s'immischiassero negli affari dell'impero ottomano, colla sua partecipazione a detto consiglio di controllo, perderebbe il frutto di tutti i conati messi in opera, e si vedrebbe d'innanzi l'Europa, non la Turchia, il giorno del redde rationem.

« È egli possibile -esclama il signor Witte, per mezzo della Petersburki Wiedomosti --che duecento anni di guerra continua, di sforzi inauditi, di vittime senza numero, sagrificate dalla Russia per la signoria assoluta sul Mar Nero ed il libero sbocco del Mediterraneo, abbiano per risultato la completa dipendenza delle possessioni moscovite del Mar Nero, l'uscita del quale per noi, e l'entrata degli altri, sarà soggetta al beneplacito di banchieri ebrei? »

Quanto precede dipinge senza veli la situazione.

Riuscirà il conte di Montebello a trionfare della coalizione Witte-Nelidow? È

da dubitarne. Intanto sarà questa la pdma nube nella luna di miele franco-russa.

284

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2609. Berlino, 19 novembre 1896, ore 5,29 (per. ore 19,30). Governo Imperiale ha fatto pubblicare stamane che jeri venne firmata convenzione Francia, la quale, conformemente ai trattati conchiusi da Francia con Austria ed Italia, assicura alle importazioni tedesche Tunisi vantaggi nazione più favorita, eccettuata lana Francia. Ritardo firma provenne da desiderio Ger

mania trovare redazione che potesse dispensare da presentare Convenzione al Reichstag: il che non fu possibile.

285

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, BALDISSERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2603. Massaua, 19 novembre 1896, ore 10 (per. ore 12,45). Dal giorno 9 al giorno 11 corrente nave da guerra russa Zaporo si trattenne fra Ras Dumeirah e punto Raheità, sbarcando grosso drappello marinari,

che pare abbia eseguito misurazioni. Avvistata nave da guerra Capo Raheita alzò bandiera italiana. Residente Assab trovasi ora Raheita. Riferirò.

14 -Documenti diplomatici -Serie III -Vol. I

286

IL MINISTRO A RIO DE JANEIRO, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2621. Rio de Janeiro, 20 novembre 1896, ore 7,17.

Dopo collazionati i testi e firmati, fu accordo trasmesso jeri stesso al Congresso Nazionale con Messaggio Presidenziale (1). Se sarà necessario, sessione legislativa sarà prorogata sino al 15 dicembre. Preambolo dell'accordo dice: « Governo italiano e del Brasile riconoscendo difficoltà d'intendersi sul merito di alcuni dei reclami che, sembrando all'una delle parti giusti ed all'altra ingiusti, furono oggetto di discussione, convengono che siano liquidati mediante un solo atto che non importa l'abbandono per essi dei principii sostenuti». 1° articolo stipula «sarà versata somma di quattro mila contos di reis non appena Congresso Nazionale approv;i accordo»; 2° articolo stipula «Governo brasiliano sarà liberato da ogni intervento del Governo italiano pei reclami presentati sino a data del presente accordo dalla Legazione italiana al Ministero federale degli affari esteri, ed ai quali non fu dato, pei quali non fu stipulata un'altra soluzione »; 3° articolo stipula « Governo italiano, rimanendo solo esclusivo giudice validità, avrà piena e limitata facoltà di distribuire somma per proprio conto ed a suo beneplacito, senza che Governo brasiliano entri nell'esame del modo distribuzione

o dei reclami che saranno ammessi o non ammessi ad indennità »; 4° articolo stipula «in caso qualche reclamante rifiutasse indennità attribuitagli dal Governo italiano, la somma rifiutata sarà restituita Tesoro della Repubblica ed il reclamante conserverà il suo diritto di ricorrere ai tribunali brasiliani competenti senza ulteriore intervento del Governo italiano».

Ultimo articolo concerne approvazione data dal Governo del Re ed approvazione Congresso Nazionale da chiedersi entro attuale sessione. Chiamo attenzione dell' E. V. sull'articolo secondo che non solo annulla articolo quinto del Protocollo del Magliano, mantenendo nostro diritto d'intervento pci reclami avvenire, ma lo mantiene anche per quelli non ancora presentati al Governo federale per fatti avvenuti. La dichiarazione stipula nell'articolo 1° che rimane in vigore soluzione pattuita per le requisizioni dal protocollo 12 febbraio, e che questi reclami non vanno inclusi nel numero di quelli pei quali sarà versata somma nell'articolo 2o; che i casi a cui si riferisce articolo 2o del Protocollo saranno deferiti al giudizio arbitrale del Console di Germania, già dal Protocollo is1ituito arbitro, e che c in tutti i casi per i quali quest'arbitro giudicherà che i danni furono ln un qualunque modo cagionati dalle forze del Governo, le indeunità saranno fissate da questo stesso arbitro, ed alle loro sentenze sarà data piena completa esecuzione dal Governo federale, essendo bene inteso che anche queste indennità non sono incluse nella somma fissata dall'accordo».

Chiamo l'attenzione dell'E. V. su questo importante ampliamento che comprende senza eccezione le indennità per tutti i danni agli averi e non più sole requisizioni. Nell'articolo 3° essendo riparata grave omissione nel protocollo Ma

gliano di ogni diritto di riconduzione, per cui commissione Rio Grande do Sul era di già invalidata, è stipulata proroga di sei mesi con facoltà pei Commissari e gli arbitri di prorogare ancora e sono prevedute altre cause di proroga, come in tutti i patti analoghi. Nell'articolo 4° è confermata intesa per la successione. Jeri stesso abbiamo scambiate note rincrescimento di già conosciute da V. E. e per Consolato di San Paolo: quest'ultima è testualmente conforme al mio telegramma del 4 corrente (l) con l'aggiunta voluta da V. E. col Suo telegramma in data del 6 (2); ma per fare accettare questa redazione, ho dovuto prendere impegno verbale che Chicco partirà immediatamente non appena sarà avvenuta approvazione Congresso Nazionale, ciò che, d'altronde, è conforme alla dichiarazione nella mia nota stessa «arrivo che è imminente». Raccomando dunque vivamente non ammettere indugio alcuno nella partenza di Chicco non appena avrò telegrafato approvazione Congresso.

(l) L'accordo fu approvato dalla Camera dei deputati brasiliana il 28 novembre 1896, e dal Senato brasiliano il 3 dicembre 1896.

287

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2617. Pietroburgo, 20 novembre 1896, ore 18.

Risposta definitiva al dispaccio Salisbury dietro ripetute istanze di questò Ambasciatore d'Inghilterra, fu solo da lui ricevuta avanti jeri, cioè posteriormente telegramma Generale Ferrero. Czar, cui proposta inglese venne sottomessa, si è dichiarato contrario qualunque misura di coercizione in Turchia, dicendo perfino che, come monarca autocrate, non avrebbe giammai potuto ammettere di applicare quel principio contro altro Sovrano ugualmente autocrate.

288

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2655. Pietroburgo, 25 novembre 1896, ore 19,30.

Il 20 corrente, dietro quanto mi disse mio Collega britannico, telegrafai a

V. E. che lo Czar pronunciavasi contrario a qualunque misura di coercizione in Turchia. Malgrado questa sconfortante dichiarazione, è avvenuto un cambiamento. Jeri Chichskine ha telegrafato al barone Staal che occorse un equivoco, che la Russia non declina sostanza delle proposte di Salisbury; che il Gabinetto di Pietroburgo desidera vedere continuazione accordo Ambasciatori a Costantinopoli, per studiare provvedimenti più acconci a portare rimedio ai mali che affliggono l'Oriente, e che non ostante ripugnanza Imperatore, per i mezzi coercitivi, se l' Europa si palesasse favorevole ai medesimi, egli non ricuserebbe unirsi alle

altre Potenze allo scopo di intendersi con loro circa il da farsi. Nel parteciparmi quanto precede, Chichskine mi ha riferito che le cose di Candia sono di nuovo allarmanti.

(l) -Pubblicato al n. 271. (2) -Non pubblicato.
289

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2664. Berlino, 26 novembre 1896, ore 17 (per. ore 18).

Sciskine lesse pure a Radolin telegramma diretto a barone Sthal che modifica completamente prima risposta alla circolare Salisbury. Si attribuisce questo cambiamento all'influenza solo Witte (?) ed a mancanza di una ferma direzione politica russa fino a che non sia nominato un vero Ministro degli Affari Esteri. Ora si vedrà che cosa propone Salisbury.

290

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2669. Parigi, 27 novembre 1896, ore 12,30 (per. ore 14,5).

Ministro degli Affari Esteri nulla sa di quanto fu riferito al Governatore Generale della Colonia Eritrea circa nave russa. Egli mi disse che nessuna cessione di territorio è stata fatta dalla Francia alla Russia. Ha dato ordine al Ministero delle Colonie di assumere telegrafiche informazioni.

291

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2682. Pietroburgo, 29 novembre 1896, ore 13,50 (per. ore 15,50).

Chichskine che non potè ricevermi nei due giorni antecedenti venne da me stamane e gli esposi l'incidente della nave a vapore russa sulle coste di Tajura. Egli mi disse che la stessa notizia comparì in giornale estero e di Pietroburgo, i quali davano anche il nome della nave a vapore in parola; che domandò allora spiegazioni al Ministero della Marina, ma questo non ne sapeva nulla ed aggiunse anzi che il bastimento di cui si tratta sarebbe ora nel Pacifico. Sua opinione era pertanto che tutto il racconto fosse una invenzione.

Io l'ho pregato cionondimeno di assumere, se è possibile, il nome del basti· mento che adesso gli sfuggiva.

292

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 4023/1052. Parigi, 29 novembre 1896. In parecchi dispacci, V. E. anche recentemente, mi avvertiva che l'attenzioné del R. governo si mantiene particolarmente rivolta alle imprese che potrebbersi tentare dalla Francia verso la parte del Sudan che forma l'hinterland della Tripolitania. Nella recente discussione generale del bilancio degli affari esteri, furono poste da alcuni oratori, ai quali poco garba l'atteggiamento rimesso attuale della politica francese Jn quella regione, questioni precise circa le intenzioni del governo, per rintuzzare l'audacia degli scorridori, ai quali si attribuiscono gli eccidli del marchese di Morés e dei miltari che recentemente si lasciarono sorprendere, a non molta distanza da un punto fortificato, nel sud della provincia di Costantina. Il ministro degli affari esteri, valendosi dell'usanza introdottasi qui negli ultimi anni di non dare risposta dalla tribuna, in cose attinenti alle relazioni estere, se non quando, con preventivo annuncio, si è posto in grado l'oratore del governo di portare seco delle note scritte, non si stimò obbligato a palesare gl'intendimenti suoi a tale riguardo. Nel corso del dibattimento vi fu chi indicò Ghadames, come il punto dal quale le incursioni dei nomadi prendono le mosse, e chiese che in quella oasi il governo della repubblica istituisca una sua agenzia, o stabilisca un regolare consolato, per vegliare sovra il modo col quale gli abitanti della medesima rispettano le leggi del buon vicinato. Anche sovra questo punto il ministro si mantenne muto. Si avrebbe però torto di considerare tale atteggiamento del governo come indizio di noncuranza, da sua parte, degli interessi segnalatigli dagli oratori della opposizione. Ritengo che il silenzio, in questa circostanza, voglia piuttosto significare desiderio di dare campo all'opinione del paese di formarsi intorno alla questione, prima di prendere impegni circa la linea di condotta che gioverà seguire. Il chiedere a Costantinopoli che nelle oasi della Tripolitania l'azionç del governo ottomano si spieghi con efficacia, per tenere in freno gli scorridori del deserto, potrebbe quasi, nelle circostanze presenti dell'impero turco, sembrare cosa completamente al disopra dei mezzi a disposizione della Sublime Porta. Se questa infatti non riesce a frenare gli eccessi ed i disordini nelle altre sue provincie, se la sicurezza nella stessa capitale è tanto gravemente compromessa, come potrebbe chiedersi al governo imperiale di esercitare, all'estremo limite dei suoi possessi africani, una attiva vigilanza preventiva ed una severa repressione per i misfatti di tribù indomite e vaganti? Eppure tutto il pericolo chE-minaccia la Tripolitania proviene dalle circostanze che qui accenno, poichè mi pare chiaro che quando, col succedersi di fatti clamorosi d'incursioni cruente, l'opinione pubblica francese sarà stata condotta a giudicare necéssario, per il prestigio ed il decoro della Francia, di non tollerare più oltre l'impunità di quelle tribù barbare ed indomite, verrà il giorno in cui questi, od altri ministri si ve

dranno forzata la mano a provvedere, dove sarebbe illusorio lo aspettare che l'azione della Turchia si spieghi con efficacia.

Suppongo che il R. ministro possieda la carta del Sahara di P. Vuillot alla scala di 1/4.000.000. In essa forse, più che nelle altre, si vede chiaramente quale appoggio le pretensioni territoriali della Francia abbiano ricevuto da quel colossale errore commesso del Lord Salisbury, quando riconobbe che la zona sudanese d'influenza della Francia dovea venire in contatto con le rive del lago Tchad. L'hinterland della Tunisia non poteva dare alla Francia alcun diritto sovra i territori che toccano quel lago. Ghadames, il punto estremo al quale il Vuillot segna la demarcazione del confine fra i possedimenti ed il protettorato francese e la Tripolitania, è posto da lui in vicinanza del 7° grado, mentre il Tchad è situato circa al 12°. Ancorchè un accordo seguito fra la Francia e l'Inghilterra, contro il quale la Turchia ha opposto delle riserve, non impegni altri governi che quelli che lo sottoscrissero, ciò nondimeno, sia per la preponderanza dagli interessi che i due contraenti possiedono in quelle regioni, sia per la passiva acquiescenza che la Porta ottomana suol fare seguire alle sue proteste e riserve, stimo che dall'accordo stesso siano stati assai pregiudicati per l'avvenire i termini della questione.

293. L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIET~LI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/2.13)

L. P. Parigi, 29 novembre 1896.

Sebbene io non mi accorga di alcun mutamento nelle buone disposizioni del signor Hanotaux per favorire il ristabilimento delle normali relazioni di amicizia e della reciproca fiducia fra l'Italia e la Francia, tuttavia tenendo l'occhio aperto sovra i sintomi anche di secondaria importanza che rivelano le impressioni che l'opinione pubblica subisce, mi parve notare, negli ultimi tempi, una sosta in quella corrente manifestamente favorevole al paese nostro ed allo attuale suo Governo che si era formata qui. Di questo fenomeno le cagioni possono e~sere state due. Primieramente è cosa naturale che l'aspettazione di ciò che sarà per succedere nel Parlamento nostro, in occasione della discusc:ione per le cose tunisine e per gli affari d'Africa, si sia fatta assai più viva allo avvicinarsi del momento in cui i dibattiti si apriranno. Qui si crede generalmente che una larga maggioranza approverà l'opera del Ministero. Ma si attaccherà non poca i'l<portanza anche al contegno della opposizione perché trattandosi di Governo parlamentare, la previsione del ritorno ~i quest'ultima alla direzione degli affari non può mai essere negletta. Sarebbe desiderabile da un punto di vista più alto che non sia quello delle lotte dei partiti interni, che non si ripetessero nelle prossime discussioni quegli eccessi di linguaggio che si produssero nei dibattimenti della primavera scorsa. Ma vi è una seconda ragione che pare a me abbia influito a fermare la corrente delle simpatie e la dirò a lei con tutta schiettezza. Trascinate dall'esempio dei giornali che non hanno responsabilità, provocate anzi da quest'ultimi, talune nostre gazzette hanno solennemente annunziato che, appena sarà riunito il Parlamento, il Ministero italiano rafforzerà con le sue dichiarazioni il vincolo che lega le potenze della triplice alleanza. Oca non vi è dubbio che l'attesa di queste dichiarazioni è di tal natura da raffreè.rtare i sentimenti fra i due paesi che appena incominciano a ravvicinarsi. A me pare che a nessuno sia

lecito di chiederci ad ogni piè sospinto di rinnovare la dichiarazione di fedeltà ai patti che abbiamo stipulato. Le dirò anzi che le ripetizioni troppo frequenti di tali professioni di fede, a parer mio, sembrano quasi indicare che noi stessi dubitiamo nella nostra costanza di propositi. Qui la gente sensata non si illude e sa benissimo che noi siamo vincolati per parecchi anni ancora. Ma anche questa gente non trova agevolata la via che vorrebbe percorrere per riavvicinarsi a noi. se per fatto nostro il sentimento popolare francese viene periodicamente sovr·eccitato dalla rimembranza che l'Italia guarentisce alla Germania il possesso dell' Alsazia e della Lorena. Nessuno ci chiede di abbandonare la attuale politica fin d'ora, nè di pregiudicare, a distanza di parecchi anni, le risoluzioni dell'avvenire. Ma io stimo che fra lo astenerci da qualunque manifestazione che !asci dubbio sovra la fedeltà nostra verso gli alleati ed il rinnovare pubblicamente, senza veruna necessità nostra, la dichiarazione di tale fedeltà, corra un gran tratto, sicchè non vi sia motivo di meravigliarsi se anche il semplice preannunzio di siffatta prossima dichiarazione produce l'effetto che è mio debito di segnalare.

La mia corrispondenza ufficiale che il corriere Le porta, esaurisce quasi ogni soggetto che importava trattare in questi giorni. Resterebbe soltanto da segnalare qualche sintomo del desiderio di ravvicinamento con l'Inghilterra, contro il quale hanno raddoppiato gli sforzi degli oratori e dei giornali dell'estrema sinistra e di una parte della frazione radicale. Checchè si dica e si scriva in contrario,' io stimo troppo cauto il signor Hanotaux per fare cosa che possa spingere il Gabinetto di Londra ad atteggiarsi in avversario della alleanza russo-francese. Il suo proposito altro non può essere che di assecondare quelle tendenze naturali della nazione inglese a tenersi svincolata da tutti ed a lasciare che la palesatasi rivalità commerciale dell'Inghilterra con la Germania produca i suoi logici effetti. Un'intesa anglo-russa non é neppure desiderata qui dove si capisce che primo suo effetto sarebbe di disinteressare la Russla dalla Francia. Mi pare che se nessuna circostanza verrà a costringere il signor Hanotaux a mutare di atteggiamento, nulla vi sia, nella politica che egli tende a far prevalere, che ci possa presentemente inquietare. Importerebbe dunque assai che nelle discussioni del Parlamento dominasse da tutte le parti una nota moderata che tenesse conto di una situazione nella quale non vi è alcun motivo per noi di prendere marcatamente una posizione determinata. E se mi fosse lecito il dare suggerimento a chi di certo non ne ha bisogno, aggiungerei che sarebbe arte fina il far comparire individualità isolate coloro che volessero ad ogni costo provocare il Governo a dichiaraziòni intempestive. Non è nelle Camere nostre facile quanto qui, il sottrarsi all'obbligo di rispondere a chi interpella; ma il buon senso della maggioranza deve pur esercitarsi in qualche circostanza e non ve ne può essere una migliore di quella che si presenta quando si tratta di appoggiare il silenzio dei Ministri.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

T. 2110. Roma, 30 novembre 1896, ore 21 ,35.

Mi compiaccio che lord Salisbury sia soddisfatto della risposta russa e prepari ora una proposta complementare per rendere pratico l'accordo delle potenze.

In questo accordo sta la migliore guarentigia di riuscita, mentre, se venisse meno, la situazione in Oriente si farebbe precaria e piena di pericoli. Questo per norma del suo linguaggio.

295

IL MINISTRO AD ATENE, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1148/428. Atene, 1 dicembre 1896.

Ringrazio l'E. V. dei dispacci che si compiacque indirizzarmi in data 22, 24 e 26 novembre scorso, nn. 43603/239, 43949/246 e 44289/252, circa la situazione delle cose in Macedonia (1).

Le informazioni che ebbi l'onore di trasmettere all'E. V., col mio rapporto

n. 1070/396 del 18 di detto mese (2), facevano bensì rilevare che nessun preparativo eseguivasi, in questo momento, in Tessaglia, per formare nuove bande armate, allo scopo di farle penetrare durante la stagione invernale in Macedonia, ma da esse risultava, ad un tempo, che i comitati macedoni qui esistenti, quantunque sembrassero decisi dall'astenersi, per· ora, da ogni azione, non cessavano però di prepararsi, profittando della presente stagione, a riprendere la lotta all'approssimarsi della primavera. E a tal proposito io riferii all'E. V., che era opinione generale, in questi circoli diplomatici, che il movimento insurrezionale macedone, che era da considerarsi ora come sospeso, sarebbe nuovamente per scoppiare nella prossima primavera. Queste informazioni mi sembrano concordate con quelle fornitele, posteriormente, dai R. consoli a Monastir ed a Salonicco, di cui è parola nel dispaccio ministeriale del 26 novembre scorso.

Nel colloquio ch'ebbi ieri con questo ministro degli affari esteri, il discorso essendo caduto sulla situazione di cose in Macedonia, S. E. mi disse che non ignorava l'agitazione latente che sussisteva in quella regione, ma che essa non era originata dai pretesi maneggi dei comitati greco-macedoni, bensì dal malcontento sussistente in quelle popolazioni contro il governo ottomano. Il ministro negò poscia che si facessero in questo momento preparativi in Tessaglia per la formazione di bande armate, a fine di farle penetrare in Macedonia nella prossima primavera. Ciò non gli risultava in via ufficiale. Ma aggiunse che il governo continuava ad esercitare la più attiva sorveglianza su quei comitati, come sulla nuova società nazionale, e seguiva con occhio vigile quanto da essi si macchinasse.

Osservai al ministro che l'azione di quei comitati era notoriamente rivolta a promuovere l'insurrezione in uno Stato limitrofo, con cui la Grecia intratteneva rapporti amichevoli, onde incombeva al governo l'obbligo di opporsi a tali maneggi, per impedire che, a mezzo di essi, si venisse meno ai doveri internazionali. Il signor Skousès mi ripeté che non risultavagli, ufficialmente, che quei comitati agissero nel senso da me indicato. Il governo però, conscio della propria responsabilità, non cessava di agire in via indiretta, presso i varii

(2J Non pubblicato.

membri dei cQmitati medesimi, per calmare gli animi e convincerli che non conveniva promuovere un movimento in Macedonia, che poteva essere più dannoso che giovevole agli interessi dell'ellenismo. Ciò era quanto, allo stato attuale di cose ed in presenza della libertà di riunione, di associazione e di stampa qui e.>istente, poteva fare, ed avrebbe continuato a fare in seguito. Però esso non avrebbe mancato di prendere i necessari provvedimenti, qualora i comitati suddetti, non tenendo conto dei suoi consigli, trascendessero apertamente ad azioni che fossero in opposizione colle leggi vigenti e coi doveri internazionali dello Stato.

(l) Non pubblicati.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE GENERALE A ZANZIBAR, CECCHI (l)

D. 45058/93. Roma, 2 dicembre 1896.

Mi è giunto il rapporto documentato, n. 179/69, che la S. V. mi ha diretto da Zanzibar il 6 di questo mese (2), ed ho preso conoscenza, con tutta l'attenzione richiesta dal grave argomento, di quanto Ella mi riferisce sui procedimenti seguiti per l'insediamento della nuova amministrazione e sui mezzi adottati per porre in istato di difesa, contro la minaccia d'invasioni amhara, non solo le nostre stazioni della costa, ma altresì quella di Lugh, più di tutte esposta al pericolo.

Per ciò che concerne le disposizioni d'ordine amministrativo, io non posso che approvarle interamente, e sono anzi lieto di esprimerle il compiacimento da me provato nel vedere com'Ella, nonostante le gravi preoccupazioni del momento, nulla abbia trascurato per dare ai signori Dulio e Quirighetti le necessarie direttive alla loro azione e per porli in buona vista ed in favorevole posizione di fronte agli indigeni.

Circa la difesa della colonia, rilevo dal suo rapporto come i mezzi da Lei apprestati, compresa la spedizione Mamini in soccorso di Lugh, siano stati concordati coi comandanti delle nostre navi da guerra in coteste acque, e riconosco che, date le condizioni di tempo e di luogo, nulla è stato negletto di quanto prudenza suggeriva. Giova ora confidare che tutte le disposizioni prese avranno rimosso ogni pericolo; intanto io Le rinnovo la preghiera di continuare a tenermi minutamente informato degli avvenimenti del Benadir, dandomi notizia per telegrafo di quelli di maggiore importanza.

297

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2718. Pietroburgo, 3 dicembre 1896, ore 19 (per. ore 19,40)._

Ieri ho avuto una conversazione con questo Ministro della Marina circa presenza nota cannoniera russa sopra punto nostro protettorato in Africa. Precitato

signor Ministro smentì recisamente ogni progetto occupazione, togliendo qualsiasi importanza ai fatti accennatimi. Disse che quella nave, come tante altre della marina russa, erano autorizzate ad investigare, per puri scopi di navigazione, le costiere conosciute poco. Segue rapporto.

(l) -Quando il Visconti Venosta spediva il presente dispaccio, non era ancora a conoscenza della uccisione del Cecchi, avvenuta il 26 novembre. (2) -Allude al rapporto n. 179/69 del 6 novembre (non del 6 dicembre), che non si è ritenuto necessario pubblicare.
298

IL MINISTRO A CETTIGNE, BIANCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. CONFIDENZIALISSIMA Cettigne, 8 dicembre 1896.

Riproduco quasi testualmente una conversazione avuta stamani col Principe.

S. A. ha esordito con dichiararmi che non dubitava punto delle benevole amichevoli disposizioni dell'Italia verso il Montenegro ma credeva necessario che il Governo del Re conoscesse quali ne fossero i bisogni e le legittime aspirazioni acciò nel primo Congresso delle Grandi Potenze che riteneva non lontano, due voci almeno sorgessero a difesa de' suoi interessi.

Continuò esponendo a grandi tratti le condizioni già ora difficili del Principato chiuso da tre parti dalle provincie dominate dall'Austria ed il cui unico sbocco sul mare è pure soggetto alla sorveglianza della Polizia Marittima Austriaca; e si diffuse su quelle impossibili che verrebbero fatte al Montenegro dall'avanzata dell'Austria al di là dei territori ora occupati, sia a Novi-Bazar che in Albania o verso Salonicco.

Basta gettare uno sguardo suila carta, mi diceva S. A. per convincersi che noi saremmo allora interamente bloccati, strozzati; il en serait fait dell'indipendenza di questo piccolo paese conservata con tanto sangue in tanti secoli di lotte gloriose. Piuttosto che rassegnarci a quest'eventuale stato di cose preferiamo dividere la sorte dei nostri fratelli della Bosnia e dell'Erzegovina; che l'Austria conquisti, occupi il Montenegro, ben s'intende dopo che tutti i suoi figli saranno caduti eroicamente. Ma l'Europa, continuava, non può volere quest'ecatombe; la parte dell'Austria nell'eredità del grande infermo le è stata già assegnata, sono due grandi e magnifiche provincie legate a noi da vincoli di razza, di religione, di lotte secolari assieme combattute; ebbene, ci rassegneremo, gemendo, all'amaro sacrificio che ci è imposto dal volere dell'Europa. È questa la massima dolorosissima concessione che noi possiamo fare alla pace; ma che l'Austria non avanzi di un passo al di là del territorio che occupa attualmente; non potremmo tollerarlo senza suicidarci e vi ci opporremmo con le armi alla mano e con il coraggio della disperazione.

Ciò che noi desideriamo invece, proseguiva S. A., si è che l' Italia, cui ci legano vincoli di antica rinnovata amicizia e di parentela, come è nostra vicina dalla parte del mare lo diventi ugualmente dalla parte di terra, sicuri come siamo che i nostri comuni interessi non si troveranno mai in conflitto.

Vi presenterò, conchiuse S. A., un progetto accuratamente studiato che vorrete sottoporre al vostro Governo; spero convincervi che l'interesse ben inteso dell' Italia non sta nell'agevolare l'inorientamento dell'Austria, come ebbe a dirmi il marchese di Rudinì, ma al contrario nell'impedire che tutta la sponda orientale

dell'Adriatico, dove sono ancor vive le tradizioni e la memoria della dominazione e della civiltà venete, cada in mano di una sola grande Potenza. Mi sono limitato ad ascoltare prendendo ad referendum quanto a S. A. è piaciuto confidarmi.

ALLEGATO.

II Montenegro occuperebbe quasi tutta l'Alta Albania e buona parte del Vilayet di Kossonov fino alla frontiera Bosnese, dalla foce dello Sckoumbl sull'Adriatico la linea di confine risalirebbe quel fiume fin presso al lago di Ohrida, di là volgendo al Nord passerebbe fra Prizzen e Uskiib riuscendo a Katchanich: da questo punto risalirebbe lungo la ferrovia fino a Mitrovitza, e di là lungo l' !bar e per le Montagne Jarantes, Silieva Planina, e Gladina Planina, raggiungerebbe la frontiera Bosniaca presso la località detta Diakovatch.

L'Italia avrebbe la bassa Albania eccetto una parte del Vilayet di Janina che sarebbe unito alla Grecia. Il Montenegro consentirebbe a che l'Austria si annettesse la Bosnia e l' Erzegovina. Resterebbe a stabilire le linea di confine interna dei possedimenti italiani che potrebbero arrivare fino all'Egeo.

299

IL MINISTRO A CETTIGNE, BIANCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. CONFIDENZIALE Cettigne, 9 dicembre 1896.

Questamane il Principe Nicolò mi ha invitato ad una seconda conferenza alla quale assisteva pure S. E. il Ministro degli Affari Esteri.

S. A. ha cominciato per dirmi ritenere che si stessero apprestando gli ultimi farmachi al moribondo; esser quindi prudente di preoccuparsi fin d'ora delle conseguenze di un prevedibile avvenimento.

Mi ha ripetuto quanto già mi aveva detto il giorno innanzi; cioè che era rimasto impressionato dalla dichiarazione del nostro Presidente del Consiglio sull'orientamento dell'Austria, ma che sperava che il marchese di Rudini si sarebbe ricreduto circa i veri interessi dell'Italia nella penisola Balcanica; che

l'avanzarsi dell'Austria al di qua delle provincie ora occupate equivarrebbe alla fine del Montenegro; che, piuttosto che patirlo, morirebbero tutti « les armes d la main »; che desiderava d'aver vicini gli Italiani anche dalla parte di terra e proponeva un eventuale partage, fra il Montenegro, la Serbia, la Bulgaria, l'Italia e la Grecia, di tutta quella parte della penisola Balcanica che va dalla Bojana sull'Adriatico al Golfo di Salonicco. « Il mio Ministro degli esteri, che è solo a parte di questi disegni, vi traccierà sulla carta la linea di demarcazione e vi dimostrerà la importanza e la serietà del progetto e le ragioni storiche, etnografiche e politiche sulle quali si fonda».

Per la parte che toccherebbe all'Italia ed al Montenegro S. A. si faceva forte dell'assenza della Russia, « j'en réponds ».

Mi ha fatto rilevare che fra la sponda italiana ed il golfo di Valona, magnifico e sicuro, non correvano più di 45 o 50 miglia, quali un buon piroscafo può percorrere in poche ore.

S. A. conchiuse col fare appello all'antica amiCIZia vieppiù stre"tta pei recenti vincoli fra le due case regnanti ed al nostro bene inteso interesse. È impossibile, soggiungeva, che l'Italia abbia dimenticato le splendide tradizioni della Serenissima, la quale ha sempre creduto necessario a mantenere la propria supremazia nell'Adriatico, di avere amici i popoli che ne abitavano la sponda orientale; ed oggi ancora è per l'Italia questione di capitale importanza lo estendere la propria influenza sulle ricche contrade che le stanno di fronte. Quale avvenimento si preparerebbe all'Italia, dove n'andrebbe la sua stessa sicurezza, se dall'ampia rada di Valona, dove un'intera flotta può trovare sicuro ricovero, si potesse lanciare una squadra contro le sue coste in un paio di ore?

Uniformandomi strettamente alle mie istruzioni, non ho stimato di poter emettere alcun apprezzamento sulla proposta che mi era stata fatta e che presi ad referendum; mi sono solo permesso di osservare a S. A. che, a mio parere, le popolazioni Albanesi, use a vivere di vita autonoma, mal si sottometterebbero ad un altro Governo, specialmente se autocratico, come del resto lo dimostrarono quando si trattò dell'annessione di Gusinjé e Plava, assegnate al Montenegro dal Trattato di Berlino, e che si dovettero retrocedere alla Turchia. S. A. ammetteva che fino a quando avrà vita l'Impero Ottomano quelle popolazioni preferiranno la nominale dipendenza dal Sultano a qualsiasi altra combinazione; ma che, cessata la dominazione Turca, esse non avrebbero desiderato di meglio rhe unirsi ad un paese col quale esisteva grande affinità di costumi e di abitudini; che la Lega Albanese, inscenata dalla Turchia, ed appoggiata dall'Austria, non sarebbe più possibile oggi; che da quell'epoca i sentimenti di quelle popolazioni per i loro vicini Montenegrini sono di molto mutati; che la libertà e la sicurezza di cui godono, sotto il Governo Principesco, gli Albanesi ed i musulmani dei territori annessi al Montenegro, dopo l'ultima guerra, ha influito potentemente sulle disposizioni delle tribù finitime, come ne è prova la tranquillità che regna già da qualche tempo alla frontiera; che i cattolici, che nell'alta Albania formano la grande maggioranza della popolazione, sarebbero sicuri di trovare nel nuovo Stato protezione e piena libertà.

Desiderando riferire a V. E. nel modo più esatto e preciso le conversazioni avute con il Principe, ho dato lettura di questo E' del precedente Rapporto a

S. A. che mi ha felicitato per la fedele riproduzione.

300

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. CONFIDENZIALE 2773. Berlino, 10 dicembre 1896, ore 14,51.

Jeri Imperatore di Germania, ritornato da Potsdam, conferì stamane con barone Marschall. Quantunque spiacente siasi fatto un così clamoroso processo,

S. M. espresse al barone Marschall soddisfazione risultato ottenuto e gli riconfermò sua piena fiducia.

301

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA,

R. CONFIDENZIALE 688/419. Pietroburgo, 11 dicembre 1896

Ho esposto già i motivi pei quali il signor Nelidoff, sostenuto dal signor Witte, può considerarsi padrone della situazione, rispetto ai negoziati che seguiranno per la questione d'Oriente, ed il connubio dei precitati personaggi diffonde il sentimento che il vantato accordo della Russia coll'Inghilterra riuscirà problematico assai. Quer:a non è una opinione mia personale soltanto: è pur quella di non pochi colleghi, ed è facile a capirsi. Tranne l'ambasciatore britannico, che crede aver riportato un gran trionfo, sono ben radi coloro che prendono sul serio l'adesione del gabinetto di Pietroburgo al dispaccio di lord Salisbury.

Fra quelli che vivono in questo ambiente, che hanno potuto toccar con mano la opposizione sollevata, sin dal primo istante, alla proposta di ricorrere, eventualmente, ad atti di coazione verso la Porta, l'assenso stato, ad ultima ora, comunicato all'Inghilterra desta molto scetticismo. Del resto a che si riduce tale tardiva adesione? Semplicemente a questo: se tutte le potenze decidono che bisognerà forzar la mano alla Turchia, il governo russo si dichiara pronto ad esaminare quali sieno i mezzi coercitivi escogitati dagli ambasciatori a Costantinopoli, ed in quale misura potranno essere applicabili.

V. E., intanto, mi telegrafava il 30 novembre, che lord Salisbury era soddisfatto della risposta finalmente avuta da Pietroburgo, ma che Sua Signoria non aveva preso alcuna determinazione, e stava studiando proposte supplementari, per render pratico il concerto delle potenze. Ho fatto prudentemente allusione a ciò con sir Nicholas O'Conor, il quale mi ha aggiunto che, pel mo~ento, nessun nuovo suggerimento verrebbe messo innanzi, tenendosi pago il Foreign Ojfice di vedere assicurata la continuazione dell'accordo fra i rappresentanti delle nazioni chiamate a esercitare la loro influenza sopra il Sultano. È ciò, senza dubbio alcuno, una buona cosa, ma non è molto. Si è accorto, forse, lord Salisbury, che non converrebbe esigere troppo dalla Russia? In ogni caso, il cambiamento qui avvenuto, e che potè comparire, al principio, alquanto strano, è ora spiegato.

Dopo l'arrivo del signor Nelidoff a Pietroburgo, il quale veniva per far naufragare la proposta Hanotaux, ma che era nel tempo stesso impressionato della gravità della situazione dell'impero ottomano, come io rassegnai nel mio rapporto del 25 novembre ultimo, n. 660/398 (1), il governo imperiale pensò che seria davvero sarebbe la sua responsabilità, se, pel suo rifiuto, nascessero maggiori complicazioni, a prescindere altresì dal fatto ch'esso vuole, sovra ogni altra cosa, che non cominci troppo presto la liquidazione dell'impero ottomano. Il piano finalmente stabilito, per far fronte a tutte queste varie esigenze, è stato da me telegrafato avant'ieri a V. E., nei suoi più minuti particolari. Il signor Nelidoff, incaricato di proporre un ripiego alla difficile situazione sopra descritta, fece osservare all'Imperatore che, rimanendo pur sempre assolutamente

esclusa una partecipazione della Russia agli accordi esistenti pel debito ottomano, tuttavia nell'interesse dei creditori esteri, in ispecie francesi, e per evitare l'accusa che il gabinetto di Pietroburgo sia indifferente al pericolo di un'immediata catastrofe finanziaria, si dovrebbe ammonire il Sultano che, ove egli distolga qualsiasi cespite dell'erario consacrato al debito pubblico, o tocchi a qualsivoglia degli introiti destinati a guarentire le ragioni dei creditori esteri, si riterrà ipso facto come decaduta la convenzione fra la Porta ed i creditori stessi. In tale ipotesi tutte le potenze, compresa la Russia, esaminerebbero l'opportunità di far ritorno alla proposta italiana formulata 1'11 luglio 1878, e consegnata nel protocollo 18° del trattato di Berlino, per dimostrare ad Abdul-Hamid che l'Europa è risoluta a non più tollerare il regime arbitrario di lui.

Nell'opinione del signor Nelidoff quel monito basterebbe a impedire al Sultano d'attentare ai diritti dei creditori, e ad indurlo a rispettare l'accordo coi medesimi pattuito.

Qualora le disposizioni dell'anzidetto protocollo venissero a essere collocate in vigore, non si tratterebbe di stabilire una commissione permanente; questa sarebbe solo temporanea, ed i suoi poteri non si estenderebbero a tutti i redditi dello Stato, siccome pretendeva il signor Hanotaux, ma unicamente a quelli spettanti al debito pubblico.

Affinchè ne consti nel presente carteggio, trascrivo il testo della proposta Corti in alto designata:

«Les puissances represéntées au congrès sont d'avis de recommander à la Sublime Porte l'institution à Costantinople d'une commission financière composée d'hommes spéciaux nommés par les gouvernements respectifs, et qui serait chargée d'examiner les réclamations des porteurs de titres de la dette ottomane et de proposer les moyens les plus efficaces pour leur donner la satisfaction compatible avec la situation financière de la Sublime Porte».

Questo il modus procedendi stato raccomandato allo Czar, il quale vi accordò la sua sanzione, ed il signor Nelidoff, che muoverà oggi stesso per Costantinopoli, ricevette incarico dal suo governo di ottenervi l'accettazione di Abdul-Hamid, facendogli considerare esser l'unica via di scampo che gli resta aperta, se vuoi sottrarsi a misure di carattere comminatorio. Visto il segreto in cui le informazioni che precedono debbono tuttavia esser serbate, ho pregato ieri l'E. V., per telegrafo, di tenerle per strettamente confidenziali.

(l) Non pubblicato.

302

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2792. Pietroburgo, 12 dicembre 1896, ore 8,30 (per. ore 21,35).

Il signor Chichkine mi ha oggi confermato che non vi è nulla di vero nella pretesa cessione di un punto sul Mar Rosso fatta da Menelik alla Russia.

303

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1312/608. Costantinopoli, 12 dicembre 1896.

Mi risulta in via riservata che codesto Ambasciatore Ottomano, in seguito all'avvenuta presentazione al nostro Parlamento del recente trattato colla Tunisia, ha telegrafato alla Sublime Porta, chiedendo istruzioni circa l'opportunità di riaffermare in quest'occasione i diritti altosovrani del Sultano, col rimettere al Governo del Re una protesta contro la conclusione di quell'accordo.

I Consiglieri legisti della Sublime Porta, incaricati di esaminare la questione, hanno ora emesso il loro parere, che conchiude in senso negativo. La relazione che lo accompagna appoggia tali conclusioni cogli argomenti che riassumo qui appresso.

Il rapporto, dopo di aver riprodotto sostanzialmente il contenuto del nuovo trattato, dice che la Sublime Porta non ha, in quanto la concerne, alcun interesse a reclamare contro l'abolizione delle capitolazioni nella Reggenza, abolizione che è anzi conforme alle vedute del Governo ottomano rispetto a quegli antichi privilegi. Nemmeno il riconoscimento del diritto della Francia di proteggere i tunisini residenti all'estero potrebbe dar luogo a reclami tali da produrre alcun pratico effetto. Supposto pure che certi paesi ammettessero il diritto della Turchia di proteggere come pel passato i Tunisini, ciò avrebbe solo per effetto di esporre a misure di rigore coloro fra questi che ritornassero in patria dopo di aver invocato la protezione di uno stato straniero. I Consiglieri legisti ricordano poi che il Governo italiano si è trovato, in certo qual modo, costretto ad accettare la convenzione di cui si tratta, dopo di avere invano esauriti tutti i mezzi di cui disponeva pel mantenimento dello statu quo nella Reggenza. Nel momento in cui quei negoziati stavano per iniziarsi, il Barone Blanc, allora Ministro degli Affari Esteri, rispondendo a certe riserve formulate verbalmente dall'Ambasciatore Ottomano in Roma, lo aveva, a sua volta, invitato a far conoscere ciò che la Sublime Porta intedesse fare per ottenere il rispetto dei diritti del Sultano in Tunisia. Ma, sebbene l'Ambasciatore avesse allora domandato con insistenza istruzioni a Costantinopoli circa la risposta che egli doveva dare alla Consulta, la Sublime Porta si era astenuta da ogni comunicazione tendente ad intralciare l'inizio di quel negoziato. In tali condizioni, la Turchia si troverebbe mal posta per farsi adesso a formulare proteste le quali nulla aggiungerebbero a quelle che seguirono il Trattato del Bardo. Il rapporto conchiude coll'osservare che, del resto, un trattato consimile fu già conchiuso, senza osservazioni per parte della Porta, fra l'Austria-Ungheria e la Tunisia e che un altro sta per essere stipulato fra questa e l'Inghilterra.

Codesto parere verrà, in una prossima seduta, sottoposto al Consiglio dei Ministri e tutto fa ritenere che le sue conchiusioni verranno accettate.

304

IL COMANDANTE DELLA CANNONIERA « PROVANA », COLTELLETTI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2795. Aden, 13 dicembre 1896, ore 20,15 (per. ore 12,30) (sic).

Trasmetto seguente telegramma Nerazzini, Harrar 5 dicembre: «Parto oggi con duecentoquindici prigionieri compresi 7 ufficiali. Manderò nomi comandante 'Provana '. Nel caso V. E. voglia conoscerli, telegrafi. Spero trovare Zeila piroscafo per venire direttamente Napoli. Se causa strettezza tempo ciò non fosse possibile, insisto vivamente perchè, arrivo Massaua con piroscafo Africa, possa trovar subito vapore pronto per venire Napoli. Ragioni tanta insistenza sono perchè Menelik desidera io arrivi con primo scaglione, come promise al Re, e perchè sono convinto che sollecitudine nell'invio degli altri prigionieri, che si concentrano Harrar, dipenda da quanto io telegraferò da Roma a Maconnen circa impegno verbale da me assunto con Imperatore, come dal mio telegramma da Adis Abeba. Perciò sollecitudine nel rimpatriare dipende solo dal Governo italiano: non bisogna dimenticare che Menelik si è totalmente affidato a noi. Altra considerazione è necessità evitare soggiorno inopportuno prigionieri Alessandria, dove piroscafo mensile arrestasi due giorni. Circa numero totale prigionieri telegrafai 1300, attenendomi cifra compilata per cura ufficiali italiani, ma imperatore crede cifra maggiore. In ogni modo V.. E. tranquillizzi assolutamente opinione pubblica perchè in Etiopia non resterà mai un prigioniero dimenticato: Menelik ne farebbe questione onore, ed io sarei pronto andare a rintracciarli. Nostri soldati, completamente vestiti con materiale soccorso, sono ottimo stato salute, hanno ripreso disciplina e bell'aspetto militare. Spero arrivare Zeila 17 o 18 corrente. Firmato Nerazzini ».

Ho comunicato a Nerazzini prossimo arrivo piroscafo, e l'ho avvertito che prenda imbarco su primo piroscafo italiano o straniero che parta per l'Italia, interessando Governo arrivi al più presto possibile.

305

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2818. Pietroburgo, 16 dicembre 1896, ore 19,30 (per. ore 20,45).

Montebello, il quale doveva rimanere assente quasi per un altro mese, fa di nuovo improvvisamente ritorno. Mio collega Inghilterra suppone si tratti di qualche maneggio per Obock. Gli è stato detto Russia contemplerebbe farsi ce. dere quel territorio per darlo poi al Negus e fondando per sè un deposito di carbone adatto. Sebbene non vi possa credere, tuttavia non voglio tacere a V. E. quanto precede.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 2223. Roma, 17 dicembre 1896, ore 6,20.

Il telegrafo già Le ha segnalato la votazione della nostra Camera sul trattato per Tunisi. Desidero tuttavia farLe rilevare alcune particolari circostanze. Lo scarso numero dei voti contrari rappresenta quel minimum di deputati d'opposizione che per sistema vota sempre contro, anche per le leggi più anodine. L'intonazione della discussione, anche da parte degli avversari, fu sempre equanime verso la Francia. Infine apparve evidente la prevalenza, nell'assemblea, del concetto politico cui sostanzialmente rispondeva il trattato. Non sarà male che sopra questo punto Ella richiami l'attenzione del sig. Hanotaux, esprimendo l'augurio che così favorevole ambiente non sia turbato da inopportune manifestazioni nella Camera francese.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2826. Pietroburgo, 17 dicembre 1896, ore 16 (per. ore 19,30). Anche qui nella notte giunse un telegramma Agenzia Stefani da Aden, contenente l'annunzio del Times insieme alla sua smentia ed un altro da Roma, che dichiara infondata la cessione alla Russia di un territorio da parte di Menelik. Entrambi questi dispacci furono scientemente omessi nell'ufficioso Journal de S. Petersbourg ma la censura non vi ha fatto opposizione, e figurano in tutti gli altri fogli. Evidentemente si tratta sempre della stessa notizia circa la quale oggi ho già fornito gli schiarimenti, che mi fu dato raccogliere e nulla in alcun modo ricaverò da fonte ufficiale. Questamane mi è giunta però certezza di un interessante particolare a proposito dei telegrammi suaccennati; un alto funzionario di questo Ministero degli Affari Esteri disse: « Abbiamo bisogno di occupare un punto per un deposito di

carbone; credevamo trovarlo fra i possessi italiani e francesi, ma abbiamo dovuto convincerci che non c'è più nulla libero».

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2834. Parigi, 18 dicembre 1896, ore 6,50 (per. ore 20,50).

Quando mesi sono il Ministro della guerra, all'inaugurazione di un monumento, parlò di frontiera mutilata, sembrò che l'Ambasciatore di Germania otte

lG - Doc11menti diplomatici • Serie III • Vol. I

nesse dall'Hanotaux delle spiegazioni fondate sopra l'incertezza delle espressioni adoperate in una improvvisazione di cui non esisteva resoconto ufficiale. Ma nella seduta del 16 corr., lo stesso Ministro della guerra, per dimostrare la necessità di avere un grande esercito, disse: «noi abbiamo una frontiera aperta, una frontiera mutilata, ed il Ministro della guerra mancherebbe ai suoi doveri se ciò dimenticasse un solo istante; bisogna, per difendere l'indipendenza nazionale avere un esercito solido anzitutto e numeroso se si può perchè, per difendere, bisogna sempre essere in grado di attaccare; sul campo di battaglia l'offensiva sola dà la vittoria». Mi si assicura che il mio Collega di Germania sia molto preoccupato della recidiva del Ministro della guerra nel parlare di frontiera mutilata, e che delle rimostranze potrebbero seguirne.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2835. Parigi, 18 dicembre 1896, ore 6,50 (per. ore 20,50).

Rileggendo i miei rapporti 24 e 10 dicembre (1), circa gli affari di Turchia trovo che nei medesimi ho esposto le cose che ho potuto raccogliere anche indipendentemente dai colloqui avuti con Hanotaux circa la posizione in cui questo Governo si è trovato in seguito all'atteggiamento assunto dalla Russia in seguito alla proposta Salisbury. Posto fra le esigenze della opinione pubblica, rilevatesi in Parlamento, contrarie all'inazione di fronte all'Armenia, e la necessità di non uscire troppo dalla linea nella quale la Russia voleva mantenersi, questo Ministro degli affari esteri, dopo essersi adoperato per fare modificare il contegno preso dallo Czar nella sua prima risposta alla proposta inglese, pare essersi prescritto un atteggiamento di aspettazione, e le cose che ho udite da questo Ministro degli affari esteri e che ho riferito a V. E. il 10 di questo mese, indicherebbero la sua scarsa fede nell'esito dell'opera comune delle potenze. Però, avendo io avuto occasione di parlargli or sono due giorni, egli ebbe ad esprimersi meno sfavorevolmente circa l'effetto che sul Sultano potrà avere il nuovo ben ristabilito concerto di tutte le potenze rappresentate dai loro ambasciatori a Costantinopoli. In questa occasione, anzi, il Signor Ministro degli affari esteri mi disse, con intonazione interrogatoria che anche da parte dell'Italia non apparivano divergenze di intendimenti e di propositi. Gli risposi non aver nessun motivo di pensare altrimenti. In sostanza, mi sembra che si esagerò da coloro che credettero esistessero screzi nelle relazioni fra i due Gabinetti, Parigi e Pietroburga: i due si muovono dentro le stesse linee. Ma ciò che è accaduto deve necessariamente avere avvertito il Governo francese delle diffocoltà nelle quali lo mettono le esigenze dell'opinione pubblica francese e quelle della sua alleanza. Sicchè ne è risultato qui un accrescimento del desiderio di evitare o, almeno, ritardare le complicazioni che l'inconciliabW.ità di quelle contrarie esigenze potrebbero mettere in evidenza.

(l) Non pubblicati. Il primo dei due rapporti è del 24 novembre.

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L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2836. Pera, 18 dicembre 1896, ore 7,25 (per. ore 21,40).

Nelidow tornato da Pietroburgo, non sembra essere latore di alcuna proposta concreta. Egli mi disse avere manifestato al proprio Governo l'opinione che la situazione presente della Turchia rendeva impossibile formulare a priori un qualunque programma di riforme. Aggiunse aver potuto soltanto suggerire l'idea di una vigilanza da esercitarsi caso per caso, dagli ambasciatori, ricordando, a questo proposito, le cose da me dettegli in una nostra conversazione a Therapia nel senso accennato nel mio rapporto del 5 novembre (l) a V. E. Ma una simile azione esigerebbe per essere efficace che l'autorità degli ambasciatori venisse rafforzata da qualche misura effettiva. Ora Nelidow mi disse che si attendevano ulteriori comunicazioni da Salisbury, sia circa il programma da adottarsi, sia circa le condizioni di una eventuale coercizione; sembra che a Pietroburgo si preferirebbe indugiare a decidere questa ultima fino al momento in cui la resistenza del Sultano rendesse ciò necessario, mentre Gabinetto austriaco avrebbe invece proposto che una decisione venga presa in proposito dopo stabilite le riforme da esigere, ma prima di notificarle a Costantinopoli. Dovendo aver luogo domani una riunione di tutti i colleghi, mi riservo informare V. E. se ne uscirà qualche maggior luce.

311

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

D. 58024/375. Roma, 20 dicembre 1896.

L'altro mio dispaccio in data d'oggi (2), che V. E. deve recare a conoscenza di Lord Salisbury implica la nostra piena adesione, in quanto ci concerne, alle proposizioni del governo britannico circa le cose d'Oriente.

Non è, però, fuori di proposito considerare la ipotesi che taluna potenza si mostri avversa od esitante a contrarre impegno preliminare ed assoluto, per un ricorso effettivo alla coercizione, prima ancora che si conoscano le conclusioni delle potenze e le circostanze che dovrebbero dare luogo all'impiego di codesta estrema misura. Se in presenza di una simile difficoltà, Lord Salisbury venisse ad opinare potersi fin d'ora stabilire l'accordo delle potenze sulla loro comune intesa che il principio di una eventuale coercizione non è escluso a priori, salvo a concertarsi con unanime consenso, a tempo opportuno, sui casi in cui l'applicazione di questo principio fosse giudicata necessaria, noi non avremmo, per parte nostra, difficoltà ad accogliere siffatto modo di procedere.

A nostro avviso, nella fase attuale della questione, questo soprattutto è essenziale: che il concerto europeo sia mantenuto. Nel tempo stesso non meno necessario ci sembra che, quando gli si faranno note le conclusioni delle potenze intorno alle riforme da introdursi nell'Impero, il Sultano sappia essere l'Europa unanime, non solo nei consigli che gli si porgono, ma anche nella ferma volontà di farli prevalere.

312.

L'AMBASCIATORE A MADRID, DE RENZIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 843/281. Mad1·id, 20 dicembre 1896. Dar contezza all'E. V. di quanto avviene in Spagna oggidì è scrivere la storia quotidiana delle sciagure d'un popolo. Molte sono le crudeli vicende per le quali passa questo paese ed è più cupo l'avvenire. Gli entusiasmi effimeri, patriottici per la morte del Cabecilla Maceo, sono già sbolliti, innanzi alle preoccupazioni destate dalla mozione del Senato americano chiedente il riconoscimento della indipendenza cubana. E mentre alle possibili complicazioni internazionali per le cose della grande Antilia, qui, il governo fa fronte con calma coraggiosa, dalle Filippine vengono sempre più gravi notizie per l'estendersi della rivoluzione. Anzi, son tali le paure che a Manilla stessa le cose possono rapidamente volgere a male, che i consoli di Francia, d'Inghilterra e di Germania chiedono protezione di navi dei loro paesi. In una visita da me fatta ieri al duca di Tetuan, questi per vero mostrossi fiducioso oltremisura nell'esito sollecito della repressione della insurrezione alle Filippine, dicendo le notizie di fonte americana e inglese essere o esagerate, o affatto contrarie al vero. Ma anche quattro mesi or sono, l'egregio riuca aveva la stessa fiducia, e credeva si potesse venire a capo della lotta mercè il rinforzo di 3 o 4 mila soldati. Dirò di più. Il mio collega di Francia, nella stessa giornata, mi aveva partecipato il telegramma del suo console a Manilla che faceva temere avvenimenti gravi. Ad ogni modo, quale che sia lo stato vero delle cose, non sarà certamente la guerra nel mare chinese che potrà scuotere le basi del governo spagnolo. Non così, pur troppo quanto avviene nel golfo del Messico. La ostilità, ormai palese degli americani, porgerà la mano assai probabilmente al presidente degli Stati Uniti, ancora restìo a strappare una pagina del diritto delle genti, inframmettendosi nell'esercizio del potere interno d'una nazione amica. Nel messaggio del Cleveland è detto, avere il governo degli Stati Uniti fatto offerta di mediazione alla Spagna, senza averne avuta risposta. Quel silenzio chiaramente dimostrava l'opinione del governo spagnolo di non accettare il principio di una intromissione estera nelle cose del paese. Ma, da due giorni, la risposta è stata data in termini assai precisi dal presidente del consiglio al direttore del Journal americano, qui appositamente venuto a intervistarlo. Il Canovas ha detto: «il presidente degli Stati Uniti chiede per Cuba delle

riforme ? Queste le abbiamo promesse nel discorso della corona or sono otto mesi. Le riforme faremo, e più larghe e più radicali di quanto si pensi; ma le faremo il giorno in cui sarà possibile il farle praticamente». Il linguaggio del Canovas è stato conciliante, ma riciso e fermo nel non voler che altrui s'immischi nelle cose cubane.

Il duca di Tetuan, sullo stesso proposito, mi diceva ieri: « Creda, non è l'orgoglio di piegare innanzi alla insurrezione che ci fa resistere nel porre in atto le nostre promesse. È la impossibilità materiale di cangiare tutto l'organismo dello Stato, della provincia e del comune, in un paese ancora in armi. Noi non aspetteremo neppure che tutta l'isola di Cuba sia pacificata. Basterà una provincia o due, Pinar del Rio o l'Avana, libere d'insorti che oggi ne impediscono la vita civile». Il mio collega d'America, nei suoi colloqui accusa il Canovas di intransigenza. Non bastano le promesse, egli dice: non basta l'attuazione di qualche riforma. I cubani ormai vogliono garanzie più serie della loro libertà e del loro benessere.

Sarà per l'appunto su queste «garanzie», cui accenna anche il messaggio Cleveland, che potrà sorgere il temuto conflitto tra i due paesi. Lo stile del Cleveland sempre contorto ed elaborato, nei suoi discorsi e nei suoi scritti è stato, questa volta, più interessatamente nebuloso. A mio credere, spagnuoli ed americani non s'intendono ora e meno s'intenderanno quando le riforme sian proclamate. Per gli spagnuoli le riforme sono l'errata-corrige dei mali amministrativi passati. Nuovi metodi elettorali, adunque, impiegati cubani e non peninsulari, decentramento ecc., ecc. Ma ben diversa cosa interessa gli americani. Per essi le «riforme » dovrebbero significare regime doganale libero, e le chieste « garanzie » un buon trattato di commercio tra Spagna ed il disinteressato courtier di pace. Il quale trattato dovrebbe necessariamente ammettere maggiore agio di penetrazione nell'Antilla dei prodotti americani che servissero a pagamento delle materie prime dell'isola. Ma tal regime farebbe la rovina della Catalogna e della Andalusia, e il prodotto delle dogane dell'isola serve di garanzia alla doppia emissione dei buoni di Cuba, in gran parte in mano di possessori europei. Fin dove potranno garentirsi tali interessi ? Sarà mai possibile l'intesa ? Ecco il vero punto nero della questione.

La proclamazione della indipendenza cubana, anche con una doppia votazione della camera e del senato potrà forse ancora trascinarsi a lungo, se da vero il Cleveland non voglia. L'intromissione americana potrebbe ancora sventarsi, qualora si potesse ottenere, come sperano gli ottimisti, la pacificazione a breve termine della parte dell'isola da Pinar del Rio ad Avana. Sarà essa possibile?

Tra i miei colleghi è voce che, dopo la morte provvidenziale del Maceo, il Weyler ed il Canovas tentassero la pacificazione con altri mezzi che non sieno le riforme, o la polvere e il cannone. Dicesi da gente cui si presta fede, che trattative sono possibili con Maximo Gomez e col Garcia, i quali già altravolta non hanno resistito alle seduzioni di argomenti aurei. Il Canovas ha vinto già altravolta con mezzi uguali, il carlismo trionfante e l'ultima insurrezione cubana.

Il presidente del consiglio, pertanto, mostra fiera resistenza alle pretese del governo americano, che evidentemente da parte sua vuole la pacificazione bensì, ma la vuole per opera propria.

Il linguaggio del mio collega Taylor, come può immaginarsi in un diplomatico di quel paese, è privo di qualsivoglia attenuazione. Egli nasconde meno del suo presidente le cupidigie americane, e parla senza ambagi della possibilità di un intervento. Forse son parole per far paura, e non v'è da farne gran caso.

Più interesse va messo nella osservazione dell'atteggiamento degli ambasciatori delle grandi potenze verso la Spagna. In esso mi sembra vedere maggiore disinteresse che per lo passato. Tutti si mostrano benevoli di consigli e di parole, ma non lasciano dubbio sulla indifferenza dei rispettivi paesi allo svolgersi del triste dramma! Sir Henry Drummond Wolff,. che pur tanto s'agitò or sono pochi mesi per impedire l'intromissione americana, mi diceva filosoficamente ora è poco: credetemi! Il piccolo borghese in Inghilterra non si scalda più la testa per la teoria di Monroe!

(l) -Non pubblicato. (2) -Si tratta del dispaccio 58023/374. in data 20 dicembre 1896. di sostanziale consenso alle direttive del Salisbury, che non abbiamo ritenuto necessario pubblicare.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 4287/1127. Parigi, 20 dicembre 1896. Il successore di Lord Dufferin ha preso, da poche settimane possesso del suo posto e si annunzia prossima la definitiva partenza del Barone di Courcel dall'Ambasciata di Londra. Sir Ed. Monson non è della categoria di persone fra le quali prima d'ora si scelsero gli Ambasciatori della Gran Bretagna in Francia. Si disse anzi che a lui fosse assegnato questo posto dopo che per esso Lord Salisbury avesse incontrato parecchi rifiuti. Per certo non offre attrattiva speciale un uffizio diplomatico nel quale chi lo assume non può prevedere il successo della propria azione e si comprende che, in una situazione siffatta, nessuna alta personalità della aristocrazia inglese abbia voluto sobbarcarsi ad un incarico per il quale si è, in ultimo, avuto ricorso ad un diplomatico di cui la carriera non ebbe fin qui illustrazione alcuna. Il nuovo ambasciatore non troverà verosimilmente in Parigi le opposizioni che maliziosamente erano state architettate contro il suo predecessore di cui si temeva, più ancora che il valore personale, la simpatia con la quale la sua nomina era stata accettata in Francia. Lord Dufferin, al suo primo giungere a Parigi, dovette dare opera a sventare gli intrighi e le calunnie altrui e se egli, cessando dall'uffizio degnamente tenuto, lasciò qui una perfettamente ristabilita posizione personale, non potrebbe la sua missione annoverarsi fra le più fortunate. Egli poté certamente impedire che, fra il suo e questo paese, i rapporti si guastassero completamente. In mezzo ad un turbinìo di questioni, gli riuscì di comporne alcune, di impedire che altre raggiungessero lo stato critico. Alla sua partenza, egli lasciò tuttavia dietro di sè una eredità difficile, nella quale primeggiano le non composte vertenze di Egitto, del Niger, del Madagascar e di Tunisi. Mi fu detto, e non durerei fatica a crederlo, che Sir Ed. Monson non reca istruzioni che valgono a chiudere uno solo di questi dissidii; sicchè, anche per questo riguardo, la posizione sua qui si troverà diminuita. La coincidenza del ritiro da Londra del Sig. di Courcel troverebbe spiega

zione nella non celata insofferenza dell'Ambasciatore francese di essere stato costretto a tenere per due anni un posto che gli costa sacrificio personale e gli procura nessuna soddisfazione per il suo paese. Una posizione molto onorevole e riccamente retribuita lo aspetta in Parigi, daddove, per considerazioni domestiche, la famiglia sua non si trasferì mai a dimora stabile in Londra. Pare che la forza di inerzia che egli ha incontrato nel primo Ministro attuale inglese la quale gli impedì perfino di tenere vive le discussioni sugli interessi egiziani, sia la causa determinante della risoluzione alla quale il Sig. de Courcel sarebbe forse già stato inclinato da altri motivi.

Per certo gli auspici sotto i quali si apre la missione di Sir Ed. Monson e le condizioni nelle quali sta per chiudersi quella del Barone di Courcel no::1 danno dello stato presente dei rapporti fra Londra e Parigi un'impressione discordante con il giudizio che dei medesimi si può avere esaminando, nella loro sostanza, i principali punti del dissidio esistente.

Scrissi ancora recentemente a V. E. le ragioni che si opposero finquì a che, sulle quistioni che dividono la Francia dall'Inghilterra, il Ministro francese degli affari esteri si dimostrasse desideroso di promuovere con me uno scambio fiducioso di idee (rapporto 10 dicembre n. 4159/1089) (1). Di tale riserva gli posso essere grato, poichè se a lui non piacesse serbarla, mi troverei condotto sovra di un terreno scabroso senza il conforto della perfetta cognizione del pensiero del mio Governo.

Non avrebbero intanto valore i rapporti che io facessi alla E. V. sovra gli affari pendenti ed a Lei ben noti, fra la Francia e la Gran Bretagna poichè non essendo io in grado di raccogliere notizie di prima mano in ordine ai medesimi, non potrei altro far di meglio che trascrivere ciò che ne dicono

o ne scrivono altri che, in quistioni così complesse, rese più complicate dal giuoco delle contrastanti tendenze, potrebbero troppo facilmente inspirarsi a preconcette idee, od a interessi non conformi ai nostri.

So però, e lo posso ripetere con quasi certezza, che particolarmente ostico riesce al Sig. Hanotaux il contegno di Lord Salisbury nelle due questioni del trattato tunisino e del riconoscimento incondizionato dell'annessione di Madagascar. Rimprovera questo Ministro degli Affari Esteri al primo ministro inglese di mostrarsi cosi restio alle concessioni delle quali la Francia ha bisogno, appunto nelle due questioni nelle quali egli ebbe parte diretta e personale ad impegnare il Governo della Repubblica. Nella resistenza ad un accordo per il trattato tunisino qui si vede più che altro una specie di provocazione, ossia il desiderio d'impedire al Signor Hanotaux di raccogliere il frutto dell'opera sua diplomatica, condotta felicemente a termine con tutti gli altri paesi. In questo affare l'amor proprio del Ministro francese si sente particolarmente impegnato, poichè nella risoluzione pacifica e completa delle difficoltà che attorniavano il protettorato della Francia a Tunisi, egli vedeva unò dei principali successi dell'opera sua diplomatica. L'essere tenuto in iscacco nell'ultimo passo dal Gabinetto di Londra, per interessi di questi da lui considerati minimi, è cosa di cui non sa dissimulare forse abbastanza l'insofferenza.

Mi fu detto che a Londra sia stato offerto dalla Francia la Hbera mano sovra lo Zanzibar in compenso di quella che il Governo della Repubblica reclama per sè a Madagascar. Ma Lord Salisbury avrebbe lasciato intendere che al Zan

zibar l'Inghilterra si urterebbe còn gli interessi tedeschi, sicchè poco a lui preme un'intesa al riguardo con la Francia.

Mentre per queste circostanze le disposizioni personali del Ministro degli affari esteri francese, tendenti finquì a mantenere anche con la Gran Bretagna i migliori possibili rapporti, sono paralizzate, è notevole l'attività del così detto partito coloniale nei suoi perseveranti incitamenti ad una politica astiosa verso l'Inghilterra. Di questo partito è anima il noto François Deloncle che, nella recente discussione del bilancio delle Colonie, ha trovato una occasione dippiù per agitare davanti al paese la questione di Egitto. Egli lasciò al deputato principe d'Aremberg di trattare delle vertenze del Niger e nei due discorsi, pronunciati nella tornata del 7 dicembre, si possono trovare riassunte le vedute e le aspirazioni di un gruppo di uomini, tecnicamente competenti, che non esiterebbero a spingere il loro paese nelle più serie complicazioni con l'Inghilterra. È questa loro azione spontanea? O piuttosto non subisce essa delle tendenze? Ad ogni modo l'azione di cui il Sig. Deloncle è l'anima, è riuscita più di una volta imbarazzante per il Governo e non è di certo piccolo merito dell'attuale Ministro degli affari esteri francese lo aver saputo resistere alle incalzanti pressioni di quel gruppo.

P. S. -Allegato il discorso del deputato Deloncle distribuito, probabilmente a cura dello stesso, in edizione speciale (1).

(l) Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2881. Pera,, 23 dicembre 1896, ore 1,40.

Nella riunione di oggi mi sono espresso nel senso dei due telegrammi di

V. E. Ambasciatore di Francia ha comunicato le sue istruzioni conformi al mio precedente telegramma. Quelle dell'Ambasciatore d'Inghilterra lo autorizzano esaminare, d'accordo con colleghi, « i cambiamenti da introdursi nel Governo e nella amministrazione della Turchia, atti a mantenere la stabilità dell'Impero ed a prevenire il ritorno delle terribili scene degli ultimi due anni». Salisbury aggiunge che il Governo della Regina è penetrato nel convincimento che l'unko mezzo di assicurare esecuzione delle riforme dovrebbe ricercarsi in un accordo unanime grandi potenze; ma che l'Ambasciatore «è autorizzato ad appoggiare qualunque proposta atta a tutelare cristiani e musulmani contro gli abusi del potere arbitrario del Governo centrale e contro la oppressione locale». Nelidow ha emesso a titolo di opinione personale, l'idea di affidare a due speciali commissioni europee incarico di vigilare esecuzione, provincie Asia, riforme sanzio· nate anno scorso e la esecuzione in Rumelia del regolamento per i Vilayet già approvato nel 1880, e rimasto di poi lettera morta. Vennero quindi messe innanzi, da ciascuno di noi, diverse vedute sui punti che esigono più urgente rimedio. Mi riservo ragguagliarne V. E. dopo l'adunanza posdomani, nella quale emer

gerà più chiaramente posizioni presesi. Manifesto però fin d'ora tendenza Ambasciatore di Russia limitarsi misure locali e transitorie mentre Ambasciatore d'Inghilterra cerca portare nostra azione nel campo riforme costituzionali.

(l) Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2885. Parigi, 23 dicembre 1896, ore 14,25 (per. ore 16,40). Ricevo in questo momento in data di ieri, nota di Hanotaux, chiedendo un mese di proroga per lo scambio di ratifiche. La nota nelle sue motivazioni è così concepita: «La convention est bien approuvée à l'heure présente par la Chambre des Députés italienne, mais elle n'est pas encore venue en délibération au Sénat du Royaume et par suite S. M. le Roi ne l'a pas ratifiée. De son coté le Gouvernement français, bien qu'il n'ait pas à demander au Parlement français l'approbation des diverses conventions conclues le 28 Septembre, croit devoir lui réserver la possibilité d'exprimer son appréciation à leur sujet avant leur ratification par le Président de la République, ainsi que du reste l'a fait méme le Gouvernement de S. M. pour les deux conventions d'extradition et d'établissement qu'il appartenait également au Roi de ratifier sans approbation parlementaire ». Avant'ieri essendomi incontrato con Hanotaux gli avevo esposto le ragioni di non ritardare lo scambio delle ratifiche, e mi pareva di averlo convinto; ma in seguito al consiglio dei Ministri di ieri, al quale Hanotaux disse di dover sottoporre la definitiva decisione, egli si è trovato costretto a domandare la proroga perchè pare che anche il Presidente del Consiglio abbia promesso la presentazione dei documenti prima della ratifica. Hanotaux è indisposto. Ha mandato da me il Direttore degli Affari Commerciali, al quale ho tenuto un linguaggio molto risentito per questo modo di agire, che ho qualificato nei più duri termini. Rimetto oggi stesso al Ministero una nota per constatare l'approvazione parlamentare del trattato commerciale ed il fatto che noi siamo in grado di procedere

allo scambio in tempo debito, e concluderò di aver mandato la nota a Roma per avere istruzioni.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL COMMISSARIO STRAORDINARIO PER IL BENADIR, SORRENTINO (Ed. in Somalia, pp. 264-266)

D. RISERVATO S. n. Roma, 23 dicembre 1896. Il R. governo Le affida l'incarico di commissario straordinario di S. M. per il Benadir. L'autorità di Lei, per siffaito titolo, si estenderà sugli scali del Benadir e sul territorio interposto. La S. V. avrà, nella sua qualità di R. commissario straordinario, diretti rapporti col R. consolato generale in Zanzibar, ora retto interinalmente da

un ufficiale della regia marina. Sarà mia cura provvedere a che la S. V. sia annunciata e raccomandata, nella qualità di R. commissario straordinario di S. M., anche al governo di Zanzibar ed all'agente di S. M. Britannica presso quel governo.

L'amministrazione degli scali del Benadir è presentemente esercitata direttamente per conto del R. governo, a beneficio del quale vanno tutti gli introiti, mentre stanno a suo carico, sia tutte le spese di gestione, sia l'onere del canone di 120 mila rupie dovuto al Sultano di Zanzibar. Salvo eventi straordinari e le conseguenze di siffatti eventi, importa che alle spese di gestione ed al canone si faccia integralmente fronte con gli introiti e con lo stanziamento di lire

350.000 impostato in bilancio.

L'autorità italiana è rappresentata, nei tre scali principali del Benadir, da residenti da cui dipendono gli agenti locali. A Brava è residente il tenente di vascello Mamini; a Merca, il signor Trevis, già impiegato della ditta Filonardi; a Mogadiscio, il signor Dulio, officialmente designato dalla società milanese del Benadir. Al signor Dulio era stato provvisoriamente delegato l'ufficio di R. commissario.

Salvo ragioni che altrimenti La consiglino, sarà bene che Ella lasci sussistere, a tale riguardo, lo stato attuale di cose, ed anche in quanto concerne il signor Dulio, converrà che in considerazione della diretta rappresentanza, a lui spettante, degli interessi della società milanese, Ella gli mantenga, con la qualità di R. commissario civile, la sopraintendenza sulla intera gestione amministrativa degli scali.

La S. V. vorrà, del pari, considerare se si possano, come sembra, lasciare senza residenti, e affidati agli aghida rispettivi, i tre scali minori di Giumbo, Uarsceich e Itala.

Compito di Lei, quale R. commissario straordinario, sarà soprattutto quello di provvedere alla sicurezza e tranquillità della regione. Per tale intento, Le si attribuisce ogni più ampio potere, essendo a sua disposizione, sia le forze di mare presenti nei paraggi del Benadir, sia le forze di terra raccolte nei singoli scali.

La S. V. non ignora che agli ascari già in servizio sotto la precedente

amministrazione Filonardi si aggiungono ora 100 ascari reclutati a Zanzibar

dal signor Dulio, anche dopo il fatto del 28 novembre, per la sicurezza dell'in

tera colonia. V. E. dovrà, al suo giungere nel Benadir, mettersi sollecitamente

in grado di confermare, o rettificare, tale apprezzamento, riservandosi il R. go

verno di provvedere in base alle conclusioni di Lei. Su questo punto desidero

un pronto cenno telegrafico.

Il ministro della guerra consente che nella misura del bisogno, e fino a un

numero massimo di cento uomini, Ella possa assoldare definitivamente per conto

dell'amministrazione del Benadir quegli ascari dell'Eritrea che accettassero di

ivi rimanere stabilmente, essendo desiderio del R. governo che, entro il più

breve tempo possibile, rientrando in Massaua gli ufficiali e gli ascari non occor

renti per la sicurezza permanente degli scali, i presidi del Benadir abbiano assetto

proprio ed autonomo.

In quanto riflette la repressione della aggressione onde furono vittime il capitano Cecchi ed i suoi compagni, la S. V. che toccherà in primo luogo, giungendo al Benadir, lo scalo di Mogadiscio, vorrà rapidamente pigliare notizia degli accertamenti eseguiti e dei provvedimenti già presi. Vedrà la S. V. se altri colpevoli vi siano, oltre quelli già in nostro potere, sui quali si possa, senza nuovi rischi, mettere la mano. Esaminerà se altri provvedimenti repressivi, mercè gli uomini di cui Ella dispone, siano ancora possibili, ed esaminerà altresì, prima di tradurli in atto, se siano consentanei con quel criterio dj sicurezza che deve sopra ogni altro prevalere.

Se all'infuori dei provvedimenti repressivi ristretti entro la misura delle presenti possibilità, altri apparissero indispensabili per la nostra dignità e per la stessa sicurezza della colonia, importerà che Ella tosto me ne faccia preciso rapporto telegrafico, con la indicazione tassativa degli ulteriori mezzi occorrenti.

Rispetto all'eccidio del 26 novembre, gioverà, in ogni modo, che Ella tragga in luce quali ne furono le cause determinanti, e segnatamente se il fatto sia stato accidentale od isolato, o non si connetta, invece, con un movimento generale dell'elemento ind~geno contro la dominazione italiana.

Visitati gli scali del Benadir, e date le prime indispensabili disposizioni, la

S. V. procederà a Zanzibar, dove desidero che ella si metta tosto in cordiale comunicazione col governo del Sultano, rappresentato dal generale Mathews e con l'agente britannico. È indispensabile che con codesti funzionari Ella si trovi fin dal primo giorno, e costantemente si mantenga nei migliori rapporti.

II governo inglese ci fece officiosamente e confidenzialmente conoscere che alla pacificazione della nostra colonia, ed anche ad assicurare la presentazione e punizione dei colpevoli dell'eccidio, potrebbe giovare se la S. V. intrapendesse lungo la costa una specie di missione diplomatica accompagnandosi col commissario britannico, ed avendo anche un certo capo somalo che gode di grande influenza in quei paesi e che ora ha funzione di officiale politico presso il commissario britannico. Di questa proposta Ella potrà tenere parola, giungendo a Zanzibar, col rappresentante britannico. Se la cosa sembrerà veramente opportuna e praticamente vantaggiosa, La autorizzo fin d'ora a prendere a tal fine gli accordi necessari ed a tradurre in atto il progetto, purchè agli occhi degli indigeni riesca ben chiaro ed apparente che i due commissarii compiono, nel loro giro, un atto esprimente la reciproca amicizia e la solidarietà tra i due governi sulla parte di costa ad essi soggetta.

Queste che qui ho segnate sono le linee generali della missione che Le è affidata. Per i particolari Ella dovrà prender consiglio dalle circostanze, avendo bene in mente il concetto nostro fondamentale: desideriamo che nel Benadir si svolga una colonia d'indole commerciale e strettamente pacifica; vogliamo evitare che nel Benadir possano, per noi, prodursi complicazioni d'ordine politico o militare.

317

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2895. Berlino, 24 dicembre 1896, ore 17,22 (per. ore 19). Mi consta che Golucoschi (sic) piuttosto nervoso si duole attitudine Germania che sembra quasi disinteressata questione d'oriente. Non è a parer mio dis~n

teressata. Dimostra Germania bensì proposito deliberato non voler prendere od anche solo sembrar prendere partito per la Russia che fa proposte vaghe,

o per l' Inghilterra che si sospetta tenda misure estreme pericolose per pace europea. Da discorsi fattimi al dipartimento esteri, credo poter asserire che se Ambasciatori a Costantinopoli riuscissero formulare proposte ragionevoli con minimum di misura coercitiva, Germania vi si assoderebbe anche se dissenziente o riluttante Inghilterra; ma su iniziativa Germania non v'è da contare, nè credo convenga a noi o Austria Ungheria di prenderla.

318

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2897. Costantinopoli, 25 dicembre 1896, ore 3.

Ambasciatore d'Inghilterra venne jeri dirmi avergli le proposizioni di Nelidow fatto l'impressione che questi mirasse a dirigere nostra azione esclusivamente sulle riforme di Macedonia, col probabile intento di annullarne risultati finali. Osservai, che avendo Nelidow parlato simultaneamente dell'Anatolia, spettava a noi di fare che le due Commissioni da lui stesso proposte si mantenessero fra loro legate, adoperandoci inoltre per far conferire a entrambe mandato non solo consultivo, ma anche esecutivo, giacchè un effettivo controllo sulla amministrazione delle provincie eserciterebbe salutare influenza anche al palazzo, aggiunsi che del resto la proposta Nelidow non pregiudicava quella che ognuno di noi conservava piena facoltà di presentare.

Nella riunione di oggi Calice, dopo di aver fatte riserve circa merito regolamento discusso nel 1880 per la Macedonia, chiese quali mezzi di coercizione si adopererebbero qualora Sultano rifiutasse affidarne esecuzione ad una commissione europea, e segnalò pericoli che sarebbero creati alla monarchia austro-ungarica da una contestazione sulla questioni di Macedonia che provocherebbe agitazione quelle provincie, e potrebbe precipitare liquidazione impero ottomano in Europa. Concluse che dovevamo anzitutto occuparci delle riforme per l'Anatolia e dei rimedi al malcontento generale e dei pericoli da esso creati alla sicurezza delle colonie. Nelidow dichiarò che questione di eventuali coercizioni rimanendo riservata alle ulteriori decisioni dei Governi, gli ambasciatori non avevano per ora da occuparsene. Egli ammise poi che sua proposta era da lui intesa come semplice contributo al compito comune. Idee emesse fino ad ora solo vagamente dall'ambasciatore d'Inghilterra mirano principalmente alla limitazione dei poteri del Sultano. Calice disse doversi ricercare una riforma della polizia e procurare di esercitare influenza sulla scelta degli alti funzionari. Mi sono, per parte mia, associato a codesto concetto, proponendo di iscrivere fra i punti fondamentali ricerca qualche mezzo per assicurare regolare pagamento stipendi agli impiegati ed all'esercito. Ambasciatore di Germania appoggiò particolarmente quest'ultima proposta. Ambasciatore di Francia avendo insistito su necessità di un ordine regolare di discussione, abbiamo deciso di riunirei posdomani per stabilirlo. Si rimase frattanto intesi di astenerci da ogni comunicazione col Palazzo circa oggetto nostra deliberazione e venne convenuto di raccomandare ai rispettivi Governi massima discrezione riguardo queste informazioni che gli agenti ottomani all'estero cercano con qualunque modo di procurarsi.

319

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 2295. Roma, 25 dicembre 1896, ore 23. Anche il signor Billot è venuto ad appoggiare la domanda di proroga d'un mese per lo scambio delle ratifiche, facendo particolare appello al nostro buon volere. Non gli tacqui, dal canto mio, la sfavorevole impressione in noi prodotta da siffatta domanda. Constatai che fin dal 23 di questo mese l'E. V. era in grado, come Ella ha dichiarato, di procedere allo scambio delle ratifiche; e poichè, in ·quanto concerne l'altra parte contraente, a niuna riserva va subordinato l'obbligo di scambiare le ratifiche entro i tre mesi, manca, nel caso attuale, la sola ragione che in altri casi ha potuto addursi per legittimare una proroga. Aggiunsi che, non trattandosi di atto soggetto alla sanzione del Parlamento francese, io non potevo neppure contemplare l'ipotesi che da una eventuale discussione, nel Parlamento stesso, potesse sorgere l'idea di una modificazione qualsiasi degli accordi stipulati, e che in ogni modo, come io mi ero recisamente ricusato, di fronte a domande rivoltemi nella Giunta della Camera, a prestarmi ad un negoziato col Governo francese per modificazioni a quegli accordi, così non avrei giammai potuto consentire a modificazioni che ci fossero, per inverosimile ipotesi, chieste dal Governo francese. Ed ora, se, dopo le dichiarazioni di Lei, e le mie, circa i manifesti inconvenienti di una proroga, che non potrà avere altro risultato pratico all'infuori di incresciosi commenti, il Governo francese non recedesse dalla domanda, autorizzo V. E. a rispondere alla nota del signor Hanotaux con una nota esprimente questi concetti: «Il Governo del Re, dopo avere, nel più breve termine, sciolto la riserva di approvazione parlamentare che unicamente per l' Italia era stata stipulata, travasi in grado di scambiare, entro la data prestabilita del 28 dicembre, le ratifiche della Convenzione di Commercio e Navigazione, e del pari è in grado di scambiare quelle delle due altre convenzioni, rispetto alle quali, non esistendo per esse riserva alcuna, lo scambio avrebbe potuto, in quanto da noi dipende, avvenire anche prima su semplice richiesta del Governo francese. Di fronte alla attuale domanda di proroga, la motivazione della quale, riferendosi a rapporti interni tra il Governo francese e il suo Parlamento, sfugge al nostro apprezzamento, il Governo del Re non può non dar prova di quel buon volere e cui si fa espresso appello, e da cui non cessò mai di essere animato, essendo d'altronde ben inteso che l'indugio lascia intatte, nella loro pienezza, le obbligazioni reciprocamente contratte con le tre convenzioni ». Se, non potendosi ottenere la rinuncia alla domanda, emergesse dai discorsi di Hanotaux la possibilità di abbreviare la proroga, il vantaggio sarebbe assai apprezzabile, giovando quanto meno ad

accorciare il periodo delle supposizioni e ad escludere le supposizioni più arrischiate.

320

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2912. Parigi, 26 dicembre 1896, ore 21.

Ho rimesso ad Hanotaux la risposta relativa alla proroga del termine per le ratifiche. In essa sono espresse le riserve e le dichiarazioni indicate d'l V. E. e poche mie varianti delle quali spiego però con rapporto la ragione. Il protocollo di proroga porta che i sottoscritti, debitamente autorizzati, hanno accettato di prorogare alla data del 28 gennajo il termine preventivamente fissato per lo scambio delle ratifiche della Convenzione di commercio e navigazione relative alla Tunisia. Esso non contiene alcuna motivazione. Hanotaux ha fatto verbalmente le più ampie dichiarazioni di non avere in vista alcuna ipotesi di cambiamento nei patti stipulati. Se la Camera voless~ imporre una variazione, egli la ricuserebbe in modo assoluto. Qualunque domanda di variazione attacGherebbe intiero accordo e colpirebbe lui personalmente costringendolo a dimettersi. Egli mi ha dichiarato che il 12 gennajo, giorno della riunione del Parlamento, presenterà il « Libro Giallo ~; nel quale saranno pubblicate le convenzioni, ma non l'impegno nostro relativo alla ferrovia ed alla Posta e che, dopo trascorsi alcuni giorni, verso il 18 o il 20, se non saranno state proposte interpellanze, si potrà scambiare, senza più, le ratifiche. Nel caso qualcuno tentasse di impegnare un dibattimento sulle eventuali trattative commerciali, egli si rifiuterà di discutere. Il protocollo di proroga è in data domani. Siamo rimasti d'accordo che non si faccia alcuna pubblicità circa il medesimo. Nelle presenti vacanze nessuno penserà alle ratifiche e quando il pubblico sentirà che ne fu prorogato lo scambio, questo, o sarà avvenuto di già, o sarà imminente.

321

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

CA V V, fase. 68 Z/13)

L. P. Parigi, 30 dicembre 1896.

Consenta che seguendo l'uso antico Le auguri un anno meno tribolato di quello che sta per finire. Ottima fu l'impressione qui dei discorsi da Lei pronunciati alla Camera ed in Senato. Hanotaux parlandomene mi disse: « on a senti, dès que le Marquis Visconti est rentré au Gouvernement que Vous aviez enfin un Ministre des Affaires étrangères. Tous ses actes confirment cette opinion ~-Mi è dispiaciuto assai l'incidente della proroga delle ratifiche. Non dandovi pubblicità intempestiva forse passerà inosservato. Non mi mancherà, spero, la lena per proseguire nell'opera avviata di ristabilire in condizione normale i rapporti nostri con la Francia. Mi occorrerà ancora per l'avvenire, come mi occorse già in passato, tutto il benevole appoggio del Governo.

322.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 5j4. Berlino, 2 gennaio 1897. Il barone Marschall che aveva di nuovo dovuto prendere il letto potè ieri alzarsi, ma non ancora riprendere le sue ordinarie occupazioni. Credo però, ·giudicando dall'impressione personale ch'io ebbi nelle varie visite fattegli, avendomi egli cortesemente ricevuto anche quando era in letto, credo, dico, che nell'entrante settimana egli sarà in grado di ritornare al suo ufficio nel Dipartimento degli Affari Esteri. Anche il Cancelliere dell'Impero principe Hohenlohe, sebbene in ottima salute malgrado l'età avanzata, non si occupò gran che di affari nei giorni scorsi, e passò anzi una decina di giorni nei suoi possessi in Boemia. Ieri però egli si trovò a Berlino per i ricevimenti di capo d'anno. La attuale quiete politica che forse non è altro che la solita «trève del confiseurs » permetteva senza inconvenienti l'assenza dal loro posto di quei due alti funzionari. Circa gli affari d'oriente la Germania continuerà a mantenere la sua attL tudine di riserva, attitudine però nella quale in questi ultimi giorni si è manifestata una lieve modificazione, cui io già accennava nel mio telegramma del 24 dicembre u. s. (l) e che ora si è esplicata coll'ordine inviato all'Ambasciatore germanico a Costantinopoli di associarsi a tutte le proposte che ottenessero il

suffragio, non più di tutte le altre potenze, ma anche solo il suffragio della Russia, dell'Austria-Ungheria e Italia.

323

IL CONSOLE REGGENTE A ZANZIBAR, MARVASI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 16. Zanzibar, 4 gennaio 1897, ore 8,35. Comunico telgramma Dulio: «radunato consiglio difesa composto quattro comandanti, riconobbe forze attuali bastanti sicurezza Mogadiscio e dintorni, deliberò necessaria urgenza efficace repressione ribelli per futura sicurezza colonia; compiere sbarco truppe innanzi monsone sud-ovest, che comincerà maggio;

ammise opportuno estendere punizione sultanato Gheledi; approvò mio progetto circa sistema repressione, ritenendo necessario ogni evenienza 2000 ascari».

324.

IL CONSOLE REGGENTE A ZANZIBAR, MARVASI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 17. Zanzibar, 4 gennaio 1897, ore 8,35. Comunico telgramma Dulio: « Mamini giunto Lug 19 novembre senza incidenti. Giorno 15 passò distante quattro ore campo Amhara, stabilito località

della Ircurt; consegnò Ferrandi 67 ascari; rinforzo ripartito 25, giunse bene Brava 17 dicembre scortato 27 ascari. Mamini incontrato Lug spedizione inglese

Cavendish, partita Berbera con 90 fucili. Spedizione riposò cinque giorni, ripartì direttamente lago Rodolfo, poi Mombasa. Scopo apparente, confessato, spedizione era caccia. Mamini conferma Amhara ritirati Arussi causa perdite subite contro Rahanuin, timore rinforzi giunti Lug. Ferrandi possiede mezzi mantenere stazione tutto aprile; paese intorno Lug tranquillo. Ventotto giunse «Volta» sbarcato ascari, alloggiati case muratura. Tribù Mursala domanda pace; procuro ogni modo assopire sospetto ribelli stringere alleanza rimanenti tribù Somali, impedire coalizione. Confido colonia rimarrà tranquilla. Restanti stazioni stato normale ».

(l) Pubblicato al n. 317.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

L. P. CONFIDENZIALE Roma, 7 gennaio 1897.

Pochi giorni or sono, l'Ambasciatore d'Austria-Ungheria mi porgeva, confidenzialmente e verbalmente, per incarico avutone dal suo Governo, la seguente comunicazione: che, durante il suo soggiorno a Vienna, nella scorsa estate, il Re di Rumania aveva manifestato il pensiero che convenisse protrarre, per tutta la durata della triplice alleanza, l'alleanza stipulata tra la Rumania e l'AustriaUngheria con susseguente accessione della Germania e dell'Italia; che, tale pensiero essendo riuscito accetto all'Imperatore e Re, era stato firmato a Sinaja, nello scorso settembre, mentre S. M. I. e R. era ospite del Re Carlo, un protocollo mercè il quale il Trattato di alleanza del 25 luglio 1892 tra l'Austria-Ungheria e la Rumania sarà mantenuto in vigore fino al 25 luglio 1903; che, informata di tale stipulazione, la Germania si è già dichiarata pronta ad accedere, nel momento opportuno, e in ogni modo entro il 1899, al Trattato prorogato. Per migliore intelligenza, l'Ambasciatore mi lasciava, a titolo di pro-memoria strettamente confidenziale, copia del protocollo di proroga e di una Nota verbale contenente la dichiarazione del Governo Germanico.

Il Barone Pasetti concludeva la sua comunicazione chiedendomi, in nome

del suo Governo, se il Governo del Re sarebbe stato disposto ad accedere del

pari al Trattato d'alleanza per tal modo prorogato fino al 1903.

Dopo averne conferito col Presidente del Consiglio, e presi gli ordini di

S. M. il Re, ho risposto oggi all'Ambasciatore austro-ungarico, dichiarando che anche il R. Governo accederà al Trattato prorogato. I precisi termini della mia risposta, che fu verbale come verbale era stata la fattami domanda, risultano da un appunto scritto che, unicamente per studio di precisione, ne ho rilasciato all'Ambasciatore. In sostanza, noi accederemo al Trattato prorogato tosto che ci sarà data notizia della accessione Germanica, e la nostra accessione, da valere per tutta la durata del nostro Trattato di triplice alleanza, sarà concepita nei termini stessi del nostro Trattato di accessione presentemente vigente.

Per più esatta notizia di V. E., Le rimetto copia dei due documenti a me rimessi dal Barone Pasetti (l) e dello scritto contenente la mia risposta verbale.

ALLEGATO I.

PROTOCOLLO DI PROROGA AL TRATTATO AUSTRO-RUMENO (l)

(copia)

Secrète. Sinaja, le 18/30 septembre 1896. Les soussignés, munis des pleins-pouvoirs de Leurs Souverains, trouvés en bonne et due forme, prenant en considération les stipulations du traité d'alliance signé, le 25 Juillet 1892, entre l'Autriche-Hongrie et la Roumanie, et désireux de constater une fois de plus l'entente intime établie en prévision de certaines éventualités mentionnées dans ce traité, sont tombés d'accord sur ce qui suit: Bien que le traité, dont la durée a d'abord été fixée pour quatre ans, continue, en vertu de l'art. 5, d'une manière tacite, de garder sa valeur jusqu'au 25 Juillet 1899, les soussignés tiennent à déclarer, d'une manière formelle, que les engagements pris de part et d'autre resteront pleinement et entièrement en vigueur durant l'entière période de sept ans prévue par le dit traité. Convaincus des bons résultats obtenus par cette entente pour les intérets des deux parties contractantes, et voulant en assurer les bienfaits pour une période prolongée, les soussignés prennent l'engagement que le traité restera en vigueur, dans toutes ses parties, et dans toute sa teneur, jusqu'au 25 Juillet 1903. Il est bien entendu que le présent protocole, rédigé conformément aux pleinspouvoirs donnés par LL. MM. I'Empereur d'Autriche, Roi Apostolique de Hongrie, et le Roi de Roumanie, fait partie intégrante du traité d'alliance du 25 Juillet 1892.

D. Sturdza, m.p. Goluchowski, m. p.

ALLEGATO II.

COMUNICAZIONE VERBALE DI VISCONTI VENOSTA A PASETTI

(copia) [Roma, 7 gennaio 1897].

Le Gouvernement Royal d'Italie remercie le Gouvernement Impérial et Royal d'Autriche-Hongrie de lui avoir fait part que, par un protocole en date du 18/30 Septembre dernier, il a été convenu, entre les Cabinets de Vienne et de Bukarest, de maintenir en vigueur jusqu'au 25 .Tuillet 1903 le traité d'alliance entre les deux pays qui aurait du, d'après l'art. 5, prendre fin le 25 Juillet 1899, et que le Gouvernement Impérial d'Allemagne s'est, de son còté, déclaré pret, le moment venu, et en tout cas avant 1899, à accéder, dans la meme forme qu' auparavant, au traité prorogé.

A son tour, le Gouvernement Royal d'Italie, après avoir pris les ordres de S. M., déclare que, dès que l'accession du Gouvernement allemand lui serait notifiée, il stipulera, dans les memes termes de son traité d'accession actuellement en vigueur, un nouvel acte d'accession dont les effets se trouveraient ainsi maintenus pour toute la durée de son alliance avec ces deux Empires.

(l) Si omette la pubblicazione, fra gli allegati, della copia della nota verbale contenente la dichiarazione del governo germanico.

326

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 64. Parigi, 10 gennaio 1897, ore 12,01.

Hanotaux, al momento di dare alla stampa libro giallo relativo Tunisi, nel quale per l' Italia si trovano pubblicati soltanto i documenti deposti da V. E. davanti alla Camera, mi fa dire che egli rinunzia ad inserire nel libro stesso, la mia comunicazione del telegramma di V. E. relativo alla ferrovia ed alla posta

16 -Documenti diplomatici -Serie III -Vol. I

soltanto se io sono in grado di dargli l'assicurazione che la omissione della pubblicazione di quella comunicazione non potrà essere considerata come una rinunzia sua all'impegno da noi preso di sopprimere quell'ufficio postale tosto la ratifica del trattato di commercio. Hanotaux mi fa chiedere, nello stesso tempo se le nostre disposizioni sono prese per tale chiusura. Credo che sarebbe cosa utile il poter rispondergli seccamente in senso affermativo, senza impegnarci in altra discussione. Trattasi di cosa che deve essere fatta: meglio vale non indugiarci.

(l) Nota consegnata dal barone Pasetti al Visconti Venosta il 2 gennaio 1897.

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

T. RISERVATISSIMO 54. Roma, 10 gennaio 1897, ore 20.

R. Ambasciatore in Pietroburgo ha saputo da fonte sicura che nel Consiglio dell'Impero, appositamente radunato, l'Ambasciatore Nelidow aveva proposto l'eventuale occupazione di Costantinopoli con forze russe e la proposta, appoggiata da Chichkine, venne respinta con lieve maggioranza di cui fecero parte il Ministro Witte ed il Procuratore del Santo Sinodo. Desidererei sapere se V. E. crede possa esservi qualche connessione tra questo progetto abortito di occupazione russa e le proposte che Nelidow sembra voler caldeggiare per la sicurezza dell'Ambàsciata. Gradirei del pari, quantunque non sia intervenuta ancora in proposito una discussione formale, conoscere quali appariscano le idee dei suoi Colleghi circa gli eventuali provvedimenti di coercizione.

328

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/15)

L. P. Berlino, ZO gennaio 1897. Permetta ch'io La ringrazi vivamente per la Sua lettera partic<?lare del 31 dicembre (l) rimessami dal corriere di Gabinetto testè giunto qui. Le sono di cuore grato delle buone parole che Ella si compiacque rivolgermi e della continuata fiducia che mi esprime. Ciò m'incoraggia e n'ho bisogno! Ero persuaso che, dopo ch'io ebbi l'onore di vederla a Roma, non era avvenuto nessun cambiamento nella nostra politica basata sull'alleanza colle Potenze centrali e mantenimento, coltivazione delle buone relazioni colle altre Potenze; mi piace però sentirmelo confermato da Lei, mentre getta uno sguardo su quel che si è fatto negli ultimi tempi. Il lavoro compiuto da V. E., i risultati ottenuti non son pochi nè di lieve momento, ed io benedico il cielo che Ella siasi sobbarcata al grave compito di

dirigere la nostra politica estera. Non so dove saremmo ora se a mano meno esperta, meno prudente e destra fosse toccato maneggiare gli affari di Tunisi e

le quistioni d'Africa. Queste ultime non sono, purtroppo, ancora finite, ma la sag

gezza e il tatto di V. E. affidano tutti la soluzione avverrà senza scapito della di

gnità del Paese e della nostra forza militare in Europa. Qui in Germania, e credo

ovunque, la sagace condotta del R. Governo ci ha indubbiamente molto rilevati

nella stima pubblica, e sempre più guadagneremo dimostrando che sappiamo

raccoglierei, farci finanziariamente e militarmente forti per mantenere quella

posizione che ci spetta nel concerto delle Potenze.

È indubitato, come Ella osserva, che la parte secondaria della Triplice Alleanza nelle fasi· che ora attraversa la questione d'Oriente è dovuta alla politica passiva della Germania; è indubitato che questa politica passiva è dettata alla Germania dall'una parte dall'ombra di Banco di Bismarck, il quale da Friedrichsruhe esercita sempre una grande influenza sul Governo Imperiale che ne teme la disapprovazione e le sue conseguenze, sull'opinione pubblica, dal· l'altra parte da una diffidenza reale verso l'Inghilterra che si ritiene, e forse non a torto, desiderosa di affrettare una crisi che distolga la Russia dalle gravi questioni che si preparano nell'Estremo Oriente. Ma è parimente fuor di dubbio che quella politica passiva della Germania si è accentuata ancora più per servir di freno a noi e all'Austria, quando si vide che l'Austria e noi eravamo o sembravamo propensi a !asciarci trascinare a fare il giuoco dell'Inghilterra. Intanto sono avvenuti fra l'Inghilterra e la Germania screzi che purtroppo non si appianeranno sì presto e impediranno per molto tempo ancora fra quelle due Potenze quell'intesa cordiale che per noi tanto sarebbe desiderabile ed utile.

V. E., per fortuna nostra, ha alto senno politico e sa aspettare senza muovere inutili lagnanze, come fa spesso il Conte Goluchowski, il quale anzi si dispone, pare, a venirle a rinnovare qui personalmente, certo senza successo. Questi signori tedeschi han la testa dura, non mutano facilmente le loro idee, ed or~ che si son fatti in mente di dimostrare all'Inghilterra che non vogliono lavorar per essa in Oriente, non c'è da pensare di poter far loro cambiar strada. Essi però sono onesti, dell'Italia sono amici sinceri e quando il pericolo si presenti, quando a noi o all'Austria minacci serio danno, l'appoggio della Germania non ci verrà meno, conscia com'essa è degli obblighi suoi derivanti dalle allear.ze e anche del suo interesse di mantenere quegli obblighi.

Ora finalmente anche l'Inghilterra pare decisa a mantenersi unita alle altre Potenze per cercar di evitare lo sfacelo della Turchia. Nessuno s'illude che iJ lavoro che stanno compiendo a Costantinopoli i rappresentanti delle grandi Potenze possa risanare completamente il Gran Malato; però si guadagna tempo, si ritarda la crisi e tutti dobbiamo desiderare, dobbiamo adoprarci perchè il co::lcerto sì difficilmente ottenuto di tutte le Potenze non si rompa, la pace d'Europa essendo garantita a quella sola condizione.

Del resto, non bisogna credere che alla diffidenza che si nutre qui per l'Inghilterra faccia riscontro una fiducia illimitata nella Russia. Anche verso quest'ultima, pur facendole buon viso, la Germania non prenderà un'attitudine veramente decisa finchè non si sappia quale idea, quali correnti prevalgono a Pietroburgo ove manca tutt'ora un Ministro degli Esteri, manca tutt'ora una mente direttrice e agiscono, in senso opposto, influenze in mezzo alle quali il giovane Czar non sa prendere risoluzioni. Del Schischkin qui non si ha

alcuna stima e la probabile nomina di Mourawieff al Ministero degli Esteri, lascia gli animi molto perplessi.

Intanto qualche avance verso l'Inghilterra, se non dal Governo Imperiale, dall'Imperatore, che più di tutti desidera il ristabilimento di buone relazioni colla patria di sua madre, non è tralasciata. Senonchè S. M. non sceglie sempre la miglior via. Egli crede che la sola sua presenza a Londra basterebbe a cancellare ogni dissidio, ogni screzio, mentre questo ha origine in concorrenze commerciali e d'influenza coloniale (Africa del Sud) che non si facilmente si possono dissipare. Nell'estate scorsa S. M. voleva recarsi, come in passato, alle Regate di Cowes, ma ne fu sconsigliato, non potendosi garantire l'accoglienza che vi avrebbe avuto. Ora egli vorrebbe recarsi in Inghilterra per il Giubileo della Regina Vittoria, ma questa gli fece sapere che non desiderava aver teste coronate alle prossime feste!! Risposta che irritò molto S. M. attribuendola a consiglio di Salisbury.

Nella lettera alla quale rispondo V. E. esprime la speranza che in quest'anno lo Czar, come ne fece promessa il defunto Lobanoff, venga in Italia. Lo spero anch'io, ma credo anche che ciò non avverrà se non vi sarà a Pietroburgo, chi a ciò sappia decidere lo Czar, e non mi par probabile che Mourawieff, se sarà nominato Ministro degli Esteri, sia l'uomo a ciò indicato. E poichè parlo di visite di Sovrani mi permetto ricordare che, dopo che S. M. il Re venne a Berlino, l'Imperatore Guglielmo venne due volte in Italia, nel 1893 e 1896, e credo che la restituzione di una di quelle due visite sarebbe molto gradita. Ci conviene, sotto tutti i rapporti, che l'amicizia, che fin'ora ha esistito fra i due Sovrani, non subisca alcuna interruzione. Non sarebbe necessario che S. M. il Re venga qui in forma solennissima come l'ultima volta, ma sce~liesse un'occasione qualsiasi, le grandi manovre per es. come fece l'altr'anno l'Imperatore d'Austria, o la prossima inaugurazione del monumento a Guglielmo I in Berlino (22 marzo centenario della nascita del vecchio Imperatore), per la quale sono già annunziati Principi Esteri. Se su ciò S. M. il Re manifestasse qualche intenzione avrei bisogno di esserne informato in precedenza.

Il Barone Marschall è in congedo per salute. Ora egli trovasi a Lugano ed io spero vivamente che al suo ritorno egli possa riprendere le sue funzioni. Egli mi è amico sincero personale e con lui posso sempre parlare à creur ouvert quando sia necessario. Il Cancelliere non si occupa gran che di affari, di cui è spesso poco al corrente, e non prende certo iniziative. La sua attività si esplica solo..... nel tenere il posto e attutire gli attriti derivanti spesso dalla soverchia iniziativa del Sovrano, nel che dimostra una incontestabile destrezza diplomatica. A lungo però egli non potrà durare, stante l'avanzata sua età e sarà difficile trovargli un successore. Temo che col principe Hohenlohe uscirà allora anche d'ufficio il barone Marschall (l) se per un possibile revirement nelle idee dell'Imperatore che ora non gli è troppo favorevole, egli stesso non diventi Cancelliere dell'Impero. Tutto è possibile!

(l) Non pubblicata.

(l) La continuità della politica della Germania non subirà vere modificazìoni finchè a capo della sezione politica vi sarà il barone Holstein, di cui ebbi tante volte a far menzione in passato nel mio carteggio ufficiale e che occupa quel posto fin dal tempo di Bismarck. Il barone Holstein fu l'ispiratore di Caprivi, lo è di Hohenlohe e di Marschall e lo sarà di tutti i futuri Ministri finchè resterà in carica. (Nota del documento).

329

IL CONSOLE REGGENTE A ZANZIBAR, MARVASI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. URGENTE 73. Zanzibar, 11 gennaio 1897, ore 5,30 (per. ore 19,50).

Comunico telegramma Dulio: «Tutti Somali tranquilli, tranne piccola frazione che turbò alcuni giorni scali Merca, Brava. Continuano trattative Sultano Gheledi che domanda pace. Ritirati Amhara. Commercio interno rattivato ~.

330

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 70. Berlino, 11 gennaio 1897, ore 15,40.

Generale Frederich, antico mio Collega Parigi, ove esercita tuttora funzioni Agente militare, quantunque nominato Aiutante di campo generale dello Czar, fu stamane qui di passaggio di ritorno da Pietroburgo e mi assicurò nomina Muraveff a Ministro degli affari esteri come un fatto compiuto, che comparirà il primo dell'anno russo.

Schichkine passa a far parte del Consiglio dell'Impero. Muraveff che fu molti anni Consigliere Ambasciata Berlino, gode qui ooca simpatia, è tipo vero russo e lo si ritiene avverso Germania. La sua nomina è dovuta senza dubbio Imperatrice madre favorevole Francia e produrrà cattiva impressione Germania.

331

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 90. Parigi, 12 gennaio 1897, ore 16,55 (per. ore 19,50).

Hanotaux mi ha ripetuto oggi, a titolo confidenziale e con la preghiera che non se ne parli nei giornali, che nessuna trattativa esiste fra la Francia e la Russia per una cessione di territorio a quest'ultim~t in Africa. Egli soggiunge che a tempo opportuno sarà egli che ci dovrà pregare di far sapere alla Francia, a titolo di buon vicinato, le nostre intenzioni relative ai territori che costituiscono la nostra colonia. Mi riferisco in proposito alla mia lettera particolare del 10 (1).

332

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 105. Pietroburgo, 13 gennaio 1897, ore 16.

In conformità quanto ho segnalato col telegramma del 10 corrente (2), Conte Muraveff nominato Gerente Ministero degli affari esteri. Stamani egli assisteva nella sua nuova qualità al ricevimento di Capo d'anno.

(l) -Non pubblicata. (2) -Non pubblicato.
333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 103. Roma, 14 gennaio 1897, ore 18,30.

Il signor Hanotaux comprenderà, io credo, facilmente che per non crearci inutili imbarazzi, importa che la soppressione della nostra posta in Tunisia apparisca effetto non già di impegno preventivamente preso, ma dell'iniziativa della nostra Amministrazione postale. Mi sono già messo, a questo riguardo, in comunicazione col Collega Ministro delle Poste e dei Telegrafi e ritengo che, se non nella prima settimana, certo nella quindicina dopo lo scambio delle ratifiche, saremo in grado di proporre noi stessi la riunione della Commissione mista. Desidero che il signor Hanotaux sia ben persuaso del nostro fermo proposito di tradurre in atto con scrupolosa lealtà e colla massima sollecitudine tutto quello che per Tunisi è stato concordato tra i due Governi.

334

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/20)

L. P. Vienna, 18 gennaio 1897.

Riassumo in questa lettera, che consegno al corriere di Gabinetto, le ultime impressioni del conte Goluchowski, prima della sua partenza per Berlino. L'opera degli Ambasciatori a Costantinopoli non gli ispira troppa fiducia. Egli è sempre d'avviso che i punti capitali su cui le potenze dovrebbero mettersi d'accordo sono: l) obbligo reciproco di disinteresse; 2) accordo ben preciso sul principio della coercizione e sui modi di esercitarla eventualmente verso il Sultano.

Circa l'opera degli Ambasciatori, il conte Goluchowski, dividendo in ciò l'opinione di alcuni miei colleghi di qui, segnatamente dell'Ambasciatore di Russia, conte KapniSt, crede che essa abbia preso proporzioni eccessive e tali da rendere l'esecuzione del progetto, quando sia concordato e anche accettato dalle potenze, praticamente impossibile. Il voler rinnovare da capo a fondo l'edifizio dell'Impero ottomano, o per lo meno cangiarne i principali ordigni di Governo, è difatti un tentativo molto arrischiato che si urterà contro ostacoli che si possono prevedere insormontabili.

I Gabinetti Europei, trovandosi nell'imbarazzo, hanno lasciato ai propri ambasciatori a Costantinopoli l'incarico di cercare d'accordo gli spedienti atti ad impedire in Turchia insurrezioni e repressioni sanguinose. E questi, interpretando largamente la missione loro affidata, vanno studiando una specie di costituzione dell'Impero Ottomano. L'intento è lodevole, ma non sembra pratico. Più il tema si allarga, e più crescono le difficoltà sia per l'accordo dei Gabinetti, sia per l'accettazione del Sultano, sia per la possibilità dell'applicazione materiale. In sostanza di che si tratta? Si vuol impedire, che in seguito a spargi

..

mento di nuovo sangue cristiano, un'azione repulsiva si imponga ad una o più potenze, e che questa azione abbia per effetto la vera apertura della questione d'Oriente, e il conseguente dissidio delle potenze nelle risultanze della possibile dissoluzione dell'Impero turco in Europa. Il rimedio più urgente e più pratico sarebbe quello di provvedere alla tranquillità di Costantinopoli. L'esperienza ha mostrato che i torbidi delle provincie possono essere sedati senza mettere l'Europa in collisione. Anche la Macedonia si potrà tener tranquilla, se le potenze si mantengono d'accordo. Il pericolo vero è Costantinopoli; poichè se succede colà una insurrezione o un massacro, le flotte entreranno e allora incomincerà il pericolo vero. È dunque una questione di politica della Capitale. Ridotta a questi termini l'opera degli Ambasciatori, benchè pur sempre difficile, non è al di sopra delle forze umane, ed è praticamente possibile. A questo primo ed essenziale compito dovrebbero rivolgersi gli studi e gli sforzi delle rappresentanze delle potenze a Costantinopoli.

Benchè il conte Goluchowski partecipi a questo modo di vedere, tuttavia egli è di avviso che non convenga disturbare per ora l'opera degli Ambasciatori, nè scoraggiarli fin da principio. Bisogna !asciarli :fare. Il momento delle osservazioni verrà quando il loro progetto sarà formulato e sottomesso all'esame dei Gabinetti.

Goluchowski tornerà da Berlino mercoledì sera. Andrò a vederlo per conoscere le impressioni che avrà riportato dai suoi colloqui coll'Imperatore di Germania e col suo Cancelliere, e ve ne scriverò.

335

IL MINISTRO DEL TESORO, LUZZATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA 1 A V V, fase. 68 Z/24)

L. P. Roma, 21 gennaio 1897.

Finalmente ho tatto un sogno ed è che un Re amico, quello del Belgio, p. e., il cavaliere delle avventure africane pigliasse a coltura il nostro altipiano per certo numero di anni. È un amico, che non pesa e che sa colonizzare. Non mi sentirei umiliato. Vado a Venezia con questa speranza.

336

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 197. Berlino, 22 gennaio 1897, ore 17,25.

Jeri sera dopo il pranzo a Corte, cui sono annualmente invitati gli Ambasciatori, l'Imperatore s'intrattenne lungamente con me: volle fare ripetere per me marcie bersaglieri e degli alpini, che la musica aveva suonate durante il

pranzo; e, accennando fra l'altro alle voci, secondo le quali Inghilterra cerchi mettersi d'accordo con Russia sulla questione Egitto, mi espresse convinzione che la Russia, malgrado varie correnti che si agitano a Pietroburgo e la nomina di Muraveff a Ministro degli affari esteri non ·intraprenderà nulla di serio nell'Oriente Europeo. Ad ogni modo, soggiunse S. M. in tono significativo, se la Russia vorrà andare a Costantinopoli bisognerà che essa prima parli con noi, cioè, colla triplice alleanza. Avendo io osservato che non potevo dubitare dei riguardi del Governo Imperiale per gli interessi dei suoi alleati, S. M. mi ringraziò, e si espresse quindi in senso molto lusinghiero su V. E. e su Governo del Re per la saggia e prudente sua politica all'interno e all'estero.

337

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/20)

L. P. Vienna, 22 gennaio 1897.

In via strettamente confidenziale vi informo essermi stato supposto che sia intenzione del Governo francese di mandare fra qualche mese Billot a Londra e di destinare in sua vece a Roma il Barrère, che ora è a Berna. Ve ne informo perchè possiate fin d'ora esaminare se il cangiamento vi convenga o no, e agire in conseguenza. Courcelle deve rimanere a Londra, credo, fino a tutto marzo. Si ha quindi tempo a pensarci su. Secondo le mie informazioni, questo cangiamento è in contemplazione ma naturalmente nulla vi è di deciso.

338

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. CONFIDENZIALE Vienna, 23 gennaio 1897.

Segno ricevimento della lettera personale e confidenziale del 7 corrente (1), colla quale V. E. mi partecipa la comunicazione fattale da codesto Ambasciatore austro-ungarico circa la continuazione dell'alleanza stipulata tra l'AustriaUngheria e la Rumenia e l'accessione della Germania e dell'Italia, per tutta la durata della triplice alleanza. Ho confermato oggi verbalmente al conte Goluchowski la risposta data da V. E. al barone Pasetti. Il conte Goluchowski mi disse che aveva di già avuto dall'Ambasciatore Austro-Ungarico a Roma notizia di questa di Lei risposta affermativa, della quale egli prendeva atto con soddisfazione.

(l) Pubblicata al n. 325.

339

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/20)

L. P. Vienna, 23 gennaio 1897.

Ho visto oggi il conte Goluchowski, di ritorno da Berlino. Mi disse che era molto soddisfatto delle accoglienze avute, non meno che delle assicurazioni dategli dall'Imperatore Germanico della sua solida fedeltà alla triplice alleanza. Non credo che nelle conversazioni del Ministro Austro-Ungarico coll' Imperatore e coi suoi Ministri sia stato toccato il tema, non piacevole per nessuno, delle rivelazioni bismarkiane. Almeno il conte Goluchowski non me ne parlò. I discorsi, secondo ciò che questi mi disse, si sarebbero riferiti principalmente: alla Turchia, alle relazioni anglo-germaniche, all'alleanza francorussa. Rispetto alla Turchia il conte Goluchowski non udì nulla di ben nuovo a Berlino. In sostanza il Cancelliere Hohenlohe pensa assai più alla situazione interna della Prussia e della Germania, che alla Turchia. Il Ministro germanico degli affari esteri è in questo momento puramente nominale. E l'Imperatore col quale soltanto si potrebbe parlare seriamente delle questioni di politica estera, non può naturalmente lasciarsi interrogare in modo continuo dagli Ambasciatori presso di lui accreditati. L'opinione di Goluchowski è che il Gabinetto di Berlino non prenderà per gli affari di Oriente alcuna iniziativa,

· dichiarandosi pur sempre disposto a consentire a quanto sia combinato d'accordo con tutte le altre potenze. Però il conte Goluchowski avrebbe insistito perchè, quando il progetto degli ambasciatori a Costantinopoli sarà formulato, i Gabinetti delle tre potenze alleate ne facciano oggetto di esame speciale e di uno scambio di idee. In quanto spetta alle relazioni anglo-germaniche, il conte Goluchowski rilevò anche in questa occasione una grande difficoltà nel Governo Germanico verso l'Inghilterra. Voi ben conoscete le ragioni molteplici, più o meno reali, di tale diffidenza. Non istarò qui ad esporle. Vi dirò solo che il conte Goluchowski ha tentato di combatterle e farle diminuire, e si propone di continuare nell'opera di riavvicinare tra loro la Germania e l'Inghilterra, cogliendo ogni propizia occasione. Egli conta anche sulla vostra azione per arrivare a ciò. Naturalmente non si tratta di far pratiche immediate e speciali, sì a Londra che a Berlino. Egli anzi desiderava che non possa dirsi che il suo viaggio a Berlino ha segnato il punto di partenza di un'azione qualsiasi, in qualsiasi direzione. Ma desidera che voi non lasciate passare le propizie occasioni che potranno presentarsi per consigliare ai due Gabinetti di Berlino e di Londra un riavvicinamento che è di capitale importanza per i loro propri, come per i nostri interessi. Io dissi a Goluchowski che ve ne avrei scritto, e lo assicurai che le vostre idee in proposito concordavano con le sue, e che anche voi eravate convinto della necessità di avere con noi l'Inghilterra per gli affari del Mediterraneo. Secondo l'impressione portata da Goluchowski, a Berlino si fanno un po' d'illusione credendo che l'alleanza francese-russa abbia perduto in questi ultimi tempi un po' della sua intensità. Goluchowski crede che in ciò non vi fu alcun cambiamento notevole, e vede nella nomina di Mourawieff la continuazione della politica russa, e dall'accoglienza fatta in Francia a quella nomina egli argomenta che gli amori russi della Repubblica francese non sono prossimi a raffreddarsi.

340

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

T. 204. Roma, 25 gennaio 1897, ore 17.

L'Ambasciatore di Turchia mi ha fatto verbalmente la comunicazione che qui riassumo: la Sublime Porta sa che gli Ambasciatori si riuniscono per formulare proposte di mutamenti da introdursi nell'Impero ed ha ragione di credere che tali proposte possano toccare materie riservate ai diritti sovrani del Governo imperiale. Il Sultano, prevenendo il voto delle Potenze ha già adottato e sta attuando le riforme che ha giudicato necessarie. Manca adunque lo scopo delle riunioni degli Ambasciatori. La Sublime Porta si rivolge, con spirito amichevole, ai Governi acciocchè, se hanno particolari suggerimenti da dare, vogliano indicarli, ma nel tempo stesso esprime il desiderio che non siano continuate le riunioni degli Ambasciatori il cui risultato potrebbe esser.e un pericoloso eccitamento nella pubblica opinione. Ho risposto all'Ambasciatore in questi termini: Le grandi Potenze si sono messe d'accordo per affidare ai loro Ambasciatori a Costantinopoli l'incarico di esaminare quali misure e quali riforme necessarie debbano essere proposte alla Porta allo scopo di migliorare la situazione interna dell'Impero e di assicurare la conservazione dell'ordine. Questo è l'oggetto delle riunioni attuali degli Ambasciatori. Non potevo quindi che esortare vivamente il Governo del Sultano ad attendere con fiducia e ad accogliere a suo tempo le proposte che le Potenze saranno per fargli conoscere, e soprattutto a considerare le gravi conseguenze alle Quali si sarebbe esposto non ascoltando i consigli unanimi dell'Europa.

341

IL GOVERNATORE DI MASSAUA, VALLERIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 308. Massaua, 31 gennaio 1897, ore 5,45·(per. o1·e 19,45).

Venti corrente, nave da guerra russa approdò Obok. Comandante russo avrebbe conferito con Sultano Raheita in località sud di Obok e discusso cessione tratto costa da Obok a Ras Snithiar, o da Obok a Ras Dumeirah, contro compenso pecuniario Russia. Tornerebbero fra qualche giorno Obok con due navi da guerra. Poichè tratto costa Ras Dumeirah, Ras Snithiar trovasi entro nostra zona influenza, ne informo V. E., e darò ulteriori informazioni appena possibile.

342

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 306. Berlino, 31 gennaio 1897, ore 14,56.

Jeri sera é giunto Moravieff (sic) e questa sera dopo pranzo partirà per Kiel per udienza presso S. M. Sarà di ritorno domattina per ripartire subito per Pietroburgo. Ebbi occasione di vederlo in circolo intimo Ambasciata Russia. Mi espresse vivo desiderio Czar e suo, non solo mantenere buone ma cordiali ed intime relazioni fra la Russia e l'Italia facendo dimenticare dissapori dello scorso anno dovuti, secondo suo parere, a malinteso. Disse che nel suo recente rapporto allo Czar capo missione croce rossa in Abissinia erasi espresso in termini molto lusinghieri su Nerazzini e nostri prigionieri. Passando a questione generale mi dichiarò suo fermo proposito non voler fare politica di avventure, ma procedere possibilmente in pieno accordo colle potenze tutte, mantenendo in Oriente inalterato il principio dello statu quo e nessuna azione separata. Avrò occasione riferire dettagli al ritorno Morawieff da Kiel; su comunicazioni a questo Governo e impressione.

343

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL GOVERNATORE DI MASSAUA, VALLERIS

T. 261. Roma, l febbraio 1897, ore 12,45.

Ricevo telegramma circa negoziati tra i russi e il Sultano di Raheita. Chiarirò tosto la cosa a Parigi e a Pietroburgo. Intanto sarà bene che Ella mandi il «Veniero », se è disponibile allo scalo di Raheita con istruzione al comandante di rammentare al Sultano i suoi obblighi in base al trattato del 20 settembre 1880.

344

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 316. Parigi, l febbraio 1897, ore 16,30.

Quando parlai con questo Ministro degli affari esteri della eventuale cessione di territorio alla Russia, questo Ministro degli affari esteri mi disse che il Sultanato di Raheita è situato in parte a nord e in parte a sud del Ras Dumeira, ritenuto conto (sic) delimitazione fra Italia e la Francia sulla riva del Mare. La cessione fattaci dal Sultano non potrebbe quindi in ogni caso, comprendere la parte del suo dominio incluso nella zona francese, e mi sembra che se io dessi a questo Ministro degli affari esteri motivo di riservarsi i diritti francesi sopra l'anzidetta parte del Sultanato, si complicherebbe inutilmente

la questione.

345

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 332. Parigi, 2 febbraio 1897, ore 15,30.

Questo Ministro degli affari esteri si dimostrò molto sorpreso delle notizie relative all'approdo del bastimento da guerra russo e delle trattative col Sultano di Raheita a Obok. Egli aveva jeri ricevuto da quel possedimento francese notizie telegrafiche, nelle quali nessun cenno esiste di un fatto che certamente avrebbe dovuto essergli notificato da quella autorità coloniale. Nei colloqui recentemente avuti con Muraview egli aveva avuto le assicurazioni che la Russia nulla desiderava di avere, nè nella zona francese, nè in prossimità della medesima nel Golfo di Aden. Nè dalle informazioni provenienti dai luoghi, nè da quelle che le relazioni diplomatiche gli forniscono, questo Ministro degli affari esteri è indotto a credere fondate notizie da me recate; egli tuttavia ne prendeva nota per informarsi meglio. Avendo poi io ricordato il trattato del 1880, Hanotaux replicò tosto che credeva che il Sultano avesse un trattato colla Francia e che nell'accordo negoziato coll'Italia e la Francia, non firmato, era stato stabilito come punto di delimitazione fra i possedimenti dei due paesi Ras Dumeira. Nel tempo stesso questo Ministro degli affari esteri mi disse che Lagarde aveva annunciato la conclusione con Makonnen di una convenzione di buon vicinato relativa alle relazioni commerciali, doganali, telegrafiche etc. etc. Egli mi pregava però, di far conoscere questa notizia a V. E. in via privata e confidenziale.

346

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 329. Berlino, 2 febbraio 1897, ore 17,07.

Jeri sera, appena tornato da Kiel, Muraview è partito per Pietroburgo. Impressione lasciata qui è buona; egli si dichiarò, come già fece accorgere, alieno da ogni politica di avventura, desideroso di mantenere accordo colle Potenze e procedere anche in piena armonia con Austria Ungheria. Lasciò però trapelare diffidenza verso Inghilterra e non completo accordo con Hanotaux; dichiarò ripetutamente che la Russia non favorirà mai tendenze chauvinismo francese; confessò confidenzialmente che il suo governo aveva commesso errori verso noi nella questione abissina, errori dei quali egli contava far sparire traccie. Disse che, tanto a Parigi quanto qui, aveva tenuto a rappresentante Turchia linguaggio molto severo, insistendo su necessità che la Porta accolga proposte riforme, che stanno elaborando Ambasciatori; e sperava che quel suo linguaggio abbia effetto favorevole senza che occorrano misure coercitive, alle quali egli non sembra troppo propenso. L'accoglienza, fatta qui ed a Kiel, a Muraview fu gentile e dignitosa. Jeri sera, quando lo salutai alla stazione, egli mi è sembrato soddisfatto e pieno di fiducia nella delicata missione che d'ora innanzi gli incombe.

347

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 346. Pietroburgo, 3 febbraio 1897, ore 5,12 (per. ore 19,25).

Dalle indagini confidenziali già da me praticate intorno nuovo incidente Raheita, pare che realmente si voglia acquistare una località (?) da quel Sultano. I negoziati sarebbero condotti a Obok dal Capitano di fregata « Du Bosson », quello stesso che si recò l'anno passato a Tolone ed a Biserta, e che fu appunto nominato recentemente ajutante di bandiera della squadra del Mediterraneo.

Secondo le informazioni pervenutemi, sembra che, imitando il precedente dell'antica Compagnia Rubattino, la compra figurerebbe fatta dalla cosiddetta flotta patriottica, più precisamente volontaria russa, la quale dipende bensì dal Ministero della Marina, ma non riveste carattere ufficiale. A questo proposito è degno di nota l'annunzio comparso pochi giorni fà, che il Governo russo aveva accordato alla medesima un sussidio di 600.000 rubli.

348

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 310. Roma, 4 febbraio 1897, ore 2.3,5().

Dai telegrammi di Lei circa l'affare di Raheita traggo la conclusione che a noi soprattutto conviene chiarire la situazione addivenendo al più presto possibile con la Francia ad una formale delimitazione almeno sulla costa. La prego di farne la proposta al Sig. Hanotaux; dichiarando che, come nel 1891, anche oggi siamo disposti ad accettare Ras Dumeira come punto di demarcazione sulla costa, salvo ad intenderei per la delimitazione interna tostochè avremo definito con Menelik la questione dei rispettivi confini.

349

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL GOVERNATORE DI MASSAUA, VALLERIS

T. 311. Roma, 4 febbraio 1897, ore 24.

Sarà bene che fino a nuovo ordine il « Veniero » rimanga nei paraggi di Raheita e di Ras Dumeira per opportuna affermazione dei nostri incontestabili diritti.

2S3

350

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 375. Pietroburgo, 5 febbraio 1897, ore 13,50.

Il più presto che io possa vedere questo Ministro degli affari esteri sarà domani; intanto mi risulta pienamente confermata notizia particolare assunta e da me telegrafata circa vedute dei russi a Raheita. Aggiungo ora essere giunto a cognizione mia che pel momento s'intenderebbe dibattere soltanto la questione del prezzo della località da acquistare da quel Sultano, riservando a più tardi, quando tutto sia fissato, di porsi in regola col Governo del Re, dal quale non si aspetterebbero difficoltà.

Siccome quasi certamente Ministro affari esteri mi risponderà che non ne sa nulla, sia o no vera asserzione, e che mi domanderà tempo ad assumere infor· mazioni dai dicasteri competenti, V. E. potrà, se lo crede, telegrafarmi le sue istruzioni per mia norma eventuale.

351

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

T. P. 319. Roma, 5 febbraio 1897, ore 19,10.

Il dispaccio che circa Cassala Le è recato dal corriere di Gabinetto esprime schiettamente il nostro pensiero, ed io non ho difficoltà, se Lord Salisbury ne mostra il desiderio, che V. E. gliene lasci copia a titolo verbale e confidenziale. Però desidero ben chiarire a V. E. perchè faccia ben intendere a Lord Salisbury lo spirito della nostra comunicazione. Questa non ha punto lo scopo di far sentire, sotto frasi cortesi, a Lord Salisbury che noi abbiamo preso la risoluzione di sgombrare Cassala. Tale risoluzione non è presa, nè potrebbe essere presa oggi mentre ci troviamo noi stessi di fronte ad una invasione Mahdista. Noi vogliamo in ogni modo agire coerentemente alla nostra politica di amicizia e di accordo con l'Inghilterra. È quindi naturale il nostro desiderio di avere uno scambio d'idee sopra argomento intorno al quale non potrebbe oramai continuare l'assoluto silenzio del governo inglese verso di noi come se fosse cosa che reciprocamente non ci interessi. Innanzi tutto il Governo inglese, facendoci conoscere le sue intenzioni. intorno alla spedizione di Cartoum, potrebbe manifestarci l'animo suo rispetto alla nostra posizione a Cassala in quanto le eventuali nostre risoluzioni a tale riguardo si connettano con l'attuazione dei suoi disegni nell'alta valle del Nilo. Poi questo primo scambio di idee potrebbe essere seguito, tra i due Governi, da comunicazioni atte a meglio chiarirci a vicenda per i procedimenti ulteriori.

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO (A V V, fase. 68 Z/21)

L. P. RISERVATA Roma, 5 febbraio 1897.

I telegrammi di questi ultimi giorni l'hanno informata intorno all'avanzata dei Dervisci nella nostra Colonia.

I Dervisci di Ghedaref, rinforzati, secondo ogni probabilità, da altri corpi venuti da Ondurman e con una forza complessiva di circa 7000 uomini, dopo avere attraversato il paese di Baza, passarono il Gasc; avanzando con rapidità verso Agordat. Il rapido concentramento delle nostre forze ad Agodart obbligò il grosso dei Dervisci ad arrestarsi alle acque di Amideb dove si trincerarono fortemente. Veduta l'impossibilità di continuare il loro movimento offensivo, il giorno 27, si posero in ritirata, inseguiti dai nostri. Ora l'intero corpo dei Dervisci trovasi a ..... sempre in contatto colle nostre truppe avanzate.

Noi non possiamo sapere finora se i Dervisci, come sembra probabile, abbandonano la loro impresa, oppure se tenteranno di riprendere, in numero maggiore, il loro movimento, e non è neppure completamente escluso che essi possano pure piegare verso Cassala. Ad ogni modo, noi provvederemo colle nostre forze a respingerli e confidiamo che gli avvenimenti non assumeranno una eccezionale gravità. •

Questi avvenimenti hanno però richiamata troppo vivamente la pubblica attenzione sulla situazione attuale dell'Italia a Cassala, perchè mi sembri possibile di protrarre più a lungo, tra il Governo inglese e l'italiano, il silenzio su uno stato di cose nel quale essi sono egualmente interessati.

Cassala fu occupata coll'assenso dell'Inghilterra, nel pensiero che l'avere questo posto avanzato nelle nostre mani avrebbe protetto la colonia dalle scorrerie dei Dervisci.

L'esperienza ha dimostrato che questo scopo non è raggiunto e lo dimostra oggi più che mai, poichè i dervisci hanno girato Cassala e il concentramento della nostra difesa ha dovuto compiersi intorno ad Agordat. Quando, dopo gli eventi sfortunati dell'anno scorso, il generale Baldissera prese il comando della Colonia, egli non tardò a proporre, per considerazioni militari, l'abbandono di Cassala.

La spedizione intrapresa dalle truppe anglo-egiziane su Dongola fece allora sospendere ogni deliberazione. Il Governo italiano decise di tenere Cassala almeno sinchè durava la spedizione, poichè l'abbandonarla ai Dervisci in quelle circostanze ci sembrava contrario alla solidarietà di interessi tra l'Italla e l'Inghilterra di cui la spedizione stessa era una prova.

Sinchè la spedizione condotta così felicemente dal generale Kitchener fu sul periodo delle sue operazioni attive, essa esercitò una diversione che fu certamente utile a rendere più tranquille le condizioni di Cassala. Ma una volta occupata stabilmente e sinchè dura colà la sosta delle armi anglo-egiziane è naturale che l'attività dei Dervisci si trovi respinta verso l'oriente del Sudan e i posti avanzati della nostra Colonia.

Ma non è tanto di queste difficoltà, probabilmente transitorie, che noi ci preoccupiamo, quanto della questione stessa della nostra presenza a Cassala in relazione al futuro ordinamento della nostra Colonia.

Noi abbiamo concluso col Re Menelik un trattato di pace che avrà, tra qualche mese, il suo compimento con una delimitazione definitiva dei confini, intorno a cui non crediamo che possano sorgere delle serie difficoltà. Assicurata, per tal modo, la tranquillità verso la frontiera abissina, il Governo è oramai nell'obbligo di esporre al paese quale è la politica che esso intende di seguire in Africa. Esso è chiamato a risolvere il non facile problema del dare al nostro possedimento africano un assetto che sia in qualche relazione coi vantaggi che se ne possono trarre e cogli interessi reali dell'Italia. Questo assetto deve essere tale da non imporre allo Stato dei sacrifici e degli oneri non giustificabili e da non paralizzare, in qualsiasi eventualità, la libera disposizione delle nostre forze difensive. Ora, se questi due scopi si vogliono raggiungere, noi dovremo, in ogni caso, adottare una soluzione che ci permetta di trasformare e di ridurre, in modo notevole, il carattere e le proporzioni presenti della nostra occupazione militare.

Da questo punto di vista, l'occupazione di Cassala offre, certo, delle grandi difficoltà. Un inconveniente inseparabile da questa occupazione è quello della sua grande distanza dalla nostra base d'operazione. Cassala è lontana da Massaua quattrocento chilometri per una lunga linea che può essere interrotta e, quindi, è necessario che essa sia fortificata e approvvigionata per un presidio autonomo durante tutta l'epoca dell'anno che i~tercede tra una piena e l'altra dell'Atbara. Sinchè Cassala fa parte della Colonia la sistemazione militare che potremo dare al nostro possesso rimane subordinata alla difesa di questo suo punto estremo. Anzi sono quasi necessari due sistemazioni militari di cui l'una ha per obiettivo Massaua e l'altipiano e l'altra la protezione di Cassala.

Di più, Ella sa, signor Ambasciatore, in quali condizioni internazionali

noi occupiamo Cassala. Col protocollo del 15 aprile 1891, l'Italia si è obbligata

a restituirla all'Egitto, quando ciò sia richiesto da ragioni militari o quando

l'ordine sia ristabilito nella regione sudanese. Noi non mettiamo in dubbio gli

impegni presi, nè il loro adempimento. Ma è naturale che la considerazione

degli oneri finanziari e militari dell'occupazione di Cassala non si scompagni,

nel pensiero nostro, dalla considerazione del suo carattere temporaneo e precario.

Il governo italiano non ha ancora preso alcuna deliberazione definitiva;

innanzi tutto desidera conoscere in quali condizioni sarà chiamato a prendere

tale decisione per quanto riflette le attinenze fra questa questione e le nostre

relazioni col Governo Britannico. Fu questo sul passato, come lo è nel presente,

uno dei principali criteri che guidarono e guideranno la nostra condotta rispetto

alla occupazione di Cassala.

La prego dunque, signor Ambasciatore, di cogliere un'occasione per avere

con lord Salisbury un colloquio sull'argomento. In questo colloquio Ella vorrà

esporgli le ragioni che, per una futura e normale organizzazione della nostra

colonia, ci farebbero propendere per l'abbandono di Cassala, ma nel tempo

stesso gli farà conoscere il nostro proposito di non adottare alcuna riduzione

senza una previa intelligenza col Governo Britannico. Se la nostra occupazione

dovesse cessare, noi intendiamo che ciò avvenga in condizioni per le quali la nostra riduzione non sia, nè appaia un abbandono della nostra politica di accordo e di solidarietà coll'Inghilterra. Ella vorrà quindi conoscere quali sono le vedute del Governo Britannico e quali sono le sue intenzioni per quanto riguarda la spedizione di Khartum.

Il di lei colloquio con lord Salisbury deve avere il carattere non di una comunicazione formale, ma di un cambio di idee ed ella sarà l'interprete fedele degli intendimenti del Governo ispirando il suo linguaggio a quei sentimenti di cordiale amicizia che esistono fra i due Governi e i due Paesi e alla comunanza dei loro interessi.

353

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 406. Parigi, 7 febbraio 1897, ore 12,20. Ho presentito in una conversazione non formale Hanotaux circa determinazione di Ras Dumeira come punto delimitazione alla costa. Questo Ministro affari esteri mi disse che egli non domanda di meglio che intendersi con noi, ma che una considerazione lo tratterrebbe dal rendere definitiva la delimitazione alla costa preparata nel 1891, e ritenuta poi come confine praticamente osservato dalle due parti. Accettando Ras Dumeira la Francia aveva abbandonato le sue ragioni antiche sopra altri punti della costa nord di quella località; egli non ha attualmente alcuna intenzione di rivendicare quelle ragioni in confronto coll'Italia, se questa si mantiene nella sua colonia, ma le intenzioni dell'Italia non gli sono note, e, se dopo di avere delimitato col Governo italiano, che ama di avere per vicino, si dovesse invece trovare, in conseguenza di una nostra cessione, di avere per vicini inglesi, egli avrebbe commesso il gravissimo errore di soffocare la piccola c0lonia di Obok in mezzo ai possessi inglesi, ed in tal caso si capirebbe che egli dovrebbe preferire làsciare indeterminato il punto di confine, non pregiudicando, con accordo definitivo, le questioni territoriali, e favorendo piuttosto l'occupazione dei russi che una nuova occupazione inglese. Ho preso appuntamento con Hanotaux per martedì prossimo alle quattro per parlare di questo affare. Prego dirmi se siamo disposti a prevedere nelle trattative di delimitazione la riserva di altro accordo con la Francia in caso di

nostra evacuazione della Colonia Eritrea. Sopra questo punto Hanotaux insisterà certamente.

354. L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA CA V V, fase. 68 Z/14)

L. P. RISERVATA Londra, 7 febbraio 1897.

Quasi contemporaneamente all'arrivo del suo dispaccio e dei suoi telegrammi concernenti Kassala (l) alla camera dei Comuni aveva luogo una viva

17 - Documenti diplomatici -Serie III -Vol. I

discussione sulla campagna di Dongola e sui progetti ulteriori del Governo della Regina rispetto al Sudan.

Il Cancelliere dello Scacchiere fu molto reciso nel respingere gli attacchi dell'opposizione e nell'affermare l'intenzione di proseguire la campagna contro i Dervisci. Affermò essere primo obiettivo dell'esercito anglo-egiziano di raggiungere ed anche oltrepassare Abu Hamed e che questo punto sarebbe congiunto a Wadi Haifa con una ferrovia attraverso il deserto. Sono appunto queste esplicite dichiarazioni che mi indussero a telegrafare ieri mattina a V. E.

È evidente che, stando così le cose, non è lontano il momento in cui le truppe anglo-egiziane potranno entrare nella sfera di azione di Kassala. Il Nilo da Abu Hamed verso Berber e verso il confluente dell'Atbara potrà essere rifornito con battelli a vapore e quindi, per non essere tagliati fuori, i Dervisci dovranno sgombrare la regione prossima a Kassala, la quale così potrà essere mantenuta senza sacrifi.zi e senza pericoli. Checchè ne sia, mi sembra che, prendendo le mosse dalla discussione parlamentare di venerdì scorso, sia possibile di iniziare col Foreign Office uno scambio preliminare di idee senza forse andare troppo oltre nel manifestare i nostri intendimenti. Da colloquio di alcuni mesi addietro con Lord Salisbury ho capito che a questo Governo interesserebbe che fosse conservata Kassala fino al momento, almeno, in cui le forze angloegiziane raggiungessero la imboccatura dell'Atbara nel Nilo. Allora essi rimarebbero ad un tempo padroni della direttrice su Suakin e di quella su Kassala. Suppongo che Lord Salisbury persisterà in tale pensiero. Se tale ordine di idee fosse comune ai due Governi allora in un tempo relativamente breve gli italiani e gli inglesi si darebbero la mano sull'Atbara. In tal caso l'abbandono di Kassala da parte nostra non avrebbe nulla di contrario al nostro prestigio, nulla di contrario agli interessi dell'esercito anglo-egiziano e non contribuirebbe più a rialzare il morale dei Dervisci. Inversamente se ci convenisse la conservazione di Kassala, nelle circostanze sopraindicate la sua occupazione sarà scevra di pericoli. Ad ogni modo fra due o tre giorni vedrò Lord Salisbury.

(l) Cfr. i nn. 351 e 352.

355

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 420. Berlino, 8 febbraio 1897, ore 17,08. Comunicazione ellenica, di cui tratta il telegramma di V. E. in data jersera (1), fu pure jeri fatta qui da Ministro di Grecia, ma per iscritto. Barone Marshall non vi ha risposto, nè vi risponderà. Egli ascrive a Grecia attuali moti Creta e le attribisce grave colpa oltre il danno fatto suoi creditori, di mettere ora, con quei moti, bastone nelle ruote in questione orientale, che era in buona

via, mediante intesa grandi Potenze. Governo imperiale non è certo disposto a far nulla in favore Grecia, e non sarebbe spiacente se qualche Potenza pren

desse iniziativa ingiungere a Grecia allontanare sue navi da guerra inviate Canea. Intanto, per dimostrare pieno accordo Potenze, e sebbene siano in Creta pochissimi tedeschi, Imperatore ha ordinato partenza oggi da Wilemmhafen incrociatore «Kaiserina Augusta», che si calcola sarà Canea fra dieci giorni. Qui si teme molto che, fomentati anche da Bulgaria, moti si estendano Macedonia.

(l) Non pubblicato.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 354. Roma, 8 febbraio 1897, ore 20,25.

Benchè l'eventualità di cui Hanotaux si preoccupa sia all'infuori delle attuali previsioni, non possiamo naturalmente eccepire contro il desiderio suo di premunirsene. Però, trattandosi di riserva esclusivamente unilaterale dal momento che da parte nostra non abbiamo interesse di fare altrettanto, mi sembra che essa non potrebbe convenientemente figurare nel protocollo di delimitazione e dovrebbe invece risultare da un documento separato e segreto, come sarebbe ad esempio una nota di Lei, nella quale la formola sostanziale potrebbe essere questa: « Nous n'avons aucune difficulté de reconnaitre que le présent arrangement a été fait eri vue de notre situation actuelle en Erytrée, et que par conséquent il cesserait d'etre en vigueur le jour où nos convenances nous décideraient à abandonner les territoires contigus aux possessions françaises ». Confido che in questo modo possa senz'altro procedersi all'accordo di delimitazione nel senso del precedente mio telegramma. La cosa urge perchè, non ostante l'ignoranza in cui sono Hanotaux e Mouraview; qualche progetto russo potrebbe tuttavia esistere nelle sfere non ufficiali ed a noi preme di avere una situazione netta prima che un siffatto progetto entri nella fase della esecuzione. La delimitazione sarebbe in forma di accordo preliminare secondo il tracciato indicato nel dispaccio ministeriale 25 maggio 1891 a codesta Ambasciata da Ras Dumeira fino a sessanta chilometri dalla costa, salvo a completare tale delimitazione quando noi avremo compiuto con Menelik la reciproca confinazione. Il predetto tracciato è quello che il Signor Billot dichiarava di accettare in nome del Governo francese e per quanto concerne il tratto da delimitarsi ora consiste in una linea dirigentesi al lago Assai.

357

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 360. Roma, 9 febbraio 1897, ore 12,15.

Circa la posta italiana in Tunisia ho telegrafato al R. Agente di proporre alla Residenza la costituzione di una Commissione mista per concordare le modalità del suo passaggio all'Amministrazione locale.

358

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI

T. 363. Roma, 9 febbraio 1897, ore 14,50.

Il Comandante della Cannoniera «Veniero » telegrafa da Assab sembra nave da guerra russa arriverà giorno 20 nei paraggi di Raheita, e chiede istruzioni. Non potendo dopo le dichiarazioni di Muraview credere che eventualmente trattisi di progettata occupazione, ho telegrafato al Comandante del «Veniero » nei seguenti termini: «Avvicinandosi legno estero faccia alzare bandiera italiana Raheita e a Ras Dumeira. Sbarcando uomini od ufficiali al di qua di Ras Dumeira avverta essere territorio a noi soggetto. Se infine si volesse procedere al di qua di Ras Dumeira a sbarco di armi e ad occupazione, Ella deve opporsi ed in caso di impossibile resistenza protestare» (1). Quanto precede è per notizia di Lei. Però desidero che Ella abbia prossima occasione di far conoscere a codesto Governo, sotto la forma che crederà più opportuna, la necessità in cui ci troveremo di non ammettere un'occupazione del territorio indubitatamente nostro.

359

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 450. Parigi, 9 febbraio 1897, ore 20,30.

Ho avuto colloquio con Hanotaux circa affare di delimitazione. Ho spedito rapporto col corriere di gabinetto partito or ora per Roma. Questo Ministro degli affari esteri pare avere preso Pietroburgo delle precauzioni per impedire una sorpresa da parte della Russia, ciò che escluderebbe la somma urgenza della trattativa che presenta tuttavia delle difficoltà, intorno alle quali vale meglio che V. E. aspetti a deliberare dopo di avere ricevuto nel pomeriggio di giovedì il mio rapporto. Naturalmente non bisogna che a Pietroburgo si sappia ciò che Hanotaux mi dice qui.

360

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 367. Roma, 10 febbraio 1897, ore 12. La presenza di navi da guerra elleniche a Creta, segnatamente se fosse se

guita da altre manifestazioni, potrebbe provocare un grave conflitto colla Turchia dal quale ·deriverebbero per la Grecia i maggiori pericoli. Desiderando che Ella,

diretto al governatore di Massaua, che non si è ritenuto necessario di pubblicare.

di concerto coi Colleghi, richiami amichevolmente l'attenzione di codesto Governo sulla necessità di mantenersi sul terreno di una politica cauta e corretta e di non impegnarsi in una via da cui non potrebbe poi ritirarsi senza sacrificio per la propria dignità, il linguaggio di Lei in questo senso deve essere schiettamente cordiale e tale da far ben comprendere che esso ci è ispirato dalla preoccupazione di risparmiare alla Grecia pericolose complicazioni in vista delle quali non potrebbe fare assegnamento sulla benevolenza dell'Europa concorde nel proposito di vedere mantenuta la pace in Oriente.

(l) Dette istruzioni furono impartite con telegramma n. 362 partito il 9, alle 14,15 e

361

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 465. Berlino, 10 febbraio 1897, ore 17,57.

Facendo seguito al mio telegramma dell'8 corrente (l), barone Marshall, sempre più inquieto notizie Creta, opina sarebbe principio crisi europea gravissima la annessione dell'isola alla Grecia. È assurdo, secondo lui, impedire Turchia inviare truppe e lasciare Grecia agire suo talento mettendo a rischio pace. Egli considera vergogna per Potenze europee non imporre a Grecia loro volontà. Germania, fedele suoi principi, non vuole, però, prendere l'iniziativa, ma si associerà subito qualunque misura tendente a costringere Grecia ritirare sue navi. Egli ha parlato in questo senso a miei colleghi Russia, Francia, Austria-Ungheria, Inghilterra, specialmente al primo, sperando decidere qualche Potenza prendere iniziativa.

362

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 471. Pietroburgo, 10 febbraio 1897, ore 21.

Questo Ministro degli affari esteri mi ha detto che il nuovo incidente russo, annunziato da Obok, si riduce a quanto segue: Un sottotenente dei dragoni chiamato « Babicceff », il quale non sarebbe stato a bordo di nessuna nave da guerra, e che viaggerebbe per conto suo, avrebbe di proprio impulso agito nel modo stato segnalato a V. E.; che il Governo imperiale non gli ha affidato alcun incarico, ed esigerà anzi suo ritorno venga punito. Muraview mi assicurò che mi parlava con massima franchezza, ed io, seguendo quello stesso esempio, dopo

di avere preso atto sue dichiarazioni, gli chiesi pur anche se esistesse veramente progetto di fondare stazione navale. Il mio interlocutore mi rispose che non poteva naturalmente in tesi assoluta impegnare azione proprio Governo per l'avvenire.

In base istruzioni che V. E. mi ha dato telegrafidi.mente credetti dover mio osservare allora Italia non potrebbe ammettere che la Russia, con la quale essa mantiensi buone relazioni, voglia procedere direttamente o indirettamente per via fatti compiuti, e senza previe spiegazioni che eliminino ogni eventualità contrasti, e neppure tollererebbe occupazione territorio indubitatamente suo. Questo Ministro degli affari esteri convenne giustezza di quanto precede, e promise avrebbe sempre usato meco massima lealtà.

(l) Pubblicato al n. 355.

363

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. P. 506. Parigi, 12 febbraio 1897, ore 19.

Bien que la pondération de notre politique étrangère continue à ne pas etre mise en doute par le gouvernement français et qu'il nous en sache gré, car il n'est pas intéressé moins que nous à empecher par l'accord solide des puissances le développement de la crise orientale, toutefois on découvre les indices d'une certaine inquiétude à notre égard et je ne dois pas tarder à vous en signaler l'existence, en premier lieu, notre intimité avec l'Autriche et l'Angleterre dont l'attitude est ici fortement ....... (l) fait douter de la complète libertè d'action de l'Italie; en second lieu on nous considère comme entrés dans la période électoral, nous en subissons l'effet et il ne faut pas se dissimuler que l'autorité des principaux membres du Cabinet italien s'en trouve amoindrie dans la mesure de la crainte de voir se former chez nous d'autres combinaisons ministerielles auxquelles on n'est pas pret à accorder la meme confiance, à ceci il faut encore ajouter les retards qui viennent, je ne sais pas d'où, et qui nous attribuent de tenir la main à l'agitation albanaise qui signale un regain d'esprit garibaldien pour la formation de la bande volontaire italienne, prete à partir et opérer avec les insurgés de la Crète ou d'autres parties de la Turquie. L'effet détestable de cet ensemble de choses a violemment secoué notre crédit au moment où il commence à peine à se relever; il y a en ce moment à la bourse un besoin de réaliser, mais on ne se débarrasserait pas aussi facilment des titres italiens si l'on ne concevait pas quelque méfiance à notre égard. J'ai réagi de mon mieux dans la mesure de ce que je savais et je pouvais dire et je crois avoir réussi dans une bonne mesure à maintenir la confiance dans les cercles officiels, mais il nous faut tenir compte des indices que je signale dans cette forme particulière et personnelle afin que rien ne se néglige de ce qui peut contribuer à nous conserver la bonne situation que l'autorité jusqu'ici accordée à notre gouvernement, nous assure.

(l) La lacuna è nel testo.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, COSTANTINOPOLI, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, PANSA, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 399. Roma, 12 febbraio 1897, ore 20.

Mentre si stanno scambiando idee tra i Gabinetti per questione cretese, desidero qui riassumere mio pensiero. Ad interrompere l'opera di pacificazione, nell'Isola, è sopraggiunta la crisi presente, aggravatasi tosto per l'atteggiamento della Grecia e segnatamente per l'invio di navi elleniche. Per scongiurare una generale conflagrazione, conviene agire ad Atene per rimuovere, col ritiro delle navi elleniche, la più pericolosa occasione di conflitto, e questo ritiro potrebbesi ottenere, senza disdoro per la Grecia, se, impegnandosi la Porta a non spedire nuove truppe in Creta, si elimina la ragione dichiarata dell'invio di quelle navi. Rimarrà però sempre a provvedersi alla restaurazione dell'ordine nell'isola, poichè l'anarchia non potrebbe prolungarsi senza rinnovare il pericolo. Tale compito non è impossibile mercè il concorso concorde e disinteressato delle Potenze. Credo che l'obiettivo attuale sia di isolare la situazione speciale di Creta dalla situazione generale che è stata finora l'oggetto dell'azione pacificatrice delle Potenze. Non intendiamo prendere iniziativa a tale riguardo, ma la nostra adesione è anticipatamente acquisita a quella eventuale proposta che riunisse l'unanime suffragio dei Gabinetti.

365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, BERLINO, VIENNA, PIETROBURGO, COSTANTINOPOLI, TORNIELLI, FERRERO, LANZA, NIGRA, MAFFEI, PANSA, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. CONFIDENZIALE 421. Roma, 14 febbraio 1897, ore 23,45. Con parecchi ambasciatori che mi richiedevano del pensiero del R. Governo nelle presenti congiunture ho enunciato le mie idee nei seguenti termini che Le comunico per sua norma di linguaggio: Il pericolo immediato e che bisognava evitare era quello di un conflitto tra la Grecia e la Turchia. A questo le Potenze hanno provveduto, impartendo, da una parte, alle loro forze navali l'istruzione di impedire gli atti di aggressione delle navi greche e ottenendo, dall'altra, che la Turchia si astenesse dal mandare truppe a Candia e da ogni atto ostile verso la Grecia. È desiderabile, a mio avviso, che l'azione navale delle Potenze verso la squadra greca si limiti a vietare le ostilità e ad ottenere da loro un'attitudine passiva. Il ricondurla colla forza al Pireo mi sembra una misura a cui si potrebbe ricorrere soltanto in caso di estrema necessità, poichè non saprei misurarne

l'effetto sulle condizioni interne della Grecia e sui destini della Dinastia. Una rivoluzione a Atene non semplificherebbe la questione d'Oriente. Ma anche dopo aver separato la Grecia e la Turchia e prevenuto il conflitto, rimane pur sem

pre l'isola. Essa è in uno stato di sanguinosa anarchia che non può continuare

senza far risorgere il pericolo collo spettacolo degli eccessi e delle repressioni

che ne sarebbero la consegj.lenza.

Noi siamo dunque, e, per nostra parte, favorevoli alla proposta fatta dai

consoli, in vista della occupazione combinata di alcuni punti dell'isola, pro

posta approvata dagli Ambasciatori.

Questa misura non deve avere il carattere di un'azione delle Potenze per

dare mano forte alla Turchia contro le popolazioni dell'isola.

Deve essere una misura pacificatrice e conservatrice, avente per iscopo di

isolare la questione di Creta dalla situazione generale dell'Oriente che è l'og

getto degli accordi delle Potenze e che durerà sinchè queste avranno preso una

comune deliberazione.

366

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 560. Vienna, 15 febbraio 1897, ore 3,55.

Ringrazio l'E. V. di avermi comunicato suo modo di vedere nella presente crisi. Il mio avviso personale è che non conviene a noi di metterei avanti e di eccitare contro di noi opinione pubblica in Grecia, Italia, Inghilterra e altrove. È ugualmente importante che le potenze sappiano che l'Italia è disposta ad agire con loro in ogni provvedimento da esse stimato unanimamente necessario a scongiurare complicazioni ed a mantenere la pace. E ciò mi pare sia stato chiaramente dichiarato dall'E. V.

367

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 435. Roma, 16 febbraio 1897, ore 12,15. Ringrazio V. E. dei suoi telegrammi di ieri (1). Sono lieto che la nostra condotta sia apprezzata a Berlino. Solo movente della nostra politica è il proposito di scongiurare le complicazioni. mantenere la pace e l'accordo europeo. Per questo non abbiamo esitato ad unirei a tutte le deliberazioni unanimemente prese dalle potenze. Desidero però dirle confidenzialmente tutto il mio pensiero. Le conformi istruzioni degli ammiragli, lo sbarco di distaccamenti ormai in corso di esecuzione sono misure d'intromissione tra la Turchia e la Grecia

per evitare il pericolo di un conflitto per isolare la questione di Creta, per dare alle potenze il tempo di deliberare sul tema da farsi. Ma gli atti a cui sembra

si propenda a Berlino, ricondurre le navi greche sotto scorta, oppure bloccare

il Pireo od altri posti del Regno, oltrepassano il limite del necessario ed assu

merebbero il carattere di una esecuzione militare contro la Grecia per conto

e ad esclusivo beneficio della Turchia. Nella situazione morale fatta alla Turchia

dai recenti massacri e dal suo stesso malvolere nell'applicazione delle riforme

cretesi, il Governo italiano deve, in giusta misura, tener conto dell'opinione

pubblica che ripugnerebbe a simili atti. Nostra preoccupazione è di poterei

trovare nell'alternativa, o di metterei in troppo contrasto con l'opinione del

paese o di mettere, per la prima volta, in rilievo qualche diversità di condotta

rispetto alle potenze alleate; e per ciò desideriamo che a Berlino non si

spingano le cose troppo oltre. Aggiungo che nell'invocare per sè, nel principio

della presente crisi, un certo riserbo di atteggiamento, codesto Gabinetto ha

implicitamente ammesso doversi tener conto, nel concordare l'azione comune,

delle particolari esigenze d'ogni singola potenza, e che provvedimenti troppo

violenti verso la Grecia potrebbero suscitare complicazioni maggiori in Grecia

e in Macedonia, dove il pericolo, per l'Europa è più grave.

Queste considerazioni affido alla assennatezza e al tatto di V. E. che saprà

farle opportunamente valere senza dare ad esse l'impronta di obbiezioni formali.

(l) Non pubblicati.

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I MINISTRI DEGLI ESTERI E DELLA MARINA, VISCONTI VENOSTA E BRIN, ALL'AMMIRAG~IO CANEVARO, A CANEA

T. 438. Roma, 16 febbraio 1897, ore 13,55. Per sua riservata informazione qui le riproduco ciò che mi telegrafa il R.

Ambasciatore in Costantinopoli: • Ambasciatore di Russia dice che per costringere Grecia ritirare sue navi, le potenze dovrebbero richiamare loro Ministri da Atene. Ambasciatore di Germania si mostra il più inclinato a suggerire energiche misure.

Ambasciatore di Francia e di più ancora quello d'Inghilterra ritengono invece che l'opinione pubblica dei loro paesi non permetterebbe un qualunque uso della forza a favore della Turchia ed io mi sono a loro associato nel senso delle ultime istruzioni di V. E. •.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, COSTANTINOPOLI, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, PANSA, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA.

T. 459. Roma, 18 febbraio 1897, ore 10,25.

L'ambasciatore di Germania mi ha fatto la seguente comunicazione. Secondo le notizie di questi giorni il Governo greco ha proclamato l'annessione di Creta e continua a mandarvi truppe. Esiste oramai, di fatto, lo stato di guerra tra la

Grecia e la Turchia. Importa togliere alla Grecia la speranza di poter fare assegnamento sull'appoggio di questa o quella potenza. D'altra parte occorre impedire che il Governo ottomano risponda alla provocazione con una dichiarazione di guerra o che il fanatismo musulmano determini una esplosione di cui sarebbero incalcolabili le conseguenze. In tali condizioni i provvedimenti finora presi dalle potenze non sembrano sufficienti. Se le potenze vogliono prevenire una conflagrazione generale, conviene prendere in comune provvedimenti più energici e più diretti. Tra i provvedimenti che potrebbero avere una sufficiente efficacia il Governo germanico considera che il blocco dei porti greci per opera di tutte le potenze sia il più semplice e relativamente il meno violento. Visto il grande numero di legni da guerra disponibili, sarebbe sempre ancor possibile di !asciarne abbastanza nelle acque cretesi. L'Ambasciatore nel farmi tale proposta, aveva pure istruzione di indagare se il mantenimento di Creta nell'orbita dell'Impero ottomano è dal Governo italiano considerato come parte integrante del suo programma. Questo punto è condizione sine qua non della cooperazione della Germania. Se si strappasse ora Creta dall'Impero ottomano ne verrebbe in altri parti dell'Impero un contraccolpo di cui il Governo germanico non potrebbe

prendere la responsabilità.

A mia volta dissi all'ambasciatore che circa la proposta di blocco dovevo anzitutto conferire con il Presidente del Consiglio e prendere gli ordini di S. M. Sul secondo punto della sua comunicazione, non esitavo a dichiarargli che, nello stato attuale della questione di Oriente il Governo italiano non pensa punto a contestare che la Creta rimane nell'orbita dell'Impero ottomano. L'occupazione combinata di alcuni punti della costa è un provvedimento preso per impedire un conflitto, per isolare la crisi cretese dall'insieme della questione orientale e per lasciare alle potenze il tempo di prendere di comune accordo opportune deliberazioni a tale riguardo. In tali condizioni, non esiste, su questo punto, dissenso tra i due governi.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A COSTANTINOPOLI, PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO, PANSA, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. CONFIDENZIALE 461. Roma, 18 febbraio 1897, ore 13,.'i0.

Faccio seguito al mio precedente telegramma. Nel rispondere al secondo punto della comunicazione germanica mi sono attenuto ai precisi termini della interrogazione. Però, per norma di linguaggio in vista delle future deliberazioni dell'Europa, aggiungo che, a nostro avviso non sarebbe oramai possibile restituire la isola di Creta al regime di Governo sotto cui rimase finora e che le stesse riforme cretesi da ultimo concordate a Costantinopoli non sarebbero più sufficienti.

371

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

CA V V, fase. 68 Z/17)

L. P. CONFIDENZIALE Vienna, 18 febbraio 1897.

Sono proprio lieto che con uno dei vostri telegrammi mi abbiate confermato l'identità dei nostri concetti circa gli affari di Grecia. Se noi non facessimo parte del concerto europeo, la nostra condotta sarebbe molto semplice. Noi potremmo mostrare alla popolazione greca la nostra simpatia senza reticenza. Ma l'Italia fa parte di questo concerto, ha preso e vuoi mantenere il rango di grande Potenza, e come tale, insieme coi vantaggi, quali che siano o non siano, le incombono gli oneri, meno platonici. Però nell'adempirli onestamente, possiamo, nelle circostanze attuali, usare di quella prudente misura che ci è imposta, dall'un lato, dalle nostre simpatie elleniche, e dall'altro lato dal principio nazionale che fu la base della costituzione della nuova Italia. Questa nostra attitudine temperata sarà tanto più meritoria, quanto più ipotetici saranno i vantaggi materiali che l'Italia ritrarrebbe dal passaggio di territori mediterranei dal dominio turco e quello del regno ellenico. Questo passaggio eventualmente potrebbe anzi convertirsi in danno dell'Italia dal punto di vista degli interessi commerciali e politici immediati. Ma c'è qualche cosa che sta al di sopra di tali interessi, e che io definirei giustizia storica. E di questa l'Europa deve tener conto fino al punto in cui si può conciliare col mantenimento della pace, interesse supremo, che domina e deve dominare tutt'intera la situazione.

Dell'attitudine dell'Austria-Ungheria non ho nulla di nuovo da dirvi. Goluchowski che vidi ieri sera è sempre d'avviso che senza atti coercitivi non si arriverà a nulla e che l'Europa farà una ben triste figura se si mostrerà incapace o restia a impiegare i mezzi che soli pçssono mettere in grado di conseguire lo scopo a cui mira, quello cioè della pacificazione a ogni costo. Il consenso dei Gabinetti dura in apparenza. Ma in sostanza, quando si tratta di procedere all'atto, le divergenze compaiono. Intanto, circa le proposte del blocco del Pireo, finora non si conoscono che le adesioni della Russia, della Francia e della Turchia, e ben inteso della Germania. Lord Salisbury non ha ancora aderito, e probabilmente non aderirà. Ma per questo punto voi dovete essere meglio informati di me.

P. S. -Dopo scritte le righe precedenti seppi che l'ambasciatore britannico in Vienna fece a Goluchowski la seguente comunicazione: il Gabinetto di Londra non crede potersi utilmente esaminare la proposta della Germania circa il blocco dei porti della Grecia se prima le potenze non si mettono d'accordo sull'avvenire di Creta provvedendo a che quest'isola diventi una provincia privilegiata dell'Impero Ottomano.

Questa comunicazione, che vi ho subito telegrafata, sarà considerata qui e a Berlino come una specie di fin de non recevoir della proposta germanica, essendo ben difficile che le potenze si mettano d'accordo in poco tempo sull'av

venire di Creta. Intanto l'isola sarà caduta in gran parte nelle mani dei Greci. In seguito alla proposta germanica, e alla decisione del Governo inglese, l'accordo fra le potenze mi sembra correre un serio pericolo. E questo pericolo si trova aggravato dal fatto che qui si trovano in presenza, in bande opposte, dall'un lato la Germania e dall'altro l'Inghilterra.

Ricevo ora il vostro telegramma d'oggi, contenente le vostre private risposte alla proposta germanica (1).

A me pare sempre più importante per voi il dichiarare che l'Italia aderisce alle relazioni delle potenze quando siano unanimemente concordi, e nel tempo stesso l'astenersi dal mettersi in prima linea, e osservare con cura una prudente misura in tutto.

372

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 651. Parigi, 19 febbraio 1897, ore 14,45.

L'initiative de l' Empereur Guillaume cause ici un embarras dont les Ministres ne se sont pas caché avec moi. Le ròle de soutien du Sultan est rendu encore plus difficile s'il doit paraitre, aux yeux des français, dicté en quelque sorte par l'Allemagne. Je crois m'apercevoir en mème temps que l'on craint ici que les propositions de l'Allemagne ne séduisent l'esprit du Czar, et rendent de plus en plus difficile pour le Gouvernement français la conciliation entre l'intérèt de marcher d'accord complet avec la Russie et les exigences de l'opinion publique française.

Il me parait qu'il y a dans cet état d'esprit quelque chose qui mérite toute notre attention.

373

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 476. Roma, 19 febbraio 1897, ore 18.

In seguito alla risposta di lord Salisbury che rende dubbio o almeno non immediato il consenso dell'Inghilterra alla proposta germanica ho detto al barone Btilow che avremmo presa la nostra decisione e data la nostra risposta dopo che ci fosse nota l'adesione unanime delle potenze. Mi è parso che il barone Biilow accogliesse con poca soddisfazione le mie parole. La nostra condotta è però perfettamente chiara e leale poichè l'unanime adesione degli altri Governi e la responsabilità che assumeremmo compromettendo l'accordo finora mantenuto dall'Europa e le garanzie di pace che vi si annettono sono le sole ragioni che potrebbero giustificare la nostra deliberazione. L'Austria ha accet

tato ma con la stessa condizione sine qua non. Il Gabinetto di Berlino deve amichevolmente comprendere che a noi non spetta, in questa circostanza di metterei in prima linea ma di seguire. Il Governo germanico ha fatto altrettanto durante le fasi anteriori della questione d'Oriente, adducendo con ragione che la situazione politica speciale della Germania consigliava questa riserva. Questo avvenne specialmente per l'anticipato impegno di mezzi coercitivi verso il Sultano proposto dall'Inghilterra e che è ancora oggi riservato. Possiamo dunque credere che due Governi amici siano disposti e tener conto reciprocamente di alcuni loro riguardi speciali senza che ciò nuoccia alla cordialità delle loro relazioni. Le aggiungo poi che, nel nostro pensiero, la proposta dà luogo ad alcuni gravi dubbii. Non è una misura per frapporsi e arrestare il conflitto tra la Grecia e la Turchia in Candia, ma un'azione militare portata nella Grecia stessa per punirla della sua condotta. Non può avere grande efficacia perchè i greci non hanno più bisogno di mandare navi e truppe in Candia. Infine può accrescere anzichè diminuire i pericoli della Macedonia. Malgrado questo noi potremmo passar sopra a queste obiezioni per non separarci dalle altre potenze e per deferenza verso il Governo dell'Imperatore. Ma poichè il consenso di tutti è una condizione ritenuta necessaria, è naturale per noi l'aspettare che si verifichi senza far precedere un'adesione puramente teorica. Ella può valersi di queste considerazioni per spiegare la risposta da me data all'Ambasciatore germanico.

(l) Cfr. i nn. 369 e 370.

374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

T. CONFIDENZIALE 551. Roma, 22 febbraio 1897, ore 11,45.

Ricevo la vostra lettera del 18 (l) e ve ne ringrazio. Convengo anche io che l'Italia non deve separarsi dalle potenze quante volte queste siano unanimemente concordi. Ma la difficoltà della nostra posizione consiste appunto in ciò che, se non si trovano i termini di una conciliazione tra l'Inghilterra e il gruppo austrorusso-germanico, a cui forse si accosterà all'ultimo anche la Francia, noi ci troveremo nell'alternativa o di urtare il sentimento nazionale associandoci ad una coercizione neppur giustificata dall'accordo unanime di tutte le potenze, oppure di isolarci dai nostri alleati e dallo intero gruppo continentale senza neppure avere coll'Inghilterra vincoli sufficienti a premunirei dalle conseguenze di una simile situazione. Da così grave difficoltà potrebbe solo toglierei un procedimento conciliativo che facesse d'urgenza camminare di pari passo la soluzione del problema cretese e la coercizione che al luogo fosse necessaria. La convocazione immediata di una conferenza con questo duplice intento potrebbe forse essere un procedimento opportuno. Le particolari nostre condizioni esterne ed interne, che ci consigliano grande riserbo, ci vietano di prendere in proposito

una iniziativa. Però desidererei conoscere il vostro apprezzamento personale su questi due punti, e cioè se siffatto modo vi paia praticamente utile e se codesto Gabinetto potrebbe essere convenientemente suggestionato in guisa da prenderne esso stesso l'iniziativa. Non ho d'uopo di dirvi quanto mi sarebbe gradita una vostra sollecita risposta.

(l) Pubblicata al n. 371.

375

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 564. Roma, 23 febbraio 1897, ore 14,20.

Mi piace che del nostro atteggiamento si rechi costì un giusto ed imparziale apprezzamento. Per quanto concerne i nostri rapporti coll' Inghilterra, non solo non abbiamo mai taciuto, ma abbiamo soprattutto a Berlino schiettamente accentuato che essi si connettono con le necessità dei nostri interessi nel Mediterraneo. Però codesto nostro programma ha intenti essenzialmente e esclusivamente pacifici, e dobbiamo anche lealmente riconoscere che non abbiamo finora indizio alcuno che il Gabinetto di Londra voglia deviare da tali intenti nella quale ipotesi ben saprebbe, in ogni modo, che noi non potremmo seguirlo.

376

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, VIENNA, BERLINO, PIETROBURGO E PARIGI, FERRERO, NIGRA, LANZA, MAFFEI E TORNIELLI

T. 587. Roma, 25 febbraio 1897, ore 0,50.

Le ho testè comunicato la mia risposta ufficiale alla nuova comunicazione russa circa Creta. All'Ambasciatore di Russia non tacqui, però, in questa circostanza alcune mie considerazioni circa il preposto metodo. L'eventuale coercizione, se la Grecia non si arrende alle ingiunzioni delle potenze, non può non suscitare gravi preoccupazioni. A prescindere dal dubbio se una coercizione indiretta, come il blocco del Pireo, possa avere reale efficacia, ed a prescindere altresì dalla contingenza che la coercizione abbia per effetto in Grecia rivolgimenti interni da cui possano essere determinate, nella penisola dei Balcani, quelle grosse complicazioni che ci studiamo appunto di scongiurare è certo che un'azione diretta sopra le navi e le truppe elleniche sarebbe impresa materialmente e moralmente difficile ed eventualità che tutti i Governi debbono desiderare di non vedere avverarsi. A me sembra quindi, che studio delle potenze dovrebbe essere di agevolare per quanto possibile la situazione della Grecia in guisa che possa senza soverchio sforzo ritrarsi dal difficile passo. A ciò gioverebbe la espressa e formale dichiarazione che l'autonomia da largirsi a Creta

sarà veramente effettiva e tale da sottrarre per sempre l'isola dalla diretta dominazione del Sultano rendendola pienamente libera di amministrarsi con suo proprio Governo. Questi nostri concetti, che nulla hanno di contraddittorio con la sostanza della proposta russa dovrebbero essere presi in considerazione nel fissare il modus procedendi per azione diplomatica a cui ci stiamo accingendo.

377

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA, E AL MINISTRO AD ATENE, AVARNA

T. 601. Roma, 26 febbraio 1897, ore 16,45.

L'accordo è ormai perfetto tra le potenze, per Candia, in base alla proposta russa. Rimane da concordarsi la precisa forma delle comunicazioni da rivolgersi alla Turchia ed alla Grecia. Mi riservo di porgerle precise istruzioni tostochè la cosa sia formalmente stabilita. Intanto Ella può, per il linguaggio da tenersi in vista di siffatte comunicazioni, trarre norma dal· mio telegramma di jeri al R. Ambasciatore in Londra che ebbi cura di comunicarle.

Eventualmente sarà bene accostarsi di preferenza all'atteggiamento del Collega britannico.

378

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

T. CONFIDENZIALE 619. Roma, 27 febbraio 1897, ore 18.

Poichè Nelidow le ha accennato che, a parer suo, l'unico mezzo per imporre, in caso di resistenza, lo sgombro delle forze elleniche, sarebbe un'occupazione temporanea dell'isola con truppe di una delle potenze la quale, egli aggiungeva, potrebbe essere l'Austria-Ungheria, desidero farle conoscere nettamente in proposito il nostro pensiero. Noi confidiamo che l'allontanamento delle truppe elleniche si possa ottenere senza coercizione. Ma se mai divenisse necessario, per la pacificazione dell'isola, una temporanea occupazione per opera di truppe estere, questa dovrebbe conservare, come si è fatto fin ora, un carattere internazionale mediante l'effettiva partecipazione di tutte le potenze. Mutare il carattere dell'occupazione nell'ipotesi che le si debba dare maggiore estensione oltre che non ci sembra necessario, avrebbe, ancorchè si procedesse per via di mandati, per inevitabile effetto di falsare l'azione presentemente esercitata dall'Europa e metterla in una via di cui sono evidenti i pericoli.

379

COMUNICAZIONE VERBALE DELL'AMBASCIATORE D'AUSTRIA-UNGHE

RIA A ROMA, PASETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI

VENOSTA (l)

Roma, l marzo 1897.

Je me déclare entièrement d'accord que la nouvelle crise crétoise et l'action entreprise par la Grèce en faveur de l'insurrection doit engager les Puissances à exercer une vigilance croissante sur la marche des choses dans les Balkans. Nous sommes, comme le Marquis Visconti Venosta préoccupés de ce que le printemps prochain puisse amener de nouveaux troubles dans les provinces turques d'Europe et menacer encore una fois la paix européenne. Le Ministre italien des affaires étrangères rattache à cette préoccupation le vreu que les Puissances alliées se mettent dès à présent d'accord, par un échange confidentiel de vues, sur l'attitude à prendre en pareille éventualité. Ce vreu répond tout-à-fait à ma manière de voir; je vous prie d'assurer le Marquis que je désire, à mon tour, cultiver, avec le Cabinet du Quirinal, un échange intime d'idées au sujet de toute question qui surgirait en Orient.

Pour le moment nous espérons encore que l'attitude unanime des Puissances, tendant à isoler, par une action commune, l'insurrection en Crète et à prévenir des complications ultérieures, réussira encore cette fois à dominer la situation, et que les Puissances se mettront d'accord sur les moyens propres à assurer l'exécution des reformes reconnues indispensables par leurs Ambassadeurs à Constantinople, ce qui exercera un effet salutaire et calmant sur les populations des Balkans.

Le Gouvernement italien peut etre assuré que tous nos efforts seront dirigés,

en premier lieu, à maintenir l'accord des Puissances et à exclure toute action

isolée d'une seule Puissance.

Nous avons admonesté, non seulement le Cabinet d'Athènes, mais aussi les

Cabinets de Belgrade et de Sophie, de s'abstenir de toute entreprise contraire

aux droits de Souveraineté de la Turquie. Nous sommes prets à renouveler cette

admonition dans la forme la plus efficace de concert avec Jes autres Puissan

ces. Si, malgré celà la paix verrait à etre troublée, il incomberait, selon nous,

à la Puissance menacée, c'est-à-dire la Turquie, de se défendre contre l'aggres

sion. S'il lui manquait la force ou la volonté de rétablir l'ordre, et si le mou

vement prenait des dimentions plus grandes, de manière à menacer le statu

qua conventionnel dans la peninsule des Balkans, nous considérerions comme

la tàche des Puissances alliées de diriger leurs efforts à localiser le mouvement

pour l'arreter, si possible, de concert avec les autres Puissances.

Si les troubles s'étendaient jusqu'à notre frontière et la menaçaient nous de

vrions naturellement réserver la liberté de notre action; mais dans ce cas aussi

nous aurions présents à nos yeux les engagements pris envers l'Italie, et nous

ne manquerions pas de nous mettre, à ce sujet, en accord avec le Cabinet de

Rome, ainsi que nous sommes, de notre còté, convaincus qu'à son tour l'Italie n'entreprendra pas un'action séparée dans les Balkans sans s'ètre préalablement mise d'accord avec nous.

Sur la base de ces principes généraux j'espère me trouver toujours en accord complet avec le Cabinet italien, et je crois pouvoir me borner, pour le moment, à cet exposé général, attendu qu'il me parait très difficile d'entrer dès à présent dans une discussion détaillée des mesures qu'il conviendrait d'adopter en cas de complications dans les Balkans, et qui seraient propres à sauvegarder nos intérèts et ceux de nos alliés. Ces mesures pourront différer selon la marche des événements et ne pourront étre combinées que selon les besoins qui pourraient se présenter.

(l) Il testo della comunicazione è estratto da un dispaccio del conte Goluchowski che non si è ritenuto necessario di pubblicare.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 683. Roma, 4 marzo 1897, ore 23.

I miei precedenti telegrammi Le hanno fatto ben chiaro il nostro pensiero. Noi ci siamo tenuti fermi al concerto europeo e tali ci manterremo. Però non abbiamo potuto nè possiamo dissimularci le preoccupazioni che, indipendentemente da ogni considerazione di sentimento nazionale, suscita in noi il procedimento in cui le potenze si sono impegnate: difficoltà morali e materiali dei mezzi di coercizione a cui si dovesse ricorrere in tutti i casi che si possono prevedere, dubbio che a un dato momento l'Inghilterra non creda di poterei ulteriormente seguire; timore infine che dalla coercizione stessa possano derivare nel continente ben più gravi complicazioni. Mi premerebbe di sapere, anche per la nostra responsabilità, se V. E. ha avuto opportunità di tenere con codesto Governo un linguaggio esprimente queste nostre preoccupazioni.

381

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, LONDRA, VIENNA, BERLINO E PIETROBURGO, TORNIELLI, FERRERO, NIGRA, LANZA E MAFFEI

T. 704. Roma, 6 marzo 1897, ore 20. Il progetto di coercizione degli ammiragli, per la parte che si riferisce al blocco dell'isola più che un semplice blocco, costituisce un complesso di veri e proprii atti di guerra contro la Grecia. Lo sbarco, poi, di 600 uomini per ogni potenza trascinerà per la forza delle cose, di fronte all'atteggiamento degli insorti e delle truppe elleniche, ad una vera e propria campagna per domare l'insurrezione ed occupare l'isola la quale richiederà lungo tempo e non meno

di 20 mila uomini. Giunti a questo punto, noi pensiamo che, prima di impegnarci in una azione quale è quella della proposta, le Potenze dovrebbero misurarne

18 -Docummtì diplomatici · Serie III · Vol. I

tutte le conseguenze. Certo nulla di peggio che !asciarci ciecamente trascinare dagli avvenimenti, in guisa da portare la guerra dove si voleva portare la pace. Queste sono osservazioni per norma del suo linguaggio, volendo noi riserbarci di prendere una decisione, avuta la risposta della Grecia e della Turchia e quando ci sarà noto il modo di vedere delle altre potenze. Intanto però mi preme aggiungere che noi non intendiamo separarci dall'unanime concerto delle potenze, e solo sentiamo essere nostro dovere di lealtà esporre senza reticenza il nostro pensiero.

382

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATISSIMO 930. Parigi, 7 marzo 1897, ore 1.1,55.

Le preoccupazioni suscitate dal contegno della Grecia che nel linguaggio del suo Ministro qui si atteggia a resistenza aperta al volere delle potenze, si sono assai aggravate ieri sera. Uomini seri del Parlamento parlavano della probabilità di una domanda di credito che il Governo farebbe martedì prossimo per parare alle eventualità, ma soprattutto per ottenere indirettamente l'autorizzazione a fare operazioni di guerra che costituzionalmente non possono farsi senza voto delle Camere. Si negano gli armamenti, ma da molte particolari notizie, risulta che tutte le forze marittime disponibili sono ormai pronte e si concentrano verso il Mediterraneo. Non ho notizie di movimenti di truppe in Tunisia, ma Addetto militare mi assicura che al Ministero della Guerra a Roma hanno mezzi di sicure informazioni. Le truppe che già si trovano in Tunisia sarebbero bastanti per fare un colpo di mano sulla Tripolitania, ben inteso, a dichiarato scopo di occupazione temporanea del litorale, e per impedire che da noi sia occupata. Una sorpresa è possibile coi mezzi già da lungo tempo apparecchiati, ed il segnale della esecuzione di essa potrebbe essere qualunque mossa di altra potenza tendente ad invadere parte del territorio ottomano: un movimento di Austria Ungheria a sortire dai suoi confini potrebbe forse bastare. Qui molti credono alla esistenza di accordi segreti fra la Russia e la Turchia, per cui la prima è autorizzata ad occupare gli stretti in caso di guerra della Turchia colla Grecia. I Ministri però non mi hanno mai lasciato intendere di avere di ciò conoscenza, così pure non mi lasciarono mai indovinare di conoscere le conseguenze che deriverebbero dalla entrata delle truppe francesi in Tripolitania. Ricordo ad ogni buon fine, ciò che scrissi a V. E. il 24 ottobre in lettera particolare (1), perché della eventualità di una sorpresa in Tripolitania e delle conseguenze di essa sono in questi giorni molto preoccupato, nè vorrei che per leggerezza ed ignoranza delle conseguenze stesse qui si avessero a precipitare nella più grossa delle avventure. Non sarebbe forse più sicuro il reciproco disinteresse?

(l) Pubblicata al n. 256.

383

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

D. CONFIDENZIALE Roma, 7 marzo 1897.

In un colloquio coll'Ambasciatore d'Austria-Ungheria io avevo, recentemente, quando la questione cretese accennava a farsi nuovamente grossa, manifestato il pensiero che convenisse ai due Gabinetti di scambiare le idee rispettive in vista delle contingenze che avrebbero potuto sorgere in Oriente. Il conte Goluchowski ha accolto il mio concetto, ed ha incaricato il Barone Pasetti di manifestarmi gli intendimenti del Governo Imperiale e Reale di fronte a quelle possibili contingenze.

Il conte Goluchowski meco concorda nel pensare che la nuova crisi cretese e l'azione intrapresa dalla Grecia in favore dell'insurrezione deve indurre le Potenze ad esercitare una raddoppiata vigilanza sull'andamento delle cose nei Balcani. Il Gabinetto di Vienna, al pari del Gabinetto di Roma, si preoccupa della eventualità che con la prossima primavera possano scoppiare nuovi torbidi nelle provincie turche di Europa, e trovarsi cosi minacciata la pace europea. È quindi naturale il desiderio di mettersi reciprocamente d'accordo, mercé scambio intimo di idee, sull'atteggiamento da prendersi in tale eventualità, ed il conte Goluchowski espressamente dichiara d'essere disposto a scambiare con noi le sue idee circa ogni questione che possa sorgere in Oriente.

Confidando che l'azione delle ·Potenze riesca, ancora questa volta, a dominare la situazione, isolando la questione cretese, e scongiurando maggiori complicazioni, il Gabinetto di Vienna spera altresì che le Potenze si accorderanno per tradurre in atto le riforme riconosciute indispensabili dai loro Ambasciatori a Costantinopoli, il che eserciterà un effetto salutare e calmante sopra le popolazioni dei Balcani. Per riuscire a tal fine, gli sforzi del Gabinetto di Vienna sono principalmente rivolti a mantenere l'accordo di tutte le Potenze, esclusa ogni azione separata.

Il Gabinetto di Vienna ha seriamente ammonito, non solo il Gabinetto di Atene, ma anche quello di Belgrado e di Sofia, d'astenersi da ogni impresa contraria ai diritti sovrani della Turchia, ed è pronto a rinnovare l'ammonimento di concerto con le altre Potenze. Se, ciò malgrado, la pace venisse ad essere turbata, spetterebbe, secondo il conte Goluchowski, alla Turchia di respingere l'aggressione. Che se, poi, alla Turchia mancasse la volontà, o la forza per ristabilire l'ordine, ed il movimento prendesse più grandi proporzioni in guisa da minacciare lo statu quo convenzionale nei Balcani, compito delle Potenze alleate sarebbe di convergere ogni loro sforzo, d'accordo con le altre Potenze, ad arrestare il movimento. Se, infine, i torbidi prendessero tale estensione da minacciare la stessa frontiera austro-ungarica, il Gabinetto di Vienna, pur riservandosi libertà d'azione, avrebbe presenti i suoi impegni verso l'Italia e non mancherebbe di mettersi, a tale intento, d'accordo col Gabinetto di Roma, convinto, dal canto suo, che l'Italia, a sua volta, non intraprenderebbe un'azione separata nei Balcani senza prima essersi messa d'accordo con la vicina Monarchia.

Ho ringraziato l'ambasciatore per questa importante comunicazione, e l'ho pregato di ringraziare, in mio nome, il Ministro Imperiale e Reale degli affari esteri.

I nostri concetti, soggiunsi, pienamente coincidono con quelli che il conte Goluchowski ci faceva, per mezzo suo, manifestare. Anche noi pensiamo che soprattutto debbasi volgere ogni opera a rimuovere l'eventualità che si riapra, in tutta la gravità sua, la questione d'Oriente; ed anche noi pensiamo che, a tale intento, la più efficace guarentigia di riuscita consista nel mantenere saldo l'accordo delle Potenze e nello escludere ogni azione isolata.

Il pericolo maggiore può derivare da torbidi in Macedonia, sia per effetto di iniziative locali o eccitamenti esteriori, sia per contraccolpo degli avvenimenti cretesi o della azione stessa che le Potenze avessero ad esercitare sopra la Grecia. Studio delle Potenze deve essere di impedire che siffatti torbidi si producano, salvo ad isolare il movimento se non si riuscisse ad impedirlo. Noi stimiamo, quindi, al pari del Gabinetto di Vienna, altamente utile una azione delle Potenze presso gli Stati balcanici per distoglierli da inconsulti atti o manifestazioni. Codesta azione, giova ricordarlo, è stata raccomandata, sopra opportuna iniziativa dell'Ambasciatore d'Austria-Ungheria, dal convegno degli Ambasciatori a Costantinopoli, siccome naturale complemento delle loro conclusioni rispetto all'opera delle riforme. L'alea maggiore non sta, infatti, tanto nella possibilità di una insurrezione in Macedonia, quanto nella contingenza che entrino direttamente nel movimento gli Stati balcanici che hanno pretese sopra quelle regioni. I rapporti dei nostri Agenti diplomatici e consolari dimostrano che una viva inquietudine regna tra quelle popolazioni, ed accennano soprattutto al pericolo che, date certe eventualità, gli stessi Governi di Belgrado e di Sofia non sappiano trattenersi dal partecipare alla azione. Il R. Governo è quindi fin d'ora disposto ad associarsi a quei nuovi ammonimenti che si stimassero ancora opportuni a Sofia e a Belgrado, dovendo essere nostro precipuo obiettivo di evitare, se è possibile, che le temute eventualità abbiano a verificarsi.

Se, poi, gli avvenimenti fossero più forti della volontà concorde delle Potenze, se il movimento si producesse e di tanto si estendesse fino a toccare direttamente gli interessi dell'Austria-Ungheria, si troverebbe in tale ipotesi, avverato il caso a cui espressamente si riferiscono i nostri reciproci impegni, e noi saremmo senz'altro pronti ad entrare, col Governo Austro-Ungarico, nel convenuto scambio di idee. In tale scambio di idee noi recheremmo la più completa franchezza non dubitando che uguale franchezza sarà spiegata dal Gabinetto di Vienna verso di noi. Dato che, contrariamente alla nostra fiducia ed al nostro fermo proposito, non possano scongiurarsi i temuti avvenimenti, ciò che importa, in tale evenienza, si è di trovarci, a Roma ed a Vienna, già preparati, con l'avere in tempo utile eliminato, mercè le mutue spiegazioni, ogni incognita, dalla situazione in cui l'Italia e l'Austria-Ungheria dovrebbero prendere atteggiamento ed eventualmente operare per i rispettivi loro interessi. Degli interessi austro-ungarici noi desideriamo, nel contemplato scambio di idee, tenere il massimo conto, come non dubitiamo che codesto Gabinetto vorrà del pari tenere conto dei nostri a cui abbiamo, non solo il diritto, ma altresì lo stretto dovere di provvedere. Gli impegni reciprocamente presi, a tale riguardo, tra i due Governi hanno appunto il duplice

intento di assicurare agli interessi di entrambe le parti la guarentigia derivante da una intesa comune, e nel tempo istesso di escludere i pericoli che possono derivare da ogni azione isolata.

L'Ambasciatore d'Austria-Ungheria conchiudeva la comunicazione fattami in nome del Conte Goluchowski con l'osservazione che questi giustamente enunciava, essere, cioè, prematuro entrare fin d'ora in particolari sui quali ulteriori vicende di fatto potrebbero esercitare troppo notevole influsso. Però, come a mia volta osservai al Barone Pasetti, è bene che nella presente circostanza i due Gabinetti abbiano accertato il loro mutuo e fermo accordo; non solo rispetto alla efficacia di preesistenti impegni del cui valore non poteva certo dubitarsi, ma anche rispetto al procedimento da seguirsi per la pratica esplicazione di questi impegni ed alle idee fondamentali a cui la combinata loro azione avrebbe ad informarsi.

Di quanto precede porgo sollecita notizia a V. E. acciocchè Ella possa dimostrarsene conscio col conte Goluchoski, e si trovi anche pronto a quell'ulteriore sviluppo dell'iniziato scambio di idee di cui il procedere degli eventi fosse per additare l'opportunità.

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

L. P. Roma, 7 marzo 1897.

Il dispaccio confidenziale che oggi vi spedisco (l) vi fa conoscere la comunicazione di cui il barone Pasetti è stato incaricato e la nostra prima risposta. Aggiunsi a Pasetti che vi avrei scritto per informarvi del nostro colloquio. Voi potete dunque parlarne col conte Goluchowski ed avere con lui una o più conversazioni sull'argomento.

Rammenterete, senza dubbio, i discorsi che abbiamo fatto a Roma. A voi pareva, con ragione, che il tempo non era giunto per parlare di quelle eventualità che potevano esigere un accordo tra l' Italia e l'Austria. Vi si sarebbe risposto che, per allora, si trattava solo di prevenire queste eventualità e di conservare lo status quo. Troppa premura da parte nostra avrebbe fatto sorgere dei dubbi sulla realtà degli intendimenti conservatori e pacifici della politica italiana in Oriente.

Ma, pur troppo, d'allora in poi gli avvenimenti hanno seguito il loro corso e l'orizzonte non si è rasserenato.

Voi potete, innanzi tutto, dire al conte Goluchowski come noi abbiamo grandemente apprezzata la lealtà colla quale egli ha preso l'iniziativa di questo scambio di idee.

Noi siamo d'accordo. Il Governo italiano desidera innanzi tutto una cosa ed è che la questione d'Oriente non si apra coi suoi terribili problemi. Finchè vi sarà una probabilità perchè questo pericolo sia scongiurato o differito, il Governo italiano vi darà il suo più intero concorso. È dunque desiderabile che si segua

la linea di condotta indicata dal conte Goluchowski; prevemre, per quanto è possibile, che le complicazioni si estendano alle provincie dei Balcani; se non potrà impedirsi, come è pur troppo a temersi, che qualche moto insurrezionale scoppi in Macedonia, cercare che l'incendio sia contenuto o isolato, esercitando l'azione dell' Europa a Sofia, a Belgrado, a Cettigne, poichè il pericolo grande non è tanto in qualche rivolta popolare, quanto nell'azione a cui si possono lasciar trascinare gli Stati Balcanici. Ma gli avvenimenti possono essere più forti della volontà degli uomini; la conflagrazione può estendersi sino alle frontiere dell'Austria, che, in questo caso, dovrebbe riservarsi la sua libertà d'azione. Questa libertà d'azione che l'Austria si riserba per tutelare i suoi interessi può toccare anche agli interessi dell'Italia. Noi non ne abbiamo mai fatto un mistero col Gabinetto di Vienna, la loro guarentigia è contemplata nel nostro Trattato d'alleanza e costituisce un corrispettivo degli obblighi da noi assunti verso l'Impero Austro-Ungarico. Allo stato attuale delle cose che cosa importa a noi e all'Austria di sapere fino da ora? A noi importa d'essere assicurati, come il conte Goluchowski ci assicura, che l'Austria ha presenti i suoi impegni. All'Austria preme di conoscere che noi non prepariamo in Oriente alcuna azione isolata, nè proseguiamo alcuna politica segreta. Noi possiamo dare questa assicurazione e stabilire, frattanto, che, se gli avvenimenti procedessero, sarà necessario, ed è già ammesso d'ambo le parti, che l'Austria e l'Italia si intendano, per togliere ogni ignoto alla situazione reciproca in cui potrebbero trovarsi nella eventualità preveduta dal conte Goluchowski.

Voi vedrete, caro amico, se, in qualche colloquio confidenziale, vi convenga di spingere più oltre il vostro linguaggio verso l'avvenire, per indagare quali potrebbero essere, secondo i casi, le intenzioni dell'Austria. Noi siamo disposti a entrare in uno scambio di idee quando il Gabinetto di Vienna lo crederà opportuno. Ma naturalmente spetterà prima al Governo Austriaco di farci conoscere le sue intenzioni, poichè noi non potremmo concretare le nostre idee che secondo la maggiore o minore estensione dei progetti austriaci.

Desidero aggiungervi un'informazione, ma questa è per voi e perchè mi diciate la vostra opinione. Il principe del Montenegro è inquieto e continua a far giungere messaggi scritti e verbali al Re, al principe di Napoli, a Rudinl ed a me. Egli si preoccupa degli avvenimenti che possono prepararsi nella penisola balcanica. Egli teme che l'Austria voglia avanzarsi al di là dei territori ora occupati, occupando l'Alta Albania e estendendosi lungo l'Adriatico. Il Montenegro diventerebbe una enclave dell'Impero Austriaco, sarebbe questa la sua fine e piuttosto che soffrirlo il principe ci dichiara ch'egli e il suo popolo sono disposti a morire le armi alla mano.

Di più, ci ha fatto conoscere un suo piano di spartizione di tutta quella parte della penisola balcanica che va dalla Bojana sull'Adriatico sino a Salonicco. In questo piano l'Italia avrebbe Vallona e la bassa Albania, meno una parte del Vilayet di Janina da unirsi alla Grecia.

A me sembra che noi non possiamo fare altra risposta che questa: «l'Italia, per la sua situazione internazionale e per gli impegni contratti è obbligata negli affari della penisola balcanica a procedere d'accordo coll'Austria; solo, in date condizioni e in date eventualità, essa potrebbe consentire ad essere un benevolo intermediario, tra l'Austria e il Montenegro ». Qual'è il vostro avviso?

(l) Pubblicato al numero precedente.

385

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATISSIMO 773/221. Parigi, 8 marzo 1897.

Negli ultimi mesi dell'anno passato ed ancora pm recentemente con rapporto delli 21 gennaio (1), il R. Ministero ha ripetutamente chiamato l'attenzione di questa Ambasciata sovra provvedimenti d'indole militare presi dalla Francia in Tunisia i quali potevano far credere alla intenzione del Governo della Repubblica di intraprendere qualche operazione oltre il confine della Tripolitania.

Dal canto mio ho riferito, nello stesso periodo di tempo, a parecchie riprese le intenzioni manifestatemi dai Ministri francesi le quali escludevano che fosse nei loro propositi di invadere il territorio tripolitano.

Le due cose potevano sembrare contradditorie ed avrebbero dato motivo di sospettare che le parole del Governo francese mal corrispondessero ai suoi atti, se di tale contraddizione non si potesse trovare la spiegazione nel permanente sospetto in cui la Francia vive di un improvviso colpo di mano da parte dell' Italia sovra la Tripolitania. Sarebbe perfettamente inutile il ricercare d'onde tale sospetto sia nato e come si sia ognora mantenuto. In tempi normali non avrebbe certamente avuto ragione d'essere; nè da parte del Governo di S. M. vi si è dato motivo. Ma dacché la situazione generale della Turchia è entrata nella fase di crisi acuta in cui trovasi presentemente, mi pare chiaro che la previsione di una improvvisa nostra spedizione a Tripoli sia fra quelle sovra le quali l'attenzione francese è particolarmente rivolta. Per la maggior parte degli scrittori de' giornali l'ipotesi di uno sbarco degli Italiani in Tripolitania, nel caso di maggiori complicazioni orientali, è divenuta una cosa corrente, una abituale supposizione.

Epperò mi pare da ciò resti abbastanza spiegata la preparazione militare che il Governo francese andò facendo nella Tunisia per essere pronto, in qualunque circostanza, a parare gli avvenimenti.

Persisto a credere che le dichiarazioni a me fatte ripetute volte della nessuna intenzione del Gabinetto di Parigi di fare spedizioni nel territorio tripolitano, siano state sincere. Ma le circostanze del momento in cui quelle dichiarazioni furono fatte, non rassomigliavano alle presenti. Sicchè senza pur l'ombra d'intenzione di accusare il Governo francese di malafede a riguardo nostro, io inclino oggi a ritenere che se da nessuna potenza si tenterà un'azione separata destinata a prendere caparre sulle regioni soggette al dominio del Sultano, nulla si farà da parte della Francia verso la Tripolitania; ma, in caso contrario, la previsione di un'invasione francese nel Vilayet di Tripoli non mi sembra da escludersi in modo assoluto.

Verso la fine di ottobre ultimo, quando le condizioni interne dell'Impero ottomano già costituivano un soggetto di inquietudine senza però sollevare ancora conflitti di interessi immediati ed urgenti, io ebbi col signor Hanotaux un amichevole colloquio durante il quale questo Ministro fece una aperta allusione ai

(ll Non pubblicato.

pericoli che la questione del Mediterraneo rinchiude per tutti i paesi ma principalmente per i littoranei. Il discorso si era svolto poco prima sovra il visibile e crescente movimento dell'opinione pubblica in Francia favorevole alle buone relazioni con l'Italia. L'allusione del signor Hanotaux alle difficoltà di ordine politico che potevano dividere i due paesi nelle questioni del Mediterraneo, mi porgeva il destro di lasciar intendere che, quando gli animi fossero dalle due parti completamente rappacificati, vi sarebbero interessi da regolare sovra i quali sarebbe meglio concertarsi che mantenersi in istato di permanente reciproco sospetto.

Ancorchè io non dicessi dippiù e che nelle mie parole non si trovasse indicazione alcuna del dove tali interessi si trovano, la mia osservazione provocò una vivace interruzione del mio interlocutore il quale proruppe dicendo: «Dal canto mio vi sono apparecchiato sovra la base del reciproco disinteresse».

Ripeto: le circostanze d'oggi non sono più quelle dell'ottobre ultimo. Ed il colloquio non fu più ripreso sovra di questo tema. Neppure io ebbi l'assoluta certezza che il signor Hanotaux avesse precisamente in vista la possibile competizione di interessi dell' Italia con la Francia nella Tripolitania. Ma venendo di seguito alle considerazioni relative ai pericoli che la questione del Mediterraneo inchiude, la mia osservazione e la replica del Ministro degli affari esteri difficilmente potevano riferirsi ad altre cose.

Uno dei pericoli maggiori della presente situazione dell'Europa parmi consistere nello stato di reciproca suspezione nella quale vivono le Nazioni ed i Governi prodotta non unicamente ma principalmente dall'esistenza di occulti patti internazionali de' quali a volta a volta si esagera o si nega l'importanza. Il partito più cauto che una siffatta situazione suggerisce, consiste, a mio avviso, nello adoperarsi in tempo utile per prevenire i casi nei quali gli effetti di quei patU dovrebbero apparire. A ciò conduce l'opera savia di comporre possibilmente le questioni che potrebbero eventualmente mettere in conflitto gravi interessi. Nè vedrei cosa peggiore che il serbare il silenzio in guisa che per ignoranza o leggerezza altrui una imprudenza venga a compromettere gli interessi stessi ed a creare una situazione in cui il dilemma si porrebbe fra l'abbandonare le guarentigie delle ragioni proprie o l'invocarle precipitandosi nella massima delle avventure.

Sovra queste cose, signor Ministro, mi pare doveroso per chi rappresenta il Governo di S. M. in Francia, di esprimere chiaramente il pensiero nel momento critico presente. Ciò feci col telegramma di questa data (l) del quale il presente rapporto non è che lo svolgimento e la conferma.

386

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA

T. P. s. n. Roma, 8 marzo 1897, ore 20.

Conte Tornielli mi addita la possibilità di un colpo di mano della Francia sopra Tripoli aggiungendo che tutto sarebbe pronto all'uopo in Tunisia. Scopo

dichiarato sarebbe un'occupazione temporanea del litorale per impedire una nostra occupazione e segnale ne sarebbe qualunque mossa di altre Potenze, compresa l'Austria, sopra un punto qualsiasi dell' Impero Ottomano. Tornando sopra un suo concetto già altra volta espresso, e di cui ebbi anche ad intrattenere V. E., il conte Tornielli mette di nuovo innanzi il concetto di premunirei contro così grossa av· ventura, mercè il reciproco disinteressarsi. Astrattamente parlando in tre modi potrebbe provvedersi a rimuovere il pericolo segnalato dal conte Tornielli, o col rendere la Francia conscia del noto casus foederis o con l'addivenire con essa ad un vero e proprio accordo di disinteressarsi od infine con l'avere con essa una franca spiegazione a fondo che elimini la eventualità per entrambe le potenze ed escludere così il reciproco sospetto. Di questi tre modi il primo richiederebbe da parte dei nostri due alleati un consenso, che potrebbe essere negato, il secondo mi parrebbe andare oltre lo scopo e tale da crearci una posizione ambigua di fronte ai nostri alleati. Il terzo modo, infine, si presta alla duplice obiezione di precorrere forse di troppo gli avvenimenti e di poter riuscire concretamente di efficacia problematica.

In tale stato di cose stimo utile di mettere sotto gli occhi di Lei la situazione additata dal conte Tornielli, i rimedii possibili e le correlative obiezioni, pregandola di manifestarmi in proposito il suo parere.

(l) Non pubblicato.

387

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 980. Parigi, 9 marzo 1897, m·e 20,15.

Mi è sembrato utile di sentire l'avviso di Hanotaux sopra il vantaggio che vi sarebbe ad ottenere dal Governo ellenico un formale impegno di evitare guerra sul continente in corrispettivo di un prolungo del periodo delle trattative per Creta. Dissi che il mio discorso su questo punto era puramente suggerito da un mio personale pensiero. Hanotaux ammise che ormai affare cretese non può se limitato alle sorti dell'isola e rispettata che sia la apparenza della integrità ottomana, condurre alle temute più grosse complicazioni; queste invece nascerebbero probabilissimamente qualora condotta Grecia sul continente mettesse Turchia in stato di guerra dichiarata. Egli considera che la Grecia fa in questo momento con l'Europa un vero ricatto per la Creta, minacciando di far nascere la situazione, nella quale la grossa guerra che tutti temono, potrebbe scoppiare. Un impegno del Re e del Governo ellenico di non permettere attacchi alle frontiere turche avrebbe pertanto un sicuro valore, ma Hanotaux crede che non lo si conseguirebbe ad Atene, perchè colà si capisce che con esso si rinunzierebbe al più efficace mezzo di pressione sulle decisioni d'Europa in riguardo alla sorte di Creta. Nel corso della conversazione mi sono confermato nell'opinione che anche qui si teme che lo stato di guerra della Turchia conduca la Russia a prendere delle posizioni pre

vedute dai suoi accordi segreti con la Turchia. Hanotaux mi ha detto che le informazioni sue portano che l'azione della Grecia su terra ferma pare diretta più verso l'Albania che verso la Tessaglia. Mi fu d'altra persona detto che, in caso di guerra continentale, Bulgaria entrerebbe subito in azione e che al Ministero francese se ne ebbe già avviso da Sofia; forse a causa di ciò l'esercito greco avrebbe ordine, nel caso di dichiarazione di guerra della Turchia, di ritirarsi in Tessaglia sull'antica frontiera del Regno, l'attuale non essendo difendibile; e ciò è in armonia colle informazioni relative alla predisposta offensiva verso l'Albania. Ministro di Grecia mi ha confermato che a Costantinopoli fra suo collega e la Porta, che non domanderebbe di meglio, fu ventilata la proposta di un simultaneo allontanamento delle forze militari dalla frontiera di terra. Non vi sarebbe in tal caso qualche cosa da favorire in questo senso intanto che si discuterebbe per Creta?

388

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Parigi, 9 marzo 1897.

Non arrivo in tempo oggi a confermare e sviluppare, prima che parta il corriere di Gabinetto, ciò che Le ho or ora spedito per telegramma (l) circa le prime impressioni del signor Hanotaux relativamente alla situazione creata dalla risposta della Grecia. I miei due telegrammi contengono d'altronde, ancorchè succintamente, abbastanza perchè Ella possa giudicare dello stato d'animo di questo Governo che, al pari di tutti gli altri, si preoccupa di prevenire la dichiarazione di guerra fra la Grecia e la Turchia, ritenuta segnale di gravissime complicazioni perchè costituirebbe il casus foederis degli accordi segreti del Sultano con lo Czar. Il signor Delyannis, Ministro di Grecia a Parigi, mi ha detto che il suo Governo conosce da oltre un anno l'esistenza di tali patti segreti. La conversazione che ho avuto oggi a titolo personale e privato con Hanotaux circa l'importanza di ottenere una dichiarazione ad Atene di rispettare la frontiera ottomana di terra, si è svolta fra di noi sul concetto sottinteso di una situazione nella quale la Russia, in caso di guerra della Turchia, avrebbe da occupare militarmente gli Stretti. Non ho parlato di ciò apertamente; ma le risposte di Hanotaux ammettevano implicitamente l'esistenza di tale situazione. L'impegno della Russia, preso evidentemente quando si temeva una spedizione inglese per le cose di Armenia, garentirebbe l'integrità dell' Impero Ottomano. Di qui la necessità per il Gabinetto di Pietroburgo di opporsi alla indipendenza assoluta della Creta. Ma la Russia stessa non desidererebbe in questo momento di trovarsi costretta ad occupare delle posizioni che le potrebbero essere dall'Inghilterra contestate con la forza. E qui più che mai si vuole evitare la guerra. Il Ministero va a malincuore contro la corrente d'opinione che ingrossa in favore della Grecia e della liberazione completa della Creta; ma la sua condotta è manifestamente guidata dal desiderio, direi dal bisogno, assoluto, di evitare la guerra.

Le mando una voluminosa corrispondenza nella quale si trovano di necessità alcune cose che si riferiscono a situazioni passate o modificate da eventi più recenti. Ma Le raccomando la parte che tratta del pericolo che si rinchiude nell'af

fare della Tripolitania. Mi sarebbe di molta utilità di conoscere in questo momento ciò che il nostro Governo sapesse di positivo circa gli accordi segreti delle Potenze rispetto alle cose di Turchia.

(l) Pubblicato al numero precedente.

389

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

CA V V, fase. 68 Z/17)

T. P. Vienna, 10 marzo 1897.

Se le informazioni di Tornielli sono, com'è verosimile, fondate a me pare che, per noi, il modo più legittimo e più efficace per prevenire sorprese, è il parteciparle confidenzialmente al Gabinetto di Berlino col quale abbiamo, circa lo statu quo sulle coste africane del Mediterraneo, accordi positivi che legittimano eventualmente l'appello al casus foederis. Credo che tutte le potenze desiderano sinceramente evitare le occupazioni parziali, prevedendo le conseguenze che possono derivarne, ed è questa la migliore ragione per cui i Gabinetti di Vienna e di Berlino sono così risoluti per l'opera coercitiva contro la Grecia.

390

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/17)

L. P. Vienna, 11 marzo 1897.

Nel rapporto qui unito (l) ho riassunto ciò che Goluchowski mi disse ieri in risposta alla lettura da me fattagli del vostro dispaccio confidenziale del 7 corrente (2). Voi vedrete in quel sunto che Goluchowski non ammette l'eventualità di una occupazione austriaca nei Balcani, in nessun caso, e non ammette nemmeno questa eventualità per parte della Russia. Perciò si rifiuta ad esprimere intenzioni che non ha. La sola intenzione ben risoluta, che egli possa esprimere si è che in ogni caso l'Austria-Ungheria non vuole nessuna occupazione nè per parte sua nè per parte altrui. Per parte del suo paese Goluchowski ne dà esso stesso l'assicurazione; per parte della Russia, se ne tiene sicuro; e sa che anche l'Italia non procederà ad alcuna azione isolata in Oriente. Adunque egli non vede utilità a determinare ora le conseguenze di una situazione che è ben deciso a non creare, e che è convinto che non sarà creata da altri. Se questo suo modo di vedere dovesse essere modificato in seguito a circostanze che egli non crede verosimili, egli non dimenticherà gli impegni presi dal suo paese. Mi pare conseguentemente che non sia il caso di insistere ora su questo punto.

Passo ora all'altra questione, che è pur connessa colJa precedente, e che fu sollevata dalle informazioni di Tornielli. Forse quelle informazioni sono un po'

esagerate, ma credo che in fondo siano vere entro certi limiti. La Francia conobbe certamente i continui passi fatti dal Governo italiano sotto le precedenti amministrazioni, per segnalare alla Germania, all'Austria, all' Inghilterra, alla Turchia stessa le sue inquietudini circa la Tripolitania, l'hinterland Tunisino-Tripolitano, il porto di Biserta. Le Cancellerie delle potenze ora citate sono piene delle nostre querele. I nostri incartamenti diplomatici contengono volumi di reclami, di avvertenze, di supposizioni, di informazioni relative alla Tripolitania. Tutto ciò è certamente arrivato a notizia della Francia, ed ha ingenerato in tutte le Cancellerie europee, e specialmente in quelle di Parigi e di Constantinopoli, la persuasione che l'Italia alla prima occasione propizia, avrebbe occupato Tripoli. La nostra agitazione diplomatica a riguardo di Tripoli ricorda un poco quella medesima che ha preceduto l'occupazione di Tunisi da parte della Francia. D'altra parte è probabile che il Governo francese abbia qualche sentore dell'impegno esistente tra l' Italia e l'Austria-Ungheria, in forza del quale se l'Austria occupa qualche territorio nei Balcani, l' Italia potrebbe col consenso dell'Austria occupare dal suo lato un territorio equivalente, non si sa dove. È quindi naturale che la Francia abbia preso e prenda le sue precauzioni per impedire che l' Italia vada a Tripoli, e per precederla eventualmente. Io sono convinto però che se non succedono occupazioni austriache o italiane in altre parti del territorio ottomano, la Francia si asterrà dall'occupare Tripoli. A ogni modo se voi credete che vi sia qualche pericolo, se credete che la Francia ignori la garanzia dataci dalla Germania per il mantenimento dello statu quo sulle coste dell'Africa settentrionale (io credo che non lo ignora), mi pare, come vi ho telegrafato, che il miglior partito da prendersi sia quello di confidare le vostre inquietudini al Gabinetto di Berlino, presso il quale in caso di turbamento dell'equilibrio a nostro danno su quelle coste, l' Italia è autorizzata a domandare l'esecuzione del casus foederis.

La risposta greca è qui considerata come un rifiuto. Il conte Goluchowski è sempre d'avviso che converrà ricorrere alla forza per pacificare Creta e per ricondurre la Grecia a un più savio apprezzamento della questione. Ma siccome l'iniziativa degli ultimi passi delle potenze venne da Pietroburgo, egli attende che anche di là vengano le ulteriori proposte sul quid agendum dopo il rifiuto della Grecia di ottemperare alle domande delle potenze. A me pare, come vi ho telegrafato prima d'ora, che la condotta dell'Italia in questa dolorosa vertenza sia di non mettersi in prima linea in nulla, e di accettare tutto ciò che sia proposto d'accordo con tutte le potenze. La questione di nazionalità e di suffragio universale in Creta, cioè in un paese nel quale un terzo della popolazione non vuoi saperne di passare sotto il dominio della Grecia, si presenta qui in aspetto assai diverso di quello che la stessa questione assunse in Italia e altrove. I Mussulmani Cretesi sono della stessa stirpe che i Cristiani Cretesi, sono indigeni, quanto gli altri, e proprietari quanto gli altri del suolo che occupano. E perchè hanno una religione diversa dalla cristiana non sarebbe per questo solo cosa equa il cacciarli da Creta o l'opprimerli; non sarebbe più giusto di quanto sia

o sarebbe l'espellere da un paese cristiano gli Ebrei, o da un paese cattolico i Valdesi o i protestanti. E se non è giusto cacciare i mussulmani cretesi da Creta, non è più equo il sottometterli ai Greci di Atene o di Creta stessa contro la loro volontà, e ciò soltanto per soddisfare la maggioranza e l'ambizione ateniese.

Nella questione dell'eventuale azione militare sia per terra, sia per mare, mi sembra che l'Italia debba parteciparvi in concorso colle altre potenze e nella stessa misura, nè più nè meno, escludendo per sè, e possibilmente per altri, azioni isolate o parziali.

P. S. -Se le assicurazioni datemi da Goluchowski sono sincere (e non ho alcuna ragione di metterle in dubbio), le inquietudini del Montenegro rimangono senza fondamento. Voi vedrete se sia il caso di fargli sapere che secondo le nostre precise informazioni l'Austria non ha alcuna intenzione di occupare poco o molto del territorio albanese e delle coste adriatiche oltre la sua attuale frontiera.

Dopo aver scritto la lettera che precede ebbi dal conte Kapnist notizia di un telegramma circolare del suo Governo che esprime il modo di vedere della Russia circa la risposta greca. Questo telegramma propone in sostanza di fare un nuovo passo presso il Governo greco per persuaderlo a ritirare le truppe greche da Creta come promise di richiamare le sue navi: poichè le dette truppe non saranno necessarie per procedere alla pacificazione dell'isola, essendo quest'opera affidata alle truppe più numerose delle Potenze. Il telegramma propone inoltre di dichiarare di nuovo che l'annessione di Creta alla Grecia è impossibile nelle circostanze attuali. Il conte Goluchowski, a cui questo telegramma fu comunicato con preghiera di dire ciò che ne pensava, fece al conte Kapnist una risposta conforme alle sue precedenti dichiarazioni che vi ho telegrafato. Egli disse cioè che i punti formulati dalla Russia nella nota collettiva alla Grecia, cioè esclusione dell'annessione, autonomia dell'isola, ritiro delle truppe greche, erano stati tutti ricusati nella risposta greca; e che il termine fissato alla Grecia dalla nota stessa era spirato; e che non aveva altro avviso da esprimere. Aggiunse che il Governo austroungarico è pronto a inviare il battaglione destinato a sostituire i marinai austriaci sbarcati; ma che non è disposto a mandare altre truppe per operare nell'interno dell'isola e che anche il battaglione di cui si tratta non dovrà avere altro compito che di mantenere l'occupazione delle località che gli saranno assegnate.

Sembra che anche il Governo inglese sia d'avviso di seguire il negoziato col Gabinetto di Atene e che esso pensi che la risposta greca fornisce elementi per questo negoziato. Parrebbe fra le altre cose che Lord Salisbury ravviserebbe la possibilità e l'utilità di impiegare le truppe greche alla pacificazione dell'isola, purchè queste, divise in vari reparti, servissero colle truppe europee e sotto gli ordini degli ufficiali superiori europei. Ma confesso che l'idea mi pare straordinaria e certamente non pratica.

La circolare russa stupì il conte Goluchowski. Essa può far supporre difatti che questa mitigazione manifestatasi ora nel Gabinetto di Pietroburgo verso la Grecia sia dovuta ad influenze di famiglia.

Anche che possa essere il seguito di queste nuove tendenze, il Governo Italiano non avrà a pentirsi dell'attitudine da lui tenuta in una questione per esso delicatissima, come quella di Creta. Senza mettersi avanti, senza prendere iniziativa di proposte, senza voler prendere una situazione che non gli spetta, esso si è però dichiarato pronto a fare il suo dovere nel concerto europeo. Posso assicurarvi che questa condotta, che è la sola possibile moralmente e politicamente per noi, è ora valutata come merita e approvata qui e in Inghilterra e spero anche altrove. ·

Suppongo che siate anche voi d'avviso che il Governo Italiano non può accettare d'inviare truppe d'operazione nell'isola se non quando tutte le potenze siano disposte a fare altrettanto. Intanto è certo che nè la Russia, nè l'Austria, nè la Germania sono nell'intenzione di mandar truppe e a queste potenze si dovrà aggiungere l'Inghilterra, poichè questa, se anche lo volesse, incontrerebbe il veto della Russia e della Francia. Ma non è impossibile che l'Inghilterra consenta all'occorrenza a delegare alla Francia l'incarico di pacificare l'isola quando le altre potenze consentano e non vogliano incaricarsi esse stesse di questo compito. E tale consenso sarebbe non impossibile, da parte della Germania e dell'Austria e sarebbe poi certo da parte della Russia.

Aggiungo qui una riga di Goluchowski (1). Gli mandai copia del dispaccio che vi scrissi oggi e che è qui unito, pregandolo di farmi sapere se la mia esposizione era ben conforme al linguaggio da lui tenutomi.

(l) -Pubblicato al numero se~uente. (2) -Pubblicato al n. 383.
391

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. n. Vienna, 11 marzo 1897.

Secondo le indicazioni contenute nel dispaccio confidenziale di V. E. del 7 corrente (2), e continuando in certo modo la conversazione che Ella ebbe costì col barone Pasetti, m'intrattenni ieri circa l'oggetto del dispaccio stesso con questo ministro I. e R. degli affari esteri.

Io ripetei in sostanza al conte Goluchowski ciò che V. E. disse al barone Pasetti e che qui riassumo.

L'Italia intende mantenere coll'Austria-Ungheria e colle altre potenze l'accordo esistente per impedire che l'attuale conflagrazione Ellenico-Cretese, anche quando si estendesse alla penisola Balcanica, provochi un conflitto europeo. L'Italia e l'Austria-Ungheria hanno ben presenti i loro impegni reciproci nel caso in cui questa eventualità, malgrado gli sforzi delle potenze per scongiurarla, non si potesse evitare. L'Italia può dare l'assicurazione che essa non intende procedere in Oriente a qualsiasi azione isolata e non ha alcuna mira segreta. L'Italia e l'Austria-Ungheria ammettono fin d'ora che se gli eventi si facessero pericolosi al punto da far prevedere una conflagrazione europea, le due potenze si intenderanno a tempo per agire concordi e per togliere alla loro reciproca situazione ogni carattere di sorpresa o d'ignoto. Il Governo italiano è disposto ad entrare in uno scambio d'idee a questo proposito, quando il Gabinetto di Vienna lo crederà opportuno. Ma aspetterà che questo gli faccia conoscere a suo tempo le sue intenzioni per potervi commisurare le proprie.

Il conte Goluchowski confermò queste cose per quanto spetta all'AustriaUngheria, e prese atto delle assicurazioni fattegli dare da V. E. Ripeté che l'Austria-Ungheria non ha nè desiderio nè interesse non solo di procedere ad alcuna occupazione di territorio, ma nemmeno di esercitare un'azione parti

colare sugli Stati Balcanici, esigendo soltanto che le altre potenze agiscano nella stessa maniera. L'Austria-Ungheria, disse egli, non ha altra politica in quelle regioni se non quella di favorire lo sviluppo dell'autonomia degli Stati in esse costituiti, ai quali chiede soltanto di adempire verso di essa agli obblighi internazionali. Il Governo austro-ungarico respinge apertamente e recisamente ogni accusa, ogni allusione, che gli attribuisca l'intenzione di profittare delle circostanze presenti e future, per allargare l' Impero in Oriente. Le mire che in una certa stampa gli furono attribuite su Salonicco sono assurde, e da esso riprovate senza reticenze e senza riserve.

Avendo io osservato al conte Goluchowski che la risposta non soddisfacente della Grecia faceva prevedere la continuazione del conflitto cretese e forse, se non ci si mettesse ordine, la sua estensione nella penisola Balcanica, il ministro

I. e R. mi disse che anche in questa eventualità l'Austria-Ungheria è ben decisa a non procedere ad alcuna occupazione al di là dei suoi limiti, e che egli era convinto che la Russia terrà una eguale condotta. Egli non vede quindi ora nè necessità nè profitto di esaminare le conseguenze di eventualità che tutte le potenze sono ben decise di evitare.

Se la conflagrazione si propagasse negli Stati Balcanici, le potenze troveranno modo di isolarla e si impedirà, col loro unanime concorso, che ne sorga un conflitto europeo. La sola cosa positiva che il conte Goluchowski può dire sulle intenzioni dell'Austria-Ungheria relativamente alla crisi attuale e alle sue conseguenze, si è che in nessun caso essa intende occupare per suo conto nè molto nè poco, nè per lungo tempo nè per breve tempo sulle frontiere, ma non ammette occupazioni da parte di altri. Quando, contro le sue previsioni la situazione si cangiasse al punto che il Governo austro-ungarico fosse condotto a modificare il suo presente modo di vedere, il conte Goluchowski non mancherebbe d'intendersi col Governo italiano sulla base degli impegni esistenti.

In presenza di queste precise dichiarazioni, mi pare che per ora non altro occorra che di prenderne atto e ringraziare.

.ALLEGATO.

GOLUCHOWSKI A NIGRA

11 mars 1897.

Je m'empresse de Vous restituer la minute de la dépeche que Vous avez bien voulu me faire parvenir. Elle résume très bien la conversation que nous avons eue hier et qui a du Vous prouver que plus que jamais nous tenions à la base établie par le traité de Berlin.

(l) -Pubblicata in allegato al documento seguente. (2) -Pubblicato al n. 383.
392

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/14)

L. P. Londra, 11 marzo 1897.

L'ultima fase della questione cretese potrebbe far pensare che il governo britannico sia animato da sentimenti diversi da quelli delle Potenze che maggiormente desiderano misure coercitive verso la Grecia. Ma in realtà le cose non

stanno così. Questo Governo al pari del nostro deve tener conto delle manifestazioni dell'opinione pubblica, il che non gli impedisce di riconoscere quanto inopportuna sia stata la condotta del Governo ellenico, quanto poco conveniente sia stata la risposta greca alle intimazioni europee. Ma prima di decidersi ad una azione violenta e prima di infliggere una solenne umiliazione alla Grecia questo Governo domanda a se stesso se non sia possibile trovare una soluzione più mite della questione, tale cioè da raggiungere sufficientemente l'intento delle Potenze senza offendere i sistemi popolari di alcune Nazioni quali l'Italia, la Francia e l'Inghilterra. Da ciò scaturisce naturalmente il pensiero di guadagnare tempo con proposte atte a suscitare uno scambio di idee tra le Potenze. Il tempo può avere per effetto anzitutto di calmare le passioni popolari, in Grecia non soltanto, ma anche altrove. Può inoltre far sentire alla Grecia la propria impotenza finanziaria per persistere in una folle impresa, superiore alle sue forze. E ad ogni modo, se le Potenze, dopo aver dato prova di benevolenza e di longanimità verso la Grecia, saranno ridotte alla dura necessità di reprimerne l'audacia, l'opinione pubblica europea non potrà fare altro che approvarle. In tal senso devono a parer mio essere interpretate le proposte di lord Salisbury dopo aver preso conoscenza della risposta greca. Tale risposta sembra aprire uno spiraglio a qualche speranza di accomodamento. Secondo il presente Ministro la Grecia vorrebbe forse che le fosse offerto un modo onorevole

di uscire dalla posizione in cui si è messa, e quindi lord Salisbury riterrebbe onesto l'offrire «un ponte d'oro» per ritirarsi da tale posizione. Ho creduto bene, in via privata, di scrivere a V. E. questi appunti che scaturiscono da conversazioni avute al Foreign Office.

393

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 1046. Berlino, 13 marzo 1897, ore '14,58.

Io telegrafai 9 corrente confidenzialmente (l) a V. E. conversazione con S. M. l'Imperatore in cui S. M. non mi aveva taciuto sua intenzione non inviare truppe tedesche a Creta. Barone Holstein dissemi ieri che ove fosse indispensabile per mantenere concerto europeo Governo imperiale potrebbe forse studiare se non gli convenga mandare rinforzi truppe marina, di più non potendo fare data sua situazione, ma dovere intanto smentire in modo assoluto che abbia rifiutato senz'altro proposta ammiragli tener pronte truppe tutte potenze da inviare a Creta, avendola anzi accettata in blocco con le altre per non ritardare applicazione di questa, salvo di discuterla poi. Barone Holstein soggiunse notizia di quel preteso rifiuto gli viene da Pietroburgo e Parigi, deve avere sua origine nelle parole dettemi da S. M. l'Imperatore. Respinsi supposizione che parole dettemi da S. M. in conversazione privata potessero essere conosciute a Pietroburgo o altrove, ma credo accennare il fatto a V. E. tra le parole del Governo impe

riale e quelle meno diplomatiche di S. M. non vi è sempre purtroppo perfetto accordo. Ufficialmente dobbiamo tener conto delle prime, le seconde però ci sono sommamente utili a conoscere ed io non mancherò mai di riferirle quando la occasione si presenti.

(l) Il telegramma non è stato pubblicato.

394

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATISSIMO 1053. Parigi, 13 marzo 1897, ore 21,35.

Hanotaux mi ha chiesto se io avevo riferito a V. E. colloquio di jeri, relativo alla proposta di occupazione mista di italiani e francesi a Creta, e se aveva conoscenza della risposta del R. Governo a tale proposta. Gli ho risposto che ho telegrafato a V. E. un cenno di tale colloquio attribuendogli carattere particolare. Gli feci notare che egli non aveva precisato se una proposta fosse stata fatta alla Francia per tale occupazione, si era soltanto parlato fra noi dell'assenso eventuale datovi dall'Inghilterra ed io avevo capito che il Governo francese non era inclinato di farvi buon viso. Ciò era stato segnalato all'E. V. che di poi mi aveva informato delle sue comunicazioni di jeri alla Russia, dalle quali appariva che, da parte nostra, si aveva in vista proposta relativa all'invio di un battaglione di ciascuna potenza destinati a proteggere le città della costa. Pur ammettendo ciò che io gli dicevo, circa carattere soggetto del nostro colloquio di jeri, Hanotaux insiste circa il bisogno per lui di sapere quale risposta avevamo data

o ci proponevamo di dare alla proposta russa, accettata eventualmente dall'Inghilterra, di una occupazione italo-francese. A lui l'idea era stata messa innanzi dalla Russia, ma la supponeva di origine austriaca; poi era venuta la comunicazione inglese fattagli jeri. Non è supponibile, soggiunse, che si sia disposto di voi senza avervi interrogati, almeno come fu fatto qui. Se ciò non fosse avvenuto vi sarebbe un punto oscuro da chiarire, e Hanotaux fini col pregarmi di chiedere a V. E. di informarlo, prima di lunedl mattina, dei suoi intendimenti a tale riguardo. Gli ho fatto rimarcare che, dappoichè jeri l'E. V. era in comunicazione con Pietroburgo per le modalità relative alla proposta dell'invio del battaglione di ciascuna delle potenze, si era autorizzati a ritenere che dell'altra proposta non era stata o non era più auestione. Ma Hanotaux insistette perchè le telegrafi nel senso anzidetto. Mi permetto di fare osservare a V. E. che l'interesse nostro non mi pare consigliarci di dare motivo o pretesto di sospetti alla Francia e che, se siamo disposti a intenderei con Hanotaux per eliminare la proposta di occupazione franco-italiana alla condizione bene intesa, che la Francia non accetti altra occupazione limitata ad una o più potenze e si mantenga ferma sulla proposta dello sbarco di un sol battaglione per ciascun governo, io stimo che una intesa fatta in questo senso toglierebbe di mezzo anche altre diffidenze che qui si seminano abilmente contro i segreti intenti dell'Italia e purtroppo, ancor che ingiustificati, ci nuociono. Le ultime comunicazioni inglesi qui sono nel senso dell'impiego pronto dei mezzi coercitivi. Pare si tema un colpo di testa della Grecia per il quale le sue forze marittime sarebbero concentrate

rg -DoCJJmtnli diplomatici -Serie III -Vol. l

nel golfo di Volo. Prego V. E. di mettermi in grado di rispondere ad Hanotaux prima di lunedl mattina perchè egli me ne ha fatto insistente preghiera. Lunedl vi è qui la discussione alla Camera sulla condotta del Governo per l'Affare di Creta.

395

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 783. Roma, 14 marzo 1897, ore 14.

Rispondo senza indugio al suo telegramma : la proposta non ci fu mai fatta e neppure fummo interrogati. Se interrogati avremmo dovuto considerare che nelle condizioni presenti l'occupazione di Creta avrebbe dovuto farsi per espellere le truppe greche e domare l'insurrezione e che questa occupazione avrebbe rappresentato una spedizione militare di almeno 30.000 uomini e una guerra di montagna di alcuni mesi. Da questo Hanotaux può argomentare quale sarebbe stata e quale sarebbe la nostra risposta. Noi potremo consentire all'invio del distaccamento di 600 uomini collo scopo ben determinato di rimpiazzare i marinai richiamati a bordo per proteggere le città della costa e senza impegnarsi in alcuna operazione all'interno. La nostra condotta è chiara e non si presta ad equivoci. Il Governo italiano fedele al concerto europeo ne adempirà i doveri, quando tutte le potenze facciano altrettanto e nella eguale misura. Nè più nè meno.

A questo proposito, l'E. V. potrebbe richiamare schiettamente l'attenzione del sig. Hanotaux sulla sproporzione delle nostre rispettive forze marittime in Candia. Nel momento in cui stanno per intraprendersi operazioni effettive di coercizione ci sembra giusto che tra le potenze marittime del Mediterraneo ne siano giustamente ripartiti la responsabilità morale e gli oneri materiali. Per sua norma nelle acque di Candia noi abbiamo venti navi tra grandi e piccole, di cui sei corazzate, mentre la Francia vi ha solo tre incrociatori.

396

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

D. CONFIDENZIALISSIMO S. n. Roma, 16 marzo 1897.

Il qui acchiuso rapporto confidenziale (l) del R. Ambasciatore in Parigi contiene sostanzialmente queste indicazioni: che se, in occasione della presente crisi orientale, da niuna potenza si tenterà un'azione separata per prendere pegno sulle regioni soggette al dominio del Sultano, la Francia nulla farà verso la Tripolitania, mentre, in caso contrario, la previsione d'una invasione francese nel Vilayet di Tripoli non è da escludersi in modo assoluto; e che, d'altra parte, un'eventuale impresa della Francia sopra Tripoli sarebbe principalmente deter

minata dal sospetto, in cui la Francia vive, di un improvviso colpo di mano della Italia sopra quella stessa regione.

In tale stato di cose parrebbe di manifesta nostra convenienza, dal momento che è infondato il sospetto da cui muoverebbe l'eventuale disegno della Francia sopra Tripoli, che da noi si cerchi di eliminarlo, escludendo così, o quanto meno rendendo meno probabile una contingenza da cui potrebbero derivare le più gravi complicazioni.

V. E. sa che alla eventualità di una impresa francese sopra Tripoli si riferiscono particolari impegni contratti tra l'Italia e la Germania. Epperò, prima di nulla fare a Parigi nel senso sovraindicato, desidero udire in proposito il parere di V. E. pregandola di confidenzialmente discorrerne col Barone Marschall.

Non sarebbe certamente il caso di addivenire colla Francia ad un accordo formale, ad un protocollo, per cui potrebbe riuscire men chiara e netta la nostra posizione nella triplice alleanza. Basterebbe, invece, una semplice spiegazione sotto forma di reciproca dichiarazione, tra l'Italia e la Francia, dei rispettivi loro intendimenti. Ed i termini di tale dichiarazione potrebbero essere i seguenti: lo scopo delle Potenze nella presente crisi orientale essendo la conservazione dello statu quo territoriale dell'Impero Ottomano, il Governo italiano e il Governo francese si dànno la mutua assicurazione, per quanto reciprocamente li concerne, di volere specialmente rispettare questo statu quo sulla costa mediterranea dell'Africa.

Tale è il nostro pensiero che prego V. E. di ben chiarire presso il Barone di Marschall. Attenderò ora un cenno telegrafico di V. E. per dare seguito alla cosa, se anche costi sembra ragionevole e consigliabile.

(l) Pubblicato al n. 385.

397

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA (A V V, fase. 68 Z/17)

L. P. Roma, 16 ma1·zo 1897. Lo scambio di idee col conte Goluchowski, di cui questi aveva preso l'iniziativa, ha avuto tutto il seguito che poteva comportare e che basta, per ora. Gli ammiragli incominceranno le operazioni di blocco dell'isola di Creta e, forse, dei porti della Grecia. I Gabinetti di Berlino e di Vienna hanno voluto e ottenuto l'impiego, senza indugio e senza attenuazione, dei mezzi coercitivi, come il solo modo per indurre la Grecia a cedere e per risolvere la questione. Per parte mia, non partecipo a questa fede cosi assoluta e credo piuttosto che il non chiuder tutte le porte, che il lasciare alla Grecia qualche porta in cui passare sarebbe stato un metodo più prudente e forse anche più pronto per giungere allo stesso risultato. Avrei preferito che non si precludesse l'adito, se era possibile, a qualche soluzione conciliante, perchè temo le difficoltà inestricabili a cui potremo trovarci di fronte. Si è preferita l'altra via; noi non abbiamo

voluto, malgrado le nostre preoccupazioni, separarci dal concerto delle Potenze. Chi abbia ragione, l'avvenire lo dirà. Rimarremo fedeli all'accordo europeo, ne adempiremo i doveri, se tutti fanno altrettanto e nella stessa misura. Nè più nè meno. Se gli altri Governi vi sono disposti, potremo mandare i 600 uomini chiesti dagli Ammiragli, ma alle stesse condizioni già poste dall'Austria, vale a dire che questi uomini siano distaccati soltanto a rimpiazzare i marinai richiamati a bordo, a rimanere nei punti occupati della costa, senza impegnarsi in alcuna operazione all'interno. Anzi, quando sarà giunto il momento, conto proporre ai miei colleghi, che si mandino 600 uomini; così il carattere di questa spedizione sarà ben determinato.

Ma se malgrado il blocco, la Grecia non ritira le sue truppe, o queste si trasformano in insorti e l'insurrezione continua e persiste a proclamare l'annessione? A Pietroburgo come a Londra, a Berlino come a Vienna si è discorso di un mandato da affidare all'Italia e alla Francia per l'occupazione dell'isola. Nelle circostanze attuali, questa occupazione significherebbe una spedizione militare per espellere le truppe greche e domare l'insurrezione, in un paese montuoso, senza strade, pieno di posizioni fortissime, con una popolazione abituata alle guerriglie insurrezionali. Richiederebbe non meno di trentamila uomini ed equivarrebbe ad una guerra di montagna almeno per alcuni mesi. Finora questa proposta non ci è stata fatta da alcuno e quindi possiamo ignorarla. Non siamo stati interrogati e non abbiamo punto a rispondere. Ma se ci si offrisse un tanto onore, potete immaginare quale sarebbe la nostra risposta. Del resto, anche il linguaggio tenuto da M. Hanotaux a Tornielli è decisamente contrario a una accettazione da parte della Francia e solo da esso traspare il sospetto e il timore che l'Italia si lasci tentare. Bisognerebbe che le circostanze fossero del tutto mutate perchè l'Italia potesse non dico accettare, ma prendere in considerazione una simile impresa. Un'occupazione nostra non potrebbe essere che un'occupazione pacificatrice e conciliatrice. E per questo essa dovrebbe avvenire col consenso, in qualche modo, della Grecia, il quale non si otterrebbe che in vista di qualche soluzione conciliativa sulla sorte futura dell'isola, che, pur mantenendo l'alta sovranità del Sultano, si avvicinasse di più alle aspirazioni nazionali. Ma sono queste ipotesi lontane e improbabili delle quali non mette conto parlare.

398

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO

T. CONFIDENZIALE 825. Roma, 18 marzo 1897, ore 14.

Dopo aver dato all'Ambasciatore di Inghilterra la risposta ufficiale contenuta nel precedente mio telegramma (1), ho soggiunto a titolo puramente confidenziale e come semplice ipotesi, che un progetto di occupazione in Creta non potrebbe essere da noi preso in considerazione, ben inteso come mandato europeo, se non fossimo anticipatamente assicurati che l'occupazione avrebbe un carattere pacifico e conciliativo. Questa assicurazione potrebbe essere fornita dalle tre seguenti condizioni: l • ritiro delle truppe turche, 2" assenso della Grecia per

cui sia rimossa l'eventualità di un conflitto tanto con le truppe greche quanto con gli insorti, 3" cooperazione con l'Italia di un'altra potenza la quale, come l'Inghilterra propone, potrebbe essere la Francia. Quanto precede è per notizia confidenziale di V. E.

(l) Non pubblicato.

399

RELAZIONE DEL GENERALE DAL VERME, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

Roma, 18 marzo 1897.

In conformità al desiderio espressomi dall'E. V. il 7 corrente, partii da Roma la sera dell'indomani, 8, e viaggiando senza interruzione, giunsi a Bruxelles nelle prime ore del mattino del 10.

Recatomi senza indugio al Palazzo Reale, fui presentato a S. M. il Re dal

suo Capo di Gabinetto, conte di Borchgrave che immediatamente si ritirò, !a

sciandomi solo con S. M.

Dopochè S. M. mi ebbe rivolte alcune parole oltremodo cortesi e dopo che io Le ebbi rassegnati gli omaggi del Presidente del Consiglio, dissi come l'E. V. per aderire al desiderio di S. M. mi avesse inviato a Bruxelles, al fine di conoscere le precise intenzioni Sue al riguardo del progetto di assunzione in affitto dell'Eritrea, di cui era stata fatta parola all'E. V. dal sig. van Loo. Aggiunsi che nell'affidarmi la onorifica missione V. E. aveva espresso l'impossibilità in cui si trovava il Governo del Re di prendere una determinazione al riguardo, sia perchè non vi era nulla di concordato circa la delimitazione della colonia cogli Stati dell'Imperatore Menelik, sia perchè, anche in vista di ciò, il Governo non aveva sinora potuto fissare un preciso programma intorno all'avvenire dell'Eritrea.

S. M. prese allora a parlare e parlò a lungo, con tale lucidità d'idee e precisione di forma, l!he io non potrò di certo fedelmente riportare in questa mia Relazione; lieto che S. M. abbia creduto opportuno, nt::l secondo colloquio, di dettarmi, in via di l!onclusione, le sue proposte, accompagnate da qualche nota, a guisa di commento alle stesse.

Incominciò S. M. col dire che i piccoli Paesi, se vogliono essere sollevati dalle grandi Potenze, debbono cercare di rendersi utili alle medesime. Che naturalmente nel render servizio ad altri, uno Stato non può dimenticare il proprio interesse. Che fu costante la sua simpatia per l'Italia, per i suoi Sovrani, per il suo popolo. Che per tutto ciò, e poichè s'era manifestata presso di noi la tendenza a liberarci di una parte almeno del peso che oggi reputiamo eccessivo, era sorta in Lui l'idea di rendere un servizio al nostro Paese, pur facendo l'interesse del suo, colla enunciazione di un progetto, secondo il quale Egli, Sovrano del Congo, assumerebbe in affitto (bail) tutto quello che sotto diversi titoli, di possesso, di protettorato, o di sfera d'influenza, è in Africa di pertinenza italiana.

Essendosi S. M. arrestata a questo punto, mi profittai per dir subito che quantunque io non potessi pronunciarmi sulle intenzioni del mio Governo, che, come già avevo accennato, non erano per anco determinate, pure credevo di potere escludere da quelle intenzioni qualsiasi nuovo progetto che riguardasse il Benadir e in genere quanto appartiene all'Italia nella Somalia, perchè già era per quelle regioni intervenuto un contratto con una compagnia commerciale milanese; contratto firmato sino dal maggio 1896 e per la cui andata in vigore non mancava che fissare la data.

Mi sono accorto che una tale esclusione riusciva inattesa e, dirò anche, non gradita a S. M.; perchè mi chiese subito se quella Compagnia non sarebbe stata aliena dal venir compresa nell'affitto generale di tutta l'Africa italiana. Risposi che la natura del contratto, firmato dalle parti, escludeva, a mio avviso, quanto sarebbe stato nei desiderii di S. M.; e non se ne parlò più, venendo così i nostri pourparlers a riguardare soltanto la colonia Eritrea.

Il Re mi parlò a lungo delle modalità del bail. Ma come sono contenute nello schema di contratto che S. M. volle dettarmi, così nè le accenno qui nè entro in particolari, riserbandomi di aggiungere qualche spiegazione, dopo di avere testualmente riportato lo schema nella presente Relazione.

Nel primo colloquio, durato poco meno di tre ore, S. M. si dilungò a dimostrarmi l'assoluta necessità che non solo il Governo Britannico fosse assenziente al suo progetto (del che non avevo dubbio) ma eziandio e più ancora, diceva, l'Imperatore di Germania.

«L'Imperatore di Germania (così presso a poco si esprimeva Re Leopoldo) si è offeso allorchè io, senza prevenirlo, conclusi la convenzione coll'Inghilterra del 12 maggio 1894; disse che j'avais commis une abomination; et il m'en a voulu tellement, che fui costretto ad annullare l'articolo 3• della Convenzione stessa. Un tal precedente mi ammaestra che se voglio raggiungere il mio scopo, oggi, devesi anzitutto ottenere l'assenso, anzi il gradimento, dell'Imperatore di Germania, per mezzo del quale poi si potrà ottenere, assai meglio che non direttamente, il consenso dell'Inghilterra».

E a confortare una siffatta affermazione, S. M. aggiungeva: «È l'Imperatore di Germania che mantiene indisturbata, malgrado le pretese francesi, l'Inghilterra in Egitto. Il Governo Britannico lo sa; sopporta per ciò con rassegnazione les taquineries dell'Imperatore nelle faccende coloniali, e si fa premura di consentire ai suoj. desiderii, in Africa, appena gli sia possibile senza pregiudizio degli interessi britannici, pensando che tutto questo è largamente compensato dal potente appoggio germanico in Egitto. Perciò, concludeva Re Leopoldo, bisogna, se si vuole ottenere l'assenso dell'Inghilterra, chiederlo col mezzo dell'Imperatore di Germania».

E questo S. M. mi ripetè più volte, allorchè io le sottoponevo la possibilità, anzi la probabilità che il Governo britannico avrebbe negato il suo assenso ad una combinazione che doveva portare le truppe dello Stato del Congo in regioni che l'Inghilterra considera appartenere di diritto all'Egitto.

Giunta a tal punto, la conversazione si è specialmente aggirata sulla questione di Cassala.

S. M. ammise la teoria che ho sempre professato, sino dal 1890, in occasione dei negoziati coi delegati anglo-egiziani, e che ho creduto di esporgli, secondo la quale l'Inghilterra non ci può praticamente invitare a retrocedere Cassala all'Egitto, senza implicitamente venire a dichiarare all'Europa che è giunto per Ella il momento di sgombrare il territorio egiziano. Ma allorchè io aggiunsi che se l'Inghilterra, nel proprio interesse desidera oggi, finchè ha vita il Mahdismo, che noi rimaniamo a Cassala, e che anche dopo la distruzione di quello ci possa tolle· rare colà, per non essere costretta a riconoscere una situazione che la condurrebbe allo sgombro dell'Egitto, S. M. ne trasse argomento per dire: «Vedete dunque che l'Inghilterra deve acconciarsi a !asciarvi a Cassala».

Lasciarci noi, soggiunsi io, colle nostre truppe, noi, coi quali essa ha firmato il protocollo del 15 aprile 1891, colla nota clausola, si, ma è invece probabile che si opponga a che noi cediamo ad un altro Stato anche la semplice amministrazione di Cassala e del suo territorio che teniamo in via precaria, e che le truppe italiane, citate nella clausola, vengano sostituite, sia pure in via provvisoria, da truppe d1 un altro Stato.

Come avevo portato meco il testo francese del protocollo, così lo sottoposi a

S. M. leggendogli l'art. 11 colla clausola riferentesi a Cassala. E mi parve ehe a S. M. riuscisse nuova, non la cosa, bensì la precisa forma del compromesso.

In proposito, S. M. insistette sulla necessità dell'intervento dell'Imperatore di Germania. < Otterrete tutto ciò, mi disse, dall'Inghilterra per mezzo suo. Ma, aggiunse subito, occorre che glielo chieda l'Italia; anzitutto perchè è una grande potenza, alleata della Germania, e poi perchè è l'Imperatore Guglielmo che ha indotto lord Salisbury a fare la spedizione di Dongola in favore dell'Italia. Se lo chiedessi io, capo di un piccolo Paese, direbbe que je suis possedé de l'ambition d'étre partout, e non sarei, probabilmente, ascoltato».

Come poi S. M. insisteva perchè io esponessi le difficoltà d'attuazione del suo progetto, ed io ebbi a ripetere che malgrado l'intervento dell'Imperatore di Germania non vedevo facile l'assenso dell'Inghilterra a riguardo del territorio di Cassala, S. M. mise fuori una nuova soluzione che è sintetizzata in una nota riportata, quale mi venne dettata, subito dopo lo schema di progetto, che segue:

Avant-projet

Il est convenu .

l. Les possessions italiennes qui seront spécifiées ultérieurement, sont données à bail à S. M. le Roi Léopold. Ce bail restera en vigueur aussi longtemps que les territoires du Congo resteront en Etat indépendant ou comme colonie beige sous la souveraineté de S. M. et des successeurs de S. M.

(formule anglaise -12 mai 1894).

Rien n'empechera, de la part du Gouvernement italien, le Souverain du Congo d'établir certains postes dans la zone que le protocole 15 avril 1891 réconnait à l'infiuence italienne.

Dans le traité que l'Italie fera avec Menelik, elle ne dira pas • la frontière sera telle liJ:(ne • mais bien • de Tomat à la mer la frontière passera par . . •.

2. -Des revenus nets du territoire donné à bail, l'administration créée en vertu du bail remettra la moitié au trésor italien. Elle disposera de l'autre moitié et favorisera l'amélioration materielle et morale de la contrée. 3. -La meme administration pourra récruter des hommes en Italie, exercer ses soldats dans un port italien à choisir.

Les officiers italiens qui s'engageraient à servir l'administration du bail, conserveront leurs ancienneté, et il en sera de meme pour les fonctionnaires civils.

4. -Les emprunts de toute nature émis par l'administration du bail, fruiront du droit de la cote à la Bourse Italienne. 5. -Dans les territoires donnés à bail, les nationaux relevant de chacune des parties, jouiront réciproquement des droits et immunités des nationaux relevant de l'autre partie, et ils ne seront soumis à aucun traitement différentiel.

(formule anglaise -12 mai 1894).

6. L'Italie garde sous son occupation directe Massaua et y placera une garnison politique. L'Administration du bail à Massaua aura seulement les douanes et un quartier commerciai avec des quais suffisants et une eau profonde.

Les forces que possèdera l'administration du bail seront de police intérieure.

Note annexe à l'avant-projet

Il est entendu que le Roi Léopold n'est engagé, par les pourparlers actuels avec l'Italie, que si les grandes puissances ne font pas d'objections, que si particulièrement l'Empereur d'Allemagne ne se montre très sympatique. Et sous la réserve: 1• que le Roi Léopold parviendra à constituer une Société pour l'exploitation de la partie du bail qu'il jugerait indispensable de lui confier; 2° qu'on lui donne et une route d'étapes à transit et magasins libres, transformables à la volonté du Souverain du Congo en un chemin de fer; route qui lui sera concédée par qui de droit, ainsi qu'une certaine surface territoriale et pour la durée de ce bail, de Dongo à Lado, puis le long du Nil, rive droite, jusqu'au Sennaar, et de la ville de Sennaar à Tomat, puis sur Massaua.

Il est également bien entendu que l'Italie n'est engagée en rien par les pourparlers actuels et que elle ne le sera éventuellement que par leur signature.

Note sur Kassala

Tàcher d'obtenir le plus tòt possible que l'Egypte donne le Sennaar à bail et s'engager en retour à maintenir une garnison à Kassala qui pourrait etre mixte, partiellement fournie par l'administration du bail, en considération de l'extension du bail à Sennaar.

Le Sennaar devrait payer la garnison de Kassala.

Lo schema di progetto e le due Note mi vennero dettati da S. M. nel secondo colloquio, il mattino dell'll marzo; e il tutto venne da me riletto ad alta voce a S. M. che controllava le parole sulla sua minuta.

A questi documenti faccio ora seguire alcune spiegazioni che reputo necessarie per l'intelligenza dei medesimi.

I. -Quantunque sia lasciata indefinita l'estensione del territorio di cui si tratta l'affitto, mi è risultato evidente che le intenzioni di S. M. si riferivano a tutto quanto appartiene in qualsiasi modo all'Italia in Africa, e che soltanto in seguito alla conoscenza avuta del contratto firmato colla Compagnia per il Benadir, si limitavano all'Eritrea, colla corrispondente sfera d'influenza.

II. -La formola inglese del trattato 12 maggio 1894, citata due volte, è la seguente: « Art. 2° -La Gran Bretagna dà in affitto a S. M. il Re Leopoldo II, Sovrano dello Stato indipendente del Congo, i territori qui sotto indicati, per essere occupati ed amministrati da Lui, alle condizioni e per il periodo di tempo in appresso stipulati:

L'affitto durerà per tutto il tempo del regno di S. M. Leopoldo II, Sovrano dello Stato indipendente del Congo.

Tuttavia allo spirare del Regno di S. M. l'affitto resterà in vigore di pieno diritto in ciò che concerne tutta la parte dei territori menzionati più sopra.

Questo affitto prolungato resterà in vigore per tutto il tempo che i territori

del Congo rimarranno come Stato indipendente o come colonia belga, sotto la

Sovranità di S. M. o dei suoi Successori » (1).

Durante il tempo della presente locazione, si farà uso nei territorii dati in

affitto di una bandiera speciale.

III. -S. M. ha insistito sulla necessità, nella delimitazione dell'Eritrea, di adottare una forma che lasci impregiudicata la questione del confine etiopico verso ponente.

Ho ringraziato S. M. del consiglio che per noi è prezioso, anche prescindendo dalla proposta d'affitto, imperocchè, come appare evidente dalla Carta del Prof. Dalla Vedova, fra il confine occidentale dell'Abissinia (che è ad un tempo l'antico confine storico e il confine attuale di fatto) e la linea convenuta per la nostra sfera d'influenza coll'Inghilterra nel protocollo 15 aprile 1891, havvi una grande distesa di territorio che non può essere contemplato dal trattato di Addis Abeba, perchè è fuori dell'Impero d'Etiopia e che quindi appartiene tuttora di diritto, almeno rimpetto all'Inghilterra, all'Italia.

Malgrado tale diritto, non sarebbe opportuno, per ragioni ovvie, toccare direttamente questo punto con Re Menelik nelle prossime trattative. Ma è facile e ad un tempo opportuno, anzi necessario, non pregiudicare la questione; e lo si può, come suggerisce il Re Leopoldo, adottando una determinata dizione.

Quella suggerita dovrà necessariamente venir modificata nel senso di sostituire alla parola mare l'altra oriente. Potrà anche essere un'altra, ad esempio: «Dal fiume Atbara presso Tomat andando verso oriente, la frontiera fra l'Italia e l'Etiopia seguirà ... ». Potrà pure essere di forma diversa, se così si vorrà da Menelik, ma non mai dovrà ammettersi una frase generica come la seguente: « Il confine fra l'Italia e l'Etiopia ..... » che pregiudicherebbe qualsiasi nostra aspirazione sui territorii a ponente di questa.

IV. -Colla frase une garnison politique S. M. intende dire un corpo di truppe destinato ad affermare la Suzeraineté dell'Italia e ad un tempo per la difesa della colonia contro nemici esterni.

S. M. mi ha detto di avere aggiunto questo inciso nell'articolo in seguito all'obiezione da me fattagli; che cioè non vedevo come le poche truppe dell'amministrazione affittuaria sparse in numerosi piccoli posti, come usa nello Stato del Congo, potessero all'evenienza difendere la colonia dagli imponenti attacchi degli abissini.

La distinzione portata dall'art. 6• è chiara ed è anche razionale; dovetti convenirne. Ma, oltrechè non risolve la quistione dei presidii nei forti sull'altipiano (intorno alla quale mi duole di non aver pensato a chiedere schiarimenti), può farci chiedere a qual prò dobbiamo cedere ad altri l'amministrazione dell'Eritrea, se dobbiamo continuare a sopportare intera la spesa e la responsabilità della difesa contro i nemici esteriori. Spesa e responsabilità, la cui gravità è appunto quella che ci induce a cercare un'uscita dalla presente situazione; mentre la spesa e la responsabilità dell'ordine interno non sono e non furono mai tali da crearci serie preoccupazioni.

Questo pensavo durante i colloqui con S. M.; ma questo mio pensiero nè lo espressi nè lo lasciai trapelare, perchè mi sarebbe sembrato di esorbitare dalle avute istruzioni. A me parve sufficiente l'avere su questo punto essenziale provocato dal Re una esplicita definizione degli obblighi dei due poteri a riguardo della difesa della Colonia.

V. -La nota riguardante Cassala ha bisogno di spiegazione. Il Re Leopoldo, come Sovrano del Congo, tende essenzialmente col suo progetto a dare al suo grande Stato africano una comunicazione col Mar Rosso. È una concezione colossale questa del capo di un piccolo regno europeo, che mira ad estendere lo Stato, destinato a divenire Colonia belga, attraverso a tutto il continente nero dall'Atlantico al Mar Rosso, e, cosa ancora più ardua, attraverso i possessi e le aspirazioni di pressochè tutte le potenze coloniali d'Europa!

Il Re Leopoldo si è cacciato nel centro d'Africa fra Germania, Francia ed Inghilterra, e profittando delle reciproche loro gelosie, ha firmato convenzioni, ha assunto impegni con tutte quelle potenze, spingendo intanto i posti congolesi nell'Alta Valle del Nilo, sino (cosi si dice, ma io ne dubito) a Lado, sul Nilo Bianco in 5• lat. Nord. Ora si vede non lungi dalla sfera d'influenza italiana e si rivolge all'Italia per trovar modo di passare attraverso i suoi territorii e giungere in una qualche maniera al Mar Rosso.

Credo di non andare errato nel credere che se Re Leopoldo non riuscisse a raggiungere il suo desideratum, espresso nell'unito schema di progetto, non rinuncerebbe per questo alla comunicazione del Congo col Mar Rosso attraverso l'alta Valle del Nilo e l'Eritrea; comunicazione che sta in cima ai suoi pensieri, e che dovrebbe essere assicurata e favorita da privilegi doganali.

Che di ciò S. M. sarebbe soddisfatto, non oso dirlo; ma certo è, perchè il Re me lo disse apertamente, che sotto questa forma, e non altrimenti, dovrebbe portare a conoscenza del pubblico, in Belgio, il suo progetto d'affitto, perchè soltanto in questo modo eviterebbe l'opposizione del Parlamento e dell'opinione pubblica.

Per ciò preme a S. M. più ancora di quanto possa premere a noi, di mantenere il segreto più assoluto sui preliminari in corso. Il Re mi ha detto in proposito che nessuno dei suoi Ministri, neppure il Ministro del Congo, van Etvelt, è al fatto di questi. La cosa è personalmente ed esclusivamente trattata dal Re.

L'idea di un affitto del Sennaar (l) per risolvere la questione di Cassala è certamente nuova ed ingegnosa. Non sapendo vedere come possa concretarsi nello stato attuale delle cose, essendo quella regione in potere dei Dervisci, ne espressi i miei dubbi a S. M. che subito rispose: « Appunto per ciò fa d'uopo intavolare sin d'ora le trattative coll'Egitto, cioè coll'Inghilterra; perchè quando le truppe anglo-egiziane saranno a Kartum, il Governo britannico non farà nessuna concessione ».

Nel corso dei due colloqui, ho posto sotto gli occhi di S. M., ogni qualvolta se ne presentava l'occasione, le Carte topografiche che avevo portato meco, e cioè le due Edizioni (planimetrica ed altimetrica) della Carta d'Etiopia del Cap. De Chaurand, la Carta dei possedimenti italiani del prof. Dalla Vedova, e la recentissima dell'Eritrea, tuttora in costruzione presso il Corpo di Stato Maggiore,

alla scala del 250.000. E poichè ho visto che S. M. s'interessava molto a queste Carte che ripetutamente diceva belle ed utilissime, ho creduto di offrirgliele tutte; lieto di aver trovato un modo, il solo che mi fosse consentito, di dimostrare a S. M. quanto fossi grato per le sue manifestazioni di stima, e per la sua grande affabilità e per la squisita cortesia di cui mi aveva onorato.

S. M. accolse subito l'offerta, e ben m'avvidi che il modestissimo dono era stato assai gradito.

Ripetutamente S. M. mi invitò ad esprimere quanto avessi ancora a dire in merito delle cose discusse. E dopo che ebbi dichiarato di non aver più nulla ad aggiungere, mi espresse desiderio di rivedermi a Milano (all'Hotel Cavour) dove Egli si sarebbe recato nel prossimo aprile fra il 5 e 1'8, e poi fra il 18 e il 20. Mi incaricò di esprimere i suoi sentimenti di stima e di alta considerazione al Presidente del Consiglio e all'E. V., e dopo avermi detto molte cose estremamente gentili, accompagnandomi sin sulla porta della sala, mi congedò.

L'indomani mattina (12) lasciavo Bruxelles, partendo alla volta dell'Italia.

400.

IL CONSOLE REGGENTE A TRIESTE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. s. n. Trieste, 19 marzo 1897.

Come già informai V. E. col mio telegramma in data di ieri (1), anche l'elezione del III Collegio politico di Trieste, che per speciali ragioni si considerava la più importante, riuscì, al pari delle precedenti, favorevole al partito nazionale.

Il corpo elettorale, come è noto, si distingue in cinque collegi. Sino ad ora i deputati triestini al parlamento di Vienna appartenevano al partito governativo per tre collegi, allo slavo per il quarto. Il quinto collegio venne di recente istituito, in forza della nuova legge elettorale austriaca che estende a tutti i cittadini anche analfabeti, il voto politico.

Il partito nazionale, rimasto sempre astensionista, scese ora per la prima volta nella lizza elettorale politica. La campagna elettorale fu condotta dalla Società «Il Progresso», di cui è presidente l'avv. Venezian, con abilità, zelo ed attività veramente ammirevoli.

Il periodo elettorale si aprì colla elezione del deputato per la quinta curia. Alla quinta curia, come già dissi, sono iscritti tutti i cittadini che non appartengono agli altri collegi. In Trieste essa raggiunge il riguardevole numero di 37 mila elettori.

Per il numero degli iscritti, per il carattere suo popolare assume una grandissima importanza. Il partito slavo vi aveva portato il suo antesignano Nabergoi, i socialisti l'operaio... e il partito nazionale il dott. Attilio Hortis, che vinse con oltre 14 mila voti, mentre il Nabergoi non ne ebbe che 6 mila e il candidato socialista 4 mila.

Seguì l'elezione del 1° collegio (grandi proprietari) in cui contro il deputato governativo uscente Raffaele Luzzatto, fu contrapposto, dal partito nazionale, l'avv. Cambon, che venne eletto a grande maggioranza.

Nel 1° collegio (impiegati e professionisti) riuscì l'avv. d'Angeli nazionale contro li Burgstaller de Bidischini, pure deputato uscente. Tale risultato è rimarchevole pel fatto che gran parte degli elettori di questo collegio sono impiegati govemativi.

Di specialissima importanza fu la lotta per l'elezione del III collegio, lotta che prese il carattere di un duello fra l'elemento slavo e l'italiano.

Il III collegio (esercenti, piccoli proprietari e abitanti dei comuni suburbani) era la cittadella del deputato slavo Nabergoi che da 25 anni lo rappresentava al parlamento austriaco. Il Nabergoi noto slavofilo, nemico dichiarato della nazionalità italiana che violentemente osteggia ed attacca, sia al parlamento di Vienna come nel consiglio comunale di Trieste, gode di grandissima popolarità per le numerosissime popolazioni slave di questi comuni suburbani.

Il « Progresso » gli oppose il Mauroner. La lotta fra i due partiti non poteva essere più accanita, nè il trionfo del Mauroner più splendido e più significante.

Accorsero alle urne il 92 per cento degli elettori; e la vittoria fu strappata dal partito nazionale agli slavi con una maggioranza di oltre 200 voti sopra circa 4 mila elettori iscritti.

Mi riuscirebbe difficile il dare una idea dell'entusiasmo con cui la notizia della votazione fu accolta in città. Dimostrazioni numerosissime, folla plaudente per tutte le vie, luminaria da tutte le finestre, una vera festa cittadina, di una spontaneità e d'un entusiasmo quali raramente accade di vedere, ed a cui presero parte, senta distinzioni, tutte le classi della popolazione di Trieste.

Resta ora la nomina, che avverrà in settimana, del deputato del IV collegio, composto delle ditte patentate della Camera di Commercio. Gli elettori di questo collegio non arrivano a 40, e ancora non venne fissata la scelta del candidato, essendovi in questo collegio elementi ligi al governo ed osteggiatori del partito nazionale.

In ogni modo i quattro eletti attestano la rigorosa vitalità, la compattezza e la disciplina del partito nazionale, essendo essi uomini di principi liberali e di aspirazioni spiccatamente irredentiste.

L'essere il partito nazionale uscito dalla astensione dalle urne politiche, seguita sino ad ora come protesta, non può in modo alcuno interpretarsi quale rinuncia o transazione coi suoi ideali politici e colle sue aspirazioni.

La deputazione triestina unendosi ai due o tre deputati italiani dell'Istria, a quelli del Friuli ed ai trentini, renderà possibile la formazione del club italiano, che potrà, in date contingenze, ottenere dal Governo austriaco concessioni favorevoli alla nazionalità italiana, che nelle regioni del littorale e del Friuli è compressa e indirettamente osteggiata a completo vantaggio della sempre più crescente invasione slava.

401. L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/36)

L. P. Parigi, 23 marzo 1897.

Negli ultimi giorni le gazzette hanno ripetuto con insistenza che a rimpiazzare il barone di Courcel nel posto di Ambasciatore a Londra sarà chiamato il signor Billot il quale avrà per successore il signor Barrère presentemente Ambasciatore a Berna.

Ho domandato al signor Hanotaux se tali notizie avevano fondamento. Ne ebbi in risposta che ciò che si leggeva nei giornali a tale riguardo era prematuro. Per favorire la candidatura di un'altra persona al posto di Governatore dell'Algeria si faceva correre la voce che il signor Cambon abbandonerebbe quella carica per assumere l'ufficio di Ambasciatore a Berna. Così era nata l'ipotesi del trasloco del signor Barrère a Roma e del signor Billot a Londra. Però nulla era fin qui stato deciso. Le preferenze del signor Hanotaux erano per la designazione di un personaggio parlamentare all'Ambasciata di Londra. Ma questa combinazione incontrava delle difficoltà ed era possibile che dovesse essere abbandonata. In tal caso la scelta per Londra avrebbe potuto cadere sovra il signor Billot o sovra un altro diplomatico. Mi raccomandò di non parlare di ciò perchè queste questioni di nomine danno sempre campo ad una quantità di pettegolezzi.

Nel parlare del signor Billot, il Ministro mi disse: c: Je pense que vous n'y tenez pas beaucoup à le garder à Rome; non pas vous personnellement, mais en général à Rome on n'y tient pas beaucoup ». Replicai tosto che ciò non mi risultava dopo la costituzione del presente nostro Ministero col quale aveva anzi motivo di credere che il signor Billot coltivasse buone relazioni. Sempre nella ipotesi di dover dare al Billot un successore, Hanotaux mi disse pure che egli avrebbe cercato di mandare a Roma qualcuno che vi avesse potuto causer perchè converrà pure che si riprendano le cose nostre appena le agitazioni della questione orientale ci consentiranno di occuparci anche di altri interessi.

Prego V. E. di considerare come strettamente confidenziale questi cenni relativi al signor Billot.

(l) Questa è precisamente la formala inglese a cui allude il Re. Ho creduto opportunocitare anche altre parti dell'art. 2 del trattato anglo-congolese, perchè a questo s'informano le idee di S. M. sul nuovo progetto. (Nota del documento).

(l) La città di Sennaar, sul Nilo Bleu, è il punto dove giunge la navigazione. La sua provincia è ritenuta fra le più fertili dell'alto bacino del Nilo. (Nota del documento).

(l) Non pubblicato.

402

L'AMBASCIATORE A LONDRA, FERRERO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/14)

L. P. Londra, 23 marzo 1897. Il telegramma spedito sabato scorso, 20 corrente, da lord Salisbury alle Ambasciate Britanniche presso le Grandi Potenze è un effetto delle tendenze che regnano in seno a questo Gabinetto. Non è da dimenticarsi che questo Ministero contiene elementi radicali, come ad esempio il signor Chamberlain. Ma il più contrario alle misure di rigore verso la Grecia è il signor Goschen, il quale come primo lord dell'Ammiragliato è chiamato a dare gli ordini all'Ammiraglio britannico nelle acque di Creta. Ma in generale tutti i Ministri, anche quelli che non hanno simpatie per la Grecia, nutrono la più grande avversione per il Governo ottomano, ed in ciò sono d'accordo col sentimento nazionale. Quindi in presenza delle proposte che vengono dalle potenze più ostili alla

Grecia il Governo della Regina si preoccupa anzitutto di non aderire a qualsiasi misura che anche solo in apparenza possa essere interpretata come atto di alleanza od anche di sola amicizia verso la Turchià. Questo punto di vista suscita il malumore dei rappresentanti di Russia, Germania ed Austria presso questa Corte.

Mi permetto di segnalare un articolo di fondo del « Times » di oggi 23 marzo che mi pare molto assennato. Da quest'articolo, che qui compiego (l), appare la • speranza che il Governo ellenico non desideri di meglio che ritirarsi se gli viene fatto un ponte d'oro. In tal senso si esprime anche la corrispondenza da Atene del giornale stesso. Benchè l'incaricato di affari di Grecia qui a Londra si sia comportato in modo da compromettere alquanto il proprio credito, tuttavia non ho ragione di dubitare della confessione che egli mi ha fatto rispetto al desiderio del suo Governo di uscire dalla presente falsa posizione. Sta a vedere se alcuna delle potenze possa prudentemente prendere una iniziativa in tal senso.

Qui tutti reclamano la nomina di un Governatore per Creta, senza di che l'anarchia non può cessare. Lord Salisbury è indisposto, ma in settimana egli conta partire per Nizza. Ciò farebbe supporre una piega relativamente buona negli affari.

403

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

(A V V, fase. 68 Z/15)

L. P. Berlino, 25 marzo 1897.

Con mio telegramma d'oggi (l) Le ho reso conto dei passi fatti presso il Barone Marschall circa la progettata dichiarazione d'intendimenti sulla regione Tripolitana tra l'Italia e la Francia. Con ciò ho risposto al di Lei dispaccio relativo (2) e alla prima parte della Sua lettera particolare del 16 (3). Aggiungerò qui solo poche parole. Il Barone Marschall fu evidentemente molto imbarazzato nel rispondermi; egli non crede che la Francia nutra, in questi momenti, idee di occupazioni sul territorio di Tripoli, ma egli è pur convinto che la Francia non vorrà mai prendere espliciti impegni scritti in proposito, e ritiene che ogni nostra proposta, ogni nostra apertura in tale senso sarebbe destinata ad un insuccesso. Il Barone Marschall non volle però esprimere un parere ufficiale, darci un consiglio: non volle cioè cercare di distoglierci da un atto che noi credessimo vantaggioso per togliere sospetti, equivoci nelle nostre relazioni colla Francia, nè parer di spingere a quell'atto mentre non lo crede necessario e il suo consiglio avrebbe potuto sembrar inspirato dal desiderio di diminuire il peso degli impegni assunti dalla Germania, a nostra richiesta, da appositi articoli del Trattato di Alleanza. Queste cose più che dirmele, il Barone Marschall me le lasciò intendere dalla riservatezza delle sue parole, dalle sue risposte evasive che ho telegrafato.

Come V. E. osserva le cose di Grecia si avviano alla soluzione voluta dalla Germania. Io fui sempre d'avviso che la proposta del blocco del Pireo e altri

porti greci, lanciata dall'Imperatore, fosse un errore, o quanto meno si dovesse proporre quel blocco non prima, ma dopo che fossero esauriti gli altri mezzi meno odiosi che potevano essere accettati da tutte le Potenze. Ma dal giorno in cui vidi il Barone Marschall che dapprima vi era opposto, accostarsi a quell'idea per sostenere l'iniziativa presane dal suo Sovrano; quando la vidi subito accolta a Vienna e Pietroburgo, mi persuasi che la Germania non l'avrebbe più abbandonata. La costanza, direi l'intransigenza (per non dire la prepotenza) è uno dei caratteri di questi signori, e il Gabinetto di Berlino infatti non ammise più alcuna transazione: solo la resipiscenza della Grecia avrebbe potuto smuoverlo.

Noi in fondo siamo stati -e siamo i soli -altrettanto, benchè in senso opposto, fedeli all'attitudine assunt~ fin dal primo momento; francamente contrari in principio ad ogni misura di soverchio rigore, ma disposti a non separarci dal concerto europeo, anzi cooperare finchè possibile al mantenimento di esso. La difficoltà nostra consisteva e consiste nell'affermare i nostri leali concetti senza metterei in diretta opposizione coll'alleata Germania. A ciò, mercè le sagge direttive di V. E. adoprai la modesta mia opera, e tranne qualche piccolo urto, senza conseguenza, qua e là, credo che ci siamo riusciti. La correttezza della condotta di V. E. è in ogni caso sempre stata apprezzata.

Certo non è facile nè piacevole la missione di un Ambasciatore presso una Potenza alleata, quando il Governo ch'egli rappresenta e quello presso cui si trova non sono nello stesso ordine di idee e spesso invidio il mio collega inglese che non ha mai da curarsi se piacciono o meno le comunicazioni ch'egli deve fare.

Se· non avrò saputo corrispondere in tutto alle di Lei intenzioni, voglia V. E. essermi indulgente fino al momento -e confesso che spero non lontano -in cui Ella potrà darmi un successore.

(l) -Non pubblicato. (2) -Pubblicato al n. 396. (3) -Non pubblicata.
404

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. s. n. Roma, 26 marzo 1897.

Rispondo al suo telegramma confidenzialissimo di jeri (1). Uno scambio intimo di idee che, per iniziativa del conte Goluchowski ebbi in questi ultimi giorni, col Gabinetto di Vienna, e di cui le darò migliori notizie col prossimo Corriere, ci assicura essere assolutamente esclusa per ora, da parte dell'Austria-Ungheria, una qualsiasi mossa da cui, secondo l'opinione di Tornielli, la Francia potrebbe trarre pretesto per un suo colpo di mano in Tripoli. Ciò. essendo ritengo che possiamo in questo momento astenerci dal fare a Parigi una apertura qualsiasi. Noi siamo, dal canto nostro, ben risoluti a non prendere l'iniziativa d'una impresa a Tripoli; ma, poichè non potremmo tollerare che una siffatta impresa si compia dalla Francia, è evidente che, eliminata l'idea di una schietta anticipata spiegazione reciproca, non ci rimarrebbe, data la contingenza, che invocare, presso la Germania, il casus foederis nei termini in cui esso è stato pattuito.

(l) Non pubblicato.

405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI

T. CONFIDENZIALE 930. Roma, 27 marzo 1897, ore 12,20.

Se, come si suppone a Berlino, l'iniziativa delle eventuali proposte continua a dover venire da Pietroburgo, non mi parrebbe fuor di proposito che V. E. presentasse, a titolo strettamente amichevole e confidenziale, al Conte Mourawieff alcuna nostra considerazione circa l'ultima comunicazione britannica.

Secondo questa, il blocco delle coste greche sarebbe eventualmente deliberato indipendentemente dalla intimazione da farsi alla Turchia e alla Grecia per l'allontanamento delle truppe rispettive dalla frontiera.

Ora è lecito domandarsi quale interesse avrà la Grecia dopo attivato il blocco, ad ottemperare all'invito, e quale ulteriore coercizione si potrà ancora spiegare contro di essa per costringervela. L'intimazione, con grave scapito morale del concerto europeo, rischierebbe di rimanere lettera morta. Mi sembra, del resto, in linea generale, che, dopo attivato il blocco, le Potenze dovrebbero, anzichè urtare il sentimento greco con ulteriori intimazioni, studiarsi di semplificare la situazione con alcun espediente, conciliabile bensl col principio dell'integrità dell'Impero ottomano e col fermo nostro comune proposito di scongiurare altre complicazioni nei Balcani, ma tale, nel tempo stesso, di fornire alla Grecia il modo di una onorevole ritirata.

406

L'AMBASCIATORE A VIENNA, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (A V V, fase. 68 Z/17)

L. CONFIDENZIALE Vienna, 31 marzo 1897.

Voi mi avete telegrafato il 14 corrente (l) comunicandomi un'informazione di Tornielli, secondo la quale una dichiarazione di guerra tra la Grecia e la Turchia sarebbe ritenuta come costituente il casus joederis degli accordi secreti tra il Sultano e l'Imperatore di Russia. Malgrado ogni mia diligenza, non mi riusci di sapere se questa informazione sia fondata. Posso soltanto dire che Goluchowski, secondo le mie informazioni, non sa nulla di ciò.

La questione cretese diventa ogni giorno più difficile e complicata, ed è da prevedersi che la diplomazia europea non ne esca con gran prestigio. Eccovi l'ultima fase. Il Conte Goluchowski, informato della comunicazione di Muravieff sull'inutilità del blocco di Nolo, fece dare allo stesso Muravieff, or sono tre giorni, una risposta contenente in sostanza quanto segue:

Il Gabinetto di Pietroburgo pose negli ultimi tempi l'iniziativa delle proposte circa il quid agendum per Creta. Il Gabinetto di Vienna accettò successiva

mente le proposte fatte allo scopo di un'azione comune. Ora in presenza delle incertezze manifestate dal Gabinetto di Pietroburgo, dopo aver preso gli ordini dell'Imperatore, il Conte Goluchowski crede suo debito di dichiarare che se il Gabinetto di Pietroburgo recede dalla sua iniziativa, e se non è disposto ad adottare e a raccomandare i tre punti seguenti, il Gabinetto di Vienna non prenderà più parte a qualsiasi azione rispetto a Creta e alla Grecia.

I punti sono questi: l • Autorizzare gli ammiragli ai provvedimenti di coercizione da essi stimati necessari; 2" Procedere alla nomina di un Governatore anche provvisorio soltanto, dell'isola di Creta. L'Austria accetta che questo possa essere uno degli ammiragli, se si vuole, il più anziano; a• Incaricare gli Ambasciatori a Costantinopoli di compilare lo Statuto organico per l'Autonomia e il Governo di Creta. In seguito a questa comunicazione, il Conte Muravieff mandò ieri l'altro una circolare ai varii Gabinetti proponendo l'autorizzazione agli ammiragli di bloccare il golfo di Atene. Di questa circolare fu data comunicazione ieri, come vi telegrafai, a Goluchowski che naturalmente approvò. Ieri, nel parteciparmi quanto sopra, Goluchowski chiese il mio avviso circa la presente fase della questione. Dopo avergli ricordato che l'Italia, in tutto il corso della questione, dichiarò costantemente che essa accetterebbe ogni proposta che riunisse il consenso di tutte le altre potenze, gli dissi quanto segue. Dall'un lato ripugna alle Potenze di fare atti di ostilità verso la Grecia; dall'altro lato limitare l'azione delle potenze al blocco di Creta, equivale ad un'aperta dimostrazione d'impotenza; e da un terzo lato nessuna delle potenze vuole incaricarsi di fare una grossa spedizione militare nell'isola, non inferiore ad una trentina di reggimenti; e ricordai al proposito, che Niceforo Foca, al 10" secolo, per conquistar Creta sui Saraceni, vi condusse duemila navi e cinquantamila soldati, comandati da un gran Capitano com'era il Foca. In tale stato di cose era da prevedersi che Vassos non se ne andrebbe da Creta, e che il concerto delle Potenze avrebbe finito per esplicarsi nel senso di un accordo nel non fare. Era perciò da prevedersi la guerra tra la Grecia e la Turchia. Il conte Goluchowski assevera che ha l'assicurazione dei Governi di Serbia e di Bulgaria, che questi Stati non si muoveranno. In tal caso il mio avviso si riduce ai punti seguenti: lo Le potenze non intervengano nel conflitto greco-turco, e ne prendano impegno, fino al momento in cui una mediazione si imponga; 2" Le potenze si impegnano ad astenersi da ogni occupazione o profitto unilaterale prendendo un impegno di mutuo disinteresse; a• L'Austria-Ungheria e l'Italia procedano d'accordo cordialmente, con intera confidenza, in tutto e per tutto, in ogni fase della questione. Il conte Goluchowski approvò questo modo di vedere, ed è disposto a conformarvi la sua azione, quando il momento sia giunto. Ma, ben inteso, io ho riservato il giudizio del Governo del Re, mettendo ben in sodo che le mie parole erano soltanto l'espressione del mio punto di vista personale. Confido la presente lettera al corriere che partirà domani.

20 -Documenti diplomatici • Serie III · Vol. l

(l) Il telegramma non è stato pubblicato.

407

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, RUDINI', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. p. Roma, 3 aprile 1897.

Resituisco la relazione dal Verme (l) intorno ai colloqui con S. M. il

Re Leopoldo sulle cose di Africa.

Le ripeto ora quel che le dissi su questo argomento vale a dire che ho

veduto il Ministro del Belgio sig. van Loo il quale mi annunziò che S. M. il Re

Leopoldo si sarebbe trovato a Milano 1'8 aprile, dove desiderava rivedere il

Generale dal Verme.

Il sig. van Loo chiese ancora una sollecita decisione dell'Italia sulle pro

poste del Re Leopoldo.

Io lo pregai di conferire con Lei, ma lasciai intendere ch'Ella avrebbe pro

babilmente aderito ad inviare il generale dal Verme a Milano.

Stimai però opportuno dichiarare che oltre le note condizioni preliminari

già annunziate (delimitazione con Menelik e assenso della Germania e dell'In

ghilterra) mi era necessario attendere le risoluzioni del Parlamento sulla Colonia

Eritrea. Dissi che non poteva il Governo prendere impegni di sorta prima di

avere esposto alle Camere la sua politica e averne avuta l'approvazione.

Intorno al merito del disegno propostoci dissi che non sarebbe stato possi

bile di prenderlo in considerazione se il Re Leopoldo non assumesse la difesa

dell'Altipiano contro qualsiasi attacco esteriore.

408

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A WASHINGTON, FAVA

T. 1009. Roma, 4 aprile 1897, ore 18.

La nuova tariffa americana ora meglio conosciuta in Italia suscita, particolarmente in Sicilia, una vera agitazione. Mentre deve essere ancora approvata dal Senato, che sembra, come V. E. telegrafa, disposto a notevoli modificazioni, è nostro dovere di lasciar nulla intentato per risparmiare almeno ai nostri agrumi l'insopportabile aggravio che li minaccia. Senza farne, ben inteso, oggetto di espressa minaccia, V. E. dovrebbe, come sua opinione, lasciar comprendere che il R. Governo potrebbe essere costretto dalla pubblica opinione a prendere eventuali provvedimenti di rappresaglia.

(l) Pubblicata al n. 399.

409

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 1141/315. Parigi, 8 aprile 1897.

Mi è pervenuto or ora il dispaccio di V. E. in data delli 6 corrente (l) al quale trovai allegata copia del rapporto 28 marzo del R. Console a Tripoli. Scrive il cav. Motta che armamenti straordinari francesi sono segnalati verso la frontiera di Tripolitania nella Tunisia, principalmente a Gabes dove si sbarcano cannoni e munizioni, si passano riviste e si allestiscono truppe. L'egregio agente nota inoltre una insolita premura del Console Generale di Francia a mettere in evidenza le migliori sue relazioni con tutte le autorità ottomane ed, esaminando complessivamente parecchi sintomi, egli chiede a se stesso se non siavi nelle cose da lui osservate l'indizio che dalla parte della Francia si stia allestendo un colpo di mano sulla Tripolitania del quale la riuscita potrebbe essere facilitata dalle critiche condizioni presenti della Turchia.

È questo un tema sul quale per certo tutta l'attenzione dei nostri Agenti deve essere costantemente rivolta e l'opera loro sagace riuscirà di tanto maggiore profitto in quanto essa sarà spoglia di qualunque preconcetta tendenza a dare importanza di verità a ciò che finora non fosse altro che congettura e sarà accompagnata da scrupolosa cura nello accertamento delle proporzioni dei fatti che loro fossero segnalati. A tale riguardo non mancano di certo al R. Governo altre fonti d'informazione che gli permettono di riscontrare ciò che degli armamenti francesi in Tunisia può essergli segnalato da Tripoli. Dal canto mio qui, per mezzo del R. Addetto militare, non manco di tenermi informato dei preparativi di qualche importanza che si potessero fare nella Reggenza tunisina. Finora nulla che meriti particolare attenzione mi è stato segnalato. Ma per certo gli armamenti francesi tanto nella Tunisia, quanto nell'Algeria, sono normalmente di tale importanza da permettere, in qualunque momento, un'azione vigorosa che potrebbe riuscire decisiva, se la espansione nella Tripolitania dovesse essere nei propositi della Francia.

Ancora recentemente, nel corso di una conversazione, il sig. Hanotaux incidentalmente escluse ogni previsione di una impresa siffatta da partP della Francia. Ma io debbo, per ciò che concerne le considerazioni dalle presenti circostanze della Turchia suggerite, riferirmi a quanto scrissi a V. E. il dì 8 marzo nel rapporto n. 773/221 (2). Quelle stesse cose debbo confermare oggi aggiungendo che merita particolare menzione, sebbene sia rimasto senza risposta da parte del Ministero, ciò che, nella tornata della Camera dei Deputati del 3 aprile, fu qui detto dall'on. Gauthier de Clagny circa la posizione che le forze navali della Francia, dell'Italia e dell'Inghilterra tengono in questo momento nel Mediterraneo. V. E. troverà interesse nel leggere il testo di queste considerazioni nella seconda colonna della pagina 1046 del resoconto ufficiale delle discussioni allegate al « Journal officiel » del 4 aprile corrente.

(l) -Non pubblicato. (2) -Pubblicato al n. 385.
410

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 185/102. Pietroburgo, 10 aprile 1897. Ha colpito la mia attenzione la frequenza colla quale in Italia vari giornali autorevoli parlano di una pretesa lega fra i tre Stati Slavi Balcanici, sotto l'egida della Russia. Il punto di partenza è sempre la visita fatta dal Re di Serbia al Principe di Bulgaria, entrando su di ciò in particolari immaginari, e traendo deduzioni da nulla giustificate. Ho persino veduto affermare che lo Czar, nel ricevere il Generale Grouitch, nuovo Ministro di Serbia a Pietroburgo, gli avrebbe espresso la sua alta soddisfazione per tale unione. Già reputai dover mio occuparmi di quel soggetto, e smentire simiglianti asserzioni. Di fronte, però, alla persistenza colla quale esse vengono propalate, volli intrattenerne il conte Lamsdorff, il quale, arrendendosi volontieri al desiderio da me manifestato d'acquistare la maggior copia possibile di informazione a quel riguardo, mi tenne un discorso, di cui parmi interessante esporre succinta· mente la sostanza. Il Re Alessandro ha certamente intrapreso il viaggio di Sofia sotto il peso d'una preoccupazione grave, e nell'ansiosa aspettativa delle disposizioni che sarebbe per trovarvi. Se il Principe Ferdinando avesse manifestato intendimenti bellicosi, se avesse parlato d'una prossima azione e d'un accordo per lo scompartimento della Macedonia, il giovane Sovrano di Serbia ed il suo Governo si sarebbero probabilmente lasciati trascinare su quella via. Senza dubbio a Belgrado non s'ignorava il pericolo che vi sarebbe a scontentare le potenze. Tuttavia si sperava ricevere un incoraggiamento nella capitale bulgara, e forse non sarebbe stato discaro d'avere a subire qualche pressione. L'incontro, bisogna confessarlo, non fu quello che s'attendeva. Ho riferito dianzi a V. E. che si scambiarono molte cortesie, ma che nulla di concreto veniva adottato. Si concertò la restituzione della visita, la quale secondo un telegramma pubblicato giorni sono dal « Journal de St. Pétersbourg » annuncia che il principe Ferdinando con sua consorte giungeranno a Belgrado al principio di maggio; si è, però, dovuto toccar con mano che i bulgari nutrono disposizioni più pacifiche di quanto supponevasi. Furono bensì fatte allusioni ad alleanze e ad intelligenze; ma non si uscì dal terreno delle generalità, e la questione della nazionalità, così spinosa per i Serbi, e d'una sfera d'azione simultanea in Macedonia, non fu che timidamente sfiorata, mentre dal lato bulgaro si sarebbe declinato ogni discussione sulla materia, allegando di non voler entrare in una cospirazione contro i territori di uno Stato limitrofo, col quale si mantengono buoni rapporti. Se tutto questo fu una delusione grave, ebbe, ciò non di meno, il gran vantaggio d'aprire gli occhi alla Serbia, sulla necessità di racchiudersi nella attitudine della maggiore prudenza e correttezza. Al ritorno del Re Alessandro in Patria fu, dunque, giuoco forza smettere ogni idea annessionista, tanto più che le persone del seguito di S. M. ebbero

campo a convincersi, esse medesime, che a Sofia i centri officiali e l'opinione pubblica si mostrarono intrattabili intorno alla questione della nazionalità, non ammettendo i bulgari che, all'infuori della vecchia Serbia, vi sia in tutta la Macedonia un solo serbo. In siffatte condizioni, ogni intesa diveniva impossibile. Di guisa che, sbolliti gli antichi ardori, gli uomini dirigenti in Belgrado ebbero a persuadersi che le loro aspirazioni territoriali non potrebbero mai spingersi oltre il bacino del Vadar e della Strouma mentre è notorio che a Sofia si è assai più intransigenti, e si sogna niente meno che la ricostituzione della Bulgaria del trattato di San Stefano. È essenzialissimo, poi, di non perdere di vista che, anche nella ipotesi della precitata delineazione di frontiera, i Serbi dovranno fare i conti coi Greci, cogli Albanesi e coi Montenegrini.

Questo è, in ogni caso, il modo con cui viene giudicata in Russia la posizione della Serbia, rispetto ai suoi rivali nei Balcani.

411.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, PANSA

T. 1097. Roma, 13 aprile 1897, ore 13. Circa lo schema di autonomia per Candia confermo le precedenti mie istruzioni ed approvo l'atteggiamente da Lei tenuto, in conformità con quelle istruzioni, nel convegno degli Ambasciatori. Importa che l'autonomia sia tale, nell'interesse dell'isola e nell'interesse dell'Europa, da escludere assolutamente per l'avvenire il ripetersi delle periodiche agitazioni del passato. Una autonomia sul tipo bulgaro corrisponde a tale condizione. V. E. deve quindi insistere perchè tale sia la conclusione. Dal canto mio, avendomi l'Ambasciatore di Turchia, in base ad istruzioni del suo Governo, parlato nel senso che il Governatore dell'isola debba essere suddito ottomano e che non debbasi andare oltre il regime del Libano e di Samo, gli ho risposto bensì, che una discussione in proposito colla Sublime Porta era, a mio avviso, prematura, ma non gli ho taciuto che, agli occhi miei, siffatte soluzioni apparivano affatto insufficienti e che il Governo

del Re avrebbe dato il suo assenso a quelle combinazioni soltanto che dessero guarentigia di uno stabile e pacifico assetto.

412.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RISERVATO 203/110. Pietroburgo, 20 aprile 1897. Col mio rapporto n. 185/102 (l) ebbi l'onore d'esporre a V. E. l'insuccesso dei tentativi stati messi in opera dal Re Alessandro nel suo viaggio a Sofia, allo scopo di stabilire un accordo tra la Serbia e la Bulgaria, per una azione a due in Macedonia. Su di ciò non vi può essere alcun dubbio. La questione era stata singolarmente male intavolata dai consiglieri di quel giovane Sovrano, ponendola essi sopra un terreno su di cui le aspirazioni loro

non potevano che trovarsi in urto con quello dei Bulgari. Ciò nondimeno, vi sono dei giornali che oggi stesso continuano ad asserire che un'alleanza è stàta stipu

lata, ed ho appunto sott'occhio un telegramma di Sofia delli 17 corrente, in cui

leggesi: «Il Mir, organo del signor Stoiloff e del partito conservatore, nega in

termini energici i rumori che sempre abbondano d'una intelligenza tra la Serbia

e la Bulgaria, per lo scompartimento della Macedonia. Tale accordo, non esitiamo

a proclamarlo, rileverebbe il più profondo disprezzo del codice delle nazioni,

e sfidiamo chicchessia d'attribuire ai governanti bulgari il proposito di spogliare

la Turchia». Di fronte a siffatte smentite, circola ora un'altra voce. Non si trat

terebbe più di un'intesa limitata alla Serbia ed alla Bulgaria; anche il Monte

negro comparisce in scena, e si assicura che un'alleanza sia stata conchiusa fra i

tre Stati, a scopo di reciproca difesa, e per l'integrità dei loro rispettivi territorii.

Uno dei miei colleghi ha ricevuto comunicazione di molti particolari circa questa

nuova fase in cui la questione sarebbe entrata, affermandosi più che mai che

tutto ciò è avvenuto sotto gli auspici della Russia, la quale, in caso di contrasti

con potenze estere, presterebbe, in certa guisa, il suo appoggio ai tre alleati.

Ho voluto, pertanto, rivolgermi alla fonte più autorevole e discorrerne col Conte Mouravieff in persona. S. E. qualificò d'insussistenti tutte quelle dicerie, e !ungi dal palesare alcun .imbarazzo a toccare un soggetto scottante, meco si diffuse sul medesimo, senza reticenza di sorta. Dimostrata la nessuna probabilità che alcuno dei tre precitati paesi balcanici possa venir attaccato, emergeva chiaramente l'inanità di una lega fra di essi, per difendersi da un immaginario pericolo, ed in realtà le parole di questo signor lVIinistro degli Esteri furono le più recise che fosse lecito osare.

Tuttavia non si può negare che molti si ostinano a credere che qualche cosa sia stato concertato. Il Conte di Montebello, egualmente, si è lasciato sfuggire alcun che su di ciò.

Io considero molto verosimile che tutto questo sia un maneggio della Serbia la quale si sente più minacciata degli altri. Essa sa che dalla Bulgaria non ha nulla a sperare. Sente, eziandio, che il Montenegro può, ad ogni istante, divenire per essa un temibile rivale. In simile condizione di cose, non reca meraviglia che il Governo di Belgrado si agiti in tutti i modi, per tener vivo uno scambio d'idee coi suoi due incomodi vicini, all'oggetto di premunirsi contro qualche brutto colpo.

Tra ciò ed una vera e propria alleanza, corre un gran divario.

Riguardo al preteso protettorato russo che coprirebbe col suo manto questi raggiri, sorge naturalmente un riflesso. Per quanto concerne il Montenegro, non sarebbe di certo una novità, e quasi lo stesso può applicarsi alla Bulgaria, dopo la conversione del Principe Boris all'ortodossia. La Serbia, dunque, attirata com'è nell'orbita austriaca, non avrebbe discaro procurarsi, per mezzo di una unione balcanica, un utile contatto coll'Impero Moscovita, che tanta influenza esercita sopra gli altri due Stati Slavi di quella penisola.

(l) Pubblicato al n. 410.

413

IL MINISTRO AD ATENE, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 1686. Atene, 26 aprile 1897, ore 19,30.

Garibaldi è venuto a vedermi oggi: mi ha detto spontaneamente che era non poco impressionato situazione presente creata Re di Grecia dagli avveni

menti, suoi colloquii uomini governanti che, secondo persone influenti facevano rilevare preoccupazione che qui regnava a tale riguardo; aveva sconsigliato qualsiasi cambiamento interno che avrebbe potuto ridondare, questo momento, maggior danno Grecia; avrebbe altresì consigliato Governo ellenico non dare nè accettare battaglia Farsala, mantenendogli possibilmente per mezzo flotta modo approvigionarsi. Partenza Garibaldi campo di battaglia non è guarì fissata. Mio linguaggio col Generale è stato improntato gran riserbo. Restituirò domani visita.

414

IL SEGRETARIO GENERALE DEGLI ESTERI, MALVANO, AL MINISTRO DELL'INTERNO, RUDINI'

T. 1235. Roma, 29 aprile 1897, ore 18,25. Questa Ambasciata di Turchia mi partecipa essere informata che 26 corrente 300 volontari per Grecia si radunarono presso Civitavecchia per imbarcarsi su legno sconosciuto che attendeva al largo; che giornale « La Spezia » pubblica stessa data invito e norme per arruolamenti sotto auspici Mantegazza direttore di quel giornale, invito cui circa 50 individui intenderebbero corrispondere; che i volontari fatti sbarcare dall'« Albania» a Venezia hanno fatto colà dimostrazione ostile consolato ottomano; che il 24 e 27 corrente un vapore ellenico tentò imbarcare volontari a Rimini, ma ne fu impedito, mentre 15 altri, da Ancona che vollero imbarcarsi sul « Simeto », già avente a bordo 20 volontari da Venezia, trattenuti da autorità, partirono per Brindisi per procurarsi altro imbarco. Ambasciata avverte che sistema tali imbarchi clandestini è sempre il medesimo; lasciare, cioè, spiaggia da punti non sorvegliati, a piccoli. gruppi, su barche da diporto, per raggiungere alto mare legno che li imbarca.

Prego insistere vivamente presso autorità competenti per massima sorveglianza e rigorosa applicazione legge.

415.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MAFFEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. RISERVATO 1756. Pietroburgo, 30 aprile 1897, ore 0,35. Mio collega d'Inghilterra ebbe incarico di chiedere se la Russia acconsentirebbe ad una conferenza degli ambasciatori a Parigi per prendere in considerazione, nel più breve termine, le condizioni di pace che sarebbe lecito presentare. Salisbury era pure di parere che un armistizio fosse desiderabile. Siccome però esso potrebbe anche incontrare dei ritardi, la conferenza, se accettata da tutti, offriva il vantaggio di cominciare l'opera sua subito. Secondo il sumentovato mio collega, Mourawieff gli avrebbe risposto sulle prime che non vi scorgeva inconvenienti e che vi aderiva in massima; ma più tardi però lo pregò di fare conoscere a Londra che, essendosi manifestate obiezioni altrove, governo imperiale riteneva migliore e più sollecito partito procedere direttamente per via di scambio di vedute fra i gabinetti delle grandi Potenze. Questa la versione

britannica, a me poi, il Conte Lamsdorff disse oggi stesso che quanto la proposta della conferenza come quella dell'armistizio era stata qui respinta.

<
APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

ARGENTINA

Buenos Ayres -ANTONELLI conte Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CuccHI BoAsso Fausto, segretario.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -NIGRA S. E. conte Costantino, senatore, ambasciatore; CusANI CoNFALONIERI marchese Girolamo, segretario; CoBIANCHI Vittore, segretario; ALIOTTI (dei baroni) nob. Carlo, addetto; ZANNONI Giacomo, ufficiale d'ordine; NAVA Luigi, colonnello di fanteria, addetto militare.

BAVIERA

Monaco -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RANUZZI SEGNI conte Cesare, segretario.

BELGIO

Bruxelles -CANTAGALLI Romeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, segretario; PANIZZARDI Alessandro, colonnello di stato maggiore, addetto militare (residente a Parigi).

BOLIVIA

CA!ìTELLI Pietro, ministro (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -DE MARTINO Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRUNO Luigi, segretario.

CILE

Santiago -GREPPI conte Antonio, ministro residente.

CINA

Pechino -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N. N., segretario; VITALE DI PoNTAGIO, interprete.

COLOMBIA

Bogotà -PIRRONE Giuseppe, ministro residente.

COREA

N. N., inviato straordinario e ministro plenipoten2liario (residente a Pechino).

COSTARICA

BRUNI GRIMALDI Francesco, ministro (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -GALVAGNA barone Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; N. N., segretario di legazione.

FRANCIA

Parigi -ToRNIELLI BRUSATI DI VERGANO S. E. conte Giuseppe, senatore, ambasciatore; POLACCO Giorgio, segretario; PAULUCCI DE CALBOLI conte Raniero, segretario; RoMANO Camillo, segretario; CHAEN Teofilo Rodolfo marchese di ToRRE ALFINA, segretario; GABUTTI Pasquale Pietro, archivista capo; PANIZZARDI Alessandro, colonnello di stato maggiore, addetto militare.

GERMANIA

Berlino -LANZA S. E. conte Carlo, tenente generale, ambasciatore, accreditato pure in qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso i regni di Sassonia e di Wurtemberg; presso i granducati di Assia, Baden, Mecklemburgo-Schwerin, Mecklemburgo-Strelitz, Oldemburgo e Sassonia Weimar-Eisenach; e presso i ducati di Brunswich, Sassonia-Altenburgo, Sassonia Coburgo e Gotha, Sassonia-Meiningen; CALVI DI BERGOLO conte Giorgio Carlo, consigliere; MATTIOLI PAsQUALINI Alessandro, segretario; SOMMI PICENARDI DI CAVALTONE marchese Gerolamo, addetto; CICERO Carlo, archivista; PRUDENTE Giuseppe, colonnello di stato maggiore, addetto militare.

GIAPPONE

Tokio -ORFINI conte Ercole, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BAROLI nob. Carlo, segretario; CASATI Luigi, interprete; GAsco Alfonso, interprete.

GRAN BRETAGNA

Londra -FERRERo S. E. Annibale, tenente generale, senatore, ambasciatore; GALLINA conte Giovanni, segretario (fino al 16 aprile 1896); BoTTARo CosTA Francesco, segretario (dal 16 aprile 1896); QuARTO DI BELGIOIOSO Antonio, conte DEL VAGLIO, segretario; BosDARI conte Alessandro, addetto col titolo di segretario; Dr MoNTAGLIARI marchese Paolo, addetto.

GRECIA

Atene -AvARNA duca Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotentenziario; NoBILI Aldo, segretario; DELLA ToRRE DI LAVAGNA conte Giulio, addetto; TROMBI conte Vittorio, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare (residente a Costantinopoli).

GUATEMALA Guatemala -BRUNI GRIMALDI Francesco, ministro residente.

HONDURAS Teguciga!pa -GREPPI conte Antonio, ministro residente.

LUSSEMBURGO ZANNINI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (resldente all'Aja). MAROCCO Tangeri -MALMUSI Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIANATELLI GENTILE Agesilao, interprete.

MESSICO Messico -DE FoRESTA (dei conti) nob. Alberto, ministro residente.

MONTENEGRO Cettigne -BIANCHI DI CASTELBIANco marchese Francesco, ministro residente.

NICARAGUA BRUNI GRIMALDI Francesco, residente (residente a Guatemala).

PAESI BASSI

L'Aja -ZANNINI conte Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE GREGORIO marchese Paolo, segretario.

PARAGUAY

Assunzione -ANTONELLI conte Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Buenos Ayres).

PERSIA Teheran -MAISSA Felice, ministro residente.

PERU'

Lima -CASTELLI Pietro, ministro residente.

PORTOGALLO

Lisbona -GERBAIX DE SoNNAZ conte Carlo Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRIOZZI Lorenzo, principe di CARIATI, segretario.

ROMANIA

Bucarest -BECCARIA INCISA nob. Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RusPOLI (dei principi) Mario, addetto; OLIVOTTO Teodoro, interprete e archivista; TRoMBI conte Vittorio, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare (residente a Costantinopoli).

RUSSIA

Pietroburgo -MAFFEI DI BoGLIO S. E. marchese Carlo Alberto, ambasciatore; MELEGARI Giulio, consigliere; CoRSINI (dei principi) Andrea Carlo, addetto; DI MAJo Pio, colonnello di stato maggiore, addetto militare.

SALVADOR

BRUNI GRIMALDI Francesco, ministro residente (residente a Guatemala).

SERBIA

Belgrado -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoLLATI Riccardo, segretario; NAVA Luigi, colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Vienna).

SIAM

N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Pechino).

SPAGNA

Madrid -DE RENZIS S. E. Francesco, ambasciatore; MALASPINA DI CARBONARA marchese Obizzo, consigliere; CARIGNANI (dei duchi di NovoLI) nob. Francesco, segretario; SACERDOTI (dei conti di CARROBBIO) nob. Vittorio, addetto.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -FAVA S. E. barone Saverio, ambasciatore; VINCI conte Giulio Cesare, segretario.

SVEZIA e NORVEGIA

Stoccolma -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FERRARA DENTICE Enrico, segretario.

SVIZZERA

Berna -RIVA Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAYOR DES PLANCHES nob. Edmondo, consigliere; RANUZZI-SEGNI conte Ce· sare, segretario (provvisoriamente a Monaco); SALLIER DE LA TouR (dei conti) nob. Giuseppe (provvlisoriamente a Monaco); DA VELLA Oreste, addetto; KRAUTH Federico, archivista; PANIZZARDI Alessandro, colonnello di stato maggiore, addetto militare (residente a Parigi).

TURCHIA

Costantinopoli -PANSA S. E. Alberto, ambasciatore: GALLINA conte Giovanni, segretario (dal 16 aprile 1896); CARLOTTI marchese Andrea, segretario; ANCILLOTTO conte Giuseppe, addetto; CANGIÀ Alfredo, interprete; TROMBl conte Vittorio, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

URUGUAY

Montevideo -ANToNELLI conte Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenzial1io (residente a Buenos Ayres).

VENEZUELA

Caracas -RIVA nob. Giovanni Paolo, ministro residente.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

MINISTRO

CAETANI Onorato duca DI SERMONETA (dal 10 marzo al 20 luglio 1896). VISCONTI-VENOSTA S. E. Emilio, senatore del Regno (dal 20 lugLio 1896).

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BONIN LONGARE S. E. conte Lelio, deputato.

SEGRETARIO GENERALE

MALVANO Giacomo, consigliere di stato, senatore del Regno.

DIVISIONE I

Affari politici.

Direttore capo divisione: BIANCHINI Domenico.

SEZIONE I

Europa e colonie, Africa, Asia ed Oceania.

Apertura della corrispondenza -Carteggio in materia politica -Stipulazione e interpretazione dei trattati politici -Pubblicazione di documenti diplomatici -Reclami di carattere politico verso governi stranieri -Espulsioni di natura politica -Rettificazioni ed accertamenti di frontiera -Rassegna della stampa politica nazionale ed estera -Cifrari coi regi uffici all'estero -Telegrafo e cifra -Tipografia del Ministero.

Capo Sezione: FASSATI DI BALZOLA (dei marchesi) nob. Ferdinando.

Segretari: KocH Ernesto; VoLTATTORNI Gabriele; DECIANI Vittorio; MAccHI DI CELLERE (dei conti) nob. Vincenzo (segretario di S. E. il 'sottosegretario di Stato).

Archivista: NEGRI Rodolfo. Ufficiali d'ordine: GALLINGANI Augusto; MoNDINO Pietro; FERRERO Camillo; BoNGIOVANNI Emilio; ZUCCHETTI Pietro. Addetto all'ufficio: BAJNOTTI Paolo, console di prima classe (segretario di S. E. il ministro).

SEZIONE II

America

(Come nella Sezione I, nei rapporti cogli Stati d'America).

Capo Sezione: CUGNONI Guglielmo. Segretario: CELESIA DI VEGLIAsco barone Alessandro. Addetto all'ufficio: PRINETTI conte Emanuele, segretario di legazione di seconda

classe.

SEZIONE III

Eritrea e protettorati.

Carteggio politico ed amministrativo in materia coloniale -Possedimenti, occupazioni, protettorati, determinazioni di confini e di sfere d'influenza in Africa -Misure sancite dagli Atti Generali di Berlino e di B1·uxelles-Tratta degli schiavi-Pubblicazione di documenti diplomatici relativi a questioni coloniali -Spedizioni geografiche ed esplorazioni in Africa -Amministrazione dell'Eritrea e dei Protettorati -Colonizzazione -Personale coloniale -Preparazione delle leggi e dei decreti sull'ordinamento della colonia Eritrea -Bilancio e contabilità coloniali Protocollo ed archivio dell'ufficio.

Capo Sezione: N. N. Segretari: AGNESA Giacomo; RANDACCIO Ignazio. Vice segretario: CoNTARINI Salvatore. Ufficiale d'ordine: SoRMANI Gilberto.

DIVISIONE II

Affari commerciali, emigrazione e scuole.

Direttore capo divisione: PucciONI Emilio.

SEZIONE I

Affari Commerciali.

Carteggio relativo alla stipulazione e interpretazione degli atti internazionali di natura commerciale, industriale, ferroviaria, telegrafica Studi di politica commerciale -Pubblicazioni d'indole economica -Esposizioni -Sconfinamenti doganali -Sanità pubblica.

Capo sezione: PASSERA Oscarre.

Segretario: ANIELLI Lorenzo.

Addetti all'ufficio: FRANCISCI conte Edoardo, console di seconda classe; SAVINA

Oreste, vice console di seconda classe; MoRI UBALDINI ALBERTI conte Alberto,

vice console di terza classe.

21 --Documenti diplomatici -Serie III -Vol. I

SEZIONE II

Emigrazione.

Emigrazwne e colonie -Associazioni ed istituti all'estero, escluse le scuole -Censimento -Indagini statistiche relative all'emigrazione Bollettino del Ministero degli Affari Esteri

Capo sezione: PELUCCHI Carlo. Segretario : CANONICO Edoardo. Ufficiale d'ordine: FILIPPINI Garibaldo.

SEZIONE III

Scuole.

Istituti scolastici governativi all'estero, loro ordinamento e direzione didattico-disciplinare -Istituzione e soppressione di scuole -Locali scolastici -Materiale didattico e scientifico -Personale insegnante -De putazioni scolastiche -Concorsi -Ispezioni -Posti gratuiti e semigra tuiti dall'estero per l'interno -Amministrazione, contabilitd, bilanci delle scuole. Istituti sussidiati all'estero -Sussidi ordinari e straordinari a scuole coloniali, .private e confessionali -Vigilanza sulle medesime, ispezione di esse. Palestre ginnastiche -Biblioteche all'estero -Regio istituto orientale di Napoli -Regio istituto internazionale di Torino. Annuario delle scuole all'estero -Statistiche -Relazioni al Ministro ed al Parlamento -Protocollo ed archivio dell'Ufficio.

Ispettore generale delle scuole all'estero: ScALABRINI prof. Angelo. Segretario: BoccoNI Luigi. Ufficiali d'ordine: VIGNOLO Edoardo; PANVINI RosATI Mario. Adetti all'ufficio: Rossi-ToEscA Vincenzo, segretario di legazione di seconda

classe; FIORETTI Vittorio, vice segretario di ragioneria di prima classe; SuGLIANI Augusto, vice segretario di ragioneria di seconda classe.

DIVISIONE III

Affari privati.

Direttore capo divisione: VACCAJ Giulio.

SEZIONE I

Europa, Africa, Asia ed Oceania.

Questioni ed affari di nazionalitd, di estradizione, di protezione consolare, di successioni di stato civile e d'ogni altro ordine non politico, nè commerciale -Rogatorie -Pensionati all'estero -Atti giudiziari -Atti di stato civile -Stipulazione ed interpretazione di trattati relativi a dette materie.

Capo sezione: DE GAETANI Davide.

Segretari: MIRTI DELLA VALLE nob. Achille; RICCI Arturo. Vice segretario: GALLIAN Massimo. Ufficiali d'ordine: SANDRucci Lorenzo; CAMETTI Alberto; FIOCCARDI Cesare.

SEZIONE II

America. (Come nella sezione I, nei rapporti cogli Stati d'America).

Capo sezione: N. N.

Segretario: LANDI-VITTORJ Vittorio.

Vice segretario: DURAND DE LA PENNE marchese Enrico.

Addetti all'ufficio: ZANOTTI-BIANco Gustavo, vice console di prima classe; BuRDESE Apollinare, vice console di terza classe.

DIVISIONE IV

Personale.

Direttore capo divisione: BARILARI Federico.

SEZIONE I

Personale.

Personale d'ogni categoria dipendente dal Ministero degli affari esteri (escluso il personale delle scuole ed il personale coloniale) -Esami Annuario del Ministero e bollettino del personale -Istituzione e soppressione di posti diplomatici e consolari -Servizio d'ispezione dei regi uffici alL'estero -Uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Registrazione degli atti pubblici -Protocollo ed archivio dell'Ufficio.

Capo sezione: BERTOLLA Cesare.

Segretari: SERRA (dei conti) nob. Carlo; ANDREOZZI conte Pietro.

Archivista: ZAVEL DE LouviGNY Filippo Antonio.

Ufficiali d'ordine: PEROTTI Felice; CLAUS Giuseppe.

Addetto all'ufficio: FALLETTI (dei conti di VILLAFALLETTO e signori di VITTIGNASCO) nob. Paolo.

SEZIONE II

Cerimoniale.

Cerimoniale -Lettere reali -Redazione di pieni poteri, credenziali,

lettere di richiamo, ecc. -Decorazioni italiane e straniere -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materie doganali ai regi agenti all'estero ed agli agenti stranieri in Italia -Visite e passaggi di sovrani, principi, capi di Stato e grandi personaggi Richieste per viaggi in strada ferrata e per viaggi marittimi degli impiegati.

Capo sezione: MINA BoLZESI Giuseppe. Segretario: VALENTINI Claudio. Archivista capo: ALINARI Enrico. Archivista: CERQUETTI Claudio.

SEZIONE III

Legalizzazioni.

Legalizzazione di atti di stato civile provenienti sì dall'estero che dall'interno -Atti di stato civile di stranieri in Italia -Pubblicazioni di matrimonio -Registri di stato civile -Liste di cittadini morti all'estero

Passaporti di servizio -Riconoscimenti di firma.

Capo sezione: BROFFERIO Tuilio. Ufficiali d'ordine: DE GREGORIO Francesco; MoRONE Vittorio.

DIVISIONE V

Ragioneria.

Direttore capo divisione: BELLISOMI Ludovico.

SEZIONE I

Bilancio dell'entrata -Riscossioni e versamenti proventi consolari -Cassa ed oggetti di valore -Accettazione ed incasso cambiali -Conti correnti coi regi agenti all'estero -Revisione delle contabilità degli uffi,ci diplomatici all'estero -Palazzi all'estero -Tariffa consolare -Conto corrente con la tesoreria centrale -Conti con le società di navigazione Crediti su case bancarie estere -Conti giudiziali -Stipendi ed assegni al personale consolare, interpreti ed uffi,ciali d'ordine all'estero -Proventi dell'Ufficio di riconoscimento di firme -Decreti, mandati di pagamento -Corrispondenza e relativa copia.

Capo sezione: BoNAMico Cesare. Segretario: CASA DIO Carlo. Vice segretal'i: VINARDI Giuseppe (cassiere); MARCONI Alfredo; BoRRONI Giuseppe. Volontari: SANDICCHI Pasquale; CRIVELLAR! Quirino.

SEZIONE II

Bilancio della spesa -Pensioni -Inventari -Contabilitd, viaggi, stabilimenti, missioni -Stipendi al personale del Ministero, stipendi ed assegni al personale delle Legazioni -Copia mandati -Conto articoli Situazione decadale dei fondi -Sussidi diversi -Decreti, mandati di pagamento, scuole all'estero, economato, biblioteca -Protocollo ed archivio -Raccolta e copia dei decreti -Corrispodenza e relativa copia.

Capo sezione: CALVARI Ludovico.

Segretari: D'AVANZO Carlo; FANO Alberto.

Volontari: CASONI Enr.ico; DE SANTIS Paolo.

Archivista: MARCONE Gabriele Antonio, corriere di gabinetto.

Archivio

Distribuzione della corrispondenza ordinaria -Registrazione e sunto delle carte in arrivo e in partenza -Ricerca dei precedenti -Rubriche per ragione di luogo, di materia e di persone -Trasmissioni -Spedizione -Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e degli uffici all'estero -Ricerche storiche -Sunti, memorie, compilazioni archivistiche -Ricupero di atti e carte di Stato -Copie, duplicati e autenticazioni -Conservazione degli originali degli atti internazionali conclusi dal Regno d'Italia e dagli antichi Stati italiani -Raccolta delle circolari ministeriali e delle disposizioni di massima -Archivi degli uffici all'estero ed inventari (esclusi i libri e il mobilio) -Conservazione dei registri di stato civile dei nazionali all'estero -Provvista di stampati agli uffici diplomatici e consolari all'estero per la formazione di detti registri -Statistiche della corrispondenza e degli atti d'ufficio.

Direttore: GoRRINI prof. Giacomo, con grado di capo divisione di seconda classe.

Capo sezione: BARILARI Pompeo.

Archivisti: BoNGIOVANNI Marco Federico; BENETTI Carlo; PREYER Giovanni.

Ufficiali d'ordine: PASANISI prof. Francesco; SILVANI-LORENI Demetrio; CIACI Romolo; BARBÈRI Francesco; BENFENATI Evaristo; OsTINI Alessandro; GRAZIOSI Luigi. Addetto all'ufficio: CASTIGLIA Tancredi, vice console di terza classe.

Biblioteca.

Conservazione ed incremento della biblioteca del Ministero e di quelle dei regi uffici all'estero -Inventari, cataloghi, schedari -Associazioni a giornali e riviste -Provvista di libri e pubblicazioni agli uffici diplomatici, consolari -Scambi di pubblicazioni con altri Ministeri od istituti del regno o di Stati esteri -Conservazione delle pubblicazioni del Ministero.

Bibliotecario: P ASQUALucci Loreto, con grado di capo sezione di seconda classe. Ufficiale d'ordine: DE SANGRO Alberto.

Economato.

Inventari degli oggetti esistenti al Ministero -Contratti -Acquisto di mobili -Manutenzione dei locali -Magazzino -Direzione e disciplina del personale di servizio.

Economo: DE ANGIOLI Eugenio (archivista capo).

Spedizione.

Trasmissioni -Spedizioni periodiche -Francatura e franchigia postali Svincoli doganali.

Archivista: SIGNORONI Elia Camillo, corriere di gabinetto.

Tipografia del Ministero.

Direttore: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: Il Ministro. Vice Presidente: TABARRINI S. E. nob. Marco, senatore del Regno, presidente del Consiglio di Stato.

Consiglieri: ARTOM !sacco, senatore del Regno -BIANCHERI S. E. Giuseppe, deputato -BoccARDO prof. Girolamo, senatore del Regno, consigliere di Stato -CAPPELLI marchese Raffaele, deputato -CANONico prof. Tancredi, senatore del Regno -DAMIANI Abele, deputato -FÈ o'OSTIANI conte Alessandro, senatore del Regno -FusiNATO prof. Guido, deputato _ EsPERSON prof. Pietro -lNGHILLERI Calcedonio, senatore del Regno, consigliere di Stato -MESSEDAGLIA prof. Angelo, senatore del Regno -PAGANO GUARNASCHELLI Gio. Battista, senatore del Regno, primo presidente della Corte d'appello di Roma -PIERANTONI avv. Augusto, senatore del Regno.

Segretal"io: FASSATI DI BALZOLA (dei marchesi) nob. Ferdinando, capo sezione nel Ministero degli affari esteri.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

Argentina: S. E. il signor Enrique B. MoRENO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Carlos ZAVALIA, segretario; signor Hilario MoRENO, segretario.

Austria-Ungheria: S. E. il barone Marius PASETTI voN FRIEDENBURG, ambasciatore; signor Alexander voN MEZEY, consigliere; signor Alexander voN MuLLER, consigliere (dal 30 novembre 1896); conte Jaroslaw WISNIEWSKI, consigliere; conte Elemer voN LoNYAY, segretario; conte Lajos SzÈcHNYI, addetto; barone Ludwig voN FLoTow, addetto; signor Emilius voN PoTT, colonnello di stato maggiore, addetto militare; signor Guy CoDARDE, capitano di fregata, addetto navale.

Baviera: barone Heinrich voN TucHER, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; barone Theodor CRAMER-KLETT, addetto.

Belgio: S. E. il signor Augustus VAN Loo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; barone Ludovic MoNCHEUR, consigliere; barone Albéric GRENIER, primo segretario.

Brasile: S. E. il signor Francisco REGIS DE 0LIVEIRA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Bruno CHAVES, primo segretario; signor Carlos DE VIEIRA FERREIRA, secondo segretario; signor Raoul REGIS DE 0LIVEIRA, addetto.

CHe: S. E. don Francisco PINTO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino); signor Hediodoros ENFANTES, primo segretario; signor B. Pio PuELMA, secondo segretario.

Cina: S. E. til signor Jen KuNc CIAO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Londra); signor Lein Ou TsoNG, segretario; signor Kung SING-CHAN, addetto.

Colombia: S. E. Josè Marcelino HuRTADO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Manoel DE SANTA MARIA, segretario.

Danimarca: conte Ferdinand Julius Einar Gottlieb VAN REVENTLOW, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia: S. E. il signor Albert BILLOT, ambasciatore; visconte Henri DE LAVAUR DE SAINTE FoRTUNADE, consigliere; signor Louis PATENÒTRE, secondo segretario: signor DE LA CHAUVINIÈRE, terzo segretario; signor Armand LESCA, addetto; !Signor Fél'ix GIRARD PlNSONNIÈRE, tenente colonnello, addetto militare; signor Lucien-Hervé JoussELIN, tenente di vascello, addetto navale.

Germania: S. E. il signor Bernhard VON BuLoW, ambasciatore; conte Karl VON PucKLER, consigliere; barone Gisbert voN RoMBERG, segreta11io; signor Hans HERWART VON BITTENFELD, addetto; signor Albanus VON JACOBI, maggiore, addetto militare; conte Johachim voN ORIOLA, luogotenente di vascello, addetto navale.

Giappone: S. E. il signor Shin-ichiro KURINO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Mineiteiro ADATCI, segretario; signor Sankuro KASAKABÈ, addetto; signor Toyosaburo OTZIAI, tenente colonnello, addetto militare.

Gran Bretagna: S. E. sir Francis CLARE FoRD, ambasciatore; signor Michael H.HERBERT, primo segretario; signor Fairfax CARTWRIGHT, secondo segretario; signor Hugh ELLICOMBE, secondo segretario; signor Lewis MALLET, segretario; signor D. BEAUCHAMP BROWNE, addetto onorario; signor Charles NEEDHAM, colonnello, addetto militare; signor LEWIS WINTs, capitano, addetto navale; signor Alfred W. PAGET, capitano, addetto militare.

Grecia: signor D. CoNDOURIOTIS, incaricato d'affari.

Guatemala: S. E. il dottor Fernandez CRUZ, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Messico: S. E. il signor Gonzalos A. EsTEVA, ministro residente; signor Salvador CANEDO, primo segretario; signor Gonzalos A. EsTEVA Y CuEVAS, addetto.

Paesi Bassi: S. E. il signor Bernhard WEsTENBERG, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor John LoNDON, segretario.

Persia: NERIMAN KHAN, generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; A. NEVRouz KHAN, consigliere.

Perù: S. E. Josè Francisco CANEVARO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; don Josè Domingo CÀCERAS, primo segretario; don Federique LAR RANAGA, addetto; don Alfredo ELSTER, addetto; don Augusto DE ALTHAUS colonnello, addetto militare.

Portogallo; S. E. il signor Matìas CARVALHO Y VASCONCELLOS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Alfredo Achilles MoNTEVERDE, primo segretal'io; signor Antonio DE OLIVERA SoARES, secondo segretario.

Romania: S. E. Alexandru LAHOVARY, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Duilius ZAMFIREsco, primo segretario; signor Kostantin LANGA-RASCANO, addetto.

Russia: S. E. il signor Aleksandr ljegorovic VLANGALY, ambasciatore; signor Anatol Nikolaevié KRUPENSKY, consigliere; signor Viktor BAGGovouT, primo segretario; conte Aleksandr KELLER, secondo segretario; principe Nikolaj TRUBETSKOJ, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Serbia: S. E. il signor Milan Boéi·éEVIé, dnviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

Siam: S. A. R. il principe VADHANA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor PHYA SuRIYA NuvATR, incaricato d'affari; signor Carlo CORRAGIONI D'0RELLI, consigliere; signor LUANG VISAIT, primo segretario.

Spagna: S. E. il conte Francisco MERY Y CoLoN DE BENOMAR, ambasciatore; signor Fernandez OsoRIO, primo segretario; signor Carlos GASSEND Y TRIAS, secondo segretario; signor Juan GoNZALEs DE SALAZAR, terzo segretario; marchese Josè DE LA GANDARA Y PLAZAOLA, addetto; signor Francisco SERRAT, addetto; signor Camillo VALLES Y SoLER DE ARAGON, colonnello, addetto militare.

Stati Uniti: S. E. Wayne MAc VEAGH, ambasciatore; signor Lars ANDERSON, segretario; signor George Percival ScRIVEN, capitano, addetto militare; signor C. E. VREELAND, luogotenente di vascello, addetto navale (fino al dicembre 1896); signor A. P. NIBLACK, luogotenente di vascello, addetto navale (dal dicembre 1896).

Svezia e Norvegia: S. E. il barone Karel Nils Daniel DE BILDT, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Svizzera: S. E. il signor Gaston CARLIN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; signor Joseph CHoFFAT, primo segretario; signor Johann Rudolf BURCKHARDT, addetto.

Turchia: S. E. RESHiD bey, ambasciatore; PANGIRIS bey, consigliere; OHANÈS CouYoUMGIAN bey, primo segretario; REsHiD SAADI bey, secondo segretario; Ibrahim SAMICH bey, terzo segretario; •ALi NADiR bey, luogotenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Uruguay: S. E. il signor Daniel MuNoz, inviato straordinario e ministro plenlpotenziario; signor Enrique RoVIRA, primo segretario; signor Josè Augustino CASALIA, addetto; signor JosÈ MANOEL FERRARI, ufficiale onorario.

Venezuela: S. E. il signor Calcano MATHIEU, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.